Scontro familiare

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 La luce soffusa del ristorante filtra tra le tende di velluto rosso, creando un'atmosfera che dovrebbe essere intima e rilassante. Eppure, io mi sento tutto tranne che rilassata. La mia gamba trema sotto il tavolo, un tic nervoso che non riesco a controllare, mentre il rumore dei piatti e delle posate che tintinnano contro la ceramica mi sembra assordante.

Bellamy è seduto accanto a me, così vicino che posso sentire il calore della sua mano quando, a tratti, mi sfiora la gamba. Lui ha quel suo solito sguardo sicuro, quello che dovrebbe calmarmi, dirmi che tutto andrà bene. Ma oggi non funziona. Oggi, mi sento come se avessi il mondo intero sulle spalle, e quel mondo ha il volto di mia madre.

Lei è di fronte a me, impeccabile come sempre. I capelli biondi perfettamente acconciati, il vestito elegante che cade fluido, e quel suo sguardo penetrante che non ha mai smesso di farmi sentire come se fossi ancora una ragazzina. L'ultima persona che volevo vedere stasera, eppure eccomi qui, seduta davanti a lei. E tutto questo è colpa di Bellamy.

«È un'ottima occasione per parlare».

Mi aveva detto.

«Magari è il momento giusto per fare pace con tua madre».

E io, stupida, l'ho ascoltato. L'ho ascoltato perché lui riesce sempre a convincermi che, in fondo, potrebbe avere ragione. Ma ora, mentre mia madre mi scruta come se stesse esaminando una delle sue pazienti, so di aver fatto un errore.

«Clarke, come stanno andando gli studi?»

Chiede, interrompendo il silenzio. La sua voce è dolce, ma so che dietro quelle parole c'è un intero arsenale di giudizi pronti a essere sfoderati al minimo accenno di risposta sbagliata.

«Sono... stanno andando bene».

Rispondo, cercando di mantenere un tono neutro. Ma lei non si ferma.

«E cosa pensi di fare dopo? La chirurgia è ancora nei tuoi piani?»

Ed ecco la domanda che temevo. So dove vuole arrivare, so che per lei non c'è altra strada che quella di diventare una brillante chirurga, come lo è stata lei. Come lo è ancora. Ma io... io non sono sicura che sia quello che voglio davvero.

«Penso di restare al pronto soccorso, però».

Rispondo, cercando di sembrare decisa, ma la mia voce tradisce un leggero tremolio.

Vedo il cambiamento nei suoi occhi, il leggero irrigidimento delle labbra.

«Cosa?»

Esclama, con quel tono che è un misto di sorpresa e disappunto.

«E non vuoi diventare una chirurga? Lo sai che ho dei contatti che potrebbero aiutarti a entrare nei migliori programmi».

Eccolo, il solito discorso. I contatti, le opportunità, il prestigio. Come se tutto si riducesse a questo. Ma non per me. Non più.

«No, mamma».

Dico, la voce più ferma di quanto mi aspettassi.

«È una mia decisione, non la tua».

Bellamy, accanto a me, mi sfiora di nuovo la gamba, stavolta con più insistenza, come se volesse calmarmi, farmi sentire che non sono sola. Ma in questo momento vorrei urlargli che è colpa sua se sono qui, che è colpa sua se mi trovo davanti a mia madre che mi fa sentire sbagliata, inadeguata.

Non posso più sopportare questa situazione, questa farsa di una cena che doveva essere un tentativo di riconciliazione e che si sta trasformando in un'altra occasione per mia madre di criticarmi, di farmi sentire come se non fossi mai abbastanza.

«Bellamy».

Sussurro, ma la mia voce è piena di tensione.

«Andiamo a casa?»

Lui esita, come se volesse dire qualcosa, cercare di convincermi a restare ancora un po'.

«Clarke, forse dovremmo...»

«No!»

Lo interrompo, e il mio tono è più duro di quanto avrei voluto.

«Per favore, Bellamy! Andiamo via da qui!»

Mia madre ci guarda, sorpresa e forse anche un po' ferita, ma non riesco a preoccuparmene in questo momento. Tutto ciò che voglio è andarmene, scappare da questo luogo che mi soffoca, da questa conversazione che mi fa sentire così piccola.

Bellamy annuisce, probabilmente capendo che insistere sarebbe inutile. Si alza lentamente e io faccio lo stesso, sentendo le gambe tremare mentre mi allontano dal tavolo. Non riesco neanche a guardare mia madre mentre mi allontano, ho paura che vedrebbe le lacrime che già minacciano di scendere.

Fuori dal ristorante, l'aria fresca mi colpisce come uno schiaffo, ma è esattamente quello di cui ho bisogno. Comincio a camminare, quasi correndo, come se volessi lasciare il più lontano possibile quel posto, quel momento. Bellamy mi segue, non dice nulla, ma so che è preoccupato.

Le lacrime cominciano a scendere silenziosamente, e io non faccio nulla per fermarle.

«Perché ha sempre bisogno di controllare tutto?»

Mormoro, più a me stessa che a lui.

«Perché non può accettare che io voglia qualcosa di diverso?»

Bellamy si avvicina, mi prende la mano e la stringe.

«Clarke, mi dispiace... non volevo che finisse così».

Scuoto la testa, sentendo la gola stringersi ancora di più.

«Non è colpa tua».

Mento, sapendo che in parte lo è.

«È solo che... non so più come farle capire che non sono lei. Non voglio essere lei».

Camminiamo in silenzio per un po', solo il suono dei nostri passi e delle mie lacrime che cadono sul marciapiede ci accompagna. Non ho idea di dove stiamo andando, ma so che non voglio tornare indietro. Non voglio tornare a quel tavolo, a quella conversazione.

Dopo qualche minuto, Bellamy si ferma e mi costringe a fermarmi anche io. Mi guarda, e nei suoi occhi vedo un misto di preoccupazione e affetto.

«Clarke, puoi essere chiunque tu voglia essere».

Dice con una dolcezza che mi colpisce al cuore.

«Non devi dimostrare niente a nessuno, neanche a tua madre».

Annuisco, ma non riesco a dire nulla. Le lacrime continuano a scendere, e lui mi tira a sé, avvolgendomi in un abbraccio che finalmente mi fa sentire un po' più sicura, un po' più protetta. Forse ha ragione, forse devo solo trovare il modo di essere me stessa, anche se questo significa allontanarmi da ciò che mia madre vuole per me.  

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