Capitolo 5

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A walking disaster

The son of all bastards

You regret you made me

It's too late to save me

- Sum 41


Alec, libri sottobraccio, si ritrovò davanti una marmaglia di studenti, incapace di sopportare i polsini stretti della camicia della divisa, e si pentì della sua decisione.

Dopo l'incidente era tornato a scuola verso la fine del trimestre scolastico, giusto per non perdere l'anno. Ovviamente la sua presenza non era bastata, sapeva bene che i genitori avevano donato un bel compenso monetario a chiunque si fosse occupato della sua promozione, ma farsi vedere era comunque stato doveroso. Non gli era dispiaciuto, nonostante tutto.

Aveva passato mesi ad abituarsi alla sua nuova situazione. Non poteva dire di esserne felice, ma ne traeva i suoi vantaggi. Come, ad esempio, il fatto che ogni ragazza sembrava essere improvvisamente preoccupata per lui. E così aveva retto quel gioco del malato con la dolce infermierina, fino a quando non se n'era dovuto andare.

Certo, era furbo, ma manteneva comunque quel minimo di serietà che fino a quel momento non aveva mai avuto. Dentro di sé sapeva di essersi meritato tutto quanto, per questo aveva sempre abnegato la possibilità di tornare sulle proprie gambe, che invece ai dottori era parsa plausibile: dacché aveva ancora sensibilità, avevano definito il suo stato qualcosa come paralisi funzionale reversibile, ma lui non ci aveva capito molto se non che avrebbe potuto camminare di nuovo con l'aiuto della fisioterapia, ma che non lo voleva; non ne era degno.

Erano stati così insistenti per convincerlo, arrivando anche a dubitare della sua sanità mentale tanto da somministrargli psicofarmaci, finché Louise non aveva rifiutato le cure, tempo dopo. L'unica cosa buona che aveva fatto per lui, anche se a suo parere era stata spinta dall'egoistico scopo di tenerlo in pugno, cosa che Alec aveva ignorato per convenienza.

Seguì assonnato i fratelli Brass, sfuggendo per quanto potesse agli sguardi curiosi. Già farsi aiutare dall'autista era stato imbarazzante, ora non aveva alcuna voglia di sentirsi giudicato. Si stava pentendo di aver avuto la poco brillante idea di tornare a frequentare la scuola senza nemmeno provare a pensare a qualcos'altro, anzi lasciandosi convincere da Adam, che fin dal principio avrebbe invece dovuto contestare quel piano folle. Fissò l'attenzione sui suoi accompagnatori e fece finta di non notare il minore che si girava verso di lui per controllarlo.

«Ti piacerà, vedrai. Non so cosa avete a Phoenix, ma gli insegnanti qui sono eccezionali» sparò a caso, tanto per tirare su una conversazione. Alec consolidò nuovamente la teoria che stesse facendo di tutto per farlo sentire a suo agio, nonostante le occhiate indiscrete degli altri che si muovevano libere sul suo corpo. Era lampante, ma non riusciva a spiegarsi il perché.

Mya lo guardò dubbiosa e rimase in silenzio finché non varcarono la soglia.

«La segreteria è di là. A sinistra, invece, ci sono le classi, alcune situate anche al primo piano» spiegò brevemente, indicando con un gesto vago pareti bianche e pavimentazioni anonime.

Alec stava meglio lì, lontano dai ragazzi che attendevano l'entrata fuori dalle porte, da bravi. Fissò le scale come vecchie nemiche, ma subito dopo individuò un ascensore al loro fianco e si domandò con inquietudine se sarebbe stato necessario salire; sperò con tutto sé stesso di no.

«Ti accompagniamo noi a prendere l'orario» si offrì Adam, mentre Mya si rivelava poco entusiasta all'idea.

«Per quanto mi riguarda, mi stanno aspettando! Mi spiace, ma non posso» disse infatti, allontanandosi prima che il fratello potesse replicare.

Alec fece una smorfia. Quanta maleducazione, avrebbe dovuto farle un discorsetto. Un piano malvagio di vendetta prese lentamente forma nella sua testa, ma era ancora un'ipotesi, per ora. «Posso andare da solo. Credo di aver capito» si affrettò a dire, dando mostra di quanto la fuga della ragazza l'avesse infastidito.

«Oh, non badare a lei, raggiungiamo la segreteria» sdrammatizzò Adam, incamminandosi. Aveva salutato i suoi amici da lontano, prima, e lui non voleva che rinunciasse a loro per stare al suo fianco, come invece non aveva fatto Mya.

Alec lo seguì rapido, muovendo le ruote sulle mattonelle di un grigio smorto. Chiunque avesse costruito quella scuola non aveva per nulla buon gusto.

«Perché mi aiuti?» chiese rude, momentaneamente attratto dalla porta di legno chiaro che spezzava un po' tutta quella monotonia incolore.

Adam gli lanciò un'occhiata da sopra la spalla, apparendo quasi perplesso, poi sorrise furbo. «Te l'ho detto: perché tu faresti lo stesso per me.»

Alec stava per replicare, ma non fece in tempo poiché si ritrovarono a varcare la porta per finire in un piccolo studio.

«Buongiorno» salutò Adam, venendo subito ricambiato da una donna dietro un bancone scuro. Alcune scartoffie erano gettate alla rinfusa sulla superficie di quest'ultimo e coprivano parzialmente un apparecchio telefonico, sul quale lampeggiava qualche luce. Da una finestra a sinistra proveniva qualche pigro raggio di sole, che si proiettava alle spalle della signora ben piazzata, dove era chiusa l'entrata che probabilmente conduceva in presidenza.

«Alec Callaway,» lo presentò Adam, «ha bisogno del suo orario» aggiunse a mo' di spiegazione, sorridendo alla segretaria. Sembravano conoscersi a vicenda e trovare gradevole la conversazione con l'altro.

«Oh, caro, ti aspettavamo» lo accolse lei, iniziando a esplorare la superficie del bancone da sotto il vetro dei suoi occhiali sottili. Frugò tra più scartoffie e alla fine riuscì a scovare ciò che cercava. «Ecco qui, le lezioni sulla prima facciata e la mappa dell'edificio sulla seconda. Spero che ti ambienterai presto!» gli disse con cordialità. Nonostante avesse sempre frequentato istituti privati, Alec non aveva mai visto un'impiegata così gentile.

«Grazie mille, Arianne» ringraziò Adam per lui, afferrando i fogli che poi passò al giovane Callaway.

Uscirono dalla stanzetta che non era ancora suonata la campanella. Alec si scansò una ciocca di frangetta dal viso e studiò ciò che le indicazioni riportavano. Dopo un po' si accorse che anche Adam lo stava leggendo concentrato. Il modo in cui gli si era avvicinato lo infastidì, quindi mosse le ruote per allontanarsi di più da lui.

«Uhm... hai qualche lezione che coincide con le mie?» gli chiese tanto per svagare.

Il ragazzo alzò un sopracciglio e lo guardò dapprima scettico, per poi rivolgergli un'espressione sorpresa.

«Come, non sai che ho un anno di meno rispetto a voi? Credevi che io e Mya fossimo gemelli?» rise.

Alec si stupì, ma tentò di non darlo a vedere. Effettivamente, Mya gli aveva detto che lui era più piccolo in una delle loro chiacchierate forzate, ma l'aveva rimosso come tutto il resto della serata. Eppure Adam sembrava così adulto che addirittura avrebbe potuto scambiarlo per uno più grande. E invece aveva solo sedici anni. Ora capiva perfettamente cosa intendeva Mya quando aveva affermato con sicurezza di considerarlo un punto di riferimento.

«Giusto, mi era passato di mente.»

Adam lasciò perdere il discorso e propose: «Confronta l'orario con Mya, sono quasi sicuro che almeno un'ora l'avrete insieme.»

Alec fece una smorfia. Non era per niente entusiasta di avere lezioni in comune con lei, figurarsi di chiederle quali. Però, come se il suo lato spietato non vedesse l'ora di fare pian piano capolino, il dispettoso desiderio di vendetta tornò a riempirgli la mente.

La campanella suonò e Adam si congedò per raggiungere la sua classe. Una volta rimasto solo, si sentì privo di quella protezione che, in un modo o nell'altro, gli pareva di avere con Adam al fianco.

Gli studenti indiscreti iniziarono a riversarsi nel corridoio come un fiume in piena, e man mano che lo notavano si fecero sempre più insistenti, costringendolo a sbrigarsi per abbandonare quel posto. Tra i fogli che aveva ricevuto era segnato anche il numero del suo armadietto, ma in quel momento non poteva mettersi a cercarlo, o avrebbe fatto tardi.

Per fortuna non ci mise molto a trovare l'aula giusta; aveva letteratura in prima ora, non molto lontano dall'entrata. La stanza era di gran lunga più allegra dei passaggi esterni, con una pavimentazione lucida sul giallino e muri immacolati color salmone.

Una volta varcata la soglia, incrociò subito lo sguardo familiare di Mya, troppo impegnata a scuotere il capo con aria contrariata per rispondere al suo occhiolino provocatorio, uscito quasi istintivamente. Era cambiato, ma certe abitudini non le aveva perse. Il pensiero lo distrasse dal resto delle teste che, una ad una, si stavano girando verso di lui.

Si avvicinò imperterrito al suo banco, pronto a disturbarla. Non sapeva bene il perché, ma vederla così scocciata dalla sua presenza lo aveva fatto sentire quasi nel mezzo di una sfida. La sua vendetta sarebbe stata messa in atto a breve.

«Ci rincontriamo presto» osservò, gettando un'occhiata incuriosita alla compagna di Mya, che lo stava squadrando da capo a piedi con le palpebre sgranate. La vide scostarsi ciocche di capelli neri da dietro le orecchie, per poi sistemarsele nel cerchietto rosso che portava. Le sue guance rosee e piene si gonfiarono quando accennò un sorriso.

«Alec Callaway» si presentò porgendole la mano, che lei strinse in modo poco energico, quasi le mancasse la forza.

«Quell'Alec Callaway?» chiese, a metà tra l'entusiasta e l'incredula, come se avessero parlato di lui già in precedenza. Ma certo che l'avevano fatto.

Le iridi scure della sconosciuta continuavano a scorrere sul corpo di Alec, il quale ammiccò, per nulla disturbato da ciò, a dispetto di come si era sentito con tutti gli altri studenti. Nonostante fosse comunque sorpresa da lui, era evidente che quella ragazza lo stava fissando per motivi del tutto diversi dagli altri, e la cosa lo allietava.

Mya gli diede una gomitata sul fianco. «Sì, Annie, Alec è il mio... coinquilino

Alec rise per com'era stato definito, e Mya gli lanciò un'occhiataccia.

«In ogni caso, siediti vicino a me» ordinò, alzando un angolo della bocca. La voleva accanto solo per darle fastidio.

«Cosa? Te lo scordi!»

Sapeva che non avrebbe mai accettato, infatti aveva già la risposta pronta. «Oh» fece, adottando un'espressione da finto offeso che non avrebbe ingannato nemmeno un bambino. Si portò una mano al petto e, con fare teatrale, proseguì: «Questo mi ferisce profondamente, Mya!»

Lei lo guardò in cagnesco, mentre Annie alternava perplessa la sua attenzione tra i due senza capire bene come stessero realmente le cose. Alcuni altri curiosi si erano protesi verso la loro direzione, ma questa volta Alec aveva in pugno la situazione, quindi non si curò di loro.

«Falla finita» proferì Mya, mettendosi comoda al suo posto come per dire che il discorso era chiuso.

Ma Alec non perse la sua maschera di furbizia, e mise in atto il proprio attacco per infastidire ancor di più la ragazza. Se lui doveva avere la vita impossibile, allora lei avrebbe condiviso il fardello.

«Mi offendi. Così tanto che potrei andare a dirlo alle nostre madri» minacciò, allargando il sorriso in un atteggiamento vittorioso.

Mya spalancò la bocca, poi si alzò e si protese verso di lui. I suoi capelli quasi gli sfiorarono le braccia, gettandovi ombra sopra. Avevano un buon odore di fiori di qualche genere che non identificò. «Non ti conviene farlo, ci andresti di mezzo anche tu» avvertì tra i denti.

Alec fece spallucce, mantenendo una faccia d'angelo. «La mia vita è già stata stravolta, questo cambierebbe ben poco.»

Era fatta, aveva vinto, come al solito. Lui non perdeva mai. Si sorprese di scoprire come si era buttato giù in quella casa, e di come ora era tornato sé stesso in un ambiente per lui più naturale.

«D'accordo, ma solo per stavolta.» La voce di lei era irriconoscibile, così grave e carica d'odio che alimentò la malcelata ilarità di Alec. Mya si scusò con la sua amica e si sedette in un banco libero non lontano da quello precedente.

«Che aspetti? Hai cambiato idea?» lo chiamò in modo scortese.

Alec si voltò verso Annie e le fece l'occhiolino. «Perdonami se te la porto via, ma, sai, sono nuovo e mi serviva un viso conosciuto» le disse in tono innocente.

Come previsto, la studentessa si sciolse come un ghiacciolo e balbettò qualcosa che suonava come un "non fa niente", per poi continuare a fissarlo scioccata.

Alec gonfiò il petto e si sistemò sulla propria sedia, scostando quella che già stava accanto a Mya. Era alquanto soddisfacente vedere che non aveva perso il suo fascino e il suo carisma, nemmeno quando non dormiva bene da giorni e nemmeno se era incastrato in una città sconosciuta, in una casa sconosciuta, tra persone sconosciute.

Al termine della lezione aveva punzecchiato Mya svariate volte e indirizzato ad Annie casuali attenzioni che l'avevano fatta crogiolare ancor di più nel suo stato di adorazione. Ogni volta la ragazza al suo fianco le aveva lanciato occhiate di avvertimento atte a screditarlo, ma Alec sapeva che l'aveva già in pugno, quindi non avrebbe ascoltato la sua amica.

«Senti, che intenzioni hai? Non ti azzardare a provarci con Annie» lo minacciò Mya alzandosi dal suo posto.

Alec alzò un sopracciglio. «Sei gelosa?» accusò, mandandola su tutte le furie.

«Io te l'ho detto, vedi di ascoltarmi. Adesso non ho altro tempo da perdere con te» sbottò, corrucciando la fronte ancor più di quanto già non fosse.

«Che paura» ironizzò, controllando sul foglietto la sua prossima classe e la posizione dell'armadietto. Era stufo di portarsi i libri appresso.

Mya sbuffò e si allontanò con grandi falcate. Se prima si era sentito solo e osservato da tutti, adesso aveva riacquisito la sua sicurezza, che gli permetteva di ignorare gli sguardi o rispondere loro con la stessa moneta, fino al punto di farli distogliere.

Fu così che raggiunse l'armadietto trentaquattro, inserendo il codice per sbloccarlo. Aprì lo sportello e rimase immobile nell'incredulità. Gli scaffali per poggiare il materiale scolastico erano posizionati eccessivamente in alto per lui che, seduto sulla sedia a rotelle, non era in grado di arrivare fin lassù. Alla sua portata c'era a malapena qualche stampella, dove, probabilmente, gli studenti appendevano i loro cambi per le lezioni di ginnastica. Era esilarante il modo in cui quella stupida situazione sembrava prendersi gioco di lui: l'unica sezione che riusciva a raggiungere era anche l'unica della quale non aveva bisogno, in quanto esonerato dallo svolgere attività fisica.

Alec si morse un labbro e si guardò attorno, sperando che nessuno l'avesse visto. Forse era un'opzione quella di lasciare i libri per terra, ma avrebbe comunque dovuto inchinarsi in un modo tale che avrebbe attirato attenzione... Non voleva proprio fare una figuraccia, magari avrebbe potuto portare tutto via con sé e continuare a far finta di niente...

Troppo tardi. Alla sua destra, Adam camminava svelto verso di lui in mezzo alla folla. Socchiuse l'anta prima che lo raggiungesse. Assunse un'espressione tranquilla e si stampò in faccia un sorriso poco convincente.

«È andata bene?» volle sapere il ragazzo, ignaro.

«Oh... direi di sì. Condivido la prima ora con Mya» lo informò, iniziando a chiudere il lucchetto.

«Aspetta» lo interruppe Adam, sfiorandogli appena la mano. «Non li posi?» chiese, indicando i libri. I suoi occhi corsero verso l'armadietto e a un tratto cominciò a farsi più consapevole.

Alec cercò di distrarlo. «No, preferisco tenerli piuttosto che arrivare fin qui ogni volta. Ci sono troppe persone. Che facciamo, andiamo?»

Il giovane scosse la testa e aprì lo sportello di metallo. Gli fece cenno di allontanarsi e si mise ad armeggiare con lo scaffale finché non lo tirò fuori.

«Cosa stai...» iniziò Alec, perplesso, ma Adam non lo fece finire.

«Ora puoi lasciare qui le tue cose» esclamò soddisfatto dopo aver risistemato la mensola più in basso.

Alec lo fissò, trattenendosi a stento dallo spalancare la bocca. Come faceva quel ragazzo a sapere sempre tutto ciò che gli serviva? Come aveva fatto a intuire subito il suo bisogno? Lui stesso non si era nemmeno accorto di poter abbassare il ripiano...

«Grazie...» mormorò imbarazzato. Era stato colto alla sprovvista in un momento per lui delicato, non era certo una situazione di cui andava fiero.

«Figurati!» gli sorrise lui.

Poggiò i suoi libri in silenzio tenendo quello di biologia, la materia che lo attendeva per l'ora seguente.

Adam lo accompagnò fino alla prossima classe e poi si allontanò velocemente verso la propria. Alec rimase a guardarlo ancora stranito dal modo in cui riusciva a capire ogni sua necessità. Persino la sua famiglia, che conviveva con il suo problema da dieci mesi, spesso dava per scontate alcune cose che per lui non lo erano. Quel quasi-sconosciuto invece aveva sempre avuto cura di lui, anche senza fare niente di specifico.

«Allora, vuoi entrare, ehm... ragazzo?» Una voce lo distolse dai suoi pensieri, riportandolo alla realtà. Alzò lo sguardo e incontrò quello di un uomo che lo scrutava dubbioso, lanciando fugaci occhiate alla sua sedia a rotelle. I capelli bianchi, che in testa gli crescevano radi, lasciavano un buco di pelle lucida al centro, che si grattava con evidente perplessità. Il panciotto che indossava faceva intravvedere una camicia immacolata coperta da una cravatta a righe che il professore – o almeno così Alec credeva – si lisciò nonostante fosse già perfettamente diritta.

Alec lo sorpassò indignato per il modo in cui era stato studiato e si volse verso un banco libero senza neanche replicare.

*

A fine giornata era distrutto, anche se la sorpresa di tornare a casa già alle due lo fece sentire al settimo cielo. Non poteva credere che l'orario scolastico non prevedesse pausa pranzo e lezioni pomeridiane.

Avanzò al fianco di Adam mentre Mya lo evitava come la peste. Avevano passato un'altra ora insieme, e ovviamente l'aveva forzata a sedersi vicino a lui, allontanandola da un certo Grisam, con il quale si era scusata molto più di quanto non avesse fatto con Annie. Infatti, se alla prima ora Mya era parsa solo stizzita, alla quarta era stata furente.

«Cos'hai, Mya?» le domandò Adam, al quale non sfuggiva mai nulla.

La ragazza sbuffò e incenerì Alec con lo sguardo, incrociando le braccia. «Chiedilo a lui!»

Adam alzò un sopracciglio nella sua direzione e Alec assunse la consueta faccia d'angelo, optando per una verità incriminante. «Ho solo chiesto a Mya di sedersi vicino a me, non credevo che allontanarla da quel tizio la facesse infuriare tanto.» Fece spallucce con noncuranza.

«Quale tizio?» volle sapere il fratello, attaccandosi a lei per non perderla in mezzo alla folla.

«Nessuno» si affrettò a rispondere lei, ma ormai il minore aveva la pulce nell'orecchio e non avrebbe smesso. Infatti insistette finché lei non fu costretta ad ammettere il suo nome.

«Sai chi, no? Grisam!» esplose adirata, poi accelerò il passo e lasciò i due indietro.

Adam scosse il capo con aria mesta.

«Perché è così arrabbiata?» s'informò Alec, che questa volta era sinceramente interessato a tutto ciò. Il buonumore di Mya non era qualcosa di cui desiderava tener conto, ma il suo comportamento inaspettato l'aveva incuriosito.

«Vedi, prima di te... prima di tutto questo casino noi avevamo intenzione di costruirci una vita. Ma non quella che le nostre madri hanno scelto per noi, una vita vera.»

Si avvicinarono alla macchina e Adam salutò l'uomo brizzolato che li aveva accompagnati anche all'andata, mentre Alec stringeva i denti, aiutandosi con le mani per passare dalla sedia al sedile senza dover gravare troppo su di lui. Davvero, avrebbe preferito andare a casa da solo pur di non dover mettere così in mostra la sua disabilità. Adam salì a sua volta, di Mya invece non c'era nemmeno l'ombra.

«Mia sorella tornerà a piedi» informò il ragazzo a voce più alta, quindi partirono dopo un cenno di assenso dell'autista.

File di palazzi e aree naturali iniziarono ad alternarsi al di là del finestrino. Quella in cui si trovavano non era esattamente una metropoli: era immersa nel verde selva più totale, in netto contrasto con il luogo in cui era abituato a vivere, dove tutt'al più erano presenti palme, cactus e arbusti verdastri.

«Dicevo,» riprese Adam una volta partiti, in modo così immediato che per un attimo Alec fu disorientato, «avevamo dei progetti. Ciò che stava costruendo lei ha il nome di Grisam.»

Capì che allontanarla da lui usando un ricatto non era stato per nulla carino da parte sua. Era una delle prime volte in cui – forse – si pentiva di qualcosa che aveva fatto, eppure non poteva neanche sorprendersi. A lui era stato portato via tutto, ciononostante i fratelli Brass cercavano di aiutarlo, chi più chi meno. Lui invece si stava vendicando con Mya per una cosa che non aveva voluto lei, una cosa che, se fosse stato per lei, non sarebbe esistita.

«Mi dispiace se l'ho fatta arrabbiare.» Sentì il bisogno di scusarsi anche se lei non era lì in quel momento. L'urgenza lo spingeva a dire quelle parole, a volerle urlare, in realtà.

«Non è colpa tua, siamo tutti vittime» replicò Adam, facendo spallucce. Lasciò cadere la conversazione e spostò i suoi luminosi occhi blu fuori dal finestrino. Alec rimase a fissare per un attimo i riflessi che il sole donava loro attraverso il vetro, poi l'espressione malinconica che si era stampata in volto al giovane lo fece riflettere su cosa non aveva ancora detto.

«Come si chiama?» chiese di punto in bianco, accorgendosi che prima aveva parlato al plurale e poi si era limitato a dargli informazioni su Mya e Grisam.

Adam puntò verso di lui con aria interrogativa.

«Ciò che stavi costruendo tu, che nome ha?» ripeté.

Adam si morse appena un labbro, il primo segno di adombramento che aveva mai visto nel suo controllo impeccabile. Aprì il bottone più vicino al collo della camicia che indossava e prese un profondo respiro, come se gli mancasse l'aria.

«Cassie» mormorò accennando un sorriso che sparì subito dopo. «Ma io non ho costruito assolutamente nulla con lei! Ho solo pensato che se mai dovessi sposarmi vorrei farlo con qualcuna che amo, non con qualcuna che mi è stata imposta, senza alcuna offesa per tua sorella.»

«Figurati» si limitò a dire Alec, in attesa che continuasse. «E quindi... la ami?» domandò quando fu sicuro che Adam non avrebbe più riaperto bocca.

Il ragazzo spalancò gli occhi per un attimo, ma si ricompose subito. «Non ho detto questo... non lo so!» ribatté impacciato. Ad Alec scappò un sorriso che l'altro notò subito. Aveva trovato finalmente un'argomentazione davanti alla quale non riusciva a rimanere indifferente.

«E allora, sentiamo. Come prevedevi tu di costruire la tua vita?» Passò all'attacco, forse per sviare il discorso.

«Non lo so, io pensavo solo a divertirmi» rispose senza nemmeno rifletterci su. Dopo qualche secondo aggiunse: «So solo che probabilmente quando ti innamori di una persona te ne accorgi subito.»


(Revisionato)

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