Capitolo 3

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Even if I say it'll be alright

Still I hear you say you want to end your life

Now and again we try

To just stay alive

- Three Days Grace


Si risvegliò così tardi che saltò anche il pranzo, fortuna che era esonerato dalla scuola ancora per diversi giorni. Non sapeva se qualcuno l'avesse chiamato: era riuscito a prendere sonno solo in mattinata ed era stato così distratto dai suoi incubi da non aver sentito nulla.

Il suo intento, in realtà, era stato quello di addormentarsi presto. Si era sfinito apposta, in palestra, la quale tra l'altro era ben attrezzata per fare qualcosa anche senza l'aiuto delle gambe. La doccia nella sua camera, poi, era stata studiata appositamente perché lui potesse trovarsi comodo, con una sedia al suo interno e qualsiasi cosa a portata di mano, proprio come quando abitava a Phoenix. Sua madre aveva avuto diverse premure nei suoi confronti, peccato che non fosse arrivata a pensare che lasciarlo vivere in pace sarebbe stato meglio. Alec supponeva gli stesse dando ogni agio per fargli apprezzare quel posto più della sua stessa casa, ma non immaginava fosse tanto stolta da credere davvero che l'avrebbe convinto.

Louise non era crudele, e lui che più di tutti in quel periodo la odiava aveva ancora la lucidità di affermarlo. Era solo stata cresciuta con l'ideale che i soldi e il potere valessero più di ogni altra cosa nella vita, e alla luce di quella dottrina si era trasformata nel tiranno che era e si era innalzata a dare ordini a chiunque, persino a suo marito Stephen. Se poi si metteva in conto che quest'ultimo era un mezzo smidollato, il gioco era fatto: aveva avuto la strada facile. Fino a quel momento. Un giorno, Alec gliel'avrebbe fatta pagare. Ogni cosa a suo tempo, si disse.

In ogni caso, distrutto e pulito, all'una di notte – orario per lui più che accettabile – era andato a letto, ma prima di addormentarsi aveva passato così tante ore insonne che non le aveva più contate.

Ora era rintronato e comunque esausto, nonostante avesse dormito almeno cinque ore, un record per gli ultimi giorni.

Si recò in bagno per sciacquarsi la faccia e darsi una svegliata, e quando tornò sentì bussare. La porta era chiusa a chiave – aveva preso quella misura di sicurezza la sera precedente, poteva sempre servire – e lui non aveva nessuna intenzione di aprire e parlare con persone che non voleva proprio vedere, quindi restò lì impalato finché chiunque fosse non si arrese.

Dopo non fece altro che lasciar vagare gli occhi sul soffitto per un tempo indefinito, perdendosi nel bianco privo di imperfezioni che quasi lo nauseò. Iniziò a pensare alla sua adorata casa a Phoenix e davanti a lui prese forma l'immagine di Iris che si dondolava pigramente sull'altalena-ruota che tanto amava, con la malinconia sul viso per l'imminente partenza: uno degli ultimi ricordi che aveva di lei. Continuava a serbare la speranza di tornarci ma, per qualche motivo, qualcosa gli diceva che non avrebbe più vissuto nella spensieratezza nemmeno in quel caso.

Un rumore alla porta lo distrasse dalle sue riflessioni. Gettò lo sguardo infastidito verso quella zona e trovò un bigliettino appena sotto allo spiraglio. Rimase a fissare il foglietto come se questo potesse prendere vita da un momento all'altro e, dovette ammetterlo, in quell'evenienza non si sarebbe spaventato più di tanto. Avrebbe solo ringraziato il suddetto per avergli risparmiato la fatica di raccoglierlo e l'arduo compito di leggerlo, e l'avrebbe salutato mentre se ne andava.

Ma stava divagando, la mancanza di sonno gli faceva uno strano effetto. Si mosse con le ruote verso il pezzo di carta e, suo malgrado, allungò il braccio per afferrarlo. Era sempre stato troppo curioso, lo sapeva. Avrebbe dovuto rispedire quel messaggio da dove era venuto e fare tanti cari saluti a chiunque l'avesse mandato, identità che in quel caso non avrebbe conosciuto mai.

Se lo rigirò tra i polpastrelli, trovandolo piegato in due in modo che non si leggesse l'interno. Su una metà esterna era scritto a piccoli caratteri il suo nome. La linea delle lettere era elegante e fine, stilata da una mano sicura che, probabilmente, non poteva essere quella di Mya, vista la sua agitazione della sera precedente. Ciò gli ricordò che le loro madri li avevano obbligati a una cena insieme quel giorno, e il pensiero gli fece tremare le dita per il disappunto. Il biglietto rischiò di cadere, ma Alec lo recuperò all'ultimo. 

Alla fine lo aprì, trovando una semplice riga di informazioni:

In camera mia alle cinque.

Adam.

Osservò la raffinata calligrafia per svariati secondi prima di dedicare davvero la sua attenzione a cosa c'era scritto. Tra tutti gli occupanti della villa, Adam era quello da cui meno si sarebbe aspettato di ricevere un invito del genere. Ancora una volta si ritrovò a essere smentito su ciò che aveva ipotizzato su di lui. Non riuscire a prevedere le sue mosse, le mosse di chi considerava un nemico, lo faceva sentire in trappola.

Forse ci stava pensando troppo, ma stentava a figurarsi un motivo per il quale quel ragazzo volesse chiamarlo. Non era apparso ostile, ma a volte erano proprio i tipi come lui a essere i più pericolosi, quelli calmi e calcolatori. Però... doveva ammettere che Adam non gli era sembrato una minaccia, se si escludeva Iris.

Rifletté su ciò che era successo la sera prima, su come l'aveva aiutato per poi fargli l'occhiolino. A cena era rimasto in silenzio e non aveva espresso la sua sulla proposta delle due donne. Ora cosa voleva?

Forse era rischioso, ma c'era un solo modo per scoprirlo. 

*

Davanti a quella porta, si era fermato. Le indicazioni per arrivarci gliele aveva fornite Irina quando l'aveva trovato solo e disperso per i corridoi. Stava fissando il legno pregiato già da qualche decina di secondi, ormai, indeciso se annunciare o meno la sua presenza. Non era la timidezza che lo frenava, ma la consapevolezza di dare una chance a qualcuno che magari voleva solo ingannarlo.

Alla fine optò per bussare in modo da impedirsi di pensarci ulteriormente. La sua mente era stanca e un po' instabile negli ultimi tempi, non doveva fare troppo affidamento su di essa. Si fece semplicemente guidare dall'istinto.

La porta venne aperta dall'interno e Alec si ritrovò di fronte a una stanza dalle sfumature blu oltremare. Non era grande come la sua, ma altrettanto accogliente grazie all'ordine quasi maniacale che vi regnava. La sua camera era molto più disordinata di quella, e lui ci era stato un giorno scarso.

Adam oscurò la sua visuale piazzandocisi in mezzo con la sua solita espressione gentile. L'odio verso quel ragazzo tornò a scorrere nel suo corpo e si diede dello stupido per essere andato fin lì. Cosa aveva intenzione di fare? Di certo non avrebbe accettato delle scuse da parte sua.

Ciononostante, la situazione lo sorprese quando un'altra figura si rivelò ai suoi occhi, dietro a quella dello spilungone. Alec valutò davvero di fare dietrofront e andarsene, e probabilmente gli si leggeva chiaro in volto.

Mya Brass era lì, a scocciarlo un'altra volta, a dimostrargli che non poteva fuggire al suo destino. Era bloccato, in gabbia, come non lo era mai stato. No... in realtà lo era sempre stato, sin dal primo momento in cui la madre aveva deciso per il suo futuro senza interpellarlo. La libertà era stata solo un'illusione.

La presenza della ragazza, tuttavia, lo incuriosì. Stava a significare che Adam non l'aveva convocato per scusarsi con lui, bensì per fini sconosciuti che un po' lo intimorivano. Quando venne invitato, entrò senza mostrare le sue vere sensazioni, riuscendo egregiamente a mantenere l'espressione spavalda anche in territorio nemico. Si accorse ben presto, però, che Mya era stata tenuta all'oscuro del suo imminente arrivo.

«Cosa ci fa lui qui?» chiese infatti lei con voce tagliente, voltandosi indispettita verso il fratello. I suoi capelli rilucevano ai raggi del sole provenienti dal vetro in fondo. Al di fuori di esso si poteva vedere il giardino della villa, meticolosamente curato e verdissimo. Alec colse una fila di siepi che separava una zona da un'altra, ove si accedeva a quella che doveva essere una piscina. Quando era arrivato era stato così cocciuto da non guardare altro che davanti a sé, ma ora la curiosità iniziava a insinuarsi nella sua mente.

«L'ho chiamato io» spiegò Adam, con una faccia d'angelo che Alec non tollerò.

«Senti, coso. Se hai intenzione di ingannarmi con i tuoi modi di fare, sappi che n...»

«Abbassa i toni» intervenne Mya, scura in volto. Alec si girò piano verso di lei e le regalò uno sguardo omicida.

«State calmi, o non arriveremo da nessuna parte!» li riprese il minore, come fossero due bambini. «Se siete qui è perché state combinando un disastro con le vostre mani. Credete davvero che opporvi così genererà buoni riscontri? Che ci lasceranno in pace solo perché lo chiediamo? No. Non lo faranno.»

Il tono pacato del ragazzo rispecchiava completamente le emozioni controllate che velavano le sue iridi blu profondo. Alec se ne stupì. Lui era sempre stato un tipo impulsivo, non era mai riuscito a comprendere come la gente potesse contenere ciò che provava, ma quello che aveva davanti era davvero un esperto.

«Cosa suggerisci, allora? Lasciarci manovrare come delle marionette? Perché è questo che siamo per loro» proferì più tranquillo di prima, studiando Mya per capire quanto non volesse la sua compagnia per via della situazione e quanto in realtà non lo sopportasse solo per il carattere che aveva dimostrato di avere il giorno precedente. Non sapeva nemmeno quale delle due preferisse. Lei si limitava a guardarlo con un'aria di superiorità che le avrebbe fatto sparire dal faccino volentieri.

Il giovane Brass incurvò le labbra e scosse la testa. «Dovete semplicemente dar loro quello che vogliono.»

Mya spalancò gli occhi e Alec non la biasimò. Adam stava forse suggerendo loro di arrendersi? O c'era di più, nascosto tra le sue parole? Doveva per forza avere in mente qualcosa. Proprio per questo rimase assorto, osservando incuriosito lo sconosciuto che aveva davanti. Si trovò costretto ad ammetterlo: l'aveva sottovalutato. Era più acuto di quanto non sembrasse.

«Stai scherzando?» si lamentò la sorella.

Adam si allontanò da loro e si sedette sulla coperta leggera del letto. «Dovete essere furbi, Mya. Dovete giocarvela, in tutti i sensi.»

Alec si girò verso di lui, avvicinandoglisi di un metro. Alzò il mento e lo osservò con sguardo solenne. Finalmente erano alla stessa altezza, più o meno. «Cos'hai in mente?»

Adam alzò un angolo della bocca, forse soddisfatto nel vedere che almeno lui coglieva parte del suo piano. «Fingerete. Vi comporterete come si aspettano da voi e conquisterete la loro fiducia. Ma sappiate bene una cosa: dovrete farlo in maniera credibile e soddisfare ogni loro desiderio.»

«Ma in questo modo...» iniziò Mya, tuttavia Adam la interruppe rivolgendole un sorriso sornione.

«Abbiamo bisogno di tempo. Siamo disorganizzati e non possiamo permetterci di dichiararci guerra a vicenda. Il diploma è dietro l'angolo e la maggiore età poco più lontana: credete davvero che a quel punto potranno obbligarci ancora? No. Avranno la guardia bassa perché tutto per loro sarà stato facile, e non sapranno come muoversi quando ci ribelleremo di punto in bianco.» Sottolineò le proprie parole rivolgendo un'occhiata eloquente ad Alec, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.

Secondo la sua prospettiva, prendere tempo era esattamente ciò di cui necessitava, e magari soddisfare genitori a quel modo li avrebbe resi meno oppressivi con sua sorella, una volta arrivata. Solo che Louise non era stupida. E se li avessero scoperti?

«Tu non conosci mia madre» disse cauto, continuando a studiare entrambi i fratelli Brass. Trovava ingiusto essere l'unico in territorio nemico, ma non avrebbe voluto per niente al mondo Iris al suo fianco. Se poteva risparmiarsi qualcosa, era felice per lei.

«No,» convenne Adam, «ma conosco la mia. E so che non può esserci di peggio.»

Lo studiò ancora e capì che non stava dando aria alla bocca tanto per il gusto di farlo. Gli riusciva difficile immaginare che ci fosse qualcuno peggio di Louise, ma aveva già visto Eleanor e colto la freddezza nel suo sguardo: era come se qualcosa in lei mancasse, quella fiammella che rendeva umane le persone. E poi, Adam non sembrava uno di quelli che ricorrevano al vittimismo, quindi era probabile che stesse dicendo la verità. Ciò che non comprendeva, tuttavia, era la sua mossa in generale, l'averlo chiamato lì come se volesse stare dalla sua parte.

«Perché mi aiuti?» chiese dunque.

Lui si fece serio. «Non sto aiutando te. O meglio, sì, ma solo indirettamente. Lo faccio per Mya. Sai, non sei l'unico che tiene alla propria sorella» gli fece notare. Alec si morse un labbro e rimase in silenzio, accorgendosi che anche Adam provava un istinto protettivo simile al suo. Non era il ragazzo vuoto e presuntuoso che aveva immaginato, anche se forse era presto per dirlo. «Inoltre, lo faccio perché sicuramente tu l'avresti fatto per me» lo sentì aggiungere in tono ironico.

Non rispose alla provocazione, si perse invece a esaminare Mya, che era già un po' che lo stava fissando. Pareva immersa in un mondo tutto suo, sovrappensiero.

«Fossi in voi mi andrei a preparare. Vi aiuterò io nei prossimi giorni, ma questa sera dovrete fare come si aspettano loro» li interruppe il giovane al suo fianco, riportandogli alla memoria quella maledetta cena.

Alec corrucciò il viso involontariamente, pensando di nuovo a quanto odiasse sua madre per tutto ciò.

«Non fare così, la compagnia di mia sorella non è affatto male» lo prese in giro Adam, facendo ridere Mya, che aggiunse: «Oh, credimi, quando voglio è molto male. Ma se ti comporti bene posso anche renderti la serata semplice.»

Alec si sorprese per il suo atteggiamento. Non stavano affrontando giornate facili, eppure lei sembrava sollevata. Forse confidava così tanto nel piano del fratello che si era tranquillizzata, o forse la sola vicinanza di quest'ultimo la rendeva più sicura di sé. Beh, se lei ci credeva, di certo ne sapeva più di lui, dato che lo conosceva da sempre.

«Allora? Siete ancora qui?» li riprese Adam. Voleva una conferma da parte sua.

Tornò a prestargli attenzione e non poté fare a meno di sentire un senso di sollievo scatenato dalla sua figura. Storse il naso a una sensazione così fuori luogo e la negò a sé stesso, imbarazzato per essersi fatto condizionare da Mya. Doveva ricordarsi che quello era potenzialmente un alleato quanto un nemico. Per ora, tuttavia, decise di tenerlo come alleato.

«Vado a prepararmi» replicò titubante.

«Fossi in te mi metterei una camicia non troppo stretta. Mya le adora» lo informò il ragazzo, dedicando un occhiolino alla sua faccia sorpresa.

*

Una volta scese le scale attraverso la rampa, si diresse rapido verso la direzione indicatagli dalla madre. Quest'ultima era stata molto felice del suo cambio d'opinione, anche se aveva intuito che c'era sotto qualcosa, ma per fortuna non qualcosa di così ingegnoso. Semplicemente, aveva ipotizzato, di sicuro, che lui avesse parlato con Mya in privato e avesse chiarito ogni problema con lei.

Troppo facile, mamma. Ti piacerebbe, aveva pensato di fronte alla sua soddisfazione. Se fosse stata una situazione normale si sarebbe messo a ridere, ma si trattava di una faccenda troppo seria per lasciarsi andare.

Si fermò davanti alla porta per sistemarsi i polsini della camicia, poi decise che gli stavano solo dando fastidio e se li alzò fino al gomito. Si era scoperto abbastanza freddoloso per via della differenza di temperatura tra Seattle e Phoenix, ma in quel momento era tanto agitato da sentire persino caldo come gli altri. Non era in ansia per l'incontro con Mya, di lei non gli importava nulla. Aveva solo il timore di essere smascherato. Dipendeva tutto da lui e dalla sconosciuta che l'attendeva al di là di quella vetrata in cristallo temperato. Il fallimento non era un'opzione.

Entrò, trovando la tavola già apparecchiata. Mya era seduta al lato di un tavolino per due, imbandito appositamente per loro con tovaglie dorate e calici cremisi. Accanto a lei erano in piedi, eleganti come sempre, Eleanor e Louise, quest'ultima intenta a sistemarle una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio. Alzò gli occhi al cielo mentre non lo guardavano e si domandò come la ragazza potesse sopportarle, anche solo per pochi istanti. La parte peggiore era che avrebbe dovuto farlo anche lui, o il piano sarebbe saltato. In ogni caso non si sarebbe mai fatto toccare così da una delle due, solo il pensiero gli dava i brividi.

«Alec!» lo accolse sua madre, ricevendo un cenno come risposta.

Alec si ripeté di essere gentile, così salutò con voce suadente Eleanor e baciò la mano di Mya, udendo un sospiro proveniente dalle donne alle sue spalle.

La pelle della giovane era incredibilmente delicata e profumata, e per un attimo Alec pensò di fare sul serio il carino con lei in modo da imbambolarla come faceva spesso, ma poi ricordò chi aveva davanti e si diede dell'idiota. Se avesse iniziato qualcosa con lei, qualsiasi cosa, non ne sarebbe mai uscito.

Mya gli dedicò un sorriso che sarebbe anche potuto sembrare vero se non fosse stato per le guance forzatamente tirate. Ma le madri se la bevvero lo stesso.

Alec doveva ammetterlo, era davvero bella: indossava un abito da sera blu scuro che le metteva in risalto le forme, sulle quali i suoi occhi si soffermarono per qualche istante. Era truccata in modo semplice e non portava altro se non un ciondolo che riprendeva il colore cristallino delle sue iridi, che cadeva proprio nel punto perfetto di quella scollatura a cuore. I suoi capelli, invece, erano tirati su, ma qualche ciocca scendeva morbida in piccoli boccoli che si muovevano a ogni spostamento del capo.

«Bene, potete andare» le avvertì Alec, cercando di far passare la sua impazienza nei loro confronti per un desiderio di restare da solo con "la sua metà".

Le due donne acconsentirono e li salutarono un'ultima volta. Parevano quasi commosse. Alec era disgustato. Dopo ciò che gli aveva detto Adam, aveva studiato Eleanor con più accortezza, ma non era facile carpire particolari della sua personalità solo guardandola interagire con gli altri. L'importante era che se n'era andata, e che si era portata Louise con sé.

Alec tornò a focalizzarsi su Mya e si ricordò di dover dire qualcosa. «Sei bellissima» recitò la sua parte, anche se in fin dei conti lo pensava davvero. Solo che mai gliel'avrebbe rivelato se non fosse stato obbligato.

«Ti ringrazio! E grazie per avermi convinta a venire, oggi pomeriggio» contribuì lei. Dovette ammettere che stava andando meglio di quando avevano iniziato. Ora perlomeno il sorriso appariva naturale.

Alec si sentì infinitamente stupido a continuare quella farsa anche in assenza di spettatori, ma Adam aveva specificato chiaro e tondo, prima che andassero, che le due donne avrebbero trovato il modo per spiarli. E, anche se non li avessero uditi, non potevano certo farsi vedere in un teso silenzio.

Si scambiarono frasi di circostanza finché non arrivò la seconda portata. Alec mangiucchiò qualcosa qua e là senza finire nessun piatto. Insieme al sonno, la fame sembrava essersene andata da quando aveva cambiato città, lasciando spazio a niente più di un profondo vuoto.

«La cena non è di tuo gradimento?» gli chiese amabilmente la ragazza. Alec incontrò i suoi occhi e vi lesse una punta d'interesse che si distinse dall'apatia generale che l'aveva caratterizzata per tutto il tempo.

«Non ho molta fame. Sai, saranno anni che sono promesso a questa cena, e ora che sono qui mi sento emozionato» mentì. Sapeva che Mya era perfettamente in grado di accorgersene e che quindi le sue parole erano superflue, ma quanto meno l'avvertimento di non domandare altro al riguardo le sarebbe arrivato.

Lei, infatti, lo colse e non insistette, limitandosi a una risposta a tono per poi cambiare discorso con disinteresse.

Alec si annoiò presto, e la sua attenzione passò dalla conversazione ai movimenti di Mya. Era più a suo agio rispetto all'inizio della serata, anche se ogni tanto la sua piccola mano stringeva la forchetta in un tic nervoso che probabilmente neanche si era accorta di avere. Avrebbe voluto farglielo notare, ma alla fine convenne che non era qualcosa di così evidente da far allarmare le loro madri.

«Sembri fidarti ciecamente di tuo fratello» osservò a voce più bassa per non farsi udire da eventuali ascoltatori. Era una frase del tutto fuori dal copione, improvvisata, ma gli era passata per la mente e non aveva voluto tenerla per sé. Ci aveva pensato sin dal primo momento, da quando lei non aveva obiettato dopo aver ascoltato il piano di Adam. Non aveva nemmeno richiesto dettagli: si era fidata e basta.

Mya parve presa in contropiede e rifletté un istante, poi annuì e replicò: «Sarà anche il più piccolo, ma certe volte mi sento come se fosse il contrario. Adam è così: affidabile e riflessivo. Riuscirebbe a risolvere qualsiasi problema.»

Alec rise sinceramente per la prima volta. Non era uno di quei sorrisi che mostravano i denti, anzi era uno spostamento delle labbra a malapena accennato, ma fu il primo che coinvolse anche gli occhi.

Gli sarebbe piaciuto essere così, ma purtroppo aveva un diverso rapporto con Iris. Non era mai stato responsabile, non era in grado di risolvere i suoi stessi problemi, figurarsi quelli degli altri. Inoltre, sua sorella sapeva guardarsi le spalle da sola, non aveva di certo bisogno dell'aiuto di un buono a nulla come lui. Eppure... eppure non aveva esitato a minacciare Adam quando l'aveva sentita in pericolo. Forse la sua reazione improvvisa non era stata scatenata solo da un istinto di protezione, ma anche da altro. Come un semplice giudizio troppo affrettato. Stava iniziando a credere di essersi fatto un'opinione sbagliata.

«È bello che tu abbia qualcuno come lui» si limitò a replicare per far cadere il discorso. Per qualche motivo non aveva più voglia di parlare apertamente come aveva fatto poco fa. Aveva smarrito ogni interesse per quel dialogo, rifugiandosi nei suoi pensieri.

Mya però non lasciò perdere. «Sì. So che è un po' azzardato da dire, ma il modo in cui lui veglia su di me allevia la mancanza che ho di mio padre.»

Per un attimo la curiosità di sapere un po' di più sulla sua vita lo sfiorò, portandolo a socchiudere le labbra per esporre una domanda. Di punto in bianco però cambiò idea, ripercorrendo i suoi passi e ammonendosi per la propria stupidità. Non doveva abbassare la guardia, era in territorio nemico.

Non rispose, e i toni si fecero di nuovo più formali e distaccati. Non poté più concentrarsi e passò tutta la sera a rimuginare sulle parole di Mya. Adam sembrava una persona attendibile, quindi forse non avrebbe dovuto preoccuparsi tanto per Iris, ma non riusciva a far combaciare l'immagine che si era creato di lui con ciò che si stava rivelando davvero. Stessa cosa valeva per la sorella: Mya non appariva come una ragazzina viziata, sebbene non potesse affermarlo con certezza.

A fine cena, tornò al piano di sopra dopo aver salutato sua madre ed Eleanor, le quali non avevano neanche provato a nascondersi o vergognarsi del fatto di essere rimaste ad aspettarli appena fuori dalla porta.

Indignato, si ritirò in stanza preparandosi per la notte insonne che lo attendeva. Spense la luce e si sdraiò sul letto, nascondendo il viso tra le pieghe del cuscino. Le sue narici captarono l'odore di pulito delle lenzuola, che inspirò a fondo. Sapeva di fiori e qualcos'altro di dolciastro. Non era il solito di casa.

Alzò il volto solo quando il suo telefono iniziò a vibrare. Sbloccò lo schermo e socchiuse gli occhi per la luminosità troppo accentuata che l'aveva infastidito all'improvviso.

Aveva un nuovo messaggio.

Restò a fissare il display per alcuni secondi. I suoi amici non gli avevano ancora scritto. Non erano nemmeno andati a salutarlo all'aeroporto. Tutto ciò che gli avevano dato era stata una pacca sulla spalla e una promessa di rivedersi, così, tanto per dire qualcosa. Alec non aveva sperato fino in fondo in un loro messaggio. Non aveva bisogno di nessuno lui, solamente della libertà. Ora che poteva essere stato cercato, però, non riusciva a reprimere una punta di entusiasmo.

Alla fine quest'ultimo vinse sull'orgoglio e il ragazzo aprì la casella in entrata. Non c'erano SMS da Jake e gli altri, ma un numero che non aveva memorizzato gli aveva scritto proprio pochi minuti fa.

Lo lesse con disappunto, corrucciando le sopracciglia mentre sfiorava lo schermo.

"Complimenti per stasera, continua così. Tifo per voi."


(Revisionato)

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