Prologo

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Those who are dead are not dead

They're just living in my head

And since I fell for that spell

I am living there as well

- Coldplay


Una brezza leggera carezzava appena i visi scoperti dei quattro amici, ma, seppur lieve, era sufficiente ad arrossare le loro guance per via del freddo. Apparteneva a un'ondata che aveva travolto Phoenix da qualche giorno, abbassando drasticamente le temperature di tutto l'Arizona. Era il primo vero segno dell'inverno che fino ad allora aveva tardato ad arrivare.

Alec ne era entusiasta; sebbene per lui la stagione invernale significasse ore ridotte di sonno e impegni nello studio che avrebbe mantenuto a stento, rappresentava anche un'occasione in più per andare a caccia di ragazze con i suoi compagni a scuola. Ogni anno si focalizzavano sulle nuove primine e riuscivano quasi sempre nell'intento.

Alec non aveva mai sbagliato un colpo: la sua sbarazzina chioma dalle sfumature dorate rappresentava al meglio ciò che le giovani americane cercavano nei loro coetanei. Portava i capelli esageratamente lunghi con un ciuffo sulla fronte proprio per questo, malgrado non lo entusiasmassero troppo. I suoi occhi grigi, inoltre, cerchiati appena da un alone scuro di occhiaie, lo facevano apparire tenebroso, sofferente, diverso. Tutto ciò che in realtà non era. La sua vita lo soddisfaceva appieno e non avrebbe potuto divertirsi più di così. Una nuova ragazza entrava in casa sua ogni settimana e la maggior parte delle volte non veniva nemmeno notata, data la grandezza imponente della villa di famiglia. Aveva tutto ciò che un ragazzo della sua età desiderasse, e il suo gruppetto di amici, che non lo abbandonava mai, completava il quadro della sua vita già perfetta. Cosa sarebbe mai potuto andare storto?

«Oddio, è di nuovo qui!» esclamò Jake alla sua sinistra, rallentando appena. Albert lo spronò a non fermarsi: di quel passo non avrebbero mai raggiunto la scuola, sebbene fosse vicina. Jake lo ignorò, scosse lievemente la testa per dare maggior enfasi alle proprie parole, e una ciocca castana gli ricadde sulla fronte alta. Con un gesto stizzito la spostò per poi tornare a focalizzare lo sguardo dall'altra parte della strada, alla sua destra.

Alec lo seguì e incrociò il profilo di una ragazza che gli era ormai familiare, i cui piedi piccoli si muovevano rapidi sul grigio cemento del marciapiede opposto. I lunghi capelli color del grano le scendevano in morbide onde lungo la schiena, sfiorandole le spalle magre e svolazzandole attorno al viso a ogni soffio di tramontana. Gli occhi da cerbiatto erano stati ciò che più l'aveva attratto all'inizio, ma vi erano anche i lineamenti delicati a conferirle una faccia d'angelo.

Sbuffò per tutta risposta. Di quella ragazza ormai non gli importava più nulla. L'aveva già fatta sua qualche settimana dopo l'inizio della scuola, e lei gli si era attaccata come colla. Certo, era bella, ma aveva dimostrato troppo interesse, e ciò aveva solo contribuito ad allontanarlo. Non erano legami che cercava; solo puro divertimento.

Lei, tuttavia, insisteva determinata nel suo intento nonostante Alec l'avesse allontanata indirettamente più volte. Aveva provato a prenderla in giro, riservarle un comportamento poco gentile, l'aveva ferita, anche. Non si sentiva colpevole per questo, voleva solo togliersela di dosso.

«Cosa farai ora, eh, Callaway?» lo schernì Colin con quel sorriso che non abbandonava mai il suo volto. Alec a volte pensava che sorridesse per mettere in mostra i suoi denti perfetti e bianchissimi, che riuscivano a risaltare anche sotto l'ombra del cedro profumato sotto cui stavano passando. Non gli dispiaceva quell'odore: aveva sempre detestato fragranze dolci e stucchevoli, più di tutto adorava quelle degli agrumi.

Alec alzò lo sguardo al cielo limpido e non replicò. Aveva già una mezza idea per togliersi del tutto di torno quella ragazza.

«Rosemary» la chiamò tranquillo, lasciando il marciapiede per compiere alcuni passi verso il centro della strada, più vicino a lei. La ragazza percorse ancora qualche metro, poi si fermò voltandosi verso di lui, stretta nella sua giacchetta fin troppo leggera per proteggerla dal vento.

Non aveva mai sentito nessuno usare il suo nome per intero. Lei stessa si era presentata come Rose la prima volta in cui si erano visti, lasciando intendere che "Rosemary" non le piacesse. Era una ragazza timida, che parlava con voce pacata e molto bassa. Non era il solito tipo che capitava sotto mano ad Alec, e anche per questo gli era piaciuta. Ma il "piacergli" finiva lì, si limitava al suo aspetto esteriore e a qualche ora passata insieme.

La studentessa piantò i suoi occhi speranzosi sul viso di lui e Alec alzò impercettibilmente un angolo della bocca per trattenere un sorriso maligno: la speranza che lei provava si sarebbe presto trasformata in disperazione. Non aveva pianificato nessun discorso, ma ora che ne aveva bisogno scavò nella mente alla ricerca della migliore idea per ferire una ragazza e, quando la trovò, la esternò senza rimorsi.

«Che c'è, sei venuta a dire ai miei amici quanto tu faccia pena a letto? Magari uno di loro potrebbe darti lezioni, se proprio ci tieni. Jake sarebbe ben disposto!»

Lasciò andare il sorriso e sentì le risate degli altri risuonare alle sue spalle. Non solo l'aveva offesa in maniera piuttosto intima, ma le aveva anche dimostrato quanto poco gli interessasse di lei proponendola ai suoi amici come fosse un oggetto. Bene, umiliarla in quel modo davanti a loro non avrebbe fatto altro che aumentare le probabilità di togliersela di dosso una volta per tutte.

L'espressione di Rose virò in una frazione di secondo da speranzosa a scioccata. Qualcosa si ruppe nell'armonia di quel viso angelico, e per un attimo Alec se ne pentì. Tuttavia fu solo un pensiero fugace, che sfiorò gli angoli più remoti della sua mente giusto per un istante.

Le labbra della ragazza si mossero appena, ma era troppo impacciata per pronunciare qualsiasi cosa. I suoi occhi si inumidirono, ma prima che Alec potesse scorgere le sue lacrime, lei abbassò la testa facendo cadere una singola gocciolina a terra.

Gli schiamazzi aumentarono d'intensità, eppure il giovane Callaway non si unì ad essi. Era in attesa, il sorriso strafottente stampato in faccia. Voleva che l'ira di lei esplodesse, che gli urlasse contro e si allontanasse indispettita per poi odiarlo da lontano e non avvicinarsi mai più.

Tutto ciò che la ragazza fece, però, fu alzare lo sguardo ferito verso di lui, senza traccia di odio o ira nella sua espressione. Parve in procinto di dire qualcosa, ma quelle parole non lasciarono mai le sue labbra.

La sorpresa tornò a marcare il suo volto, facendolo di nuovo contrarre per lo shock. Alec esitò davanti alla sua reazione, ritrovandosi a non sapere cosa pensare. La bionda lo fissò per qualche istante, terrorizzata, poi si riscosse e spalancò la bocca.

«Alec, attento!»

Il ragazzo si voltò e il tempo parve quasi fermarsi mentre il suo sorriso moriva rapido come un fiore in inverno. Una Mercedes sfrecciava sulla strada a una velocità piuttosto alta, diretta verso la sua figura al centro della strada. Aveva già iniziato una frenata, ma era così vicina che, Alec lo sapeva, non avrebbe fatto in tempo a fermarsi o modificare la rotta. E lui non sarebbe riuscito a spostarsi.

Sentì la ragazza urlare, poi si fece tutto confuso. Rose scattò verso di lui e un paio di mani lo spinsero forte, allontanandolo parzialmente dalla corsia. Alec rovinò a terra e i suoi palmi si graffiarono contro l'asfalto.

L'ultima cosa che la sua vista colse fu il profilo imponente della macchina che si ergeva pericolosamente sul corpo minuto di Rose. Un rumore sordo, quasi ovattato dall'irrealtà della situazione, gli giunse alle orecchie insieme a un lamento acuto ma a malapena accennato. Poté giurare di captare due parole, accompagnate dal suo nome. Parole che voleva aver solamente immaginato.

«Ti amo, Alec.»

Un urto investì anche lui, facendogli perdere la cognizione di qualsiasi altra cosa se non quella del sangue bruciante sulla carne viva. Dopodiché, la sua esistenza fu solo dolore.


(Revisionato)

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