Capitolo 3

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Quando aveva iniziato a ipotizzare che quel ragazzo fosse muto – nonostante lo avesse già sentito parlare una volta – questo richiamò la sua attenzione con una semplice frase, che le rivolse con ritmo basso e lento.

«È questo che pensi di me?» Il tono non era tanto interrogativo, quanto più rassegnato, ma le piacque considerarla una domanda. Non avrebbe avuto senso altrimenti.

«Cosa credi che dovrei pensare?!»

Lo sconosciuto fece per aprir bocca, ma a un tratto trattenne il respiro e rimase in un composto silenzio. Althea credette che fossero stati beccati dalla professoressa, ma quando si girò a controllare, quest'ultima non li stava degnando minimamente di attenzione. Ma che problemi aveva quel tipo?

«Io vengo a scuola qui» lo sentì dire in seguito, sicuro. Quasi le venne da ridere. La stava per forza prendendo in giro, non c'era alternativa.

«Oh, no. Tu non vieni a scuola qui. Non ci sei mai venuto e non ci verrai più in futuro!» precisò con tono aggressivo.

Piantò duramente lo sguardo nei suoi occhi color oceano, ma subito si sentì a disagio. A disagio e attratta, non emozionalmente parlando, più come se quel ragazzo fosse fatto di mille calamite e lei di ferro.

«Ho seguito lezioni private fino ad ora» spiegò lui, come se con quella semplice informazione avrebbe potuto rispondere al suo sfogo.

«Allora tornaci e non farti più vedere» sentenziò, piatta, per poi troncare definitivamente la conversazione grazie alla cascata di capelli biondi che utilizzò come un sipario.

Rimase chiusa nelle proprie contemplazioni e non ascoltò nemmeno una virgola di quello che stava spiegando la prof. di storia per riassumere il programma dell'anno precedente. Lei non era stata presente e non aveva idea di cosa stesse parlando. Accidenti, imprecò. Qui va a finire che vengo bocciata. Pensare a una possibilità tanto drammatica era fuori questione, ma cosa le rimaneva da fare ormai? Aveva la testa altrove e pochissimi giorni. Però... non avrebbe potuto sopportare la delusione che in quel caso avrebbe arrecato a sua madre – e anche a se stessa –, per non parlare della perdita di tempo, della rovina del suo curriculum scolastico e del timore di ritrovarsi con compagni e professori nuovi e rinunciare ai vecchi.

Le due ore di storia le passò a comporre ipotesi improbabili su quel ragazzo. La sua mente diede vita a diverse idee, dal fatto che fosse uno stupratore seriale fino ad arrivare a teorie su vampiri e alieni, gonfiate dal fatto che le sue iridi erano state diverse la prima volta che le aveva viste, cosa di cui era sicura. Non voleva credere di averlo immaginato.

Si ritrovò, alla fine, a darsi dell'idiota quando la campanella suonò e lo sconosciuto si volatilizzò uscendo così in fretta da urtare diverse persone.

Passò le seguenti ore come in apnea, tutto scorreva normalmente intorno a lei, tutto si adattava, meno che il suo cervello, che ancora non riusciva ad accettare ciò che stava accadendo. Riuscì in qualche modo ad arrivare sana e salva alla pausa pranzo, mentre Miriam blaterava di qualcosa di non identificato e Julia annuiva con aria assorta. Le dispiaceva mentire alle proprie amiche, ma aveva preferito non dire loro una singola parola sul pazzoide che aveva incontrato al mare, quindi non rivelò nemmeno cosa la teneva tesa quel giorno.

Si estraniò così tanto dai discorsi delle due compagne che quando Julia pronunciò il suo nome si sentì cadere dalle nuvole. Le rivolse un'espressione smarrita, facendola sbuffare per l'impazienza.

«Insomma, che cos'hai oggi, ti è morto il gatto?»

Si morse l'interno della guancia in un gesto istintivo e nervoso. «Non ho sentito» si giustificò solamente.

La ragazza la guardò con furbizia e scambiò un'occhiata con Miriam, la quale, da dietro il vetro sottile degli occhiali che portava, parve non cogliere l'allusione.

«Non è che ti piace il ragazzo nuovo?» insinuò Julia. «È proprio di lui che stavamo parlando!»

Rimase a bocca aperta davanti a quell'ipotesi tutt'altro che realistica. Ma loro non sapevano cos'era successo, non potevano avere idea del fatto che fosse spaventata da lui.

Represse la smorfia di fastidio che a tutti i costi voleva prendere forma sul suo volto. «Stai scherzando, spero.»

A quel punto, Miriam s'insospettì, glielo lesse in faccia dall'espressione indagatrice che assunse. Insomma, non aveva diritto di decidere per i propri gusti? Possibile che con una risposta negativa dovesse sembrare strana ai loro occhi?

«Althea, ci sei vicina di banco! Ti rendi conto che metà classe pagherebbe per fare a cambio di posto con te?»

Che lo facessero! rifletté tra sé e sé. Lo cedo volentieri al primo offerente.

«Solo per le prime due ore» si affrettò a precisare, invece, ad alta voce. «E poi, cos'ha di tanto speciale?» chiese indignata.

Le due non le risposero, si limitarono a guardarsi e scambiarsi un sorrisetto che la infastidì. Non andava per niente bene. Per niente.

Quando Miriam scorse la sua faccia seria, alzò gli occhi al cielo. «Suvvia, non abbiamo mai nessuno nuovo, a parte quei mocciosi dei primi. Lasciaci fantasticare, non siamo mica tutte santarelline come te.»

«O forse è Isaac che ti ha fatto il lavaggio del cervello?» S'intromise Julia, che spesso e volentieri si faceva trascinare dall'avversione di Miriam verso quel povero ragazzo.

La sua migliore amica le diede una gomitata. «Magari è così noioso che le ha fatto perdere l'attrazione verso il genere maschile.»

Insieme scoppiarono in una risata, che non fece altro che gonfiare il suo umore già nero come il petrolio.

«Adesso basta!» si lasciò sfuggire, irritata, ma dopoaver visto i loro visi incupiti se ne pentì subito. Capitava davvero di rado che esplodesse in quel modo, forse aveva esagerato. Dopotutto le sue amiche non potevano sapere che cosa le stava accadendo così all'improvviso, e non era giusto che se la prendesse con loro se era stata lei quella a voler tacere tutto.

«Sei sicura di star bene? È successo qualcosa con Isaac?» le chiese Julia non appena ebbero raggiunto l'uscita che dava sul cortile.

Althea si irrigidì accorgendosi di come entrambe si erano fatte serie di punto in bianco. Chiuse gli occhi con la scusa di essere accecata dal sole per non doverle guardare.

Prima che potesse rispondere, Miriam s'immischiò. «Che cosa ha fatto quell'ingrato? Giuro che se è lui il motivo per il tuo muso lungo, lo strozzo con le mie mani!»

Althea la guardò sorpresa. Era risaputo che Isaac non stesse simpatico alla sua migliore amica, e la cosa era reciproca, ma non era mai stata così violenta.

«Sto bene. Non è successo niente! Va tutto bene tra di noi» le rassicurò. Come poteva dir loro che il suo cruccio aveva ben altra natura? Una natura sconosciuta e a tratti macabra.

«Però è vero che sembri un po' strana. È da stamattina, non hai spiccicato nemmeno una parola durante le ore di storia» insistette Julia, e a quel punto non poté che mentire.

«Ho dormito poco! Sai com'è, è difficile recuperare il ritmo dopo le vacanze» disse con un cenno noncurante della mano dopo che si fu seduta sul muretto del giardino, vicino alle sue compagne.

Riuscì a distogliere i sospetti da sé, ma non poteva eliminare l'inquietudine che provava così di punto in bianco, non senza aver scoperto il vero motivo che aveva spinto il ragazzo a compiere tale gesto.

A un tratto, come evocato da quel pensiero, focalizzò lo sguardo proprio sul giovane sconosciuto. Sfortunatamente, a causa del piccolo sonnellino ristoratore delle prime ore, si era persa la sua presentazione, ma le chiacchiere che erano girate in classe erano bastate per farle capire che si chiamava Alexander Black. Tutti sembravano interessati a lui come lui palesemente non lo era a loro, tutt'ora era attorniato da diverse ragazze e alcuni ragazzi.

Non capiva come quel tizio potesse avere così tanto seguito, con quell'aria smarrita e il mistero che gli aleggiava attorno. O forse era proprio quest'ultimo che attirava le persone? Rifletté sulle parole di Miriam: effettivamente, non capitava spesso di avere nuovi studenti nelle classi avanzate alla Hale School di Perth, e chiunque sembrava voler fare la conoscenza del nuovo arrivato. Possibile che nessuno percepisse l'aura maligna che emanava? Però... ora che ci pensava, persino lei, se non avesse visto con i propri occhi ciò che era stato capace di compiere, se glielo avessero raccontato non ci avrebbe creduto. Quel ragazzo pareva tutto fuorché pericoloso, con l'espressione, ora innocente, che a tratti vedeva trasformarsi in un mezzo sorriso e le iridi così limpide – e categoricamente azzurre – da apparire prive di segreti. Ma era solo un'impressione, e lo sapeva bene. L'aveva sperimentato sulla propria pelle e fino a qualche giorno prima ne aveva portato ancora i segni: implacabili lividi rossastri che ogni mattina erano stati lì a ricordarle l'orrore provato in quel momento finché non erano divenuti di un viola sbiadito e poi spariti del tutto. Di quei marchi era rimasto solo il ricordo, ma quello mai avrebbe potuto essere lavato via.

Strinse i denti e distolse lo sguardo quando si accorse che lui si stava girando verso di lei. Sentì il viso infiammarsi sotto quelle occhiate vigili che la fecero immediatamente sentire in soggezione, ma fece finta di niente e provò di tutto per ignorarlo.

«Althea! Hai le guance tutte rosse» se ne uscì Miriam all'improvviso.

Focalizzò l'attenzione sui suoi occhi color mare coperti dai fedeli occhiali da vista dai bordi rosa. Lei e i suoi gusti eccentrici riuscirono a riportarla parzialmente sulla retta via di pensieri.

«È il caldo. Forse è meglio se entriamo, qui non si respira.» Senza aspettare il responso delle sue amiche, si alzò e se ne andò. Attribuire la sua stranezza alla temperatura estiva era stata un'ottima mossa perché in realtà c'era davvero un'aria cocente, pur essendo ormai febbraio.

Quando finalmente la campanella di fine lezioni trillò, Althea ringraziò qualsiasi divinità per non aver ancora incontrato il tenebroso sconosciuto. Proprio nel momento in cui iniziava a credere di poter finalmente stare in pace e godersi un pomeriggio di studio sotto il getto del condizionatore, la Stark, la professoressa di storia della prima ora, la fermò al centro del corridoio.

«Heleen, come stanno andando i tuoi studi di recupero?»

Si congelò sul posto nel vederla, ma ancor di più nell'udire quella domanda. Avrebbe dovuto studiare nelle due scorse settimane, ma l'aggressione subita le aveva portato via ogni granello di concentrazione.

«Bene» mentì in modo poco convincente, poi si morse la lingua. Non avrebbe chiesto aiuto proprio alla docente che stava per prepararle il test. Non poteva certo dirle che era a zero in quanto a studi.

«Perfetto» rispose sintetica la donna. Dal tono che aveva, non sembrava aspettarsi niente di meno, e le stava quasi inviando un monito nascosto.

Fantastico, ora sì che sono nei guai.

Avrebbe dovuto darci dentro con lo studio, ma come poteva se il viso di quel maledetto ragazzo continuava ad affiorarle nella mente in una sovrapposizione di ricordi vecchi e nuovi?

Salutò definitivamente la professoressa con una poco elaborata faccia da poker, poi s'incamminò per il corridoio. Non aveva per niente voglia di tornare a casa sotto il sole cocente per passare un'altra lunga giornata in solitudine cercando di destreggiarsi tra le varie materie mentre tutti gli altri si divertivano. Ma, più di tutto, non le andava di sopportare il caldo.

Passò davanti alle scale e si fermò, quasi richiamata dalla brezza che arrivava dal piano di sopra. Guardò verso l'alto, ma la rampa curvava e sormontava un altro piano, portando alla terrazza della scuola.

Althea aveva passato lì sopra alcuni dei più bei momenti scolastici. Quando Isaac frequentava ancora quell'istituto e lei era più piccola, era stato proprio lui a farle scoprire quel posto immerso nel verde e nella pace. Nessuno ci andava mai, sembravano tutti preferire il chiasso del giardino, come accadeva anche con Miriam e Julia. Infatti ormai erano rari i momenti in cui approfittava della quiete della grande balconata, e tutti passati in solitudine.

Spinta da un desiderio più potente di lei, decise senza nemmeno pensarci di salire quei gradini e raggiungere la seconda rampa. In quel punto poté identificare l'origine dell'alito di vento che l'aveva convinta a non andarsene a casa: la porta per uscire era aperta.

Forse il custode si era recato lì fuori per prendersi cura delle piante, come faceva tutti i giorni dopo il termine dell'orario scolastico. Althea l'aveva incontrato poche volte, di lui sapeva solo che era un po' avanti con l'età e parecchio riservato; e che amava la natura, ovviamente, come tutti gli abitanti di quella città.

Percorse l'ultima scalinata già pronta a salutarlo, ma quando raggiunse la cima, attraverso lo spiraglio della porta semiaperta, non vide nessuno. Scorse solo i colori brillanti delle piante rampicanti e dei loro boccioli, e una delle curate panchine in legno chiaro.

Fece spallucce e spinse l'unico ostacolo che la separava dalla pace, ritrovandosi immersa in quell'aria fresca che sapeva di fiori esotici. Piantine di vario genere erano poggiate su tavolini e muretti, ma nonostante ciò il pavimento era pulito e in ordine anche se stava per entrare l'autunno.

Si preparò a rilassarsi per qualche decina di minuti su una di quelle panchine quando sentì un rumore e si voltò.

Al contrario di quanto si aspettava, però, non trovò il volto gentile del custode, né il viso stanco di qualsiasi altro studente.

Alexander Black era in piedi sul cornicione più esterno che circondava la terrazza, la schiena rivolta verso di lei e le punte dei piedi che sfioravano il vuoto.

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