°OH MUM, WHY?°

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Kira's pov

La felicità dura pochi istanti. Non sono mai stata felice per più di una sera o un giorno. Non è mai durata una settimana o un mese o magari tutta la vita.

Sembra quasi che la vita stessa mi stia contro, come se in un modo o in un altro, voglia farmi capire che io non sarò mai davvero felice. Prima mi toglie i miei genitori lasciandomi sola e indifesa e poi, finalmente, quando trovo una persona che mi faccia stare bene, quando arriva qualcuno capace di farmi sorridere e farmi sentire leggera, eccola pronta a colpirmi ancora.

Solo che questa volta lo schiaffo non l'ha dato a me, ma a lui, l'unico di cui mi importa davvero. E in modo quasi inverosimile mi ritrovo a soffrire anche di più, perché in cuor mio voglio che lui non venga toccato da niente e nessuno.

Quando arrivo a casa di Luke trovo la porta dell'entrata aperta, entro e vedo il biondino seduto sul divano nero di pelle. Mi avvicino a lui a posso lento, non voglio far rumore, non perché non voglio mi senta, ma solo perché non voglio disturbarlo.

Non so cosa sia successo, la sua voce a telefono era poco percepibile, era a intermittenza. Senza aspettare alcuna spiegazione gli ho detto che sarei andata da lui il prima possibile. Ed eccomi qui, alle undici e mezza di sera, seduta sul suo divano con il viso confuso e i singhiozzi di Luke che mi fanno da sottofondo.

«Cosa succede?» appoggio una mano sul suo braccio pensando che lui ne abbia bisogno, o forse sono solo io ad aver bisogno di sentire la sua pelle calda.

Non risponde, alza il viso e mi passa un piccolo biglietto che ha tra le mani, è stropicciato e in alcuni punti bagnato dalle lacrime. A malapena riesco a leggere ciò che c'è scritto ma riesco comunque a comprendere il succo.

Sua madre vuole davvero farla finita? E perché lui è qui invece di cercarla?

Mi alzo si sbotto e sento i suoi occhi su di me mentre mi avvio all'uscita, «Dove vai?» è confuso ma anche un po' contrariato.

«A cercare tua madre» dico ovvia. Lui si passa le mani sul viso in modo veloce e si avvicina a me «Non sappiamo neanche da dove cominciare» è disperato, lo capisco dai suoi occhi che sono ricoperti da un velo di tristezza, mai visto prima d'ora nel suo azzurro.

«Lo so. Ma mai iniziamo, mai la troviamo» mi incammino senza aspettare una sua risposta. Non permetterò che Luke resti da solo.

«Kira» la sua voce mi richiama, mi fermo di scatto e punto il mio sguardo su di lui. «Andiamo con la macchina, faremo prima» senza aggiungere altro lo seguo e ci inoltriamo per la grande Los Angeles sperando di trovarla il prima possibile.

🚗

Il primo luogo in cui andiamo, è il cimitero, ma non la troviamo. Poi Luke va in tutti i posti conosciuti da lei, ristoranti, lavanderie, supermarket, ma non è da nessuna parte.

Passiamo quasi un'ora ad andare avanti e indietro e il viso mesto del biondino di certo non aiuta «Luke rifletti, non c'è un posto in cui andavate da piccoli o qualcosa del genere?» chiedo sperando di innescare in lui qualche ricordo che possa esserci d'aiuto.

Lui riflette con le mani strette al volante, le stringe così tanto che le nocche si schiariscono visibilemte, il viso è concentrato, alcuni ciuffi gli ricadono davanti agli occhi intralciandogli di vedere bene la strada, li butta all'indietro in un gesto fulmineo ritornando alla stessa posizione di qualche secondo fa. La gamba destra gli trema e senza riflettere troppo appoggio una mano su di essa, gliela stringo delicatamente e lui guarda per un istante prima la mia mano e poi il mio viso.

«La troveremo Luke, te lo prometto» sono sicura di ciò che dico ed è per questo che la mia voce esce decisa.

«Kira non fare promesse, per favore» non lo dice in modo acido ma solo affranto.

«Sarà così» ripeto sempre più sicura di me.

«Non puoi saperlo, quindi smettila di fingere che andrà tutto bene» urla prendendo a schiaffi il volante, d'istinto allontano la mia mano da lui. È arrabbiato, frustrato, impaurito, ma io non demordo, non sono quel tipo di persona.

«Non sto fingendo, ti sto solo dicendo che andrà tutto bene» la mia voce esce più dura di quanto avrei voluto. Lui mi guarda di sottecchi ma mi ignora.

Non parliamo più per il resto del tragitto, fino a quando lui non urla illuminato «La casa al lago» lo guardo confusa. Gira l'auto prendendo la strada opposta in cui stavamo andando e accelera essendo quasi deserta.

«La casa al lago?» chiedo, vedendo che non mi da alcuna spiegazione.

«Prima che cambiassimo città, avevamo una casa al lago a venti minuti da Los Angeles. Ci andavamo tutte le estati, era un abitudine di famiglia. Poi quando ci trasferimmo, vendemmo la nostra casa in città, ma non quella al lago. Sperando di ritornarci. Beh, poi è successo quello che già sai e non essendo più una famiglia, non ci siamo più ritornati» e lui pensa che sia lì? Come ci è arrivata se neanche guida?

«Sei sicuro che sia lì? È a venti minuti di macchina» chiedo riluttante.

«No. Ma tentar non nuoce» ah.

Per tutto il tragitto spero con tutta me stessa di trovarla lì, non vorrei arrivare fin lì e poi scoprire che era ad un palmo da noi.

Luke non parla, io mi sento agitata e nella peggiore delle ipotesi non so come comportarmi. Quando i miei genitori sono venuti a mancare ho reagito nel modo più strano. Mi sono chiusa in me stessa, non ho pianto per una settimana. Non ho pianto al funerale, ne quando i parenti si sono avvicinati a me per farmi le condoglianze, non ho pianto neanche la sera, quando sono tornata a casa e ho compreso di essere sola. L'ho fatto solo dopo una settimana, quando mi sono resa conto che loro non sarebbero ritornati da me, mai. E dopo di allora non ho fatto altro che piangere giorno e notte. Solo adesso posso dire di essermi ripresa un po' e solo grazie al biondino seduto alla mia sinistra.

Finalmente parcheggia l'auto in un vialetto ricoperto dall'erba, davanti a noi una piccola villa con le staccionate marrone scuro. Luke spegne il motore e fissa la casa quasi impaurito. Ha paura di ciò che potrà vedere. Gli stringo la mano e lo rassicuro scendendo poi dalla macchina, lui copia i miei movimenti ma si blocca vedendo la luce accesa. Non ci avevo fatto caso fino a quando non mi sono ritrovata ad un passo da essa, la luce è soffusa, quindi non aiuta neanche molto, da fuori non riusciamo a vedere nulla.

Il suo respiro si fa irregolare e sorprendendomi è lui a stringermi la mano questa volta, ci scambiamo un'occhiata e poi finalmente entriamo in casa.

Un piccolo atrio è pronto ad accoglierci, ammiro le grandi scale color ciliegio che portano al piano di sopra, Luke mi trascina sulla sinistra, seguiamo la luce e vediamo che arriva dalla cucina. Quando entriamo in essa sento l'aria mancare nei polmoni. Liz, è in piedi con una fotografia tra le mani e alcune pillole nell'altra mano. Mi tranquilizzo nel realizzare che ancora non ha fatto nulla, ma il mio cuore riprende a battere forte quando in un gesto velocissimo prima guarda Luke e poi ingurgita le pillole velocemente.

Le urla di Luke, sua madre che piano si abbassa sul pavimento mi portano ricordi che sono ancora ben vividi nella mia testa.

«Mamma perché l'hai fatto?» chiede in suppliche prendendola tra le sue mani. Gli occhi azzurri di sua madre sono spenti, lo guardano ma in realtà vedono oltre la sua figura.

«Non posso vivere senza di lei» sussurra mentre Luke da un urlo forte.

«E io invece? Io posso vivere senza te?» è arrabbiato, urla in maniera disperata e l'espressione sul volto di sua madre cambia d'improvviso, come se solo adesso avesse realizzato ogni cosa.

Distolgo il mio sguardo da loro e lo punto sul mio cellulare, chiamo il 118 e quando rispondono, lascio l'indirizzo e spiego ogni cosa in modo veloce. Mi assicurano che saranno qui il prima possibile.

«Ho chiamato l'ambulanza» la mia voce è bassa, Luke mi ringrazia con lo sguardo e poi si riconcentra su sua madre. Faccio lo stesso anche io. Mi sento impotente e sinceramente anche di troppo, mi appoggio al muro e intreccio le braccia.

«Non lasciarmi ti prego» lo sento sussurrare tra le lacrime, i loro occhi sono così simili mentre si guardano.

«Mi dispiace Luke, mi dispiace per tutto» la voce bassa e incrinta di Liz è un colpo al cuore.

Incontrollabile sento una lacrima sfiorarmi il viso, Liz punta i suoi occhi su di me e mi sorride gentilmente ma l'attimo dopo li chiude.

«Mamma» Luke la richiama sperando si svegli, l'ansia lo invade, le mani gli tremano e non sa cosa fare «Cosa succede? Kira cosa succede?» cerca aiuto in me e anche se non so cosa fare mi avvicino a loro. Prima di ogni cosa controllo il battito e lo sento ancora.

«Il battito c'è Luke» forse dovrei aggiungere un per adesso ma decido di non farlo.

Il suo viso si rilassa visibilemte ma è ancora agitato, «E quindi cosa è successo?» chiede ancora.

«Credo abbia perso i sensi, ma stanno arrivando i medici» provo a rassicurarlo e fortunatamente l'ambulanza arriva dopo cinque minuti.

Luke's pov

L'attesa è frustrante, aiuta solo di più a farmi salire l'agitazione. Siamo in ospedale, sono seduto sulle sedie di metallo e Kira è al mio fianco. La sua mano, ormai come abitudine, è stretta alla mia e sinceramente non ho intenzione di lasciarla. Lei con un solo tocco mi da più sicurezza di quanto immagina.

«Signor Hemmings» un ragazzo poco più grande di me si avvicina. I capelli castano chiaro sono buttati all'indietro e trattenuti con del gel, gli occhi castani mi scrutano e vedendolo indossare un camice bianco capisco si tratti di un medico. Mi alzo continuando ad avere Kira al mio fianco. «Sua madre sta bene. Ha ingurgitato una quantità assurda di pillole antidepressive, ma fortunatamente è arrivata qui in tempo» sorride e un peso enorme, chiamato angoscia, si scrolla dal mio petto.

«Grazie al cielo» è Kira a parlare, sorrido per la sua affermazione.

«Solo, dovrei farle alcune domande» continua il medico, che a parer mio davvero troppo giovane. Annuisco e lo seguiamo ma lui si ferma guardando Kira «Mi spiace signorina ma avrei bisogno di parlare da solo con il suo amico» le sorride in modo insistente, stringo la mascella ma poi mi riprendo da solo. Sono per caso impazzito? Davvero sono geloso di un dottore?

Mi volto verso Kira e avvicino la sua mano alle mie labbra «Torno subito» le lascio un bacio sul torso della mano e lei mi sorride quasi imbarazzata.

Raggiunto il dottore, entriamo in una stanza con una scrivania nel mezzo, quindi deduco sia una specie di ufficio. Lui si siede dietro essa e mi invita a sedermi sulla sedia girevole nera posta davanti. Lo faccio e i miei occhi cadono sulla targhetta in oro appoggiata sulla scrivania, Dottor Liam Payne.

«Di cosa mi vuole parlare?» chiedo riluttante.

«Dammi del tu, abbiamo quasi la stessa età» sorride appoggiando i gomiti sulla scrivania, congiunge le mani e mi guarda serio «Volevo parlarti di tua madre. Come faceva ad avere tutte quelle pillole con sè?»

Forse perché è malata?

«Soffre di schizofrenia, le sono state prescritte.»

Lui si passa una mano sul mento stuzzicando della barba inesistente «È la prima volta che prova a fare un gesto del genere?»

Annuisco «Sì, non l'ha mai fatto prima d'ora» non so perché ma mi sento di giustificare mia madre, ci tengo a far sapere che non è pazza. Solo un po' giù di morale.

«Allora Luke. Se io adesso ti dicessi che conosco un'ottima clinica in cui tua madre verebbe trattata in modo impeccalibe, tu cosa mi diresti?»

«Che non chiuderò mai mia madre in una clinica psichiatrica» non eiste.

«Ma lì riceverà le migliori cure d'America. E soprattutto gli specialisti che ci lavorano faranno in modo che ciò che è avvenuto stasera, non si ripeta più. Anche io ci lavoro, ci vado tre volte alla settimana. Se vuoi, mi occuperò personalmente di lei» nonostante il suo sorriso sia confortevole non voglio. Non posso rinchiuderla in un posto del genere.

«Si sentirà sola lì dentro» non voglio che pensi che io la stia abbandonando.

«Non sarà così» è sicuro delle sue parole.

«Io, non lo so» non ne sono sicuro.

Il dottor Payne, fa un piccolo sospiro poi prende carta e penna «Facciamo in questo modo» scrive qualcosa sul foglio e poi lo porge verso me, è un indirizzo con sotto un incisione IPLA. «Quello è l'indirizzo del nostro istituto psichiatrico di Los Angeles. Quando hai un po' di tempo, passa a dare un'occhiata, porta anche tua madre con te. Ti dimostrerò che è davvero un ottimo posto, noi trattiamo i nostri pazienti con cura Luke, facciamo il possibile perché loro stiano bene e si sentino al sicuro.»

Annuisco e mi alzo in modo frettoloso, il dottor Payne mi allunga una mano e gliela stringo. Gli dò le spalle e mi incammino verso l'uscita, depongo il fogliettino nella tasca posteriore dei jeans neri e apro la porta, ma prima che riesca ad uscire la voce del dottore risuona ancora alle mie orecchie.

«Se vuoi che tua madre sia felice e che stia bene, vieni a trovarci» mi chiudo la porta alle spalle.

Io voglio che mia madre stia bene, non desidero altro.

🥄🥄🥄

SCIAO!

Allora, sto aggiornando più spesso, e spero vi faccia piacere.

La mamma di Luke sta bene, non avrei mai potuto farla morire, non dopo che Luke ha perso sua sorella e dopo che suo padre l'ha abbandonato. Ma soprattutto perché non voglio dare un messaggio sbagliato. Chi soffre di depressione, schizofrenia non ne esce con il suicidio. Ma ne esce grazie alle cure e ai loro familiari.

Quindi ecco perché Liz è viva ed ecco perché le cure e Luke la aiuteranno tantissimo. Fino a farla ritornare magari, quella di un tempo.

Mentre tra Luke e Kira c'è un feeling sempre più intenso, sono sempre più uniti e senza neanche rendersene conto non possono più fare a meno l'uno dell'altra.

Secondo voi Luke prenderà in considerazione l'idea del dottr Payne?

Come sempre, vi ringrazio infinitamente perché continuate a leggere questa storia, spero vi stia piacendo e se vi va fatemi sapere cosa ne pensate.

Ps: Qualcuno me lo regala per favore 😍

I love you girls❤

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