Capitolo 1

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Always said I was a good kid

Always said I had a way with words

Never knew I could be speechless

Don't know how I'll ever break this curse

- Daughter


Mya Brass fece un passo e scese il primo gradino della grande scalinata in marmo ricoperta per la parte centrale da un tappeto rosso, il quale impediva alle scarpe alte di emettere il fastidioso ticchettio che le caratterizzava. Lo sfarzoso comfort, tuttavia, non aiutava la ragazza ad affrontare la giornata in maniera più allegra. Stava per avere un incontro che rifiutava con tutta sé stessa e non poteva fare niente per opporsi.

Si obbligò a mettere un piede davanti all'altro e proseguì controvoglia sulla rampa che si ripiegava nell'atrio d'entrata in un percorso tondeggiante, del tutto identica a quella di fronte, come se insieme rappresentassero due maestose ali. A tagliare a metà il capolavoro architettonico, v'era la divisione che creava una discesa senza gradini: i suoi l'avevano fatta installare per la nonna inabile, ormai defunta, venuta a mancare quando Mya era molto piccola. Era da tempo che l'intera famiglia ci aveva messo una pietra sopra, ma la formazione interna della villa non era stata modificata e nessuno aveva proferito parola sull'argomento forse per non disonorare il ricordo della donna.

Raggiunse il piano terra in un batter d'occhio; troppo presto per i suoi gusti. Si guardò alle spalle con rammarico, come per rimpiangere i momenti di comodità passati solo una mezz'ora prima nella sua stanza.

Prese un gran respiro e continuò. I tacchi che indossava scandivano i passi sul pavimento dandole i nervi. Non le facevano male, era stata abituata a calzarli in diverse circostanze; ciononostante, una tenuta così elegante la metteva a disagio.

Quando arrivò alla porta a doppio battente del salone, si concesse alcuni secondi per prepararsi mentalmente. Udiva appena il brusio di voci che parlavano in tono pacato. Questo significava una sola cosa: lui era lì.

Strinse i denti ed entrò, cercando di stamparsi in volto il miglior sorriso che riuscisse a creare. Nonostante stesse facendo tutto quello contro la propria volontà, non poteva disobbedire a Eleanor, sua madre. Non ancora, almeno.

L'eleganza della grande sala l'accolse, circondandola di mobili in legno pregiato e lampadari pendenti di cristallo. Un ampio tappeto illuminava con i suoi colori caldi lo spazio tra i due divanetti sul quale gli ospiti e la signora Brass erano seduti. Mya non li considerò neppure, focalizzò l'attenzione su un punto a caso della stanza, tra i libri in rilegatura di cuoio che riposavano nella libreria a sinistra. Sua madre ne era una gran fanatica e non si lasciava mai sfuggire un'occasione per vantarsene.

La ragazza si affrettò a raggiungere la figura austera ma cordiale di Eleanor per poi esibirsi in un piccolo inchino verso gli invitati. Fu in quel momento che lo vide per la prima volta, dato che aveva sempre rifiutato sue fotografie: i suoi occhi chiari erano in risalto su quel viso pallido, contornati da occhiaie scure che lo facevano apparire molto più tetro e misterioso di quanto avesse potuto immaginare. Qualche ciocca color cenere gli ricadeva sulla fronte, adombrandogli ancora di più lo sguardo, mentre le ossa leggermente sporgenti degli zigomi gli conferivano un'aria truce.

La sua maschera di formalità s'incrinò e la curiosità e lo sgomento non tardarono a far capolino dalle crepe.

Alec Callaway, suo promesso fidanzato, era davanti a lei, accomodato su una sedia a rotelle.

Non che avesse mai avuto davvero scelta, ma per convincerla riguardo il suo destino, Eleanor aveva parlato tanto del giovane in questione, eppure non aveva una sola volta menzionato una caratteristica del genere, così importante. A pensarci bene, tutte le lodi che aveva elencato su di lui sembravano improvvisamente delle menzogne. Dolce, genuino, gentiluomo, elegante... forse l'ultima era giusta, ma tutti quei pregi parevano cozzare con l'atteggiamento superbo e ostile che Alec dava l'impressione di serbare verso di lei.

«Louise, Alec, come vi dicevo, questa è mia figlia Mya.» La breve frase della madre la riscosse e le fece rendere conto che c'era un monito a malapena accennato tra le parole. Forse aveva fissato il ragazzo troppo a lungo.

«Benvenuti a Newcastle» si sforzò di pronunciare, trovando il suono della propria voce innaturale.

Eleanor Brass le poggiò la mano sottile e affusolata sulla schiena, come per mostrare ai Callaway un trofeo. O una merce di scambio, ciò che in realtà era, a dirla tutta. Avevano discusso per anni sulla sua futura unione per un controllo più vasto sulle compagnie che le famiglie possedevano, e Mya non aveva mai accettato ciò che la madre aveva in serbo per lei. Ora che quella decisione presa senza di lei era divenuta più tangibile, la paura aveva fatto capolino alle porte del suo cuore, inducendola a giurare a sé stessa che non si sarebbe piegata a quella farsa. Le toccava fare, però, buon viso a cattivo gioco, e restare a guardare lo sviluppo degli eventi in attesa di un'occasione più propizia per trovare il coraggio di opporsi.

«Oh, santo cielo! Eleanor, non mi avevi detto che le foto non le rendevano per niente giustizia! Non è vero, Alec?»

Stordita dalla situazione e dai suoi stessi pensieri, Mya non rispose al complimento. Ancora in piedi accanto ai divanetti, si limitò a fissare madre e figlio. Una vocina nella testa le suggeriva di non studiare Alec in quel modo, che non era carino e che rischiava di infastidirlo. Ma la sorpresa per il suo stato l'aveva immobilizzata.

Non era presente la famiglia Callaway al completo. Non si era interessata molto, ma, da quanto ne sapeva, padre e figlia erano ancora a Phoenix, a sistemare alcuni affari con la scuola da lei frequentata. Per un attimo Mya pensò che aveva avuto fortuna, nonostante tutto. Cambiare città e trasferirsi a chilometri e chilometri di distanza non era toccato a lei e suo fratello, ma ai loro rispettivi promessi.

Gli occhi tenebrosi del ragazzo si poggiarono su di lei mentre annuiva, disinteressato. Erano molto più vispi e furbi di quanto si aspettasse, e la fissarono con invadenza. Lei ricambiò, escludendo il vociare delle due donne per focalizzarsi solo su quel viso spigoloso. Alec respirava piano e cercava di apparire rilassato, forse per non mostrare quanto non avesse voglia di essere lì in quel momento. Mya lo capiva benissimo.

«Beh, perché non vi prendete un po' di tempo per conoscervi? Mya, potresti mostrargli la nostra casa.» La voce della madre interruppe i suoi ragionamenti, inducendola a voltarsi verso di lei con aria interrogativa e leggermente contrariata. Non credeva di doversi impegnare tanto, non voleva avere niente a che fare con quel tipo.

«Ma certo! Sarebbe una seccatura per voi rimanere qui ad ascoltare discorsi malinconici di due amiche che non si vedono da tanto» si accodò Louise Callaway, peggiorando la situazione. «Allora, Alec? Ti va bene?»

Il figlio fece spallucce. Sembrava di poche parole.

Mya strinse i denti e tentò di non perdere il sorriso davanti alle due donne. Ci mise qualche istante a trovare la forza per rispondere, ma alla fine acconsentì, suo malgrado.

L'idea di restare sola con quello sconosciuto la metteva a disagio. Come si sarebbe dovuta comportare con lui? Era al corrente del fatto che lei non aveva avuto la minima idea della sua incapacità di camminare, fino a quel momento?

«Ti muovi?» La domanda incalzante arrivò dalla sua sinistra, più lontana di quanto si aspettasse. Era la prima volta che udiva quel ragazzo parlare. In netto contrasto con le sue apparenze adulte e ombrose, la voce era quella di un normale diciassettenne, a malapena oscurata da un accenno di tristezza.

Alzò il viso e notò che si era spostato velocemente, perciò si affrettò a seguirlo mentre lui faceva avanzare la sedia muovendo le mani sulle ruote.

Qualche passo e furono fuori. Un silenzio imbarazzante cadde su di loro, facendo sì che i loro respiri rimbombassero nella penombra dell'atrio che collegava varie aree della villa. Nonostante Mya sentisse l'obbligo di fare la prima mossa, rimase in attesa a fissare l'intruso con aria assente. La stava attendendo con un'espressione indecifrabile stampata sul volto. Non guardava direttamente lei, aveva gli occhi puntati su una fotografia alla loro destra. Ritraeva la famiglia al completo, quando lei e Adam erano molto piccoli, con uno sfondo bianco e facce serie. Era stata scattata dal fotografo di fiducia, Mya ricordava che era stato lui ad averli messi in posa in quel modo. Era una delle pochissime esperienze vissute con suo padre che rammentava ancora.

La ragazza non guardò la foto che conosceva a memoria. Trovava più interessante quella novità nella sua vita, un estraneo che si era trasferito in casa sua. Era il piano di sua madre: farli vivere insieme affinché potessero avvicinarsi e sposarsi, come lei aveva deciso da anni. Anche a suo fratello Adam sarebbe toccata la stessa sorte con la sorella di Alec, era solo questione di tempo. Non era lì quel giorno solamente perché Eleanor aveva preferito un incontro più privato tra lei e Alec.

Mya non aveva mai capito il motivo per cui le due famiglie dovessero unirsi due volte, ma sospettava che nel caso in cui una coppia si fosse opposta, l'altra sarebbe stata una specie di garanzia. Non conosceva Louise Callaway, ma c'era comunque da considerare che andare contro Eleanor, per mezzi legali o meno, avrebbe significato per lei e Adam finire in mezzo a una strada non appena avessero raggiunto l'età necessaria per esser cacciati di casa, o in un edificio squallido se qualche agente federale li avesse prelevati dal genitore inadatto.

Era contraria con tutta sé stessa, ma non poté fare a meno di notare che quel ragazzo era di bell'aspetto, sebbene l'ostilità dimostrata. La semioscurità di quel posto faceva risultare il suo volto più tetro, ma tutto sommato quel look gli donava. Nonostante venisse da una città molto soleggiata, la sua carnagione era stranamente candida, e lo faceva apparire elegante, aggraziato, suggestivo. Mya fece scorrere lo sguardo sul suo corpo per soffermarsi sul collo sottile, le braccia forti e i gomiti spigolosi.

«Smettila di fissarmi così.» La voce di lui la fece riscuotere, ma non riuscì a distogliersi dalla sua figura sinuosa.

«Non immaginavi questo, eh? Puoi dirmelo. Cosa c'è, ti aspettavi il principe azzurro?» disse, riferendosi, probabilmente, alla sua condizione fisica.

Gli occhi di lui si piantarono nei suoi e la fissarono taglienti. Mya rimandò un'espressione sorpresa e fece per rispondere, tuttavia non parlò perché si sentiva in difficoltà. Anche se non era entusiasta della compagnia del suo interlocutore, non voleva offenderlo.

«Sei solo una ragazzina viziata» accusò lui per primo, continuando a tenere i lineamenti rigidi.

«Come, prego?»

Il tempo parve fermarsi mentre lui la fissava a denti stretti. Mya si era preoccupata di non ferirlo, ma lui non aveva pensato minimamente al rispetto reciproco.

Era troppo. Quell'estraneo era entrato in casa sua senza che lei fosse interpellata e la stava offendendo. Lo stupore si trasformò presto in indignazione, e quest'ultima in ira. Serrò i pugni cercando di contenerla, ma non riuscì a mantenere il silenzio.

«Chi diavolo credi di essere? Vieni in casa mia a sparare sentenze senza nemmeno conoscermi. Tu, che qui sei ospite, mostra almeno un briciolo di educazione. Oppure non te l'hanno insegnata?»

Era furiosa. Incastrata in una situazione che non sapeva come gestire, si ritrovava a dover far fronte a imprevisti che non aveva calcolato.

Il ragazzo rimase a fissarla sprezzante, l'angolo della bocca tirato su in un accenno di sorriso che non aveva nulla di amichevole.

Non ne poteva più, non voleva avere niente a che fare con lui, almeno per quel giorno.  Assunse un portamento fiero e iniziò a camminare verso di lui fino a superarlo, con l'intenzione di dirigersi al piano di sopra.

Qualcosa la bloccò. La mano di lui si strinse in una presa ferrea sul suo avambraccio, obbligandola a fermarsi. Il suo tocco era forte ma freddo, le fece venire i brividi nonostante fosse solo settembre.

«Mostrami la villa» ordinò, inflessibile.

Mya si voltò verso di lui e lo trafisse con uno sguardo di fuoco che non parve sortire effetto.

«Guardatela da solo» sentenziò, per poi ritirare il braccio. Credeva che fosse finalmente finita, ma lui non la lasciò.

«Mostrami la villa,» ripeté, «o andrò a lamentarmi da tua madre dicendole che non hai voluto farlo.» Questa volta gli estremi delle sue labbra si tirarono più su in un'espressione vittoriosa.

Mya smise di tirare e spalancò gli occhi. Si era ritrovata davanti la peggior persona che potesse capitarle. Subdolo, meschino e anche sleale. Aveva creduto che stessero dalla stessa parte, ma non avrebbe potuto sbagliarsi di più.

Alec Callaway fece un cenno con la testa verso le sue spalle, come a ordinarle di andare. Mya si morse un labbro e fu costretta ad accontentarlo, osservandolo muoversi agilmente con la sedia a rotelle.

«Perché vuoi che ti accompagni?» chiese, ormai arresa. Sbuffò in silenzio per il disappunto.

Lui non la degnava di uno sguardo, ma fece spallucce. «Non è giusto tutto questo, vero?»

Mya si sorprese nel trovare contrariato anche lui. Allora, forse, non voleva approfittare della situazione. «Nulla è giusto nella vita. Ricordatelo» aggiunse mentre varcavano una porta.

Lei non gli rispose e continuarono ad avanzare per ritrovarsi nel lungo corridoio che collegava l'atrio alla galleria d'arte del defunto Mr. Brass. Mya aveva passato con lui pochissimi anni di vita. Era deceduto lontano dalla famiglia, durante un viaggio in Europa per affari. A volte le mancava, ma i ricordi che aveva di lui erano così sporadici da impedirle di soffermarsi troppo su quell'argomento.

Sua madre non si era mai risposata. Con il passare degli anni, Mya aveva intuito che l'amore non era una cosa che la donna prendeva in considerazione nella vita. Bastava come dimostrazione l'insensibilità con cui aveva piazzato i suoi due figli, come se l'unica cosa importante fossero i soldi, o le conoscenze. O, probabilmente, entrambe le cose.

«Qui mio padre teneva i suoi quadri» spiegò controvoglia, sperando con tutta sé stessa che per via di quella monotonia Alec Callaway si pentisse di aver insistito per visitare la casa. Purtroppo non pareva annoiato, ma era impossibile dirlo con sicurezza. Continuò a mantenere quell'espressione indecifrabile, che non perse per tutta la durata del mini tour, nemmeno quando percorse con la sola forza delle braccia la salita che costeggiava le scale. Vederla calcata da qualcuno dopo tanto tempo le fece uno strano effetto, e non poté fare a meno di guardarlo avanzare con sorpresa. Immaginò che non dovesse essere facile spingere le ruote verso il piano superiore, ma non provò a offrirsi per spingerlo.

Entrambi rimasero perlopiù in silenzio, Mya lo interpellò direttamente per la prima volta quando lasciarono la biblioteca. Era ormai un quarto d'ora che giravano per la villa, e ne avevano visitato una buona parte. Abbastanza perché sua madre potesse ritenersi soddisfatta, pensò.

«Ti accompagno alla tua stanza. Le tue cose sono sicuramente già lì» disse in tono formale, lo stesso che aveva usato per tutto il tempo.

«Tutto qui? Non dovresti tipo... baciarmi, o qualcosa del genere?» chiese lui con voce beffarda. Sembrava volerla prendere in giro, ma non ne era sicura.

«Ma chi ti credi di essere?!» esclamò, basita. Mai avrebbe baciato quel tipo, neanche se fosse stata obbligata da entrambe le loro madri. Non avrebbero deciso per lei, specialmente se il candidato era così meschino.

«Colui che sarà al tuo fianco per sempre, mia cara» rise lui amaro, esponendo quelle parole come una minaccia.

Mya scosse la testa, fermandosi davanti alla porta della stanza assegnata ad Alec, una stanza che tante volte aveva varcato con leggerezza in passato, ma che ora emanava quasi un'aura repellente. «Sappi che non potrete obbligarmi. Né tua madre né mia madre, né tantomeno tu» stabilì fronteggiandolo. Corrucciò la fronte per la tensione e s'impose di allontanarsi poiché gli stava troppo vicina.

Sul volto di lui si dipinse un'espressione seria che non aveva mai avuto fino a quel momento. «Dio, quanto sei piena di te» osservò con il mento alto, quasi la stesse sfidando. «Pensi davvero che io sia talmente di poche pretese da voler stare con te?» domandò alzando un sopracciglio.

Mya si trattenne dallo spalancare la bocca e non rispose, ferita nell'orgoglio. Si riprese subito, però, stringendo i pugni mentre faceva un passo in direzione della sua stanza. «Non ho tempo per te. Io ho già un ragazzo» mentì, per poi andarsene senza aggiungere altro.

In realtà non era del tutto una bugia. Grisam era colui con cui voleva stare, colui con il quale, senza nemmeno farlo apposta, aveva instaurato un legame più forte di quanto avesse progettato in partenza. E ora quell'ospite indesiderato si stava mettendo in mezzo per rovinare tutto. E, come se non bastasse, era il peggiore che le potesse capitare.

Mya sospirò. La giornata era andata peggio di quanto avesse previsto. La vita non sarebbe stata per niente facile da quel giorno in poi.


(Revisionato)

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