L'annosa questione del ciclo corrotto - I

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Due lune. Il ciclo regolare era interrotto da quasi due lune. Baffetto non fu sorpreso dal ritrovare Gnawrawr intento a passare l'ennesimo pomeriggio indolente davanti all'ipnotizzatore. Fosse stato un giorno qualunque, si sarebbe offerto di intrattenerlo in qualche modo, ma da diverso tempo ormai né l'offerta di addestrarlo alla caccia, né l'incombenza di dover bonificare la fossa per le sue deiezioni sembravano impedire a Gnawrawr di tornare puntualmente a reclamare per sé l'alcova con l'ipnotizzatore sulle gambe.

Baffetto cominciava a sentirsi sinceramente preoccupato: certo, interruzioni prolungate del ciclo regolare avvenivano di tanto in tanto, ma mai si protraevano così a lungo, e soprattutto coincidevano spesso con l'esplorazione di territori lontani. A meno che, e questo era l'affanno che gravava sul suo animo, non si trattasse di umani prossimi alla conclusione del proprio ciclo vitale.

Ormai teneva d'occhio il suo protetto senza più darsi pace: all'aspetto Gnawrawr si presentava come un esemplare adulto e, fatta eccezione per le adiposità che gli gonfiavano la zona addominale, relativamente in salute. Baffetto era tuttavia abbastanza certo che il problema avesse una rilevanza più complessa, poiché la sera precedente era stata fissata, di comune accordo con gli altri felini dell'alveare, una riunione eccezionale del Comitato delle Alte Straordinarietà. Gnaulii e trilli si erano prolungati per l'intera nottata saltando da una tana all'altra, sì da esser certi che l'urgenza della situazione e la necessità di indagarne le cause fosse chiara a tutti. Baffetto, quindi, rinunciò al tentativo di catturare l'attenzione del suo beneamato coinquilino per recarsi al Concilio.

Dato l'appropinquarsi della stagione calda, le vetrate di accesso al grande mondo erano aperte per la maggior parte del giorno: non gli fu dunque necessario questuare per poter avventurarsi all'esterno. Si affacciò a quel portento di erba sottile, cespugli e natura in rinascita identificando la posizione di almeno due nidi che avrebbe predato in un secondo momento, col favore del crepuscolo. Con un paio di aggraziati saltelli si portò sulla cima della grande muraglia che separava il mondo di fuori dal Tartaro delle bestie di metallo, quindi con abilità e attenzione ne percorse l'intero perimetro fino ad affacciarsi sulle formazioni erbose del mondo di fianco. La vallata, ricca di nascondigli e sterpaglie, era posizionata sul retro dell'alveare e offriva riparo dalle creature tartaree nonché dagli umani alpha, pericolosi individui cappiodotati dediti alla caccia di digitigradi, i quali si diceva venissero deportati in celle di contenimento per scopi molto poco chiari.

Il luogo in questione offriva nascondiglio e frescura nella stagione afosa ed era per questo motivo stato identificato come parlamento dai gatti dell'alveare, che quivi si riunivano ogni volta che un'assemblea del Comitato si rendeva necessaria.

Baffetto ne era stato eletto membro onorario per la risolutezza con cui aveva superato la prova dell'oblio, la sfida che sanciva in eterno il legame di un gatto con il suo adepto umano, che così lo accoglieva ufficialmente nella propria tana in virtù di guida da quel momento in poi.

L'impresa non era affatto semplice e richiedeva tenacia per essere superata: lasciava sul corpo dei prescelti ferite che richiedevano giorni per suturarsi, e per gran parte di loro comportava lunghe ore di ottundimento dei sensi, durante le quali l'involucro fisico era alla mercé di una forza superiore che ne limitava i movimenti. Ma Baffetto era ben conscio della ricompensa: il felide che riusciva a venirne fuori ascendeva a uno stato di autorità che lo liberava dai più bassi istinti carnali e di lotta, rendendolo immune ai richiami delle incombenze terrene perché potesse assurgere a portale tra il mondo tristemente limitato dei sapiens e le più mistiche abilità dei felini. Mosso da tal prospettiva, Baffetto si era comportato con grande dignità, senza mai abbandonarsi a piagnistei o lamentele, e questo gli era valso un appellativo di tutto rispetto tra i gatti dell'alveare, un attributo che conteneva in sé la natura selvaggia tipica di ogni gatto, pur identificando una caratteristica peculiare ad egli soltanto.

«Fildiluna, sei riuscito a unirti a noi!»

D'istinto Baffetto si volse verso la voce, quindi salutò strofinando il muso contro quello della presenza che gli si era rivolta: una gatta dal manto calico e le iridi ambrate che appariva visibilmente provata. Membro più anziano del concilio delle alte straordinarietà, la vita le aveva concesso l'onore di prendersi cura di un branco di ben quattro umani, di cui due ancora cuccioli, un privilegio che pochi erano in grado di sostenere. La sua saggezza ancestrale era così ben valutata dalla comunità dell'alveare, che persino i suoi umani ne avevano riconosciuto la rarità, dandole financo un nome degno della sua identità: Micia.
È ben noto, infatti, che i felini apprezzano che ci si riferisca a loro con epiteti che riassumano la loro intrinseca connotazione di esseri superiori, emanazioni della natura stessa che muove il mondo, la quale ne forgiò i vezzi quando giunse al culmine della ricerca per la creazione di un animale perfetto. In assenza di onorificenze adeguate, essi avallano la scelta di appellativi che non ne sminuiscano l'essenza felina in nome di una umanizzazione decisamente svantaggiosa, date le caratteristiche che rendono i sapiens frequentatori tutt'ora inesperti di questo mondo.

Oltre a Micia, erano stati convocati altri tre parlamentari.

Passolieve, il più giovane, sì presentava come un esemplare dal manto pezzato di nero; per un vezzo di natura, la colorazione del pelo replicava sul muso la sagoma di due baffi paragonabili a quelli degli umani che si sovrapponevano alle vibrisse come a voler sancire anche in maniera visiva l'eterno patto che lo legava al suo fedele adepto.

Accucciato in osservazione e senza staccar le iridi, ridotte dalla miosi a due panni color ghiaccio, da una falena che si ostinava a schiantarsi contro il tufo era Anubis, uno scaltro cacciatore dalla pelle glabra sempre lucida e molle, esemplare dalla mente strategica e dai riflessi infallibili. Uno dei suoi padiglioni auricolari era per metà reciso, ma questo non aveva intaccato le sue doti di assassino, note e apprezzate dall'intera comunità dell'alveare. Con la testa che si muoveva in rapide e appena percettibili torsioni a seguire lo sfarfallare dell'incauto lepidottero, non si unì ai saluti ma Baffetto era certo che, nonostante la sua concentrazione fosse rapita dalla preda, non gli sfuggisse nulla di quanto accadeva intorno.

E infine lei. Composta in arcana contemplazione su un letto di pietra muschiata se ne stava Athena. La sua linea da infallibile predatrice ─ di animali inferiori quanto di altri felini ─, le screziature marmoree del pelo perfettamente liscio e la posa da antica Sfinge la rendevano una presenza di rara grazia, espressione sopraffina della progenie di Bastet, veicolo ultimo della pura essenza divina e selvaggia che ancora alberga negli animi dei gatti. Lievi movimenti della punta della coda lasciavano intendere una certa tensione che le intristiva l'animo: era il momento di cominciare.

Un tonfo seguito da un ronzio soffocato sancì l'apertura ufficiale del Concilio, e Anubis raggiunse il gruppo mandando giù per le fauci il malcapitato spuntino che ancora batteva le ali. Fu il giovane Passolieve a parlare per primo, com'è usanza tra i felini, affinché i membri più esperti possano valutare e all'occorrenza guidare le reclute verso schemi mentali più saggi.

«Miei cari compagni, credo già conosciate il motivo che ci vede qui riuniti. Il ciclo regolare è stato misteriosamente corrotto per ragioni che ancora ci sfuggono».

«C'è qualcosa di potente che trattiene gli umani all'interno delle tane», aggiunse freneticamente Athena, «ma non è poi così sconosciuta: ritengo che l'ipnotizzatore sia il colpevole primario del lassismo che ha preso il controllo dei sapiens».

«La situazione è preoccupante. I nostri beneamati rischiano di disimparare le arti della caccia e lasciarsi andare all'indolenza, e sappiamo bene quanto essi, a differenza nostra, siano poco avvezzi alla ricerca del giusto equilibrio tra riposo e attività. La loro salute ne viene così facilmente indebolita che potrebbero non recuperarla».

A capo chino ed espressione costernata, Micia si unì alla discussione:

«Ho tentato diverse vie perché i miei fedeli vassalli recuperassero le abitudini che si convengono a un eletto, ma con lo sfasamento del ciclo regolare non sono più in grado di ripartire le mie energie tra tutti i miei adepti. Temo che dovrò rinunciare al mio incarico di guida spirituale in assenza di una risoluzione che riporti le cose al loro ordine prestabilito».

Un miagolio di contrito stupore si levò all'unisono dal gruppo. La matrona continuò:

«Nessuno dei miei ha lasciato la tana se non per brevi spiragli di tempo durante le ultime due lune. I due capibranco si scontrano più spesso del solito, i cuccioli sono irrequieti e domandano a gran voce di poter visitare il grande mondo, ma finiscono confinati sui camminamenti blindati. La tana è sempre più carica di irascibilità e tensioni. C'è qualcosa al di fuori, qualcosa che riesce a sfuggirci, ma che gli umani temono».

«È l'ipnotizzatore vi dico! Ha ormai così tanto plasmato le menti dei nostri affidati che essi non riescono più a resistergli! Non importa quanto ci impegniamo, sono ormai sottomessi al suo volere e pagheranno con il proprio benessere». Bellissima e nevrotica, il connubio assassino che permetteva ad Athena di instillare in chiunque la circondasse un senso di attrazione e desiderio di protezione allo stesso tempo; così in maniera innata le riusciva di reclamare per sé ogni attenzione di chiunque si cimentasse nell'impresa di circuirla. Stavolta, però, le sue paranoie erano dettate da un rischio ben tangibile.

«Sarebbe un fallimento per l'intera società felina», concluse Passolieve, facendo piombare il silenzio nel mondo di fianco, ogni altro pensiero soffocato dal sudario che crollando aveva scoperto la più amara delle constatazioni.

Dopo esser rimasto in silenzio per tutto il tempo, Anubis emerse dal suo cono d'ombra piantando le iridi di ghiaccio proprio negli occhi del povero Passolieve:

«Siete fuori strada, miei fidi compagni», sussurrò facendo sibilare la lingua tra due zanne serpentine che emergevano dalle grinze del muso, «L'ipnotizzatore è indubbiamente parte del problema, ma esso non è che il mezzo. C'è una cospirazione molto più antica, architettata secoli or sono e dipanatasi in maniera subdola con la storia. Dietro questa congiura c'è il nostro nemico primordiale, che mai ha perdonato alla gloriosa stirpe felina il fatto di aver ammaliato gli umani fino ad assurgere al ruolo di precettrice».

Che Anubis non vedesse di buon occhio i canidi era cosa nota. Sul suo elenco delle emanazioni da eliminare da questo piano dell'esistenza, questi erano sul podio sin da quando Baffetto avesse memoria, subito dopo l'elusivo demonietto rosso sul muro, ma prima del cibo essiccato quando diviene stantio. Baffetto, a dire il vero, non condivideva appieno l'atteggiamento del suo collega dalla pelle cerea, ma in tale occasione pensò che valesse la pena ascoltarlo. Del resto Anubis era un abile scopritore di cospirazioni: fu grazie a lui che i gatti dell'alveare vennero a conoscenza della grande alleanza alata che nottetempo impiastrava di guano i terrazzamenti della comunità, cosa che generò una faida giammai risolta nella quale ora l'una ora l'altra fazione guadagnava territorio. Quanto all'ipotesi che il portale elevatore fosse in realtà un mutaforma che si nutriva della vita di chi vi entrasse, Baffetto stava ancora traendo le sue conclusioni.

Questa volta, però, Anubis si dimostrò più convinto e più fantasioso del solito.

«Pensateci», continuò con fare sibillino, «i nostri protetti sono sotto lo scacco degli ipnotizzatori, impossibilitati ad allontanarsi dalle tane, mentre i loro... li avete osservati? Si addestrano su base quotidiana sempre accompagnati da quei disgustosi insaccati ricoperti di pulci. Persino l'aria è più tersa del solito, ci avete fatto caso? Il Tartaro dei mostri di metallo si è acquietato. L'intento è chiaro: minare la salute dei nostri adepti per derubarci del ruolo di maestri che per natura ci spetta. Rancorosi barili di bava e baccano, non hanno atteso altro che questo momento per millenni».

L'intero gruppo era rimasto in silenzio alle parole del formidabile cacciatore, che ora stava con la schiena curva e il muso ancora spalancato a mostrar le zanne neanche avesse voluto saltare alla gola di un nemico da un momento all'altro. Athena appariva insieme confusa e rapita: evidentemente lieta che la sua ipotesi fosse stata in qualche modo integrata nella teoria di Anubis, era chiaro che non fosse ancora del tutto convinta.

«Fildiluna, hai notato qualcosa che potrebbe tener fede alla teoria del nostro compagno?»

La richiesta reclamò l'attenzione di Baffetto, che fino a quel momento aveva osservato la scena in silenzio, schiaffeggiando l'aria con la coda e soppesando le ipotesi avanzate dagli altri. Che i cani avessero pazienza era pur disposto ad ammetterlo, ma una tale abilità strategica gli pareva sovrastimata, considerando che questa risiedeva per la maggior parte nei geni del maestoso lupo, cui essi avevano rinunciato il giorno in cui si erano lasciati addomesticare. Ogni gatto nel pieno delle sue facoltà è ben consapevole che i cani son esseri inferiori, ma fondamentalmente innocui. Che questa sottostima del nemico fosse stata nel lungo termine un'imperdonabile ingenuità che di lì a poco avrebbe scatenato le sue conseguenze?

Quattro paia di occhi erano ora puntati su di lui, in cerca di una risposta. La tana di Gnawrawr, in effetti, era la più prossima al Tartaro dei mostri di metallo, landa entro la quale gli umani si avventuravano per cacciare o addestrarsi, spesso accompagnati da canidi in catene.
Leggende raccontavano che i canidi non potessero espletare i propri bisogni nelle fosse di insabbiamento, e che fossero stati condannati a farlo soltanto lungo gli instradamenti tartarei sotto la supervisione del proprio umano. Anubis riteneva che i loro escrementi potessero tener lontani i mostri di metallo, tuttavia la veridicità di questo corollario era ancora dibattuta all'interno della comunità felina.

Dopo qualche momento di riflessione, Baffetto si trovò ad ammettere che, nelle ultime due lune, il traffico di umani che dall'alveare si inoltrava oltre i sicuri confini era sì calato, ma anche che gli individui che si recavano all'esterno erano quasi sempre accompagnati da cani. Molto più del solito, in effetti.

Questa osservazione avallava, seppure in maniera collaterale, la teoria di Anubis. Paradossalmente, poiché il numero di mostri di ferro che infestavano l'esterno era altresì precipitato, sembrava andare a supporto anche dell'ipotesi delle deiezioni scudo, ma nessuno della consulta sembrò voler riportare sul tavolo la questione. C'era già abbastanza materiale da essere sinceramente preoccupati.

Anubis aveva davvero ragione? I cani stavano per spodestare i felini dal loro millenario ruolo di depositari di saggezza e saper vivere reclamando per sé soli l'affetto incondizionato dei sapiens?

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