Appendicite

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 La mattina è grigia, come se il cielo stesso conoscesse la tempesta che si sta scatenando dentro di me. Da una settimana Clarke ha la febbre. Una febbre ostinata, come se volesse dimostrarle quanto sia fragile il nostro equilibrio. Ho cercato di convincerla a farsi visitare prima, ma lei, testarda quanto un mulo, ha sempre risposto con un sorriso debole e un "andrà tutto bene".

Oggi, però, ho deciso io. Non posso più restare a guardare mentre la malattia la consuma. Non posso più fingere che tutto sia sotto controllo quando so benissimo di essere impotente di fronte alla sua sofferenza. Così, nonostante le sue proteste, la sollevo delicatamente dal letto e la porto al pronto soccorso.

L'odore pungente degli ospedali mi assale non appena varco la soglia. Clarke stringe la mia mano con forza, come se temesse di perdersi in quel labirinto di corridoi e stanze bianche.

«Stai tranquilla, Clarke. Starai bene, te lo prometto».

Dico cercando di trasmetterle n po' di sicurezza.

Lei mi guarda con occhi affaticati, ma accetta il mio gesto di conforto con un debole sorriso.

Dopo una serie di esami e attese interminabili, finalmente la verità emerge. Clarke ha l'appendicite. Il dottore parla di urgenza, di intervento immediato. Il mio cuore si stringe nell'udire quelle parole. Non posso permettere che le succeda qualcosa. Non posso.

Le do un bacio leggero sui capelli prima di correre ad avvisare Abby e gli altri.

Mando un messaggio sul gruppo di Whatsapp.

Ragazzi, Clarke è in ospedale. Ha l'appendicite e domani sarà operata. Sto cercando di mantenere il morale alto, ma non è facile. Vi terrò aggiornati.

Poi prendo il telefono e chiamo Abby. La sua voce al telefono è fredda, distante.

«Abby, sono Bellamy. Clarke è in ospedale. Ha bisogno di te».

C'è un momento di silenzio prima che lei risponda, con un tono che non nasconde affatto il suo fastidio.

«Perché mi stai chiamando, Bellamy?»

Non rispondo alle sue parole taglienti. So che non c'è amore perso tra di loro, soprattutto dopo che Abby si è risposata con Marcus. Ma Clarke ha bisogno di lei, e non posso permettere che il loro orgoglio metta a rischio la sua salute.

«Abby, per favore. Vi prego, venite».

Non appena chiudo la chiamata, il peso della tensione mi schiaccia contro il petto. Ma non ho tempo per lasciarmi andare al panico. Clarke ha bisogno di me. E io non la lascerò sola.

Torno da Clarke, il cuore ancora pesante. La trovo distesa sul letto, una flebo di antibiotico infilata nel braccio.

«Come stai?»

Chiedo, cercando di nascondere la mia ansia dietro un tono leggero.

«Stanca».

Risponde lei con voce fioca, ma riesco a cogliere un barlume di sorriso nei suoi occhi.

Mi siedo accanto a lei, prendendo la sua mano tra le mie. Resto lì, immobile, mentre il tempo sembra fermarsi intorno a noi.

Poi, un rumore all'ingresso della stanza. Octavia, Raven, Murphy, Monty e Miller entrano, con sguardi carichi di preoccupazione e affetto.

«Come sta Clarke?»

Chiede Octavia, guardandomi fisso negli occhi.

«Sta riposando».

Rispondo, cercando di mantenere la calma nonostante il mio cuore stia battendo a mille.

Il giorno successivo è un'agonia. Aspettiamo nella sala d'attesa, stringendoci l'un l'altro in un silenzio carico di tensione. Quando finalmente il medico appare, sento il cuore battere così forte che temo possa rompersi.

«L'operazione è andata bene, Clarke sta riposando. Presto si sveglierà».

Respiriamo tutti un sospiro di sollievo.

«Posso restare qui questa notte?»

«Certamente».

E così, mentre la notte avvolge l'ospedale nel suo manto scuro, mi accoccolo su una sedia accanto al letto di Clarke, stringendo la sua mano tra le mie. Resto lì, vegliando il suo sonno, nella speranza che presto possa guarire e tornare a illuminare la mia vita con il suo sorriso.  

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