Prologo

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Il suo respiro corto rimbombava tra le pareti della grotta come un orologio addetto a segnare i secondi che la separavano dalla fine. Le gambe erano diventate sempre più pesanti, i muscoli bruciavano come fosse in un mare di fiamme. Stava chiedendo al suo esile corpo uno sforzo al quale non era avvezzo, ma nonostante ciò, non si fermava.

I passi affaticati e irregolari si moltiplicavano a non finire tra le mura di roccia scura, dando vita a una finta e lugubre illusione di non essere sola.

Ma lei lo era; sola.

Alle sue spalle, altri passi avanzavano veloci e regolari, molto più silenziosi e felpati dei suoi: erano i movimenti di un predatore. Non sapeva giudicare con certezza quale fosse la distanza che la separava dall'origine della più grande paura che avesse mai provato, ma era certa che non doveva essere molto estesa.

Se lui l'avesse raggiunta, sarebbe stata la fine.

Lo spostamento d'aria dovuto alla sua agitazione rimbalzò ancora una volta sulle pareti frastagliate, ma in questo caso il soffio gelido accompagnato dalla sua ansimante paura fu obbligato a fermarsi davanti a un muro invalicabile che segnava il termine della sua fuga.

Gli occhi di Althea corsero in ogni dove per scorgere in quel buio un corridoio nel quale continuare ad avanzare verso la speranza che lentamente si stava affievolendo, ma alla fine fu costretta a rallentare il passo fino a fermarsi. L'unica fiammella che aveva portato il suo corpo a muoversi come un automa era ormai quasi estinta davanti a quel vicolo cieco.

Sentì l'esplosione adrenalinica che fino a quel momento l'aveva spinta ad andare oltre le proprie possibilità affievolirsi esserpian piano sostituita da un senso di impotenza che le opprimeva il petto. Non poteva finire così, pensò mentre la vista iniziava ad annebbiarsi.

Fece appena in tempo a scorgere l'ombra imponente che si estendeva immensa da dietro di lei prima di avvertire una pressione urtarla dietro la schiena. Il colpo fu talmente violento che non riuscì a opporsi.

Tutto ciò che i suoi occhi videro un attimo dopo fu il pavimento roccioso che le stava a un palmo dal naso. L'impatto con il suolo duro l'aveva stordita fino al punto di non permetterle di percepire altro se non il dolore acuto che si espandeva all'altezza del polso destro, quello che aveva ammortizzato la caduta.

Non poteva rimanere lì inerme, si disse, ma non sapeva cosa fare. Provò a muoversi per guardare in faccia il suo persecutore, ma nel momento in cui sostenne il proprio peso sulle ginocchia si accorse che anche queste dolevano a contatto con il suolo ghiaioso e bitorzoluto.

Si issò a fatica sui palmi e riuscì a voltarsi. Il respiro le si bloccò in gola; il cuore saltò un battito.

Una figura alta e possente incombeva su di lei come una gigantesca, minacciosa ombra. Il viso oscurato da lunghe ciocche di capelli color petrolio era distorto da un ghigno crudele, sadico e cruento, in netto contrasto con ciò che era abituata a vedere su quel volto dalle fattezze angeliche. Grazie all'espressione minacciosa, i canini allungati erano ben in vista; appuntiti e bianchissimi, la minacciavano quasi con diletto mentre giocavano piano con le labbra, quasi assaporando ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco.

Ciò che risaltava di più tra tanta perfidia erano due iridi di un viola cristallino, quasi brillante nella penombra, come se volessero suggerire che ci fosse purezza in mezzo a cotanto scempio. Ma lei sapeva che quella era solo una mera illusione. Era proprio da quando i suoi occhi avevano assunto quel colore che tutto era cambiato. Che lui era cambiato.

Non era più il ragazzo che conosceva a conoscere, non più colui che aveva avuto tanto riguardo nei suoi confronti, che aveva conquistato la sua fiducia poco a poco con piccoli gesti. Non era il ragazzo al quale il suo cuore si era avvicinato.

Ogni singolo muscolo del suo corpo era in tensione, i tendini ben visibili. Era pronto a trattenerla in caso avesse provato a scappare.

«Finalmente ti ho presa» sussurrò, così tranquillo e malevolo che generò in lei una punta di terrore. Si morse un labbro, ancora con quell'espressione spietata che gli distorceva il volto. Persino in quelle ametiste dal colore tanto brillante e inaspettato era dipinta una nota di sadismo che il ragazzo non si curava affatto di nascondere. Sembrava, anzi, andarne quasi fiero.

Quelle parole le entrarono dentro, scavarono dei profondi solchi in ciò che rimaneva della sua speranza per farla a pezzi. La nota crudele che aveva alterato quella voce fino a storpiarla in un lugubre e lento suono non le lasciava più alcun dubbio. Aveva riconosciuto la voce di Xander, ma non l'aveva mai udita contraffatta da un'inflessione del genere.

Una parte di lei, così piccola ma altrettanto influente, non riusciva ancora ad accettare ciò che aveva davanti. Attendeva che quell'incubo svanisse nel nulla, che si svegliasse e si accorgesse che era stato tutto un sogno maledettamente realistico. Ciò in cui sperava non era che un mero desiderio, tanto lontano come la possibilità di fuggire una volta per tutte. Non riusciva a fare altro che fissarlo con gli occhi spalancati per l'incredulità e per il timore che ormai aveva annientato ogni altra emozione.

Come ultimo, disperato tentativo, provò a far leva sulle ginocchia per alzarsi da terra, ma trovò ogni muscolo bloccato per la tensione. Il suo cuore era diventato una pietra ghiacciata che ricordava la grotta in cui si trovava, e le sue mani tremavano come mai prima.

Forza, Althea! Si convinse ad alzarsi lentamente, tenendosi il polso ferito stretto al petto con la mano sana. Si ritrovò faccia a faccia con Xander, o almeno con ciò che era rimasto di lui.

Non perse tempo; non si era arresa e mai l'avrebbe fatto. La sua mente corse una volta ancora alla ricerca di una via di scampo, individuando come unica strada quella che si snodava alle spalle del ragazzo, la stessa dalla quale era venuta. Lui però stava seguendo ogni suo movimento con quelle iridi inquietanti, la braccava, le suggeriva che mai l'avrebbe lasciata sfuggire.

Valutò l'idea di colpirlo con qualcosa, ma tutto ciò che riuscì a vedere fu qualche sasso dal dubbio utilizzo. Tuttavia, prima ancora che potesse formulare la vaga idea di un piano, i suoi muscoli scattarono avanti spinti dal puro istinto di sopravvivenza che bruciava ancora in quelle membra per darle energie.

Fece il primo passo, e un'ombra si mosse decisa verso di lei, come per segnare la sua morte.

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