Capitolo 7

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Run boy run!

This ride is a journey to

Run boy run!

The Secret inside of you

- Woodkid


Socchiuse le palpebre e si schermò con le ciglia, infastidito dalla luce che entrava invadente dalla finestra nonostante le nuvole ricoprissero il cielo fino a creare una coltre.

Quando si era addormentato? Ricordava solo che la sera precedente suo padre e Iris avevano telefonato per dirgli che andava tutto bene, prima che si mettesse a letto. Poi era passato un numero indefinito di ore. Il momento in cui i pensieri avevano smesso di tartassare la sua mente non doveva essere troppo distante, visto come gli bruciavano gli occhi.

Si alzò sui gomiti di scatto, cercando con sguardo appannato l'orologio che stava sul comodino alla sua destra. Segnava le otto meno cinque.

«Cazzo» imprecò, ricordandosi solo in quell'istante di avere scuola. L'entrata era alle otto e sicuramente se ne erano tutti andati, lasciandolo a casa da solo. Ma perché non l'avevano chiamato? Forse non erano ancora partiti e lui avrebbe potuto fare in tempo. Era improbabile, ma doveva provarci. Se avesse saltato le lezioni sua madre si sarebbe messa a indagare più a fondo sui suoi strani comportamenti, e lui non la voleva tra i piedi più di quanto non fosse già.

Si tirò a fatica verso la sua sedia per poi raggiungere l'armadio e frugarci dentro alla ricerca della divisa. Non la vedeva dal giorno prima, quando se ne era disfatto con poca grazia in bagno, quindi, per sbrigarsi, afferrò una t-shirt a mezze maniche e un paio di jeans, precipitandosi a vestirsi. Meglio quelli che niente, pensò, anche se probabilmente alcune ragazze l'avrebbero preferito con nulla addosso...

Tentò di non distrarsi e non si concesse la risata sarcastica che gli era nata spontanea. Gli ci vollero dieci minuti, durante i quali nessuno venne a chiamarlo, cosa che gli fece perdere ancora di più la speranza.

Uscì dalla sua camera e il silenzio più assoluto gli premette contro i timpani. Non era presente nemmeno la figura affidabile di Irina, alla quale Alec avrebbe voluto chiedere indicazioni per la stanza di Mya. Invece raggiunse quella di Adam, l'unica che conosceva. Il freddo gli arrecò brividi sulle braccia lungo il tragitto, ma avrebbe resistito. Nel giro di qualche ora le temperature si sarebbero alzate. Colpì insicuro la porta e il rumore rimbombò per il corridoio vuoto. Dall'altra parte non sembravano provenire movimenti, l'assenza di suoni regnava indisturbato in ogni angolo. Decise di non arrendersi: bussò di nuovo, questa volta accompagnando il gesto con il nome di Adam, che uscì interrogativo dalle sue labbra.

Attese qualche istante e colse un fruscio difficile da identificare, ma che lo fece rendere conto, perlomeno, che c'era qualcuno. Il trionfo si scatenò in lui nel sapere che era ancora in tempo, ma quando Adam venne ad aprire lo fece rimanere perplesso.

Il ragazzo era in piedi sull'uscio e lo osservava con sguardo assonnato. Teneva a stento gli occhi aperti e si stropicciava il viso. I capelli scuri, solitamente lisci e in ordine, erano sgualciti senza un senso preciso, e non facevano altro che donargli un'aria trasandata che non aveva mai avuto. Il suo corpo era nudo ed esposto al gelo del mattino, constatò Alec con disappunto. Solo un paio di pantaloncini gli fasciava le cosce fino al ginocchio. Aveva un fisico snello ma ben formato, più di lui, dovette ammetterlo: gli addominali erano a malapena evidenti, ma i muscoli più sviluppati erano quelli delle gambe e delle braccia.

«Alec?» esclamò non appena lo vide, la voce distorta dal sonno.

Lo guardò contrariato. Non era possibile che un tipo preciso come lui non si fosse svegliato in orario. Piuttosto non erano le otto come pensava, forse.

«Credevo di essere in ritardo, ma mi sbagliavo» rivelò con un sopracciglio alzato.

L'altro non riuscì a scrollarsi di dosso il torpore e acquisì un'espressione intontita. «Ritardo per cosa?» chiese.

«Per la scuola, Adam. Ma forse il mio orologio va male, ero convinto fossero le otto...» Maledisse sé stesso per trovarsi lì a quell'ora – qualunque ora fosse – anziché essere rimasto a dormire.

Il giovane davanti a lui mostrò finalmente una parvenza di lucidità. Scrollò piano la testa e si stropicciò il viso un'ultima volta, rivolgendogli uno sguardo più attento.

«Oggi è sabato» lo informò. «Non andiamo a scuola di sabato» aggiunse, indeciso se l'informazione fosse necessaria o no.

Alec restò a fissarlo come un idiota, rendendosi conto di aver perso completamente di vista il passare del tempo. Lui era arrivato martedì. Erano già quattro giorni che era lì. I giorni continuavano ad avanzare inesorabili anche se la sua vita era stata ribaltata senza il suo permesso, era ovvio.

«Alec?» lo richiamò Adam, ormai sveglio. La porta era ancora aperta davanti a lui, così come ormai lo era la finestra all'interno, ma il suo interlocutore si stava occupando di cercare qualcosa da mettersi. «Se vuoi puoi entrare» lo invitò.

Fece come gli era stato detto. I suoi occhi si focalizzarono subito sul letto sfatto, accanto al quale il pomeriggio prima Adam gli aveva rasato i capelli. Doveva ammettere che gli mancavano, specialmente per il calore che gli procuravano, ma tornando indietro avrebbe rifatto di nuovo la stessa scelta.

«Mi spiace che ti sia svegliato presto anche di sabato. Credevi ci fosse scuola?» La voce del ragazzo gli arrivò ovattata dalla sua destra. Si voltò e vide che si stava infilando una maglietta, mentre gli short erano stati sostituiti da qualcosa di più pesante.

«No, io... non sapevo fosse sabato.» Fece spallucce, poi scorse l'altro sorridere. Strinse le labbra per quella che poteva essere una presa in giro. «Mi prendi per il culo?» disse tra i denti, avvicinandosi un poco a lui con uno scatto. Sentiva costantemente la necessità di stare sulla difensiva, e con Adam non era certo diverso. Non importava se l'aveva aiutato.

Il giovane Brass alzò i palmi come per dichiararsi innocente, ma il sorriso rimase sul suo volto.

«Ridevo perché è esattamente ciò che è successo a me la settimana scorsa» dichiarò imperturbabile, lasciandolo come uno stupido per dirigersi fuori dalla camera.

Alec sospirò. Non aveva nemmeno la forza di chiedersi dove stesse andando, ma dopo un po' formulò l'ipotesi del bagno. Effettivamente quella stanza non aveva un servizio interno come la sua, e si domandò perché un ospite come lui avesse quel privilegio mentre il proprietario della villa no.

Un brivido gli corse su per la schiena quando la brezza mattutina gli sfiorò le braccia. C'era aria di pioggia fuori, e gli stuzzicava le narici con il suo particolare odore naturale, ma il tempo ancora reggeva.

La porta che si apriva e richiudeva segnò il ritorno di Adam. I suoi capelli erano di nuovo in ordine come sempre, così come i vestiti, quasi come se il caos, anche nella più piccola proporzione, non fosse accettato nella sua vita. Era completamente il contrario di Alec, che viveva nel disordine più totale, sia esteriore che interiore.

«Forse dovresti tornare a dormire, visto che ne hai la possibilità» gli suggerì.

Alec si girò e vide che stava osservando il suo viso segnato dalle occhiaie. Il sonno che aveva avuto quella notte era stato più agitato del solito. Dopo i primi mesi dall'incidente – nei quali in ogni occasione in cui chiudeva occhio si trovava davanti un volto spaventato contornato da fili dorati – non ricordava quasi mai cosa sognava, forse per qualche sorta di meccanismo di autodifesa inconscio, ma il senso di ansia che colmava i suoi incubi lo inseguiva per tutta la mattina. Era una sensazione a cui si era quasi abituato, ormai, anche se non era facile da sopportare. Era stato il suo vecchio maestro il primo ad aiutarlo a superarli. Probabilmente, senza di lui sarebbe ancora dipendente in tutto e per tutto dai sonniferi.

Scosse la testa alla proposta di Adam, il quale stava rifacendo il letto con cura e meticolosità. Lo osservò perplesso, chiedendosi dove trovasse l'energia.

«Non ho voglia di dormire, ormai.» Solo l'idea di tornarsene in camera lo faceva sentire prigioniero, soffocato, rinchiuso. Era lì solo da pochi giorni, eppure era stato in quella stanza più di quanto solitamente passava nella propria, a Phoenix, in due settimane.

Adam piazzò i cuscini sul letto con aria pensierosa, stando ben attento a posizionarli uno sopra all'altro. Alec si domandò perché si rifacesse il letto da solo se avevano una cameriera.

«Vuoi fare qualcosa?»

«Voglio uscire» rispose senza riflettere. Aveva bisogno di aria e di libertà. Stare a scuola la mattina precedente lo aveva stancato e annoiato, ma mettere piede fuori casa lo aveva fatto sentire rinvigorito.

Adam lasciò finalmente perdere il letto dopo aver nascosto i pantaloncini sotto al cuscino. Prese le scarpe e se le infilò. «Facciamo un giro nel giardino.»

Non aveva molto senso, secondo lui, passare del tempo con Adam. Sì, era felice che qualcuno in quella villa non gli desse contro e, anzi, stesse dalla sua parte, tuttavia non era tanto a suo agio a categorizzarlo proprio come "amico". Non lo vedeva allo stesso modo dei suoi amici, nemmeno i meno stretti, anche se non sapeva come definirlo perché anche la parola "conoscente" gli calzava male. Eppure non aveva nessuna voglia di tornarsene in camera, preferiva di gran lunga stare con quel mezzo sconosciuto. Erano le motivazioni dell'altro che, invece, gli rimanevano poco chiare.

Imboccarono in silenzio una stradina che percorreva l'intero perimetro. Alec non aveva ancora visitato il giardino, quindi continuava a guardarsi intorno meravigliato. Anche loro a Phoenix possedevano una grande tenuta, però non avevano mai dedicato cura e attenzione alla natura come Eleanor pareva aver fatto con quella terra. Alberi rigogliosi crescevano sparsi un po' ovunque, seguendo ordini schematici che non capiva ma che lo lasciavano incantato. I fiori coloravano le aiuole che spesso incontravano, dando un po' di vita a quella giornata uggiosa. Come se fossero in un parco, spesso il sentiero ghiaioso veniva intervallata da panchine in pietra sotto archi di rampicanti.

Alec fece del suo meglio per mantenere un'andatura più o meno rapida, ma Adam riprendeva sempre un passo lento, quasi fosse al corrente della sua difficoltà nell'affrettarsi su quel terreno irregolare. Fece finta di nulla, ma fu segretamente grato per quel piccolo favore.

Il vento si alzò presto, gelandogli il viso e il collo, finché non si ritrovò a tremare contro la propria volontà.

«Hai freddo?» chiese sorpreso Adam, che appariva a suo agio con le braccia esposte alla brezza.

«È incredibile quanto tutti qui sembriate non provare freddo» osservò infastidito. Quelle erano temperature invernali per Phoenix, altro che settembre.

Il ragazzo ignorò il suo tono, forse per non rispondere o forse era così ingenuo da non accorgersi del cruccio insensato di Alec. «Se vuoi rientriamo» propose.

Sbuffò, seccato. Perché doveva essere sempre così gentile? Ad ogni modo non ci pensava proprio a tornare dentro, preferiva rischiare di congelarsi, quindi scosse leggermente la testa e continuò ad avanzare.

Adam infilò le mani nelle tasche dei jeans e inarcò la schiena come per stiracchiarsi. «Vengo spesso qui a correre. È comodo» se ne uscì di punto in bianco, quasi volesse spezzare il silenzio con una frase a caso. Ma l'informazione lo colpì come un proiettile. Correre era per lui qualcosa di davvero importante, qualcosa che aveva perso.

«Mi manca correre» si lasciò scappare. «Sentire l'aria tra i capelli e il vento sulla faccia» mormorò sovrappensiero, ricordando i giorni antecedenti all'incidente. Erano trascorsi solo dieci mesi, ma sembravano appartenere a una vita passata.

Adam gli lanciò un'occhiata curiosa, che pian piano si fece furba. «Se è questo che ti manca, si può rimediare» disse con un sorriso per nulla affidabile, e afferrò i manici della sedia a rotelle con convinzione.

«Che intendi dire?» Alec lo guardò confuso finché non capì le sue intenzioni, ma ormai era troppo tardi. «Adam!» incalzò, ma il ragazzo invece di rispondergli non fece altro che tenere una salda stretta.

Adam accelerò il passo e ben presto acquisirono una moderata velocità, le ruote giravano veloci come non mai. Tra le proteste di Alec che man mano si facevano meno convinte, il paesaggio intorno a loro si fece sempre più indistinto, finché il giovane Callaway non dovette reggersi ai braccioli per paura di cadere. Un grido euforico gli nacque spontaneo quando la brezza iniziò a sferzargli contro il viso. Sarebbe precipitato a terra al primo sasso più grande degli altri? Probabile. Gli importava? No.

Si lasciò andare a una risata e si beò del vento che gli sfiorava le guance come una carezza, sentendo Adam che rideva dietro di lui. Decise di fidarsi e mollò la presa, alzando le braccia come fosse sulle montagne russe. Gli mancava quella sensazione di adrenalina mista a libertà che solo correndo poteva avere. Chiamò di nuovo Adam, ma con un tono completamente diverso: l'esaltazione si mischiò all'allegria del momento e il nome del ragazzo venne pronunciato con una gioia che credeva di aver perduto.

«Alec, ma che ti salta in mente!?» Una severa voce femminile interruppe gli schiamazzi scappati ai due, facendo calare il silenzio su entrambi come un mantello. Colui che era stato richiamato si voltò verso Adam, e grigio e blu si incrociarono, mischiando la confusione alla sorpresa. Poi il contatto tra i due venne spezzato da Alec che rivolgeva lo sguardo alla madre, mentre Adam rallentava gradualmente.

«Oh, santo cielo, Alec! Vieni subito qui!» lo riprese ancora la donna dalla veranda, impettita nel suo tailleur anche di prima mattina. Ipotizzò che l'avesse visto dalla finestra e si fosse precipitata fuori per impedirgli per l'ennesima volta quella spensieratezza a cui raramente mirava.

Non voleva rinunciarvi, credeva di meritarsela, ogni tanto. Solo il pensiero di interrompere la corsa e andare a sentire lo sfogo di Louise su quanto fosse pericoloso tutto ciò che faceva che non fosse starsene fermo e girarsi i pollici lo nauseò. Valutò le varie scelte che aveva, poi prese una decisione che aumentò l'adrenalina.

Si voltò di nuovo in direzione di Adam, rivolgendogli senza farlo apposta un'espressione supplichevole. Vide che l'altro era dispiaciuto per lui, pronto ad arrendersi. Ma lui non si sarebbe fermato ora.

«Corri» ordinò, non riuscendo a trattenere un sorriso dispettoso. Sapeva che era una libertà momentanea, prima o poi avrebbe dovuto sorbirsi la ramanzina, ma ora come ora non voleva pensare al "poi".

«Cosa?» Adam inarcò le sopracciglia, senza cogliere al volo.

«Corri!» ripeté ridendo, e finalmente l'amico, dopo aver rivolto un ultimo sguardo alla donna che iniziava ad avvicinarsi, capì.

La velocità sfiorò quasi subito i livelli di prima, e Alec emise un grido di vittoria, accompagnato dalla risata di Adam. Si girò verso Louise aspettandosi di vederla tornare adirata alla villa, ma con un grande stupore che gli fece spalancare gli occhi notò che aveva iniziato ad affannarsi dietro di loro. Come faceva a destreggiarsi su quei due spilli che aveva al posto delle scarpe non lo sapeva, ma riusciva quasi a tenere testa a Adam.

«Fermatevi immediatamente!»

Adam parve perplesso nel constatare di essere seguito ancora, e si voltò per calcolare la distanza che lo divideva dalla donna. Accelerò il passo.

«Corri di più» lo incitò Alec, sentendo una goccia bagnargli la guancia. Alzò il viso verso il cielo e notò che era più carico e grigio di prima. L'elettricità si avvertiva nell'aria e suggeriva che di lì a poco sarebbe scoppiato un temporale.

«Ho un'idea» lo distrasse Adam, aumentando la velocità al massimo consentitogli dalle gambe lunghe. Cominciava ad avere il fiatone, ma non accennava a rallentare. Louise era rimasta parecchio indietro, tanto che Alec sperò si fermasse.

Il giovane avanzò per un po' e i suoi capelli vennero inumiditi e resi ancora più scuri dalle prime gocce che cadevano. Alec rabbrividì quando ne sentì una sul collo esposto. Se appena uscito aveva avuto freddo, ora che iniziava a bagnarsi stava congelando. I due rallentarono nei pressi di una piccola rete messa a mo' di ringhiera, intervallata da un cancelletto basso. Adam lo aprì senza esitare e lo varcò seguendo un lastricato in mattoni per poi richiuderselo alle spalle. Alec interruppe la preoccupata ricerca di segni della madre per guardarsi intorno, affascinato. Cespugli di rose rosse ben curate gli stuzzicavano le narici con la loro intensa fragranza. Una stradina separava le piante procedendo al centro per una decina di metri, dove troneggiava una fontana dalla forma tondeggiante che però non ebbe modo di vedere bene per quanto gli arbusti la coprivano. Quattro panchine erano poste in quel giardino segreto, intervallando quattro colori diversi di rose: rosse, blu, bianche e gialle.

Senza dargli il tempo di scorgere altro, Adam lo portò fino in fondo e si accucciò insieme a lui dietro il cespuglio più alto che trovò. Il profumo era inebriante, e Alec non poté fare a meno di accostare il naso a un fiore per annusarlo, cogliendo le sfumature recondite di quell'odore particolare.

«Alec?» La voce della madre ora era lontana e insicura: l'aveva perso di vista.

Adam gli si fece più vicino per nascondersi meglio, e il suo respiro rapido gli sfiorò il braccio ormai umido di pioggia, procurandogli un po' di calore che lo fece rabbrividire per il contrasto. Da quella breve distanza era in grado di scorgere perfettamente i riflessi bluastri che i capelli del ragazzo avevano assunto da bagnati. Erano strani, ma non riuscì a fare a meno di ammirarli. La sua testa invece, quasi priva di copertura alcuna, non faceva da scudo per quelle gocce che gli cascavano sulla nuca e gli scendevano sotto la maglietta, lungo il collo, inzuppando il tessuto. Rabbrividì ancora e Adam se ne accorse.

«Aspettiamo qualche minuto e troviamo un modo per rientrare» sussurrò contro la sua mano.

«Alec!» si udì nuovamente. Il chiamato in causa alzò gli occhi a cielo. Sua madre sapeva essere davvero petulante se si impegnava.

D'istinto si acquattò di più, portando il viso contro le ginocchia, con lo sguardo rivolto verso le ciocche corvine di Adam. Le trovava affascinanti, come quelle rose blu che aveva visto all'entrata.

Il giovane Brass gli sorrise complice sentendo l'ira e il disappunto nella voce di Louise. Erano zuppi fino al collo e incastrati in quel recinto, ma l'avevano scampata.

«Grazie» mormorò Alec, mordendosi il labbro per l'imbarazzo. Sembrava che in ogni situazione dipendesse da quel ragazzo, e la cosa non piaceva al suo orgoglio. Tuttavia c'era una parte di lui che l'apprezzava, che oltre ogni aspettativa gli faceva provare un tepore del tutto nuovo all'altezza del petto.

L'altro si strinse nelle spalle, passandosi le dita tra i capelli per far cadere le gocce che vi si posavano. Scosse la testa e una rosa gli sfiorò il naso, facendolo starnutire. Entrambi sgranarono gli occhi, preoccupati di essere stati scoperti, ma della donna che li inseguiva non c'era più neanche l'ombra.

Alec si lasciò andare a una risata spontanea, quasi incredulo, e l'altro subito lo seguì a ruota. Erano zuppi, braccati e nascosti in un giardino di rose, eppure non poteva esserci niente di più divertente per lui in quel momento.


(Revisionato)

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