Incidente

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 Il sole brilla alto nel cielo mentre Raven e io ci avventuriamo tra i negozi, la mia migliore amica al mio fianco. È una di quelle giornate tranquille, fatte di chiacchiere frivole e risate, che spezzano la monotonia della routine quotidiana. Le borse pesanti penzolano dai nostri polsi mentre ci divertiamo a cercare l'affare migliore.

Poi, improvvisamente, il mio telefono squilla. È Octavia. Nessun presagio sinistro accompagna quella chiamata, ma quando sento la sua voce tremante, il mio cuore si stringe d'impulso.

«Clarke».

Dice.

«È successo un incidente. Bellamy è in ospedale».

Senza perdere altro tempo, Raven afferra le chiavi della mia macchina e mi trascina fuori dal negozio. Insieme sfrecciamo verso l'ospedale, il motore ruggisce sotto di noi come un eco della tempesta che si sta scatenando dentro di me.

Arriviamo e trovo Octavia seduta su una sedia di ferro, le mani strette intorno alle gambe, lo sguardo perso nell'infinito. Il cuore mi si stringe nel vederla così, una statua di dolore in mezzo a un corridoio deserto.

Mi avvicino a lei, le mie gambe tremanti mi reggono a malapena.

«Octavia».

Sussurro, ma le parole si perdono nel vuoto.

Poi, finalmente, il chirurgo appare dalla sala operatoria, il suo volto esausto ma sereno.

«L'operazione è andata bene».

Annuncia, le sue parole come un raggio di luce nella tempesta.

«Bellamy ha bisogno di riposo, ma sarà tutto apposto».

Un sospiro di sollievo si solleva da tutte le mie spalle. Raven mi stringe la mano con forza, condividendo il mio sollievo mutato in pianto.

Entro nella stanza, il cuore in gola. Bellamy giace sul letto, pallido e fragile come una foglia d'autunno. Mi siedo accanto a lui, prendendo la sua mano tra le mie.

«Bellamy».

Sussurro, la voce rotta dall'emozione.

«Devi svegliarti. Non puoi lasciarmi sola, non ora».

Le mie lacrime cadono silenziose sul suo viso, bagnandolo di speranza e paura. Non ho mai creduto alla forza delle preghiere, ma in quel momento le invio tutte le mie, implorando che lui si risvegli e torni da me.

Poi, sento una mano accarezzarmi i capelli, una carezza leggera e familiare. Alzo lo sguardo e vedo i suoi occhi, lucidi di lacrime e amore.

«Clarke».

Mormora, la sua voce un sussurro nella notte.  

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