1. Primo Atto

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IL PRIMO INCONTRO


Kristen Moore non sapeva dire con precisione cosa l'avesse spinta a squadrare quel tipo dall'alto in basso. Spogliarlo con gli occhi, a dire il vero, sarebbe stato un termine decisamente più appropriato per descrivere quella sfacciata contemplazione cui si stava, di fatto, abbandonando da almeno venti minuti.

Era entrata nel Brunch con la semplice scusa di provare uno di quei cocktail di cui Ramona, la sua più cara amica, le aveva sempre parlato. Devi assolutamente provarlo, le aveva detto spesso, durante le numerose pause pranzo trascorse insieme. Ti lascia in bocca un'esplosione di sapori che spacca di brutto!

Le labbra di Kristen si incurvarono in un sorriso. Pur avendo compiuto trentatré anni lo scorso agosto, Ramona continuava a usufruire di quel gergo giovanile – sin troppo giovanile, a suo dire – condito da slang che a lei facevano morire dal ridere. Le aveva spesso chiesto da dove provenisse quel linguaggio, che la donna stessa definiva così in contrasto con la professione da lei esercitata: co-direttrice del Children's Home, famoso istituto preposto all'accoglienza dei tanti bambini sfortunati che non avevano goduto del privilegio di avere una famiglia che li accudisse. Ramona, di fronte al sordo rimprovero dell'amica, si limitava sempre a risponderle con un "Non è mica l'abito che fa il monaco, no?"

Kristen si rigirò il bicchiere tra le mani, la cannuccia che vi ruotava attorno creando una specie di moto perpetuo, a tratti ipnotico. Quella sera il Brunch era stracolmo di persone, ma tutta la sua attenzione continuava a rivolgerla al misterioso uomo che le sedeva di fronte, qualche tavolo più in là.

Era solo anche lui.

Capelli scuri, fronte alta, mento e zigomi leggermente pronunciati. Naso alla greca. «Proprio un bel tipo», commentò, a mezza voce. Indossava una camicia azzurra che lasciava appena intravedere parte del petto. La sua bocca era piegata in un ghigno lugubre, che tradiva tutta la sua amarezza.

Delusione d'amore, pensò, senza scostare lo sguardo da quelle labbra che, doveva ammetterlo, avrebbe baciato seduta stante. Pur non essendo troppo vicina a lui, ne aveva scrutato la forma con vivo interesse. Il taglio di quelle labbra era bellissimo. Kristen sospirò appena. Cos'avrebbe dato per vedere il suo sorriso! La donna se lo immaginò caldo e accogliente, persino dolce, a tratti. Magari poteva persino vantare una dentatura perfetta. O magari no. A Kristen, d'altra parte, la perfezione non interessava.

A seguito dell'ennesima elucubrazione, anche l'uomo alzò gli occhi e li piantò nei suoi. Kristen si sentì raggelare. Se solo avesse ascoltato la parte più razionale di sé, avrebbe immediatamente abbassato la testa o rivolto lo sguardo altrove, fingendo che stesse osservando qualcos'altro. Ma ormai sapeva che era troppo tardi.

L'uomo continuò a fissarla, il pollice e l'indice che, ritmicamente, tamburellavano sul bicchiere; di fianco a questo una bottiglia scura che, probabilmente, conteneva del vino – rosso, sillabò nella sua testa, con la vana speranza di non farsi prendere dal panico. All'inizio, presa com'era dal tipo in questione, non ci aveva nemmeno fatto caso.

Il gioco di sguardi continuò. Il volto di lui si era fatto più disteso, senza perdere, però, quell'assoluto aplomb di compostezza che trasudava da tutta la sua persona. Le labbra strette, la mascella serrata, l'espressione che, tutto d'un colpo, s'era fatta imperscrutabile.

Dev'essere nervoso, si disse Kristen. Proprio come me.

Eppure, quei begli occhi – di cui la donna, per ovvi motivi, non poteva certo captare il colore – le trasmettevano un senso di inaspettata tranquillità. Erano dannatamente espressivi.

Kristen provò più e più volte a scostare lo sguardo, ma non ci riuscì. Per almeno un paio di minuti, i loro occhi si erano incatenati gli uni agli altri, le dita di entrambi – nello specifico quelle della mano destra – che picchiettavano sui bicchieri. Fu lui per primo a rompere quell'insperato – ma tanto atteso – contatto visivo. L'uomo aveva agguantato la bottiglia e, portandosela al bicchiere, vi versò l'ultima pinta di liquido scuro. Se la scolò d'un sorso, gli occhi fissi sul tavolo. Lo sguardo vacuo.

È tornato nel suo mondo, constatò Kristen, tra sé e sé. Guardò il suo orologio da polso: mancava davvero poco alle ventitré.

Dovresti andartene, la rimbrottò una voce – alquanto fastidiosa – nella sua testa. O domani non combinerai un accidente.

Si guardò intorno. La musica a tutto volume si mescolava all'accozzaglia di ragazzi che popolava ogni anfratto del locale. La notte era ancora giovane.

Ma tu non hai più vent'anni da un bel pezzo, si redarguì Kristen.

Il suo sguardo vagante ritornò . L'uomo era sparito. Kristen strabuzzò gli occhi. Non poteva crederci. Chiuse gli occhi e li riaprì, sperando, più o meno inconsciamente, che quel posto che l'uomo occupava non fosse vuoto, e che in realtà fosse l'alcol che stava cominciando a giocarle un brutto tiro – d'altronde, lei non riusciva a reggerlo bene quanto Ramona. Si sentiva un po' stordita, in effetti, ma non si era sbagliata. Quell'uomo non c'era più. Sconsolata, Kristen afferrò la sua borsetta piena di strass e si avviò, a passo malfermo, verso l'uscita, ma all'ultimo momento ci ripensò.

E il motivo non riguardò certo l'incontrovertibile fatto che non si reggesse per niente bene sulle proprie gambe. Voleva solo concedersi un ultimo drink. Le avrebbe fatto più male che bene, lei lo sapeva. Ciononostante, si avvicinò al piano bar e ordinò, la voce risoluta, un gustoso Martini. Il barman acconsentì all'istante, non senza aver rifilato alla donna un'occhiata penetrante che, nei momenti di più accesa lucidità, l'avrebbe messa non poco a disagio. Quando il ragazzo posò il bicchierino sul bancone, Kristen fece per prenderlo, ma un'altra mano – sbucata all'improvviso e dai tratti palesemente maschili – fu più lesta di lei.

«Mi scusi tanto, ma quello è mio», gli fece notare Kristen, che impallidì subito nel momento in cui si accorse che quella mano non apparteneva a un semplice sconosciuto.

L'uomo che aveva osservato di sottecchi per buona parte della serata era proprio lì, davanti a lei. Il volto stanco, le labbra increspate in un mesto sorriso.

L'uomo incriminato mollò il bicchiere all'istante e glielo porse. «Ops, la prego di scusarmi, ma stasera i miei sensi devono essere un po' alterati. Troppo alcol, sa com'è.»

Il timbro della sua voce quasi la stordì. Aveva un non so che di melodioso, una discreta punta di virilità mista a quella dolcezza che alla donna fece venire la pelle d'oca.

«Tra l'altro, avevo ordinato anch'io un Martini», proseguì lui. «Infatti eccolo qua». Indicò il bancone e arraffò il suo bicchiere. «Le chiedo nuovamente scusa.»

Kristen si riscosse e tentò di elaborare nella sua testa almeno un paio di frasi di senso compiuto. «Oh, non si scusi», gli disse, sostenendo a malapena il suo sguardo. «Sono cose che capitano.»

«Quando si è un po' brilli magari sì, sono d'accordo», ridacchiò lui.

Una risata spenta, priva di una sincera allegria. Malgrado tutto, Kristen non riuscì a non ridersela anche lei. La sua di risata, però, celava in sé un pesante guizzo di nervosismo.

Trovava che quell'uomo fosse dotato di un fascino particolare. Non aveva una dentatura perfetta, constatò Kristen, e ammetteva quanto la cosa le facesse piacere. Tanta perfezione in un solo individuo avrebbe stonato. Lo preferiva di gran lunga con quel profilo dai tratti asimmetrici, le piccole rughette attorno agli occhi e il leggero strato di barba incolta che gli incorniciava il volto allungato. All'attaccatura dei capelli corti si intravedeva una tenue spruzzata di grigio, che mano a mano si diradava lasciando il posto a una discreta chioma scura.

«Qualcosa non va?» le chiese, notando che non smetteva di guardarlo.

Kristen sentì le guance andarle a fuoco. «È tutto a posto», farfugliò, quindi iniziò a sorseggiare il suo Martini.

L'altro la imitò. Per un momento, ognuno si perse nei propri pensieri. Kristen diede una scorsa più approfondita al suo abbigliamento. Jeans scuri, semplici scarpe da ginnastica, quella camicia azzurra che si intonava alla perfezione coi suoi occhi.

Occhi cristallini, ma non limpidi. C'era un qualcosa che ne offuscava l'oggettiva bellezza. E Kristen avrebbe dato qualsiasi cosa per scoprire quel mistero che ne permeava le iridi.

Eppure, a te i tipi così non sono mai piaciuti, precisò la solita vocina nella sua testa. Okay che non pretendi la perfezione, ma nemmeno la semplicità assoluta.

Forse era proprio questo, che più l'attraeva. Quell'uomo sembrava del tutto inconsapevole del proprio fascino, a dispetto dei tanti macho men che nel corso della vita le era capitato, suo malgrado, di incontrare. Non resistendo all'impulso, gli scrutò di nuovo le labbra. Questa volta lo fece con discrezione, cercando di non farsi notare. Il loro profilo era gentile. Sembravano incredibilmente morbide. E il modo con cui le stesse accarezzavano la cannuccia di tanto in tanto – sorseggiando con gusto il Martini – le provocò un forte brivido lungo la schiena. Kristen se ne spaventò. Non era da lei provare quelle sensazioni così intense per qualcuno che neppure conosceva.

Chi era quell'uomo? E perché era lì a sbronzarsi senza alcun riguardo?

Potrebbe dire la stessa cosa di te, intelligentona. Kristen zittì – di nuovo – quella vocina. Io non sono qui a sbronzarmi, si disse. È stata solo una giornata storta. Lui, invece... vuole soltanto dimenticare. Dimenticare cosa, però? Una sua ex? Una situazione difficile? Le sue schermaglie al lavoro? Sempre che ne abbia uno, puntualizzò. Ma sono abbastanza sicura di sì.

Stava quasi per aprir bocca, quando l'altro la precedette. «Non lo trova delizioso?» le chiese, riferendosi al cocktail che avevano scelto.

Io trovo deliziose le tue labbra, gli avrebbe confessato Kristen, se soltanto fosse stata abbastanza sfacciata e coraggiosa. Lei non lo era mai stata, però. «Concordo», mormorò. «In realtà è il mio preferito.»

«Anche il mio», rispose lui. «Ti lascia in bocca un sentore di fresco. Vagamente fruttato.»

«Ha ragione. Ma penso proprio che berne un altro sarebbe deleterio per me», ammise la donna, regalandogli un sorrisetto di circostanza. Stava cominciando a girarle la testa, ma non era sicura che fosse a causa dell'alcol. O almeno non solo. Di fronte a quell'uomo si sentiva strana. Decisamente vulnerabile. E a lei, di norma, non piaceva esserlo. In quel momento, però... Kristen si morse il labbro. Era una bella sensazione, ma sapeva che non sarebbe durata a lungo. Tra meno di due ore si sarebbe infagottata sotto le coperte e non ci avrebbe pensato più.

Forse.

«La capisco. E io non sono poi tanto diverso da lei. A dire il vero, non dovrei nemmeno essere qui.» Dopo quelle parole, si concesse un amaro sospiro e, se possibile, si rabbuiò ancora di più.

Kristen si impose di non domandarsi il perché. D'altra parte, non era affar suo. Aveva solo una certezza: più di un qualcosa la spingeva verso di lui. Provava un impellente desiderio di stargli vicino, di sentirlo parlare ancora una volta, con quell'accento così semplice e particolare al tempo stesso.

«Qualunque cosa la turbi, spero tanto possa risolversi», si sforzò di rispondergli lei, mentre egoisticamente pensava a quanto sarebbe stato bello – se non addirittura emozionante – catturare su di sé il sapore di quelle labbra.

Ti stai davvero rincitrullendo, pensò.

«Lungi da me dal parlare di questo proprio adesso», sottolineò lui, un altro sorso di Martini. «Lei, piuttosto... cosa ci fa qui tutta sola?»

Sulle prime, Kristen non seppe cosa rispondergli. Una parte di lei gli avrebbe detto che la sua migliore amica le aveva consigliato di provare un cocktail al Brunch, per cui aveva semplicemente fatto una capatina al bar dopo essersi abbuffata a casa sua con una triste pizza surgelata. Ma l'altra parte di sé – il suo io più profondo – sapeva benissimo che la verità era un'altra. E quell'altra verità non era certo l'ennesima storia che si stava raccontando per non sprofondare nel dolore o, peggio, nella più cupa disperazione. Quel giorno non era un giorno qualunque. 

Non pensare a quel bastardo. Non farlo.

«Volevo solo provare un cocktail», gli disse. «Solo che poi mi sono fatta prendere un po' troppo la mano, lo ammetto.»

«Conosco la sensazione. Ma penso che dovremmo chiudere bottega.»

L'uomo si alzò di scatto e, di riflesso, Kristen fece lo stesso. Ma non aveva fatto i conti con l'improvviso giramento di testa che la fece riaggrappare subito allo sgabello.

Dannazione.

«Si sente bene?» le chiese l'altro in tono preoccupato.

«Va tutto bene, non si disturbi. Ho avuto solo un capogiro.»

«Dove abita? È molto lontano da qui?»

«Ho la mia macchina, non deve—»

«Ma non può guidare in queste condizioni», ribatté lui, visibilmente contrariato.

«Se è per questo, non potrebbe farlo nemmeno lei», puntualizzò Kristen, senza alcuna nota di severità nella voce.

Ed è pure un gentiluomo, pensò, sempre più impressionata.

«Su questo ha ragione. Magari potremmo chiamare un taxi, ma temo che dovremmo aspettare un bel po'. E fuori fa piuttosto freddo.»

«Abito a dieci minuti da qui», si arrese Kristen, il cuore che le batteva furiosamente nel petto. Tutto d'un tratto, la prospettiva di ritrovarsi da sola in macchina con lui la fece sentire come una sedicenne al primo appuntamento. E pensare che di uomini ne aveva frequentati, prima di incontrare quel bastardo del suo ex. Per non parlare dei successivi.

Non ricascarci, si disse ancora, immusonita. Gli hai dato sin troppa importanza.

«Perfetto. Allora l'accompagno.»

«È sicuro di—»

«Mi sento bene, sì. Speriamo soltanto di non incontrare i piedipiatti. Capirebbero subito che ho bevuto. Ma cercheremo di fare attenzione.»

Kristen alzò le spalle. «Se lo dice lei.»

«Forza, usciamo da qui.»

Tra la musica assordante e fior fior di ragazzi che ballavano ovunque con aria scoordinata – ma non meno coinvolgente –, sgomitarono un po' di qua e un po' di là per farsi largo tra la folla. Quando raggiunsero l'uscita, Kristen appurò che l'uomo – e anche in questo ci aveva preso – non era un fumatore e che, anzi, detestasse con tutto il cuore l'odore acre della sigaretta. «Se potessi le abolirei», aveva detto subito, allontanandosi a passo svelto da una donna che, seppur avvenente, non degnò di un solo sguardo – gli era bastato vederla con la cicca in mano per scappare a gambe levate.

«Anch'io lo detesto», rispose Kristen, che si sentì subito rinfrancata dalla brezza notturna che le sferzava il viso. Ma cosa non si fa per amore... Il mio ex fumava come un turco. Alzò gli occhi al cielo. Ci risiamo. Scacciò quel sordido pensiero dalla mente e si concentrò su di lui, che si era appena voltato per sincerarsi che lei lo stesse seguendo.

«Si sente meglio?» le domandò, scrutandola a fondo.

Kristen provò un'intensa fitta al basso ventre. Il suo sguardo penetrante la mandava in confusione. La eccitava. La faceva sentire debole, ma di quella debolezza piacevole, che appaga i sensi al pari di un massaggio rilassante – mente compresa. «Molto meglio, la ringrazio», gli rispose, incapace di fissarlo troppo a lungo negli occhi.

«Siamo quasi arrivati.»

Svoltarono a sinistra, dove percorsero un tratto di strada piuttosto angusto e non meno isolato. Kristen si maledisse per aver indossato i tacchi. Di solito non lo faceva mai e, anzi, se avesse potuto evitare di metterseli durante le cerimonie occasionali a cui veniva invitata, non se la sarebbe certo presa a male.

Le luci dei lampioni illuminavano la carreggiata quel tanto che bastava a non cadere rovinosamente a terra. Di tanto in tanto, qualche vettura passava e squarciava il silenzio della notte, assieme al costante tacchettio delle sue scarpe. Uno scatto improvviso, accompagnato da una temporanea lucina rossa, le suggerì che fossero arrivati a destinazione. Un'Audi blu scura, dal taglio sportivo.

Tipo semplice, macchina da sballo, avrebbe commentato Ramona, se solo fosse stata al suo posto.

«Si accomodi pure», le fece lui, mentre apriva lo sportello di guida.

Kristen acconsentì. Il suo cuore riprese la sua folle corsa non appena anche l'uomo entrò nell'abitacolo. Un leggero profumo di acqua di colonia si insinuò nelle sue narici e le causò l'ennesima scarica di adrenalina.

L'altro inserì la chiave nel quadro e le scoccò un'occhiata interrogativa. «Mi dica pure dove devo andare, signorina...»

«Kristen.»

«Io sono Marcus, invece. Mi scusi tanto se non mi sono presentato prima, però...» Fece spallucce e protese la mano verso di lei.

L'altra avvicinò la sua e ricambiò la stretta. Ma le scappò pure un sorriso.

Ancora brividi. E non erano certo brividi di freddo. Quel contatto così innocente era stato come fuoco, per lei. «N-non deve scusarsi, gliel'ho detto. E comunque non l'ho fatto nemmeno io, per cui siamo pari, no?»

L'uomo accennò un sorriso, quindi mise in moto la macchina. Se ne restarono in silenzio per tutto il tragitto – eccetto nei momenti in cui Kristen doveva indicargli la strada di casa. Fortunatamente, nessun piedipiatti li fermò: quella sera, la cittadina di Stantoindale non sembrava particolarmente attiva. A onor del vero, veniva da molti considerata un buco, soprattutto quando ci si avvicinava alle molteplici zone periferiche di cui la stessa era celebre. 

Quando Marcus accostò la vettura, a Kristen dispiacque enormemente che quel breve viaggio fosse giunto al termine. Una parte di lei avrebbe tanto voluto restarsene con lui nella sua macchina, almeno per qualche altro istante. Si sarebbe accontentata persino del silenzio più assoluto. Non era quello, ciò che più le importava. Ciò di cui le importava era la sua presenza.

«Grazie tante per il passaggio, Marcus». Pronunciare il suo nome le provocò l'ennesimo brivido.

Invitalo a salire, le diceva l'istinto, mentre il cervello la redarguiva con un Ma sei matta? Che razza di idea si farà di te, eh?

«Figurati, Kristen.»

Solo in quel momento se ne accorse. Erano automaticamente passati al tu. Il suo cuore continuava a sussultare. Aveva poco tempo per decidersi. Rischiare e ricevere un due di picche, oppure lasciare che quel treno passasse senza concederle alcuna possibilità di ritorno.

O la va o la spacca, pensò.

«Ti andrebbe... sì, insomma, ti andrebbe di salire?»

Non riusciva a credere di averlo detto. Non si era mai azzardata a spingersi a quei livelli con un uomo di cui appena conosceva il nome e l'aspetto. Non si era mai azzardata a fare il passo più lungo della gamba senza che alla base non vi fosse una solida certezza. Non amava troppo rischiare, semplicemente perché detestava perdere qualsiasi genere di sfida.

A quella richiesta, Marcus sussultò leggermente, ed ebbe appena la forza di guardarla. Sembrava incredulo, a tratti persino smarrito. Rialzò la testa e incrociò gli occhi di lei. E proprio allora, Kristen se ne accorse. Era combattuto. Una punta di persistente disagio impressa nelle sue iridi, però, indusse Kristen a ritirare l'offerta.

«Scusami tanto, non so cosa mi sia preso, è che... Fa' pure conto che non ti abbia detto nulla, d'acc—»

«Va bene», sputò lui, un improvviso lampo di risolutezza gli illuminò il viso.

A Kristen mancò il respiro, tanto che flebilmente sussurrò: «Che cos'hai detto?»

«Ho detto che va bene», ribadì lui con fare tranquillo, slacciandosi la cintura.

Non appena scese dalla macchina, Kristen fece lo stesso. Per un fugace attimo, però, pensò di pregarlo di andarsene via, di fingere che non gli avesse detto alcunché. Ma nel profondo desiderava averlo accanto, e nient'altro. Kristen estrasse un mazzo di chiavi dalla borsa, le mani tremanti. Non osò neppure guardarlo negli occhi. L'uomo, dal canto proprio, la seguì su per le scale senza fiatare.

Quando tentò di aprire la porta di casa, si maledisse ancora una volta per la sua tremarella.

Perché, in fondo, lei lo sapeva. Sapeva di aver appena commesso l'errore fatale.

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