Capitolo 20

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From the dawn of time to the end of days

I will have to run, away

I want to feel the pain and the bitter taste

Of the blood on my lips, again

- Woodkid


Adam prese un profondo respiro non appena tirò fuori la testa dall'acqua. Il chilometro e mezzo che aveva percorso a stile libero lo aveva stancato più del solito, e non era quel tipo di stanchezza che accoglieva di buon grado.

Quella notte non aveva dormito molto, e la mancanza iniziava a farsi sentire. Si domandò come facesse Alec a sopportare il sonno sempre incombente, ma pensare a lui gli fece tornare di nuovo quel senso di sconforto che dalla ricreazione l'aveva appesantito. Avrebbe dovuto essere esuberante per l'invito di Cassie, eppure l'espressione che l'amico gli aveva riservato in seguito, come se qualcosa lo turbasse, aveva oscurato quella felicità momentanea, rimanendo impressa nella sua mente finché lui non aveva dato fondo alle sue energie, lì nella piscina interna.

Gli era dispiaciuto non avere la possibilità di immergersi nelle acque esterne, che di solito preferiva per via del sole che accompagnava le sue nuotate, ma il tempo non aveva fatto che peggiorare dopo la pioggerella di metà mattino. Ormai l'estate era finita da un pezzo.

Troppo stanco per percorrere gli ultimi mille metri dei suoi allenamenti, si asciugò in modo frettoloso e si diresse verso la sala pesi per deviare poi sino al bagno e farsi una doccia. Nel momento in cui sorpassò la porta, però, si bloccò. Davanti a lui c'era ciò che di più inaspettato avrebbe potuto vedere.

Alec giaceva a terra su un fianco, raggomitolato su sé stesso con il viso contro le ginocchia, strette al petto dalle braccia che le circondavano. Tremava, esposto alla pioggia che gli ricadeva addosso dalla finestra sopra di lui, la quale era posizionata troppo in alto perché fosse in grado di chiuderla.

Fece un passo, esitante, e solo allora si accorse delle chiazze rosso scuro che punteggiavano la parete color crema e alcuni punti scoperti del ragazzo. Spalancò la bocca nel riconoscere che quegli aloni scarlatti erano sangue. Il cuore gli sprofondò in un abisso.

«Alec!» urlò allarmato, scattando verso di lui. Ignorò i brividi che correvano sul suo corpo coperto solamente dal costume striminzito, e il suo battito accelerò a dismisura quando l'altro non reagì. Si abbassò accanto a lui e tentò di esaminarlo con attenzione in cerca di ferite, prima di arrischiarsi a toccarlo. Quando vide le nocche tumefatte, concretò che le macchie potevano provenire proprio da lì. Era uno scenario davvero angosciante, ma per qualche motivo il sollievo s'impossessò di lui: aveva temuto per il peggio.

«Alec, rispondimi!» lo chiamò ancora, scuotendolo. Provò a infilargli una mano tra la fronte e la gamba e lo trovò incredibilmente freddo, segno che era già da un po' assalito dagli agenti atmosferici.

Gli strinse una guancia per guardarlo in volto, pieno d'ansia. A quanto pareva non era in pericolo di vita, ma ciò non significava che non stava soffrendo.

L'amico tirò su la testa mentre apriva gli occhi, battendoli più volte. Erano umidi e arrossati. Non appena lo riconobbe, il suo sguardo si illuminò impercettibilmente, ma subito dopo assunse una sfumatura tagliente, che Adam decise per il momento di ignorare.

«Che cosa hai fatto, Alec? Sei congelato!» Leggermente più tranquillo di prima, si permise di alzarsi da lui per chiudere la finestra. Venne scosso dai brividi quando il vento carico di piccoli spilli ghiacciati lo colpì in pieno. Cercò di immaginare da quanto tempo il ragazzo fosse lì. Il gelo che aveva addosso suggeriva che lo era da diverse decine di minuti.

Si chinò su di lui e gli passò il palmo su una guancia per scaldarla. Sebbene si stesse raffreddando a sua volta, il suo corpo era comunque più caldo di quello di Alec. L'altra si protese rapida verso le nocche gonfie per valutare l'entità dei danni che sembrava essersi procurato. Non aveva idea di cosa avesse provocato tutto ciò, ma probabilmente era accaduto di nuovo qualcosa di grave con Louise.

«Non toccarmi» fece Alec, scostandosi da lui come fosse suo nemico. Adam rimase per un momento immobile, sorpreso da tanto astio. Il subitaneo dubbio che fosse stato lui stesso a scatenare tale autolesionismo gli squarciò il petto per un istante. Insomma, quella mattina l'aveva visto per qualche motivo quasi in ira con lui.

No, si disse. E aggiunse, quasi per disperazione, che non poteva aver compiuto qualcosa che lo avesse ferito a tal punto senza esserne al corrente. Si aggrappò con ogni speranza a quel pensiero e si fece più deciso. Adirato con lui o meno, Alec aveva bisogno di aiuto.

«Fammi vedere» insistette, provando ad avvicinarsi ancora.

«'Fanculo» inveì l'altro, che di fragile non mostrava nulla. Si arrischiò a sostenersi a terra con i palmi per muoversi lontano da lui, ma non appena vi mise il peso, cedette, cadendo rovinosamente a pancia in su. Alec non si pronunciò riguardo alla caduta, ma si passò le mani sul viso con fare disperato, sporcandosi col sangue rappreso. Si procurò anche qualche graffio, ma non pareva rendersene conto.

Sebbene ogni fibra del suo animo volesse urlargli di smettere, Adam tentò un approccio più delicato. Non poteva andarsene e lasciarlo lì a gelare tra le sue stesse ferite solo perché aveva ricominciato ad allontanarlo. Si accostò di più al ragazzo e i capelli biondo cenere gli solleticarono un fianco.

«Alec, sei congelato. Non puoi restare qui, stiamo tremando entrambi» disse per sottolineare la gravità della situazione, non di certo per lamentarsi.

«Allora va' via. Lasciami solo.»

Scosse la testa anche se l'altro non lo vedeva. Con le buone non aveva concluso niente, serviva che fosse più diretto. Diede sfogo al suo ultimo brivido e prese Alec per le spalle con una mano, mentre gli faceva scivolare l'altra sotto le gambe. Pesava poco, quindi non fu difficile per lui sollevarlo. Quando lo fece, il giovane Callaway liberò il volto e spalancò gli occhi.

«Non toccarmi! Ti ho detto che non devi toccarmi, maledizione!»

Strinse i denti per non farlo cadere dopo che ebbe iniziato ad agitarsi convulsamente. L'astio nei suoi confronti rischiò di ferirlo, ma ormai sapeva che Alec era fatto così e che non c'era nulla di cui preoccuparsi. Avrebbe solo dovuto cercare un modo per fargli passare quello stato furioso in cui si trovava, ma prima aveva bisogno di scaldarlo: tra le mani gli sembrava di avere un pezzo di ghiaccio.

*

Alec incrociò le braccia stizzito quando venne poggiato come fosse un oggetto davanti a una doccia. Neanche si era reso conto di essere entrato in un bagno, alla destra della stanza allenamenti, che somigliava vagamente a uno spogliatoio da palestra, ma più raffinato, per quel poco che aveva visto. Forse Adam era venuto da lì? No, aveva il costume e odorava di cloro. Doveva esserci una piscina dietro una delle altre porte, e lui non se ne era accorto.

Era caduto come un idiota in uno stato di dormiveglia dopo aver dato sfogo a ogni sentimento negativo che albergava nel suo animo, troppo esausto e ferito per muoversi. Essere stato scoperto lì, in una situazione tanto delicata, lo aveva fatto scattare sulla difensiva, già adirato com'era nei confronti del mondo. Vedere Adam, inoltre, non lo aveva aiutato a ritrovare la calma. L'inspiegabile sensazione di sconforto che aveva provato quella mattina verso di lui non era ancora scemata.

«Devi fare una doccia calda» sentì ordinare, e strinse i pugni come poteva per il fastidio derivatone, nonostante in quel momento bramasse il calore più di ogni altra cosa. Non faceva che tremare, anche se tentava di contenere i brividi per non mostrarli all'altro. Anche quest'ultimo, dal canto suo, aveva la pelle increspata, ed era impossibile non notarlo: il suo corpo era fin troppo esposto, e quando l'aveva sollevato aveva persino aderito al suo.

«Non posso andare in camera, ora. Mia madre mi sta cercando» proferì, rendendosi conto poi che forse Adam non era a conoscenza della sua impossibilità di lavarsi come tutti gli altri. Non arrivava al soffione, non arrivava alle impostazioni digitali per aprire e regolare l'acqua, non arrivava nemmeno a prendere i flaconi di sapone. «Posso lavarmi solo in camera mia» aggiunse a mezza bocca.

Adam lo osservò pensieroso, poi passò a guardare la propria figura atletica e infine la cabina dai toni grigio scuro.

«Non preoccuparti. L'importante ora è farti uscire dall'ipotermia e sistemarti quelle» disse indicando le sue nocche gonfie. Aveva esagerato quel termine di proposito, forse per convincerlo.

Lo vide aprire la porta di vetro senza capire. L'interno era spazioso quasi quanto quello di una vasca, ma il flusso d'acqua appena aperto, moltiplicato in tanti piccoli spruzzi, riusciva a raggiungere qualsiasi luogo, tranne per il basso gradino di marmo a destra. Da dentro fuoriuscì un allettante vapore tiepido.

Adam entrò direttamente in costume e si lasciò cullare dal calore, assumendo un'espressione di sollievo. Qualche schizzo arrivò fino ad Alec, quasi invitandolo a entrare.

Il suo amico si abbassò e protese una mano verso di lui. «Vieni» insistette, tirando fuori la testa dal getto d'acqua. Alcune goccioline ricaddero sul morbido tappeto rosato che stava davanti al separé satinato.

Alec lo guardò stranito. I vestiti bagnati di sudore e pioggia gli si stavano congelando addosso, e il desiderio di toglierseli si faceva sempre più insistente, però... davvero gli stava chiedendo di fare la doccia insieme a lui?

Al diavolo.

Si sfilò prima la maglietta, senza riflettere su ciò che stava per fare. In seguito trafficò in difficoltà con i pantaloni, sentendo più freddo sul torace esposto. Adam era lì a osservarlo e sapeva che ora era libero di contemplare le sue cicatrici, ecco perché aveva scelto di tenere le gambe per ultime: aveva molti segni sul petto, ma il più grande di tutti era quello che gli arrivava al ginocchio. Mantenne solo i boxer, nonostante fosse in imbarazzo totale, poi si allungò verso il ragazzo che ancora lo attendeva.

Strisciare fino al piatto della doccia non fu facile, anche con l'aiuto di Adam. Ogni volta che poggiava i pugni semichiusi, le nocche gli inviavano tante piccole scariche su per le braccia, protestando per il peso. Iniziò a pensare di averle rotte, o quantomeno fratturate.

Gli sfuggì un gemito quando provò a resistere fino a entrare, ma non appena l'acqua gli baciò la pelle intorpidita si lasciò andare al sollievo, dimenticandosi del resto. In quello spazio ristretto, Il profumo di Adam misto all'odore del cloro era inebriante.

«Ti fanno tanto male? Riesci a muoverle?» sentì l'amico chiedergli. Si voltò verso di lui e lo vide seduto sul gradino, con il corpo sotto il getto che lo bagnava e il viso al di fuori.

Si morse il labbro e alzò una mano, trovandola tremante. Di qualsiasi altro movimento non se ne parlava.

«No.» Una menzogna, o una risposta, in base a come l'altro l'avrebbe interpretata.

«Vieni qui.» Adam si protese verso di lui e lo tirò a sé fino a farlo salire sul marmo al suo fianco. Il caldo rimase su di lui, ma il volto fu libero e finalmente poté emettere un sospiro rilassato.

Il ragazzo gli afferrò un polso per esaminargli le ferite, e questa volta lo lasciò fare. L'ira stava scemando nel frattempo che tornava a una temperatura stabile, solo grazie a lui.

«Forse avrai bisogno di una lastra» osservò, la voce che creava una flebile eco nella cabina.

Alec emise un debole suono di lamentela, ma non disse nulla. Si sentiva privo di qualsiasi energia.

«Non preoccuparti, per il momento non sei obbligato a muoverle» lo rassicurò, ammorbidendo la presa su di lui fino a liberarlo del tutto. Si alzò per recuperare bagnoschiuma e shampoo e li portò sul gradino accanto a loro. Prese un goccio di quest'ultimo e iniziò a spalmarlo tra i capelli di Alec.

«Cosa fai?!» gli chiese sorpreso, scansandosi leggermente. Il suo tocco sulla nuca gli aveva provocato di nuovo brividi, eppure l'ambiente era caldo come prima, era strano che avesse freddo...

«Ci penso io se non puoi usare le mani» spiegò Adam, curvando appena la testa verso destra.

Alec non ebbe il potere di opporsi alla sua efficienza, e uscì quasi del tutto dal getto d'acqua per dargli le spalle, in modo tale da nascondere le cicatrici più evidenti. Sperò che in quella luce semi oscurata dal separé della doccia non fossero tanto visibili.

Il giovane Brass ricominciò a carezzargli la testa con movimenti delicati e circolari. Ogni spostamento che le sue dita compievano su di lui segnava l'aumentare del calore nel suo petto. Chiuse gli occhi e si rilassò. Non avrebbe creduto che sentirsi carezzare la testa in quel modo potesse risultare piacevole, e se non fosse stato per Adam non l'avrebbe mai scoperto. Non che non fosse mai stato da un parrucchiere, ma era diverso, più delicato, più familiare.

Quando fu il momento per lui di sciacquarsi, l'amico si insaponò a sua volta per poi raggiungerlo. Rimasero a scaldarsi a lungo, a terra, uno davanti all'altro, finché Adam non portò l'indice e il medio contro il torace di Alec. I polpastrelli tiepidi gli sfiorarono la cicatrice che quasi rasentava il collo, percorrendone l'intricata linea per una buona parte.

Alec si scostò quando il suo disagio divenne insopportabile. Il respiro gli mancò e dovette allungare la schiena fino alla parete, dove arrivava meno acqua, per prendere aria. Adam lo raggiunse subito e gli tolse quel poco di ossigeno che aveva.

«Queste ti fanno male o è l'effetto ombelico?» ironizzò con un sorriso. Era tanto vicino da fargli girare la testa, ma lo tenne per sé.

«Un misto di entrambi. Non è dolore, ma è peggio del fastidio.»

Adam ci rifletté su. «Suppongo che cicatrici del genere ci mettano anni per stabilizzarsi. E che non vengano mai dimenticate del tutto» disse serio, fin troppo attaccato ad Alec per permettergli di comprendere interamente il discorso. Lo stava disturbando, non ci stava capendo più niente.

«S-sì» provò a replicare, ma ormai aveva perso il filo.

«Perché non volevi farti vedere?» gli chiese, continuando a osservare l'intricato disegno che il fato gli aveva stampato sul petto. Le loro fronti erano quasi poggiate una all'altra.

«Non volevo che mi facessi domande» riuscì a rispondere. «Non volevo che vedessi come sono.» Tentò di coprirsi con le braccia, ma i segni erano così tanti che non poteva fare nulla per celarli.

«Io non vedo niente di cui vergognarsi» sussurrò Adam. Lo guardò per qualche istante, poi aggiunse: «Non ti farò domande, non finché non vorrai.» Apparve concentrato su chissà quale congettura, poi aprì la bocca per dire qualcosa, ma all'ultimo ci ripensò e cambiò espressione. «Finiamo di insaponarci.»

Si spostò sul gradino e lo trascinò con sé. Nel sentirsi smosso senza permesso strinse i pugni d'istinto, ma gli fecero male a tal punto da farlo gemere. Adam gli poggiò una mano sul polso per tranquillizzarlo, poi iniziò a massaggiargli la schiena con il bagnoschiuma.

Chiuse gli occhi, diviso tra il fastidio per il troppo contatto e il piacere che ne scaturiva. Persino quando Adam toccava le sue cicatrici non provava solamente quella sensazione di aria mancante che ormai gli era familiare: c'era di più, come una fiammella che gli scaldava il cuore.

Dopo che l'amico ebbe finito, lo tirò per le spalle fino a farlo adagiare sdraiato con la testa sulla sua coscia. Alec percepì il battito accelerare senza apparente senso e si morse un labbro per contrastare il disagio. Adam prese altro sapone e lo sfiorò appena sotto il collo, quasi titubante. Quando sentì le sue dita poggiarglisi contro, gli sfuggì un gemito; non era facile per lui.

Il piacere però lo invase anche questa volta, si moltiplicava fino a fargli contrarre l'addome. I brividi macchiarono la sua pelle lattea e avvertì i capezzoli inturgidirsi. Giustificò il fatto dicendosi che aveva freddo, ma il fuoco ardente che stava prendendo forma in lui non gli avrebbe permesso di congelare nemmeno sotto una bufera di neve. Gli risultava difficile respirare, tutte le sue terminazioni erano concentrate nei piccoli gesti che Adam stava compiendo su di lui.

Quando il calore gli raggiunse l'inguine, non poté che tirarsi su di scatto per mettere fine a tutto ciò, in imbarazzo.

«Qualcosa non va?» gli chiese Adam dietro di lui. Non pareva essersi accorto di nulla, fortunatamente.

Riempì a fondo i polmoni e ritrovò le forze di parlare. «Posso continuare da solo.»

«Alec, guarda che non devi preoccup...»

«Mi dà fastidio. Non voglio che mi tocchi» lo interruppe, urlando nella sua mente a sé stesso che quella era la verità.

Finì di insaponarsi da solo nonostante piegare e muovere le mani fosse doloroso. Adam pensò a sé e in poco tempo ebbero finito senza più contatti o parole. L'unica occasione in cui i loro corpi si scontrarono fu quando, dopo essersi sciacquati, Adam si sporse per spegnere l'acqua, sfiorandolo con un fianco, e Alec fremette per un respiro.

Il ragazzo si voltò e lo lasciò finalmente solo a riprendere fiato. Passarono alcuni istanti carichi di un silenzio penetrante, poi l'amico si alzò in piedi e aprì la parete a soffio della doccia.

Alec tentò di trascinarsi sui gomiti, ma rischiò di scivolare e rinunciò. Proprio in quel momento vide Adam che gli portava un accappatoio. Glielo poggiò sulle spalle, poi allungò le mani fino a insinuarle sotto le sue gambe.

«Cosa stai...»

Non riuscì a terminare la frase. Le braccia forti del giovane lo tirarono a sé e poi lo sollevarono da terra come fosse una piuma, fino a stringerlo contro il proprio petto. Alec si accorse allora che il ragazzo indossava niente più che un semplice asciugamano intorno alla vita, e la cosa gli fece sentire le guance bollenti.

Per la seconda volta in un giorno, era di nuovo incastrato in quella posizione scomoda e imbarazzante. L'unica differenza era che adesso era quasi completamente nudo. Il morbido tessuto spugnoso lo teneva al caldo, ma non arrivava a proteggerlo dall'invadenza di Adam, che gli stava togliendo il fiato.

«Ti ho detto di non toccarmi» rantolò. Chiuse gli occhi così forte che gli fece quasi male la testa.

Adam armeggiò con l'asciugamano fino a garantirgli isolamento dal suo tocco. Alec rialzò le palpebre, stupito, e notò che si erano fermati al centro della stanza. Prima era stato così adirato da non guardarsi molto attorno, e nemmeno ora fu in grado di ispezionare l'ambiente, ma notò comunque una panca di legno che costeggiava la parete più lontana dalla doccia.

«Devi resistere, Alec, altrimenti non tornerai mai a camminare sulle tue gambe» gli disse lentamente l'altro, rivolgendogli un'espressione innocente che quasi faceva sfumare il fastidio. Quasi.

«Ti ho detto che questo non accadrà mai» ribadì tra i denti. «E ora mettimi giù!»

Adam non rispose, continuò a fissarlo, con un evidente interrogativo. Si osservarono così a lungo che Alec si dimenticò momentaneamente della situazione.

«Voglio che tu sia felice» mormorò Adam, così piano che poteva esserselo immaginato.

L'imbarazzo lo investì, impedendogli di continuare a tenere fisso lo sguardo. Lo abbassò e si tormentò il labbro, ma l'altro non glielo lasciò fare. Lo vide scuotere la testa con la coda dell'occhio mentre si sedeva e lo adagiava sulla panca ad angolo. Poi alzò una mano finalmente libera e gliela portò alla bocca per farlo smettere.

«Ti sembrerà difficile all'inizio, ma vedrai che se ci metti impegno non sarà poi così impossibile come pensi.»

Il suo tono lo fece ridestare da quello stato di goffaggine in cui era precipitato. Si sistemò bene al proprio posto e assunse il solito atteggiamento infastidito.

«Lo so, cosa credi? Sono perfettamente consapevole di poter camminare ancora» lo affrontò, dimostrando tutto il fastidio che quella conversazione gli procurava.

Adam parve sorpreso. «E allora perché non ci provi?»

Il silenzio che scese fu, se possibile, più rumoroso di mille parole pronunciate nello stesso istante. Alec si limitò a fissare tagliente l'amico, la lingua che pareva improvvisamente priva di capacità motoria. Sapeva fin dal principio che non ce l'avrebbe fatta a esprimere un solo pensiero su quell'argomento, quindi non tentava nemmeno di combattere il mutismo. Non voleva.

Adam non insistette, e questo aiutò a diminuire la tensione presente nell'aria. Spostò l'attenzione sulle nocche gonfie di Alec e fece una smorfia. «Vediamo cosa possiamo fare per queste.»

L'istinto suggerì ad Alec di sottrarsi dalla sua benevolenza, ma la presenza di Adam era troppo accogliente e sembrava fatta appositamente per prendersi cura del suo corpo freddo e della sua anima dannata. Rimase inerme a osservare l'altro allontanarsi per prendere una cassetta del pronto soccorso e poi tornare da lui per poggiargli le dita addosso con delicatezza, come se avesse timore di infastidirlo. Gli fasciò le mani in modo da impedirgli troppi movimenti con esse, poi poggiò la scatolina di lato.

«Perché l'hai fatto?» Un altro argomento difficile.

Anziché rispondergli, Alec si sentì risucchiare in un ricordo, che pareva lontano anni, anche se in realtà era molto più vicino di così, apparteneva al dopo.

«Cosa stai facendo qui, ragazzo?»

Alec aveva alzato lo sguardo, sorpreso. Aveva creduto che l'uomo si sarebbe complimentato con lui per la buona riuscita di ciò che gli aveva insegnato, invece da quel tono traspariva che non avesse ancora imparato nulla.

«Voglio imparare. Voglio imparare per essere forte nonostante la situazione.»

Il maestro aveva annuito, ma non era parso soddisfatto. Aveva fatto scivolare i palmi chiusi lungo la superficie delle stampelle che usava per camminare e gli si era seduto accanto, lasciando andare i pezzi di legno. Diceva spesso che del legno si fidava più della plastica, che era più vicino al suo animo e che poteva sentirne l'odore e la consistenza quando ne aveva voglia, ma Alec non l'aveva mai capito: aveva sempre attribuito quella scelta a una sua fissazione.

L'uomo gli aveva poggiato una mano sulla testa e aveva detto, guardandolo con solennità: «Ricorda, Alec: non siamo forti per fare del male agli altri. Lo siamo per difenderci dal mondo. Solo uno sprovveduto accetta il male che non gli spetta, ed è per questo che noi siamo qui: perché noi, quel male, non lo accetteremo. Noi ci difenderemo.»

Le parole del vecchio gli rimbombavano nelle orecchie, dissociandolo a tratti dalla dolorosa realtà. Aveva provato a difendersi dal mondo, ma in quel modo non aveva fatto altro che far nascere altro male, verso sé stesso e verso Adam, che aveva sofferto per lui. E non era questo che gli aveva insegnato il maestro.

Ma cos'altro poteva fare? Come poteva salvaguardarsi da qualcosa di così grande e potente come la sua stessa madre? Avrebbe tanto voluto chiederglielo, avrebbe voluto udire i suoi pacati insegnamenti, ma non aveva modo di contattarlo. Il vecchio consisteva solo in un pezzo di vita che era stato forzato a lasciarsi alle spalle.

«Perché l'ho fatto?» ripeté, la voce rotta.

Ripensare a Louise lo indusse istintivamente a stringere forte la mascella, e sentì il proprio corpo tremare. Si era rifugiato lì dentro, dove non esisteva sofferenza ma soltanto tranquillità. La solita calma sprigionata dalla figura sempre presente di Adam. Ma questa volta era diverso, questa volta era tutto un'illusione, una soluzione momentanea. Adam non l'avrebbe protetto dall'ira cieca della madre, non l'avrebbe tranquillizzato una volta usciti di lì, non ci sarebbe stato per lui di continuo, specialmente quel giorno del picnic in campagna, quando sarebbe stato troppo distratto da Cassie per dedicargli attenzioni.

Le dita di Adam gli strinsero piano un polso, e quel contatto, sebbene i pensieri contrastanti che gli si agitavano nella mente, gli diede la forza di ricomporsi.

Prese un profondo respiro e si rassegnò. Doveva sistemare le cose prima che precipitassero ancora di più.

*Revisionato*

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