XIX.

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Una luce accecante mi fa aprire gli occhi ancora rossi e gonfi a causa delle lacrime. Un vento gelido accarezza la mia pelle esile e debole, mentre una voce angelica si fa spazio tra le mie orecchie.

«Eva, che ci fai qui?»

Finalmente le cose si fanno più chiare, i miei occhi iniziano ad ammirare il panorama: sono circondata da un prato di un verde smagliante, ricoperto da un manto di fiori rossi e blu accarezzati dalla luce del Sole, più splendente e abbagliante che mai.

Volto il mio viso nella direzione della voce udita poco prima, e davanti a me trovo la donna più bella che io abbia mai visto, mia madre.

Il pallido viso è privo di imperfezioni, la pelle è candida come se fosse fatta di ceramica, le labbra sottili e sincere, sono coperte da un leggero rossetto rosso, che le rende ancora più calde. Le guance sono ancora morbide e lisce come quelle di una volta, i biondi capelli sono raccolti in uno chignon elegante, che lascia cadere due boccoli davanti a coprirle il viso, il suo splendido viso.

«Ma- mamma...» Balbetto incredula guardandola dritta negli occhi.

Gli occhi della serenità, della pace e della speranza che non ha mai perso. I suoi occhi color nocciola trasmettono tranquillità in un solo sguardo, come un superpotere, occhi emozionati quasi quanto i miei.

«Tesoro, perché sei qui?» La sua voce candida, dolce e preoccupata allo stesso tempo mi fa rabbrividire, dove sono finita?

«Non lo so... Ero uscita di casa e... Oddio Ethan!» Improvvisamente riaffiorano i ricordi, Ethan è stato investito a causa mia, ma non ricordo nulla dopo l'accaduto, solo il rumore delle sirene.

Scoppio a piangere accasciandomi a terra e singhiozzando.

Sembra quasi buffo piangere in un posto paradisiaco e tranquillo come questo.

«Che è successo tesoro? Ethan cosa?» Mia madre si avvicina a me e con fare affettuoso mi abbraccia, dandomi la forza per parlare.

«Oh mamma... E' stato investito per colpa mia.» Piango ancora.

«Tesoro, non darti mai la colpa di nulla, ricordi quello che ti ho detto? Vivi all'infinito, è proprio questo quello che devi fare, non puoi piangerti addosso, solo proseguire per la tua strada. Sai, io ho sempre vegliato su di te, ho visto quello che ti ha fatto Ryan e i pianti che ti sei fatta per lui. Vederti così mi ha fatto male al cuore... Hai ancora l'anello?»

Tra le lacrime annuisco e glielo mostro, lei lo sfila dal mio dito e lo tiene sul palmo della mano «Non perderlo mai, è speciale, questo anello ti darà forza quando più ne avrai bisogno, io non potrò proteggerti per sempre, ma questo anello si.»

Me lo riconsegna e, con mano tremolante, mi accarezza il viso spostando i miei lunghi capelli marroni dietro un orecchio.

«Ma mamma, ormai sono qui e, anche se non ho capito bene cosa sia questo posto, non credo riuscirò mai a tornare a casa.»

«Invece sì tesoro, ancora non è arrivato il tuo momento.» Le scende una lacrima e finisce per bagnare il mio di viso.

«Momento di cosa?»

«Un giorno capirai, promesso. Adesso però devi andare, ricorda che ti voglio bene.»

«Anche io mamma, ma dove sto andando?» Chiedo più confusa di prima.

«Lascia fare a me.»

In un battito di ciglia, vedo il mio corpo dissolversi lentamente, come ultimo sguardo, il volto di mia madre che sboccia in un tenero sorriso.



Un profumo di margherite mischiato a antidolorifici, pizzica le mie narici, una mano calda accarezza la mia e di colpo apro gli occhi.

Inizialmente non riesco a distinguere la figura davanti a me, dopo un po' la vista migliora e i miei occhi incrociano lo sguardo preoccupato di Tyler.

«Eva stai bene? Come ti senti?» Velocemente si avvicina al mio lettino e capisco subito dove mi trovo.

Davanti a me vedo un muro di un bianco candido con due strisce di un azzurro per niente allegro al centro. Al muro è attaccata una televisione bianca che trasmette un programma televisivo.

A destra vedo una vetrata molto ampia che ricopre tutto il muro e una tenda azzurra che nasconde l'interno della stanza alle persone esterne.

Io sono seduta su un lettino d'ospedale bianco, con la flebo e un aggeggio che fa BIP BIP, oddio che fastidio.

«Ti prego, spegni questo coso. » Indico l'aggeggio a Tyler e provo ad alzarmi dal lettino, ma un forte dolore alla testa mi blocca.

E' come se tante scimmie stessero ballando il Waka Waka dentro la mia testa, e no, non è una bella sensazione.

«Eveline devi stare sdraiata, sei debole. » Dice Tyler aiutandomi a sdraiarmi nuovamente e alzando un po' la spalliera del lettino.

«E poi quel coso come hai detto tu, conta i tuoi parametri vitali, se non facesse alcun rumore sarebbe un problema. » Dice abbuffando una risata.

«Da quando sei così acculturato? Mangi vocabolari a colazione?»

«No, anche a pranzo e a cena. » Scoppiamo a ridere, mi fa male anche ridere.

Sento i polmoni pesanti, come se fossero fatti di piombo, come se un tram mi fosse passato di sopra.

Smettiamo di ridere e cala il silenzio, così i miei pensieri iniziano a parlare.

Perché mi viene così difficile ricordare? Cosa ho fatto per finire all'ospedale? Perché mi fa male tutto?

Inizio a scavare nei meandri più nascosti della mia mente e finalmente un flashback arriva in mio soccorso.

L'anello.

Guardo subito la mia mano destra in cerca dell'anello ed è proprio lì, più splendente che mai, che circonda il mio anulare.

Eccoli lì, i miei ricordi.

Il cemento, il prato, mia madre... Manca ancora qualcosa...

«ETHAN. » Urlo e Tyler alza lo sguardo, prima posato sul pavimento con le mattonelle bianche, su di me.

«E' nella stanza accanto e-»

Non gli lascio finire la frase, mi alzo immediatamente mandando il dolore a quel paese e uscendo dalla stanza.

Appena esco vedo una scritta: "New Haven Hospital", come siamo arrivati qui? Eravamo a Washington.

Nonostante la confusione dentro la mia mente, decido di continuare a camminare.

La luce del lungo e deserto corridoio è talmente forte da far aumentare il mio mal di testa e, con fatica, inizio ad andare davanti la stanza di mio fratello, ma trovo la porta chiusa.

«Signorina, non può entrare.»

Mi giro e vedo una signora con un camice bianco e degli occhiali che incorniciano i suoi occhi un po' preoccupati.

«Lì c'è mio fratello, DEVO entrare. » Provo ad aprire la porta ma niente, non ci riesco.

Spingo la mia schiena contro la porta e scivolo giù, fino a ritrovarmi seduta a terra. Un lamento straziato esce dalla mia bocca, ma non riesco più a piangere.

Ho finito le lacrime, il mio corpo è stanco di provare dolore, la mia anima è a pezzi.

Prima mia madre, poi Ryan che mi spezza il cuore, e adesso lui? Non lo posso sopportare.

«Il ragazzo Moor è in coma, ha subito delle lesioni in tutto il corpo, ma la cosa che ci spaventa di più è il trauma cranico.»

La dottoressa si inginocchia davanti a me e posa un braccio sulla mia spalla.

«Devi stare tranquilla ragazza, lui è forte, il trauma cranico non è così grave, noi medici siamo positivi. Tu devi essere forte per lui.»

«Ma come faccio ad essere forte se tutto quello che avevo mi è stato portato via? Come faccio dottoressa? Come dovrei farei a sopportare tutto questo dolore e uscirne pulita?» Dico singhiozzando e tremando, sono stanca di tutto questo.

«Nessuno dice che tu ne debba uscire illesa, alla fine avrai qualche cicatrice nell'anima, ma sarai felice.»

«Come fa la mia anima ad avere le cicatrici, se un'anima io non ce l'ho più?»


Ci risiamo. Sono di nuovo sdraiata sul lettino d'ospedale, l'odore ovviamente non è cambiato, ma il mio umore sì.

«Eva...» Dice Lauryn avvicinandosi a me.

Ha una coda alta che la rende incantevole, gli occhi però sono rossi e gonfi dal pianto.

«Sei svenuta di nuovo, dovresti mangiare qualcosa.» Si asciuga le lacrime e prende un vassoio con dentro del cibo con un pessimo aspetto.

«Non ho fame, tu come stai?»

Alza lo sguardo verso di me e accenna un lieve sorriso.

«Bene, ora sto davvero bene.»

«In che senso?» Corrugo la fronte preoccupata.

«Io lo amo Eveline, e finalmente sono riuscita a dirglielo.»

Sono abbastanza incredula, sono felice per loro ma allo stesso tempo sono triste per Lauryn, visto che Ethan è in coma.

Non riesco neanche ad essere triste, ormai ho deciso di prendere tutto quello che succede con ironia, di ridere a ogni cosa triste.

«Quindi gliel'avevi detto prima dell'incidente? Non me l'ha detto...»

Abbasso lo sguardo triste, pensavo che se un giorno una ragazza gli avesse detto ti amo me l'avrebbe comunicato, evidentemente mi sbagliavo.

«Non fare quella faccia triste, ovvio che non te l'ha detto, l'ha saputo ora.»

Mi si illuminano gli occhi «Quindi è sveglio?» Subito mi alzo dal lettino.

«Ancora no, ma hanno detto che adesso si può entrare per parlare con lui, anche se ancora non si è svegliato ci potrebbe sentire...»

"Va bene, io vado lo stesso, ho bisogno di parlare con lui."

"Fai piano, sei ancora debole."

Le sorrido ed esco dalla stanza, pronta al peggio.


«Ehi Ethan...»

Entro nella stanza in punta di piedi e chiudo la porta alle mie spalle. A differenza della mia, le luci sono meno abbaglianti e il profumo nell'aria è nettamente migliore.

Giro lo sguardo verso di lui e lo osservo. Ha gli occhi chiusi, i suoi splendidi occhi che prima emanavano felicità e sicurezza, adesso sono la causa delle mie incertezze.

I suoi splendidi ricci sono coperti da una grossa garza bianca e un graffio vicino al labbro inferiore, nasconde completamente la sue espressione.

«Come ti senti?»

Mi siedo sulla poltrona azzurra vicino al lettino e guardo mio fratello con le lacrime agli occhi.

«Ah giusto, non puoi rispondere...»

«Ethan, sei stato investito per salvarmi da un pazzo maniaco, ancora una volta hai messo gli altri al primo posto, ancora una volta sei rimasto ferito a causa mia.» Alzo un po' la voce, ma me ne pento subito, non posso arrabbiarmi con lui. Abbasso lo sguardo sconsolata.

Lui non può sentirmi.

«Giuro che se non ti svegli subito mi metto a frugare tra i cassetti dei vestiti in camera tua, ti prego svegliati!»

Mi alzo di scatto arrabbiata e sento le lacrime bagnarmi nuovamente il viso.

In questo momento sono arrabbiata con me stessa, se fossi andata con lui su quel dannato taxi, adesso mio fratello sarebbe con me in gita a Washington.

Cerco di calmarmi e mi siedo nuovamente sulla poltrona, stringendo la mano di Ethan tra le mie. Non riesco a capire se sono arrabbiata o triste, non riesco a capire le mie emozioni.

«Ho incontrato la mamma.» Dico di punto in bianco e mi sento sprofondare.

Magari questo riuscirà a suscitare una reazione in lui, magari mi sta sentendo in questo momento.

«Mi ha detto di essere forte, mi ha detto di non arrendermi mai, di vivere all'infinito e di smettere di pensare alle cose brutte. Mi ha anche detto di che non è ancora arrivata la mia ora.»

Mi rendo conto di quanto tutto questo sia ridicolo.

Mia madre non può essere apparsa per magia, sarà stato solo un sogno...

«Sto impazzendo.»

O forse no...

«Potrebbe essere vero tutto quello che ho visto, dopotutto non sappiamo cosa ci aspetti veramente dopo la morte, nessuno lo sa, magari lei è riuscita a parlarmi per dirmi che lei ci sarà sempre per noi, chissà, magari in questo momento mi sta ascoltando...»

Alzo lo sguardo verso il cielo e automaticamente sorrido.

«Mi dispiace cara, il momento visite è finito, la sua mente deve riposare.» La dottoressa di prima entra delicatamente nella stanza.

«Va bene.»

Prima di uscire dalla stanza lo guardo.

Un sorriso si fa spazio tra le mie labbra e io, in questo momento, sono felice.



Sono ferma a fissare un punto indefinito nel bel mezzo del corridoio da circa quindici minuti.

Non so cosa pensare di questa buffa situazione, che in realtà di buffo non ha proprio nulla, ma sono stanca di piangere e di essere fragile, mia madre mi ha detto di essere forte e non voglio deluderla.

Ho paura di perdere tutto quello per il quale ha senso combattere, di non riuscire a cavarmela da sola, ho paura che lui non possa mai più risvegliarsi.

«Signorina Moor, come sta?»

Sento una voce piuttosto familiare e mi giro a guardarla.

Un uomo alto in giacca e cravatta osserva il mio abbigliamento con i suoi occhi marroni un po' imbarazzato.

Solo adesso mi rendo conto di star indossando una di quelle camicie bianche giganti che usano i pazienti dell'ospedale, improvvisamente mi sento nuda.

Ero talmente preoccupata per Ethan che non ho badato al mio abbigliamento - non molto coprente - e un filo di imbarazzo si fa spazio tra i miei occhi.

«Professore, salve. » Un sorriso forzato si fa spazio tra le mie labbra, mentre cerco di coprirmi in tutti i modi possibili sembrando ancora più stupida del solto.

«Eveline sarai confusa, è successo tutto così in fretta e anche noi professori siamo stati colti alla sprovvista.»

«Ha ragione, potrebbe spiegarmi come siamo arrivati qui? Mio padre lo sa?»

Lui annuisce e, con fare elegante, si accomoda in una delle poltroncine azzurre del corridoio.

«Certo cara, dopo l'incidente tu e tuo fratello siete stati trasportati all'ospedale, purtroppo Ethan è stato travolto in pieno dalla macchina e adesso ha un lieve trauma cranico e per questo è in coma, i medici non sanno cosa pensare della sua condizione, un trauma cranico non può essere così tanto lieve.»

Ammette lui con un filo di voce e io trattengo le lacrime, grazie professore, molto confortante.

«E' tutta colpa mia...»

«No Eveline, non darti colpe che non meriti di avere, è stato un brutto incidente, uno scherzo della natura, ma non darti mai la colpa, perché la vita è sempre troppo crudele con le persone che non se lo meritano.»

Rimaniamo un po' in silenzio, poi trovo il coraggio e la forza per parlare.

«Ancora non mi ha spiegato come abbiamo fatto ad arrivare qui.»

«Ah sì giusto. Tyler era preoccupato visto che non vi facevate vedere da un po' quindi ha chiamato al tuo cellulare e fortunatamente un medico ha risposto, normalmente non si dovrebbe fare ma ai medici servivano informazioni su di voi. » Annuisco e poi lui continua.

«I medici hanno detto a Tyler tutto e poi lui è venuto a dirlo a noi professori che immediatamente ci siamo catapultati all'ospedale di Washington. La gita non poteva continuare quindi è stata annullata, tutta la scuola ha preso il primo aereo per New Haven mentre tu e Ethan siete stati trasferiti in questo ospedale, Tyler e Lauryn volevano andare con voi e così è stato.»

«Va bene, mi dispiace aver rovinato la gita a tutti... Ma mio padre? Sa che siamo qui?» Chiedo preoccupata.

«Sì e sta per arrivare, ti porterà a casa.»

«Non voglio abbandonare mio fratello. » Una lacrima solca il mio viso.

«Su questo dovrai discutere con tuo padre, ma ricorda che Ethan sa che sei lì anche quando non ci sei fisicamente, tu sei dentro il suo cuore.»

«Grazie professore.» Gli sorrido timidamente e lui si alza dalla poltroncina.

«Aspettati sempre il meglio dalla vita, vedrai che, prima o poi, troverai la felicità.»

Mi saluta e con una camminata elegante va via, io rimango nel corridoio a pensare alle sue parole.


Dire che sono in lacrime é dire poco.

Inutile dire che manca poco alla fine della storia, solo tre capitoli, che non so quando riuscirò a scrivere perché questa storia è troppo importante per me e non riuscirò a finirla facilmente.

Spero comunque che questo capito vi sia piaciuto e fatemi sapere il vostro stato d'animo in questo momento.

Vi voglio bene.
Baci❤️

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