Il cancro

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Bellamy

Le settimane passate sono state un incubo per me. La tosse persistente, accompagnata da quel sapore ferroso di sangue che si insinua in bocca, è diventata un'ombra costante nella mia vita. Ma ho cercato di nascondere tutto a Clarke, di non preoccuparla più di quanto già non fosse.

Questa mattina, però, non ho potuto più ignorare la realtà. Ho preso la decisione di vedere un medico, senza dire una parola a Clarke. Non volevo spaventarla prima di sapere cosa mi aspettava. Ma ora, mentre aspetto il verdetto del dottore, il mio stomaco è un nodo di nervi e paura.

La voce del medico mi arriva come un fulmine a ciel sereno: cancro. Una parola che pesa sulle mie spalle come una montagna. Il mondo sembra crollare intorno a me, e sento il terreno sotto i miei piedi sgretolarsi. Come posso dirlo a Clarke? Come posso dirle che il tempo che mi rimane è contato, e che non posso prometterle nulla per il futuro, soprattutto ora che è incinta di quattro mesi?

«Mi dispiace, signor Blake».

Dice il dottore con voce solenne.

«Ma i risultati degli esami confermano i nostri timori. È un cancro polmonare in fase avanzata».

Il mio respiro si fa più pesante, il cuore batte come un tamburo impazzito nel petto.

«Quanto tempo ho?»

Chiedo a malincuore, temendo la risposta.

Il dottore sospiro, evitando il mio sguardo.

«Dagli esami, direi che non possiamo parlare di molto tempo, signor Blake».

Torno a casa con il cuore pesante, cercando di trovare le parole giuste per dirle. La trovo nel suo studio, assorta nella pittura di un quadro. Mi avvicino silenziosamente, avvolgendola con le mie braccia da dietro e posando una mano tremante sul suo pancino. Lei si gira sorpresa, ma legge la mia espressione e il suo sorriso si spegne.

«Senti, dobbiamo parlare».

Sussurro, cercando di mantenere la voce ferma nonostante l'emozione che mi stringe la gola.

Clarke annuisce, gli occhi colmi di preoccupazione.

«Sono qui, Bellamy. Sono qui per te».

Scuoto la testa, prendendo fiato prima di proseguire.

«Siediti sul divano, per favore».

Le chiedo indicando il comodo divano nel salotto.

Ci sediamo entrambi, e prendo il coraggio necessario per pronunciare quelle parole che tanto ho temuto.

«Ho il cancro Clarke».

Dico piano, guardandola dritta negli occhi.

«E non mi resta molto da vivere».

Il suo viso si contrae in un'espressione di terrore misto a dolore.

«No».

Mormora, le lacrime che iniziano a riempirle gli occhi.

Clarke

Le mie lacrime scorrono senza sosta mentre mi abbandono al conforto delle braccia di Bellamy. È come se il mondo intero crollasse su di me, ma lui è lì, forte e protettivo, come sempre. La sua presenza è un faro di speranza nel buio che mi circonda.

Resto con la testa appoggiata sul suo petto, cercando di assorbire il calore del suo corpo, il battito del suo cuore che continua a pulsare nonostante tutto. Ma so che non posso rimanere così, inerme e spezzata. Devo essere forte, per entrambi.

Mi stacco da lui, cercando il suo sguardo mentre le mie parole risuonano nell'aria carica di tensione.

«Andrà tutto bene, Bellamy».

Dico con fermezza, anche se il timore mi stringe alla gola.

«Tu sei forte, noi siamo forti. Combatteremo questa battaglia insieme, contro il cancro che osa sfidarci. E poi, tra cinque mesi, saremo genitori. Tu devi esserci al mio fianco, per vedere nostro figlio nascere, per vivere ogni momento di questa nuova avventura insieme a me».

Il bacio di Bellamy sulla mia fronte è come un'ultima carezza, un addio muto, un saluto silenzioso. Riesco a percepire il suo amore in quell'atto semplice ma carico di significato. È come se volesse rassicurarmi anche senza parole, anche se so che il peso della malattia lo opprime, rendendolo sempre più fragile.

Da quel giorno sono passati due mesi, ma ogni giorno sembra un'eternità di angoscia e di dolore. La sua condizione peggiora giorno dopo giorno, come se il cancro avesse deciso di consumarlo lentamente, divorandolo dall'interno. È doloroso assistere impotenti alla sua lotta, vedere il suo corpo spegnersi poco a poco, mentre la vita si allontana sempre più da noi.

Octavia si è trasferita da noi, per non lasciarmi sola con il peso di questa prova. La sua presenza è un conforto, una spalla su cui piangere, un'anima affranta che condivide il mio dolore. E poi c'è Abby, che ha lasciato tutto per essere qui con noi. La sua esperienza medica è un sostegno prezioso, ma anche il suo amore materno, il suo calore umano, sono una luce nel buio che ci avvolge.

Quella mattina, mentre il sole sorgeva timido all'orizzonte, ho sentito il suo respiro farsi sempre più affannoso. Mi sono avvicinata al suo letto, prendendo la sua mano nella mia, portandola delicatamente sulla mia pancia.

«Riesci a sentire il nostro bambino scalciare?»

Chiedo con voce tremante, sperando di trovare un barlume di conforto in quel gesto.

Bellamy annuisce debolmente, gli occhi vitrei e opachi, la voce appena un sussurro nell'aria carica di dolore.

«Mi dispiace».

Riesce a dire, le sue parole mi squarciano il cuore.

Le lacrime mi offuscano la vista mentre lo guardo, impotente di fronte al destino che ci ha separato così crudelmente. Tento di trattenere il pianto, di mostrarmi forte per lui, ma è come se il dolore mi divorasse dall'interno.

E poi, come un soffio leggero che si dissolve nel vento, se ne va. Poche ore di distanza e Bellamy non c'è più. È come se il mondo intero si fosse fermato, come se il suono della vita si fosse spento improvvisamente, lasciandomi sola in un silenzio assordante.

Sento il mio cuore spezzarsi in mille pezzi, il dolore mi avvolge come un mantello oscuro, soffocante. Mi lascio cullare dal dolore, mentre le lacrime scorrono libere sulle mie guance, come un fiume in piena che non conosce ostacoli.

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