Capitolo 6

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Have I found you?

Flightless bird, grounded, bleeding

Or lost you?

- Iron & Wine


Dopo la doccia studiò la propria immagine riflessa nello specchio a parete della grande stanza da bagno. Dall'incidente aveva perso quasi una decina di chili, ma ora si vedeva più magro che mai. Le costole parevano quasi voler spuntare fuori dal petto, gli zigomi erano appuntiti, le spalle ossute. Non importava quanto impegno mettesse nell'allenamento: la sottile massa muscolare che aveva non bastava a riempire la mancanza.

A adornare quel complesso di pelle e ossa vi erano diverse cicatrici, che percorrevano i suoi fianchi e il suo ventre facendolo loro per sempre; l'intrico di vecchi segni non l'avrebbe mai abbandonato, così da conservare per l'eternità il ricordo di quel giorno. Era stato fortunato, gli avevano detto, ma lui si sentiva tutto fuorché favorito dalla sorte.

Passò un dito sul marchio più grande e una stilettata di fastidio gli mozzò il respiro. Non gli facevano male, non più ormai, ma toccarle gli risultava ancora difficile.

Come se tutto ciò non bastasse, le occhiaie che da mesi segnavano il suo volto avevano raggiunto livelli spaventosi, scure come solo nei film horror aveva visto. Sopra di esse, due vitrei occhi color del fumo lo fissavano spaesati, velati appena dal sonno che la sera non riusciva ad assopirlo.

Sembrava uno zombie, e di quelli seri. L'unica cosa che stonava in tutto ciò erano i suoi capelli, che sapevano di caldo e di Arizona, di una vita passata della quale non avrebbe più potuto riappropriarsi. Non c'entravano proprio più nulla con lui.

Colto da un'urgenza improvvisa, si rivestì di gran fretta e si gettò nel corridoio con la testa ancora bagnata. Si affrettò per coprire quei pochi metri che lo separavano dalla sua meta e bussò senza preoccuparsi di disturbare. Solo in seguito realizzò che era trascorsa poco più di un'ora dal loro ritorno e che magari Adam stava riposando.

Per fortuna, però, non era così. La persona che cercava gli venne ad aprire dopo qualche istante, lasciando vagare l'espressione curiosa sulla sua figura malsana. Si era cambiato, non indossava più la divisa grigia e bordeaux della scuola. Ora portava un paio di comodi pantaloncini sportivi e una polo bianca che gli donava particolarmente.

«Alec» lo accolse sorpreso, puntando per qualche secondo lo sguardo sui suoi capelli umidi. «Entra.»

Il giovane Callaway non se lo fece ripetere due volte e si richiuse la porta di legno massiccio alle spalle. Non ci poteva credere: nel giro di tre giorni era di nuovo lì dentro, stavolta di sua spontanea volontà.

«Hai bisogno di qualcosa?» indagò il ragazzo, che nel frattempo si era seduto sul letto, alla destra dell'entrata. L'ordine regnava indisturbato in quella camera proprio come l'ultima volta. Si rifletteva in ogni capo piegato e adagiato sulla sedia alla sinistra del comodino, nelle tende accuratamente legate da un nastro azzurro, nella leggera trapunta liscia come la seta e in ogni singolo angolo della stanza, privo anche del più piccolo granello di polvere.

«Voglio che mi tagli i capelli» sparò su due piedi, osservando la reazione perplessa del suo interlocutore.

Adam si protese più verso di lui, poggiando le braccia sulle ginocchia. «Vuoi che io ti tagli i capelli?!» chiese con tono ironico, mettendosi quasi a ridere.

Alec annuì serio e non aggiunse altro. Semplicemente non li voleva più, non li sentiva più suoi. Erano parte del vecchio Alec, quello che con l'incidente si era ritirato per lasciare spazio a più riflessioni e serietà. Quello che ogni tanto era tornato, a Phoenix, ma che si era limitato a essere uno sfondo sfocato per la sua vita e non un percorso preciso.

Adam capì che era serio e si fece meno ironico. «Ma, Alec, io non sono un barbiere. Non ho mai tagliato i capelli a nessuno in vita mia» disse, nei suoi occhi cristallini la domanda che non aveva pronunciato: perché io?

Già, perché proprio lui? Liberarsi della sua chioma sbarazzina era un atto importante per Alec, molto più di quanto il gesto potesse sembrare. Era come scrollarsi di dosso una parte di sé per sempre. Certo, sarebbero ricresciuti, ma non sarebbero più stati quei capelli di quell'Alec. Gli stessi che avevano vissuto con lui per la sua intera esistenza, a Phoenix.

Non aveva nessuno in questa nuova vita: i suoi amici erano lontani e apparentemente non soffrivano la sua mancanza; di sua madre non voleva udire riferimento alcuno, e suo padre e Iris ancora non erano arrivati. Tutti gli altri erano perfetti sconosciuti, ma Adam si era rivelato una brava persona, colui che gli aveva dato una mano in più di un'occasione. Sapeva che forse si sarebbe pentito del modo impulsivo in cui gli stava dando fiducia, ma solo lui poteva aiutarlo. Non avrebbe preferito nessun altro.

«Alec?» si sentì chiamare. Non rispondeva da un po'. «Vuoi che ti accompagni da un parrucchiere? Di sicuro farà molto meglio di me.»

«No. Vorrei che lo facessi tu.»

Incrociò il suo sguardo e tentò di dirgli con gli occhi tutto ciò che non avrebbe mai esternato a parole. Adam parve sul punto di rifiutare, ma quando aprì la bocca fu un assenso quello che ne uscì.

«E va bene. Ma se faccio qualche danno non voglio sentire storie! Rischi davvero di diventare pelato.» Il sorriso che si lasciò sfuggire sdrammatizzò la situazione che era già caduta troppo sul pesante.

«Li voglio così corti che non c'è rischio di sbagliare. Hai un rasoio elettrico?» Sorrise.

*

Adam osservò le ciocche che una dopo l'altra cadevano a terra, abbandonate alla forza di gravità come se il loro possessore volesse liberarsi di tutto ciò che vi aveva passato insieme. Era proprio questa l'idea che Alec gli aveva dato quando gli aveva chiesto, enigmatico ma deciso, di tagliargli i capelli. Non aveva voluto specificare nulla, si era limitato a rivolgergli quell'occhiata determinata alla quale mai avrebbe potuto dire di no, pur sapendo che non era in grado di fare le veci di un parrucchiere.

Eppure, alla fine ce l'aveva fatta, aveva rasato quella testa privandola del suo look alla moda per far somigliare Alec a un carcerato o un militare. Chi altri andava in giro in quello stato?

Al termine del suo lavoro fece una smorfia involontaria, preoccupato di aver esagerato, ma l'altro non riuscì a vederlo poiché in quel momento gli dava le spalle. Ciò che restava dei morbidi ciuffi era diventato così corto che a malapena lo si poteva afferrare con due dita.

Senza dire nulla, Adam si alzò e andò a recuperare in bagno il piccolo specchio portatile che teneva nel cassetto. Non avrebbe mostrato granché, ma almeno Alec avrebbe avuto la possibilità di osservare la sua faccia libera dalla sua solita zazzera. Glielo consegnò constatando che la purezza del suo viso ora risaltava di più. L'aveva notata fin dal primo istante, ma era stata parzialmente celata dietro un look che gli dava l'aria da figlio di papà viziato. Tuttavia, ora le sue occhiaie sembravano ancora più scure in contrasto con la carnagione bianca non più adombrata dalla frangetta.

Il ragazzo rimase inespressivo mentre osservava il proprio riflesso, quasi adottasse cambiamenti del genere un giorno sì e l'altro pure. L'aveva visto perdere spesso il controllo, ma ora appariva così distaccato da non lasciar trasparire un solo filamento di pensiero.

«Io te l'ho detto che...» iniziò.

«Sono esattamente quello che volevo» lo interruppe Alec. Alzò lo sguardo dal vetro riflettente, e il modo riconoscente in cui lo fissò gli fece arrossare le guance. Non era abituato a situazioni del genere con lui.

«La prossima volta che ti viene in mente di giocare con la tua testa, fallo fare a un professionista» si sentì in dovere di ribadire, fissando tutte quelle bionde ciocche che giacevano accanto al suo letto. Ora, in confronto, i capelli di Alec avevano assunto una tonalità più scura, quasi castana.

L'altro scrollò le spalle ma non disse nulla. Si portò le dita alla nuca e carezzò soddisfatto la corta capigliatura che la ricopriva.

«Stai bene così» osservò Adam, tentando di capire se gli piacessero davvero o si stesse pentendo.

Alec si bloccò. Prese di nuovo lo specchio e vi ci piantò gli occhi cenerini, cercando, questa volta, il proprio viso.

«Non è ciò che mi importa» lo sentì rispondere, anche se lo sorprese comunque a compiacersi per un attimo del complimento. Gli venne da ridere davanti a quello strano individuo, ma cercò di trattenersi. Probabilmente lui lo notò perché gli lanciò un'occhiataccia.

«Rimetto tutto in ordine, forse dovresti darti una pulita anche tu» suggerì, poggiando lo sguardo sui tanti piccoli capelli che gli erano rimasti appiccicati al collo. Alec vi ci passò una mano sopra e annuì, sporgendosi verso la propria sedia.

Una volta ancora, Adam ebbe l'istinto di aiutarlo, quindi gliel'avvicinò mentre l'altro ci si spingeva sopra con la forza delle braccia.

«Cazzo, mia madre mi ammazza» rise, forse compiaciuto dall'idea di farla arrabbiare. Effettivamente, anche la sua si sarebbe agitata nel vedergli la testa trasformata di punto in bianco in un porcospino.

«Ci inventeremo qualcosa» gli promise in un impeto di solidarietà, accompagnando le parole con un occhiolino.

*

Miss Irina stava servendo le prime portate quando i due ragazzi fecero il loro ingresso nella sala da pranzo, come al solito in ritardo per colpa di Alec. Ci volle qualche secondo perché tutti i banchettanti si voltassero verso di loro, e quando ciò accadde calò il silenzio. Ogni chiacchiera venne come risucchiata dalla loro apparizione, ogni movimento si spezzò. Persino il rumore secco dei piatti che venivano poggiati sulla tavola imbandita sembrava improvvisamente ovattato. La sala, sfarzosa a livelli quasi fastidiosi, rimase immobile.

Fu Louise la prima a riacquisire il controllo delle proprie corde vocali, adottando un tono di voce appena affilato e alzando le sopracciglia in uno stupore che raramente si scorgeva sul suo volto. «Che cosa hai fatto ai capelli, Alexavier?» Molto male, non lo chiamava spesso con il suo nome per intero. Non troppo male, però, visto che a quello non aveva affiancato il suo secondo nome, Vincent, che usava in situazioni più gravi.

«Tagliati» si limitò a dire con un'alzata di spalle, mentre Adam gli faceva cenno di muoversi. Si accorse solo in quel momento che entrambi erano ancora fermi al centro dell'attenzione, a metà tra la porta e la tavolata.

«Perché li hai tagliati? Lunghi erano così eleganti! Sono anni che cerco di convincere Adam a lasciarseli crescere, ma lui non vuole saperne!» sospirò Eleanor, in un evidente tentativo di sdrammatizzare, nel frattempo che i due prendevano posto.

Louise però non si lasciò alleggerire. Il suo cipiglio, puntato accanitamente verso il figlio, era carico di parole non dette che, senza ombra di dubbio, avrebbe voluto urlargli in faccia.

«Alec, se volevi attirare la mia attenzione c'erano ben altri modi per farlo» proferì infatti, così fredda da fargli venire i brividi.

Il giovane sgusciò via dal suo sguardo, cercando istintivamente quello di Adam. Aveva bisogno di sentire che in mezzo a tutto ciò vi era un volto amico, qualcuno che lo avrebbe aiutato, anche solo con la sua presenza. La sua stessa reazione, però, lo lasciò basito, scioccandolo più di quanto lo avesse infastidito tutta quella chiacchierata. Quando si era avvicinato così tanto a lui? Quando si era lasciato trascinare a tal punto da vederlo come sua ancora di salvezza? Ironia della sorte, in quel quadro irreale in cui era finito, un conoscente contava molto più di quanto avessero fatto i suoi amici in tutta la sua vita. Ma non avrebbe dovuto appoggiarsi a lui, no, non l'avrebbe fatto, non era giusto, né per sé stesso né per Adam, che di certo non avrebbe mai voluto caricarsi di quel ruolo.

Il ragazzo all'altro lato del tavolo, però, gli dimostrò che non era così, che era pronto ancora una volta ad aiutarlo. «L'ho, ehm, accompagnato io a tagliarseli» mentì, facendo sì che finalmente l'occhiata accusatrice di Louise si distaccasse dalla figura esile del figlio. «A Mya piacciono i capelli corti, sono stato io a dirlo ad Alec. Voleva solo piacerle di più.»

L'interpellata, che da quel pomeriggio a scuola non aveva più proferito parola e da quando erano entrati era rimasta per tutto il tempo in silenzio a rimirare il suo piatto, spalancò la bocca, guardando prima Adam e poi Alec. «Che diavolo...» iniziò, ma poi si rese conto della situazione e resse il gioco. «Alec, non dovevi fare un gesto tanto estremo per me!» si forzò a pronunciare. Il suo tono era poco convinto, ma la sorpresa nella voce convinse le due madri che si trattava della verità.

Alec lanciò uno sguardo riconoscente sia a Mya che a suo fratello. Quest'ultimo gli fece un breve occhiolino senza farsi vedere da nessun altro, per poi piegare le labbra all'insù.

Quel sorriso stava a significare molte cose, tra le quali Alec riuscì a cogliere, probabilmente, la più importante: quel ragazzo ci sarebbe stato per lui, gli avrebbe dato quell'amicizia nuova, diversa, quell'appoggio di cui tanto in quel momento aveva bisogno. E lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per ricambiare.


(Revisionato)

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