Capitolo 4

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Sebbene le desse le spalle, ci aveva messo pochissimi istanti a riconoscere la tensione che gli teneva la schiena rigida o il modo particolare in cui le ciocche più lunghe gli sfioravano il collo. Non si era accorta di aver immagazzinato così tanti dettagli su quel ragazzo, ma non era il momento di pensarci.

Si riscosse subito rendendosi conto della posizione preoccupante che lui aveva assunto. Le vertigini la assalirono solo al pensiero dei due piani di altezza che li separavano dal terreno, e le mani iniziarono a sudarle quando si focalizzò sulle scarpe di lui, così pericolosamente esposte a tale precipizio.

La confusione prese il potere della sua mente e non riuscì più a muoversi. Fino a quel momento aveva pensato che fosse venuto per lei, ma non era un tentativo di suicidio quello che aveva davanti? Un risvolto che mai avrebbe immaginato, eppure che si stava rivelando vero. E lei era lì ferma, senza fare nulla per impedire che tutto ciò accadesse davanti ai propri occhi.

No.

Prima ancora che il suo cervello potesse analizzare i movimenti del corpo, aveva fatto diversi passi avanti, fino a ritrovarsi a una distanza così ridotta da poter toccare il ragazzo. Qualcosa, in una piccolissima parte della sua coscienza, le ordinò di restare lì dov'era, ma tale imposizione venne bellamente ignorata e lei allungò una mano fino a stringere le sottili dita sulla stoffa della divisa del ragazzo.

«Non farlo!» sentì risuonare nell'aria, e ci mise diversi istanti a capire che quella supplica proveniva da lei.

Rimase paralizzata davanti all'immobilità disarmante che trovò nel ragazzo. Non poteva credere di aver pronunciato quelle parole rivolte a lui. Quello stesso giorno aveva desiderato di vederlo sparire dalla faccia del pianeta, e ora stava portando avanti un goffo e stupido tentativo di salvargli la vita?

Il vento caldo proveniente da est fu l'unico suono udibile per diversi istanti, mentre tutto pareva essersi fermato. Alexander Black sembrava non averla proprio sentita, ma ciò era impossibile poiché la sua mano ancora stringeva convulsamente il tessuto che gli copriva la schiena, senza accennare a lasciarlo. Poi, lentamente, lui si voltò a mezzo busto, e le rivolse uno sguardo tetro da sopra la propria spalla.

Althea, che già aveva spalancato gli occhi per guardare verso l'alto, non poté non aprirli ancora di più, in preda al timore che quell'occhiata funesta aveva scatenato in lei. Riuscì finalmente a lasciare la presa sui suoi vestiti e abbassare la mano a rallentatore, come fosse dentro l'acqua.

Fece un passo indietro e Alexander si voltò del tutto. I suoi occhi impenetrabili si rivelarono dimora di meste emozioni, il suo corpo pareva teso come fosse fatto di granito. Sembrava una statua scolpita da qualche artista fuori di testa, dotata di una bellezza macabra e intimidatoria.

Si rese conto che nessuno dei due aveva spiccicato parola. Lui non aveva provato a giustificarsi per ciò che l'aveva colto a fare; lei, dal canto suo, non aveva nemmeno chiesto ulteriori informazioni o provato a dissuaderlo come avrebbe fatto con chiunque altro. Era semplicemente rimasta catturata dalla sua figura magnetica, e nella tela dove era caduta non le era permesso parlare.

Se c'era qualcuno che doveva fare la prima mossa, però, era lei. Si sentiva in dovere di motivare le proprie azioni sconsiderate, ma come avrebbe potuto quando non riusciva a dare una spiegazione nemmeno a se stessa?

«Non provare a buttarti qui. Se vuoi ammazzarti fallo pure, ma non mettere di mezzo la scuola» le uscì, con un tono poco convincente che la fece sentire ridicola, come lo era anche quella scusa. Possibile che non riuscisse a parlare in modo normale?

Il ragazzo la fissò per un solo altro istante, dopodiché piegò le gambe e compì un elegante balzo per poi atterrare proprio di fronte a lei. Non li separava che un metro, distanza che, fortunatamente, lui non si accinse a ridurre.

«Non è ancora il momento» disse sottovoce, quasi stesse parlando con se stesso.

La confusione si fece più estesa in lei, facendole perdere qualsiasi discorso volesse provare a intraprendere. Nella mente non le rimasero che poche parole sussurrate, quelle che aveva appena sentito.

«Che cosa intendi dire? Perché sei qui fuori da solo? Perché sembrava che ti stessi per lasciar cadere?» Non sapeva nemmeno lei il motivo per il quale le importasse sapere tutte quelle cose, ma dopo ciò che aveva vissuto quel giorno, sentiva di voler sapere, di voler trovare una spiegazione ai propri sogni, o anche solo a quelle iridi che tanto la inquietavano.

«Althea» pronunciò piano lui. Sentire il proprio nome uscire da quelle labbra le provocò un profondo brivido che le fece battere i denti nonostante il caldo. Le mancò l'aria per un secondo, ma si obbligò a rimanere immobile, nell'attesa che lui proseguisse. «Dimentica quel che è successo. Stammi lontana.»

Il cuore le rimbombò nelle orecchie per gli istanti seguenti. Ciò che le stava dicendo non coincideva con quello che si aspettava da lui: che volesse ucciderla, farle del male o anche solamente violenza psicologica; tutto tranne che volesse starle distante.

«Stai scherzando?» le uscì spontaneo dire. «Come se potessi dimenticare tutto con uno schiocco di dita!» fece esasperata. «Come pretendi che io possa anche solo pensare di ignorarti dopo ciò che è successo? E quello?» chiese, indicando il bordo del cornicione sul quale fino a poco prima era stato lui. «Cosa mi dici di ciò che è successo poco fa? Dovrei dimenticare anche quello, è così?»

Lui le rivolse uno sguardo amaro, che più che a lei sembrava indirizzato alla situazione in generale. Appariva quasi contrariato dal suo modo di prendere la faccenda, e la cosa non faceva che insospettirla ancora di più. Avrebbe voluto chiedere davvero spiegazioni, ma aveva paura di sapere. Inoltre, dentro di sé sapeva che lui non avrebbe spiccicato parola, sensazione confermata dal silenzio che emise davanti al suo sfogo.

«Dimmi solo una cosa» riuscì a pretendere con tono monocorde, decidendo per il momento di accantonare la questione attuale. Non aveva mai udito quella voce grave provenire da se stessa, era una spiacevole nuova scoperta. «Quella volta, al mare... se non fosse arrivato Isaac...» Non riuscì a finire perché la voce le venne a mancare. Alzò lo sguardo e lo vide mordersi un labbro con un canino. Il suo era un semplice dente, anche piuttosto arrotondato. Eppure era sicura di averlo visto molto più affilato quel giorno.

Si fece coraggio. Aveva bisogno di fare quella richiesta. «Se lui non fosse arrivato, ti saresti fermato? Devi dirmi nient'altro che la verità.»

Il vento aleggiò tra loro e scosse le foglie degli arbusti più grandi, portando ai loro nasi fragranze dolci e selvatiche al tempo stesso. Gli occhi del ragazzo luccicarono quando si mosse e il sole li invase. Althea li trovò così tristi in quel momento, come se finalmente sotto tutta quella profondità avesse scoperto che cosa si nascondeva. Un'emozione sconfinata e sofferente.

«No.» 

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