L'annosa questione del ciclo corrotto - II

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I membri del Comitato si guardarono l'un l'altro in cerca di un'idea. L'ipotesi in ballo era plausibile, ma era necessario agire con prudenza. Il giovane Passolieve tradiva nelle movenze una malcelata paura, ma la risolutezza del suo sguardo lasciava intendere che avrebbe fatto tutto ciò che avesse ritenuto necessario. Micia lo rabbonì lisciandogli il pelo, gesto al quale l'inesperto compagno reagì dapprima con un rapido irrigidimento, per poi lasciarsi tranquillizzare. Athena, pur nelle sue ipocondrie, sembrava ben consapevole del fatto che nessuno avrebbe mai permesso che le accadesse nulla di male, e sedeva impettita con la coda che le abbracciava le zampe in una voluta di pelo dai disegni marmorei che volteggiava ritmicamente. Anubis, con lo sguardo di ghiaccio che già adocchiava un secondo stuzzichino volante, si leccava il muso rugoso lucidando i bianchissimi canini.

Ripreso il controllo dei nervi, Passolieve riportò tutti alla realtà:

«Compagni, se l'ipotesi di perdere il nostro seggio di istruttori al fianco degli umani che tanto amiamo è reale, dobbiamo trovare il modo di invertire il processo innescato da quegli insulsi quadrupedi. Ma non possiamo far nulla senza prima comprendere in che modo stanno operando. I nostri ancestrali nemici sono uniti, questo è vero, ma dubito siano stati in grado di elaborare e portare avanti un piano così ben congegnato. Qualcuno starà manovrando le operazioni, un burattinaio scaltro, mosso da un sentimento di comunità verso i canidi, nonché da un'inesplicabile antipatia nei nostri confronti».

Non lui, pensò Baffetto.

Esisteva, in effetti, una persona che rispondeva a tali requisiti: Hasss. Si trattava di un decano umano dall'andatura dinoccolata, a causa della quale camminava sostenendosi con un bastone che a ogni passo sembrava sul punto di cedere e farlo rovinare al suolo. Da che Baffetto avesse memoria, era sempre stato un individuo anziano, il cui umore si risolveva quotidianamente in un costante odio nei confronti del mondo, della vita e ─ soprattutto ─ dei gatti. Altro dettaglio che il grazioso felide cercava di confinare nell'angolino più recondito della propria mente era il fatto che la sua tana fosse pressoché contigua a quella di Gnawrawr: pochi metri separavano la grande muraglia che cingeva il mondo di fuori da quella a protezione della corte di Hasss. Tuttavia, pur essendo convinto che, se da esoterica creatura ne avesse desiderato ardentemente la sparizione, essa si sarebbe dissolta in etere per venir rimpiazzata da una stazione di addestramento, Baffetto aveva scelto di concedere al decano di continuare la sua esistenza su questo piano. La misericordia è pur sempre una connotazione che si confà a un essere superiore.

«Sarà necessario accertarsi che Hasss sia davvero la mente dietro questa congiura. Fildiluna, la tua tana è la più vicina a quella del decano: tienila d'occhio», lo istruì Micia, ponendo fine alla riunione.

Fu così che Baffetto trascorse i tre giorni successivi in uno stato di costante allerta: tenne gli occhi fissi sul territorio del deprecabile Hasss, appuntando mentalmente ogni stramberia che gli sembrasse ingiustificata. Più ingiustificata del solito almeno. Appostamenti diurni, interrotti soltanto da qualche misero sonnellino, e ambasciate notturne per informare la consulta dei dettagli rilevati: un programma massacrante per una creatura crepuscolare bisognosa del giusto riposo. Ma, con la salute degli umani in gioco, era il caso di metter da parte ogni egoismo.

Qualcosa di interessante, in effetti, venne fuori: il vecchio Hasss aveva anch'egli perduto l'abitudine di avventurarsi nel Tartaro, e restava barricato nella tana esattamente come Gnawrawr. Ma c'era dell'altro. Un insolito andirivieni di umani aveva preso a frequentare la tana del decano. Uno per volta si recavano a visitarlo prima di rientrare nell'alveare. Sì, era decisamente qualcosa che valesse la pena indagare. Soddisfatto dei dati raccolti durante i suoi appostamenti, Baffetto convocò nuovamente il Comitato: si rendeva necessario andare più a fondo.

«Miei affezionati compagni, i nostri sospetti sembrerebbero fondati», esordì Passolieve, «Il vecchio Hasss potrebbe essere coinvolto nella congiura ordita ai nostri danni da parte dei cani. Trattandosi del decano dell'alveare, nonché di un nemico dichiarato di noi felini, Hasss avrà certamente trovato il modo di manipolare i suoi simili attraverso gli ipnotizzatori. Tuttavia c'è qualcosa che non torna. Pur essendo un avversario della nostra specie, egli non sembra aver beneficiato del risultato raggiunto. Dunque, cosa ci ha guadagnato? Compagni, è il momento di scendere in campo. Potrebbe costarci molto, ma la reputazione della nostra specie e il benessere dei nostri beneamati protetti sono un motivo valido abbastanza per agire».

Baffetto inspirò profondamente, preparandosi a pronunciare una sentenza che sapeva gli si sarebbe in un secondo momento ritorta contro.

«Per infiltrarci in osservazione della tana di Hasss, avremo bisogno dell'aiuto di Lord Winchester».

«Non v'è dubbio, Fildiluna. Col vostro permesso, mi recherò immantinente presso la sua tana per condurlo qui», asserì Passolieve poco prima di dileguarsi.

Lord Winchester era uno dei motivi per i quali la razza felina non godeva ancora sulla Terra del prestigio che si confarebbe alle sue doti, un incidente di percorso che sembrava racchiudere in sé caratteristiche che lo rendevano tanto un adorabile intrattenitore per gli umani quanto un avvilente caso perso per i suoi simili. Un esemplare di rara idiozia, in poche parole. A tal proposito, quasi a volerne marchiare l'infamia, nessuno del Comitato si era preso carico di conferirgli un titolo più decoroso rispetto a quello scelto per lui dal suo umano. Così gli era rimasto l'appellativo di Lord, apprezzato dalla comunità dei Sapiens ma deprecabile tra i gatti, i quali son ben consapevoli che qualunque attributo ad essi adeguato è gerarchicamente lontano da tutto quanto ricopra valore secondo i canoni umani.

Apparve al fianco di Passolieve guardandosi intorno con quei suoi occhi da gufo allibito e il pelo d'un colore indefinito tra il grigio e il marrone sparato in ogni direzione. Stavolta si era presentato con un materiale vischioso impigliato al manto che all'olfatto ricordava vagamente una fragola ma con qualcosa di assolutamente innaturale e fuori luogo. Il sapiente Winchester aveva evidentemente provato a leccarlo via, col risultato di attorcigliarlo in affilati aghi di porcospino che gli ornavano il fianco destro di spunzoni.

L'idea di avere Lord Winchester come compagno di missione non era certo d'aiuto per alleviare le tensioni che da settimane pesavano sul cuore di Baffetto, ma se non altro il ruolo del beota non richiedeva particolari abilità intellettive: tutto quello che doveva fare era resistere alla bestia lorda.

Da perfetto sciagurato quale era, il vecchio Hasss si accompagnava spesso a una cagnona obesa e indolente nel cui sangue si mescolavano le più infime origini. Questa belva, la cui grettitudine era pari solo alla produzione di bava che le colava continuamente dal grugno, alla sola parola 'gatto' scattava sull'attenti e prendeva a esibirsi in una sinfonia di latrati degni di un simposio di licantropi, facendo saltare la copertura a tutti i felini nei dintorni, che inevitabilmente a tal segnale fuggivano e riparavano altrove. Tutti tranne Winchester. A differenza dei suoi colleghi, egli riusciva in tali occasioni a non lasciarsi allarmare dal fracasso della cagna e restare nella sua posizione senza scomporsi, forse per indomito coraggio, ma più probabilmente per altrettanto indomita stupidità.

Il piano era semplice: Winchester si sarebbe posizionato su uno stallo abbastanza alto da assicurargli la salvezza e avrebbe fatto da esca attirando le attenzioni della bestia lorda, mentre Baffetto e Anubis si occupavano di pedinare Hasss e raccogliere informazioni. Si trattava di una missione delicata: giammai i membri del Concilio si erano addentrati così a fondo nel territorio del decano, ma la straordinarietà della situazione imponeva misure drastiche.

I tre, quindi, attraversate le sterpaglie del mondo di fianco, si portarono ai piedi della muraglia che delimitava il territorio di caccia della bestia lorda, dalla parte opposta rispetto al mondo di fuori. Se non altro, seguire altri gatti senza far questioni era un'abilità in cui persino Lord Winchester eccelleva. Baffetto si fece coraggio, balzò sulla cima della muraglia e osservò. La bestia lorda non era in vista, probabilmente si stava intrattenendo all'interno della tana, dalla quale proveniva un vociare indistinto maledettamente forte, ma distorto abbastanza da non essere del tutto umano: doveva sicuramente trattarsi di un ipnotizzatore, il più potente dell'alveare a giudicare dal volume del suono che ne veniva fuori. Tutto tornava.

Dalla muraglia era possibile raggiungere una nicchia scavata nel muro che ospitava una finestrella di vetro lavorato. Era abbastanza in alto da risultare al di fuori della portata dell'odiosa cagna, e per di più non veniva quasi mai aperta, dettaglio che scongiurava l'arrivo di brutte sorprese dall'interno. Anubis fece cenno a Lord Winchester di seguirlo, per poi guidarlo fin sulla nicchia, dove quest'ultimo si installò impavidamente come la figurina di un martire col fianco punzonato di frecce. In poco tempo Baffetto e Anubis percorsero l'intero perimetro della muraglia e si acquattarono dalla parte opposta facendo cenno a Winchester di cominciare ad attirare l'attenzione.

Quegli non sembrò cogliere il segnale e, coi suoi occhi di plastica gialla rimase impassibile in ascetica contemplazione di chissà quale vento soffiasse attraverso la sterminata vacuità dei suoi pensieri.

«Malfidato d'un beota!», declamò Anubis raddoppiando di numero le grinze che gli decoravano il viso, «Un po' di rumore, basta poco, per le zanne di Ammit!»

Il felide dalla pelle glabra prese quindi a soffiare per far segno alla sua speculare controparte di miagolare, questuare, muoversi, far qualcosa insomma. Ma quello non volle ravvedersi dalla sua estasi psicostatica se non per acconciarsi con un paio di colpi di lingua gli spuntoni appiccicaticci ormai impiastrati di terra e poi tornare nella sua posizione.

«Che il Duat ti disperda, inaffidabile malavventurato! Fildiluna, da questo momento sei da solo».

Anubis concluse appena la frase che saltò giù in pieno territorio nemico e, direttosi a testa bassa verso l'uscio della tana, prese a graffiarne il telaio lasciando andare il suo miglior grido di guerra, un'esibizione che Baffetto raramente aveva avuto occasione di osservare da un seggio tanto ravvicinato.

La risposta non tardò ad arrivare: i passi malfermi di Hasss si fecero vicini, il portale si spalancò e finalmente la creatura infernale scese in campo dando il via al suo teatro di straziante disfonia canina. Rapido come una saetta, Anubis sparì oltre la muraglia, avendo cura di rovesciare un gruppo di tavole polverose che si schiantarono proprio sotto la nicchia entro la quale Winchester troneggiava sul mondo dei vivi. Adesso fissava in attonito stupore la disfatta delle assi, decedute in un fragore di caligine sull'erba spelacchiata. Fu abbastanza perché la bestia lorda si accorgesse di lui: con le zampe divaricate e saldamente piantate a terra, prese ad abbaiare a ritmo ipnotico e incessante contro il felino che, da indomito eroe, restava impassibile nella sua edicola di pietra. Era il momento di agire.

Baffetto, stordito dall'incessante carnevale di quella bestia immonda, col pelo arruffato e la coda gonfia si diresse verso l'uscio. Novello Ulisse nelle acque infestate dalle sirene, col sangue che gli si raggelava nelle vene fece appello a tutta la sua forza d'animo per addentrarsi in assoluto silenzio nella tana del decano. Al concerto di blasfemie che gli martellava i timpani si aggiunse un tanfo di polvere e legno tarlato. Ogni elemento nei suoi dintorni sembrava vecchio e stantio. Baffetto si spinse nella sala principale, ove il vecchio si trovava. Una mensa, un paio di sedie, un'alcova che il decano stava malamente acconciando, l'ipnotizzatore a chiave del mistero e una poltrona dal tessuto liso di un colore indistinto facevano da arredamento. Quest'ultima era abbastanza bassa da celare a un occhio umano qualunque cosa vi si trovasse al di sotto. Gli parve un sipario abbastanza sicuro oltre il quale appostarsi. Appena in tempo, poiché il vecchio, visibilmente infastidito dalle imprecazioni in lingua dannata della furia ululante all'esterno, si alzò per chiudere la porta d'ingresso, quindi si portò a una spanna dall'insospettato ospite, sistemandosi sulla poltrona.

Sentendo sulla testa il peso del decano che sprofondava nel tessuto consunto, Baffetto si raccolse nei suoi pensieri: qualunque cosa fosse accaduta da quel momento in poi, sarebbe stato ricordato come un eroe. Restava da scoprire se la canzone da lui ispirata sarebbe stata una ballata dedicatagli negli anni a venire, o un memoriale del giorno in cui la stirpe felina pagò il prezzo d'una guerra il cui nemico era stato sottostimato. Con il frastuono dell'esterno ovattato dalle pareti della tana, Baffetto riuscì finalmente a ricomporre il manto e posizionarsi in attesa. L'ipnotizzatore continuava a emanare i suoi lezzi mortali calamitando l'attenzione di Hasss, che però non sembrò indulgere in alcuna attività che lasciasse sospettare illeciti traffici da parte sua. Tuttavia il felino era certo che qualcosa sarebbe accaduto se avesse aspettato abbastanza. Soprattutto se Winchester avesse resistito abbastanza, cosa della quale non poteva dirsi altrettanto sicuro.

Cantilene e colori innaturali si susseguirono per un tempo che gli parve interminabile; un paio di volte si sorprese a sonnecchiare di lande sconfinate ove poltrire al sicuro da ogni minaccia, ma fu abbastanza certo che nulla fosse accaduto nel frattempo. Inoltre il proseguire del concerto di fuori gli suggerì che non molto tempo fosse trascorso. Finalmente il tanto atteso qualcosa accadde: qualcuno era all'uscio. Hasss si diresse verso l'ignoto visitatore. Era il momento di concentrarsi.

«Fai silenzio, perdio!», gridò il vecchio, e subito l'ira della bestia si placò. Un'umana seguì Hasss all'interno, trasportando una grossa sporta. Baffetto la riconobbe: apparteneva al clan dei cinofili e l'aveva vista svariate volte dirigersi verso il Tartaro con il suo indegno compare. Questa volta aveva il muso coperto da una strana schermatura bianca, probabilmente per non farsi riconoscere, ma nessun camuffamento può ingannare l'olfatto di un felino. I due si sistemarono nei pressi della mensa, sulla quale lei poggiò la sporta, rivelandone finalmente il contenuto: cibarie! I seguaci dei cani tributavano offerte di cibarie al decano! Ecco qual era il tornaconto. Era lui il capo della congiura, Anubis aveva ragione!

Eccitato per questa rivelazione, Baffetto si sentì incontrollabilmente su di giri, entusiasmo che lo espose più del dovuto: una mela sfuggita al controllo dell'umana, che cercava di catalogare le cibarie sulla mensa, rotolò fino al suo covo. Colto di sorpresa, il micio soffiò tutta l'aria che aveva nei polmoni, quindi schizzò fuori dal suo nascondiglio e dalla tana, precipitandosi in cima alla muraglia per poi dileguarsi. Col cuore che gli batteva all'impazzata non si rese conto di aver lasciato qualcosa alle sue spalle. Lord Winchester! Non sarebbe stato certo capace di cavarsi d'impiccio da solo!

Conscio del pericolo, ma mosso da autentico cameratismo, Baffetto tornò sui suoi passi per recuperare il compagno. Quando fu nuovamente in cima alla muraglia, però, gli si parò davanti una scena inaspettatamente grottesca.

Winchester era immobile nel suo loculo e in composto silenzio teneva gli occhi fissi sulla bestia lorda. La bestia lorda era seduta davanti al cimitero di assi distese sotto la nicchia e non distoglieva lo sguardo dal silente felino, anche lei senza muoversi né proferir latrato. Nessuno dei due sembrava intenzionato a modificar nulla dell'insolito quadretto, e così restavano in reciproca intesa a scambiarsi chissà quali ineffabili ambasciate.

Forse che quel giorno più d'un mistero sarebbe stato risolto? Forse che Lord Winchester, in virtù della sua cretineria, avesse sviluppato l'abilità di farsi obbedire dai cani? No, non era il momento di distogliersi dalla missione. Dopo una bella scrollata, Baffetto richiamò il fedifrago all'ordine, facendogli segno di seguirlo.

Lasciatosi alle spalle il territorio nemico e raggiunte le lande del mondo di fianco, Baffetto tirò finalmente un agognato sospiro di sollievo. Micia emerse da un cespuglio come non vedesse l'ora di portare il concilio al cospetto dei due eroi. Doveva averli tenuti sotto osservazione per tutto il tempo per assicurarsi che non si cacciassero nei guai. Si rivolse prima a Winchester, quindi a Baffetto:

«Ce l'hai fatta a evadere dal quel pertugio ove ti eri insediato. E tu, Fildiluna, sei riuscito a raccogliere informazioni utili per la nostra causa?»

Baffetto esordì con un profondo sospiro.

«Mia cara compagna, i nostri sospetti erano fondati. Abbiamo conferma che il decano Hasss è a capo della grande congiura ai danni della nostra comunità. Oltre ad essere gli unici ad avere accesso alle lande tartaree, i compagni di cani gli offrono regolarmente in dono cibo e vettovaglie da quando il rituale che ha corrotto il ciclo regolare si è compiuto».

Un profondo sospiro si levò dalla scorata felina, che non trovava alcuna felicità nella notizia di non essersi sbagliata.

«Loro non c'entrano», sospirò Winchester.

Più sorpreso di sentirlo esprimersi che di quanto egli avesse effettivamente comunicato, Baffetto gli piantò sul muso il suo più riuscito sguardo interrogatorio.

«Loro non sanno e sono stanchi».

«Chi? I cani?»

«Loro sono stanchi, non vogliono».

Dalla recinzione del mondo di fianco videro passare un umano in addestramento con il suo canide al seguito. In effetti... osservandolo non poterono fare a meno di notare il passo pesante e la lingua penzoloni che come un drappo rosaceo e sbavante gli agghindava il muso pulcioso. Supplicante e visibilmente affaticato: no, decisamente non era lui l'addestratore in quel contesto.

Dunque i cani non c'entravano: il patto millenario tra umani e gatti non era in pericolo. Rientrando alla tana, Baffetto si sentiva meravigliosamente sollevato, sebbene molti interrogativi restassero irrisolti.

Perché, dunque, il ciclo regolare si era interrotto? Cosa impediva agli umani di lasciare le tane? Perché d'un tratto gli abitanti dell'alveare tributavano doni al decano?

Il tocco delle dita di Gnawrawr lo distolse dai suoi pensieri. Dopo una giornata trascorsa altrove, Baffetto ricordò quanto amava lasciarsi coccolare dal suo protetto: una carezza, poi un bocconcino, poi una carezza ancora. Gnawrawr sedette accanto alla finestra lasciando che il suo fido mentore gli si accoccolasse in grembo; ritmicamente, come in un infinito moto di onde, prese a carezzargli la schiena. Baffetto si lasciò andare a una sommessa armonia di fusa la cui cadenza pareva seguire la mano del suo umano. In quel ritrovato angolo di familiarità, la sua mente affollata si placò.

Chissà come mai gli umani non lasciavano le tane. Ma in fondo era davvero così importante scoprire perché, se Gnawrawr era lì, grato e felice di averlo come compagno?

E chissà, forse anche Winchester tanto stolido non era. Forse.

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