12. Il diario degli errori - Parte II

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Cari amici e lettori, eccoci qui con un nuovo capitolo di Every step I take! 

Voglio innanzitutto ringraziarvi per tutti i commenti e le visualizzazioni che mi avete regalato sino ad ora 
Non c'è cosa più bella che vedere che qualcuno si sta davvero appassionando alle avventure di Marco e Aurora ❤  

Riuscirà Marco a scoprire cosa sta nascondendo Aurora? E lei troverà il coraggio di affrontare il suo passato? 

Leggete e ne saprete di più! ^-^

Come sempre non mancate di farmi sapere cosa ne pensate della mia storia, ogni commento/critica costruttiva/ suggerimento è assolutamente ben accetto :)

Vi auguro buona lettura e vi ringrazio ancora di cuore ❤ 


Nella foto: Eleonora 


Una volta dentro la sua camera, Marco chiuse la porta, prese il cellulare e compose il numero. Il telefono squillò cinque volte, cinque interminabili squilli, prima che Eleonora rispondesse.

«Pronto?» chiese la ragazza, in tono interrogativo. Naturalmente lei non aveva riconosciuto il suo numero, non avrebbe potuto.

«Ciao Eleonora, sono Marco, il fratello di Alessandro. Scusami se ti disturbo, posso rubarti due minuti?»

«Ah Marco, sei tu. Ciao» lo salutò lei, sorpresa. «Mi sembrava una voce familiare... Certo, dimmi tutto. Come posso aiutarti?» chiese con il suo solito tono allegro.

«Ho bisogno dell'indirizzo di Aurora, le devo parlare. So che l'altra sera sei andata a prenderla e ad accompagnarla, quindi sai dove abita... Ti prego, ho bisogno di parlarle» disse in tono supplichevole.

Eleonora rimase in silenzio per diversi secondi.

«Marco, mi piacerebbe aiutarti, ma non so se dovrei... Lei potrebbe non avere voglia di vederti, non ancora almeno... Sai cosa? Posso darti il suo numero di cellulare se vuoi.»

«Eleonora, ho bisogno di vederla. Per favore, ne ho bisogno» insisté Marco, deciso a non arrendersi.

«Marco, così mi metti in difficoltà... Lei è molto fragile in questo momento, non ha bisogno di qualcuno che la pressi, le serve tempo... Vedrai che quando sarà pronta verrà lei a parlarti, ne sono certa» cercò di rabbonirlo Eleonora.

«Ma non le voglio fare del male, voglio solo che sappia che io ci sono per lei. Non andrò da nessuna parte. Non mi importa cosa stia nascondendo. Non mi arrenderò così facilmente. Le puoi dire almeno questo da parte mia, stasera?» la implorò Marco.

«Sì, questo lo posso fare. Appena chiudiamo la chiamata la contatto e le riferisco quello che mi hai detto. Tu stai tranquillo, vedrai che si risolverà tutto» disse la ragazza, in tono calmo e accondiscendente.

«Grazie Eleonora, e scusami ancora per il disturbo. Buona serata» concluse mogiamente lui, evidentemente poco soddisfatto dal risultato della telefonata.

«Figurati. A presto Marco, buona serata a te. E salutami Ale» disse lei, prima di riagganciare.

Marco spense la luce e si abbandonò sul letto, lo sguardo puntato sul cielo notturno fuori dalla finestra, cosparso di piccoli radi puntini luminosi. Ora non poteva far altro che aspettare, e sperare che le sue parole giungessero a lei, cariche di tutte le emozioni che sentiva agitarsi dentro di lui.

Aurora era in camera. Aveva finito da poco di cenare e stava cercando di risolvere un problema di meccanica quantistica. Una pessima idea data l'ora, ma rimandarlo al giorno seguente sarebbe stato sicuramente peggio.

Da una manciata di minuti era intenta a fissare l'inchiostro nero traslucido con cui aveva tracciato tre pagine di lettere e numeri nell'ultima mezz'ora, senza però aver ancora concluso l'esercizio.

Fu la vibrazione del suo cellulare a distoglierla dal suo intento. Guardò lo schermo. Era Eleonora.

«Ciao Eleonora. Tutto bene?» rispose Aurora, curiosa di sapere come mai la stesse chiamando a quell'ora.

«Ciao Aurora. Sì, tutto bene, scusami se ti disturbo a quest'ora. Ma ho un messaggio da riferirti» disse l'amica. La sua voce tradiva un leggero nervosismo.

«Un messaggio? E da chi?» chiese Aurora, sempre più curiosa.

«Stasera ho ricevuto una telefonata da Marco. Sembrava piuttosto agitato. Mi ha chiesto di dargli il tuo indirizzo di casa. Mi ha detto che aveva bisogno di vederti, e con urgenza» disse l'amica tutto d'un fiato, evidentemente desiderosa di concludere quella conversazione il prima possibile.

«Oh mio Dio... Sicuramente sarà per la storia del bacio... E tu che hai fatto?» chiese Aurora, ormai in preda al panico.

«Stai tranquilla, non gliel'ho dato. Non glielo avrei dato in nessun caso, non senza chiedere prima il tuo permesso» la tranquillizzò Eleonora.

«Oddio, grazie mille, non avrei proprio avuto la forza di affrontarlo stasera. E lui cosa ha detto?»

«Gli ho detto che al massimo gli avrei potuto dare il tuo numero di cellulare, ma che forse sarebbe stata una cattiva idea chiamarti. Gli ho detto che hai bisogno di tempo e di rispettarlo. E sembra essersi convinto. Ma...» esitò alcuni secondi, poi riprese «mi ha chiesto di riferirti un messaggio» concluse Eleonora. Dalla sua voce traspariva imbarazzo.

Aurora aspettò alcuni secondi, poi incalzò l'amica. «Allora? Qual è il messaggio?» chiese, impaziente di sapere cosa Marco volesse dirle.

«Mi ha detto di riferirti che non ha intenzione di arrendersi. Che qualunque cosa tu gli stia nascondendo non ha importanza. Lui ci sarà per te. Se glielo permetterai, naturalmente.»

Eleonora rimase in silenzio, ad ascoltare il respiro pesante di Aurora all'altro capo del telefono. Poi aggiunse: «Io non so bene cosa ti trattenga. Non so se sia solo la storia dell'incidente e della cicatrice, o se ci sia qualcos'altro che non mi hai ancora detto. Ma non credo abbia molta importanza. Parla con lui, Aurora. Non allontanarlo senza avergli dato neanche una chance. Pensaci, d'accordo?» le consigliò l'amica.

«D'accordo» rispose con un filo di voce Aurora. «Ci penserò. Grazie per avermi chiamata Eleonora. Davvero» disse la ragazza in tono grato.

«Figurati. Quando vuoi, per qualsiasi cosa, sappi che ci sono per te. A domani, Aurora. Riposa e schiarisciti le idee.»

«A domani Eleonora» concluse riagganciando.

Aurora lasciò cadere il cellulare sulla scrivania, vi appoggiò i gomiti e si prese la testa fra le mani. Era lì a Firenze solo da poche settimane, e aveva già combinato un disastro.

Aveva promesso a sé stessa che non avrebbe raccontato a nessuno del suo passato. Aveva cambiato città per potersi lasciare tutto alle spalle. Aveva scavato una fossa profonda e ci aveva seppellito tutto. O almeno così credeva. Eppure ora le sembrava di essere in piedi, sul ciglio della buca, in precario equilibrio. Era sufficiente un soffio di vento e sarebbe precipitata anche lei. E tutto quello che credeva di aver seppellito avrebbe finito per seppellire lei. Sembrava impossibile ricominciare senza che quella notte e tutto ciò che ne era seguito tornassero a tormentarla. Era stata così ingenua a pensare di potersi avvicinare a Marco senza che ci fossero delle conseguenze.

Quello che le aveva fatto sapere tramite Eleonora non se lo sarebbe mai aspettata. Lui non si sarebbe arreso. O almeno così aveva detto. Ma Aurora sapeva che quelle parole erano una diretta conseguenza della mancanza di consapevolezza di Marco. Lui ignorava tutto. Non avrebbe mai potuto immaginare l'inferno che nascondeva dentro di sé. E lei sapeva bene che, se lo avesse lasciato entrare, si sarebbe scottato. E non voleva che anche lui si facesse male. Non era più disposta a rischiare, anche se questo avrebbe significato allontanarlo e restare da sola.

Marco aveva i suoi occhi. E non avrebbe potuto guardare quegli occhi piangere di nuovo. Non per colpa sua.

Aurora si asciugò una lacrima dall'angolo dell'occhio destro. Chiuse il quaderno su cui stava svolgendo il problema, consapevole che per quella sera non sarebbe più riuscita a continuare.

E come suo solito si rifugiò sotto il suo piumone azzurro, cullata dalle note delle musiche di Richard Clayderman. E fu così che si addormentò. Le ginocchia raccolte al petto, gli auricolari ancora nelle orecchie, la mano destra aggrappata al braccio sinistro. Come un riccio, chiusa su sé stessa.

Il giorno dopo Aurora si svegliò stanchissima, come se non avesse dormito affatto. Quando entrò in cucina per far colazione, trovò sua madre ai fornelli, intenta a preparare latte e caffè.

«Buongiorno Aurora» la salutò Ilaria, in tono mogio. Era ancora molto assonnata. Il lavoro alla nuova clinica la stava stressando molto, era evidente.

«Buongiorno mamma. Vuoi che prepari io la colazione? Magari tu puoi tornare a riposare ancora un po'.»

«Grazie cara, ma non preoccuparti. Oggi devo essere presto in reparto, ho dei post operatori da controllare e voglio assicurarmi che gli specializzandi del turno di notte non abbiano combinato disastri» disse contenendo a stento uno sbadiglio. «Ah, a proposito di questo, mi dispiace ma stamattina non ce la faccio ad accompagnarti in dipartimento. Dovrai prendere l'autobus.»

Aurora sentì una morsa allo stomaco. Era un imprevisto davvero sgradito. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era di incontrare Marco sul pullman. Eppure sembrava che le forze dell'universo si fossero coalizzate per organizzare quell'incontro che lei aveva tentato disperatamente di rimandare in ogni modo. Ma stavolta non poteva fare diversamente. Così fece un respiro profondo, nel tentativo di rilassarsi almeno un po', e rispose: «Non c'è problema mamma, prenderò l'autobus.»

E così un'ora dopo era alla fermata del pullman, in attesa. Come ogni mattina, sul marciapiede si era radunata una piccola folla. Aurora sperò di potersi confondere tra la gente, di poter nascondere la sua presenza su quel pullman, perché aveva la certezza che lui sarebbe stato lì. Non avrebbe mancato l'occasione di poterle parlare, ne era sicura.

Quando l'autobus raggiunse la fermata e aprì le porte, Aurora esitò qualche secondo, indecisa se salire o perderlo e aspettare il successivo. Ma alla fine il buon senso prevalse e lei salì sul mezzo.

I passeggeri riempivano come al solito ogni centimetro calpestabile del pullman. Aurora si guardò attorno, ma in mezzo a quella confusione non riconobbe nessun volto familiare.

Ma qualche secondo dopo sentì una mano toccarle il braccio destro. Si voltò di scatto e se lo trovò davanti. Gli occhi verdi, i capelli di un meraviglioso castano con riflessi dorati. Era proprio lui. 

Era Marco.

Quando Marco vide Aurora salire sull'autobus quella mattina stentò a credere ai suoi occhi. Finalmente era di nuovo lì, a pochi passi da lui. Quando la raggiunse, si fermò dietro di lei per qualche secondo, ad osservare i lunghi capelli corvini che ricadevano sulle spalle e sullo zaino. Avrebbe voluto accarezzarli, poter affondare le dita tra quelle meravigliose onde morbide come seta, esattamente come aveva fatto quella sera al bar.

Ma decise che non sarebbe stato opportuno. Così le posò delicatamente una mano sul braccio destro, applicando una leggera pressione solo per segnalarle la sua presenza e richiamare la sua attenzione. Quando lei si girò di scatto, poté perdersi ancora una volta nei suoi occhi blu, appena nascosti dalla frangetta che le ricadeva sulla fronte.

«Ciao» fu l'unica cosa che riuscì a dire. E a giudicare da quanto erano dilatate le sue pupille, era evidente che anche Aurora non avrebbe detto molto di più.

«Ehi, ciao» replicò infatti lei.

Restarono in silenzio per diversi secondi, persi l'uno nello sguardo dell'altra, immersi nella confusione dei rumori del traffico e degli altri passeggeri.

Fu Marco a parlare per primo. «Sono diversi giorni che non ti vedo qui sull'autobus... Stai bene?» chiese con una lieve nota di preoccupazione nella voce.

«Sì, ho solo sfruttato qualche passaggio da mia madre, tutto qui» si giustificò lei, abbassando leggermente lo sguardo, in evidente imbarazzo.

Marco capì che Aurora non sarebbe mai tornata sull'argomento di sua iniziativa. Quindi toccava a lui, se desiderava avere risposte.

«Senti Aurora, ti ha chiamata Eleonora ieri sera? Ti ha riferito il mio messaggio?»

«Sì, mi ha detto che volevi vedermi, ma che lei non ti ha dato l'indirizzo» rispose lei, gli occhi puntati sul pavimento dell'autobus.

«Tutto qui?» chiese lui, evidentemente deluso dall'idea che l'amica non avesse riferito la parte più importante della loro telefonata.

Aurora fece vagare lo sguardo sui passeggeri che li circondavano. Era in difficoltà e sicuramente a disagio. Ma lui doveva insistere, aveva bisogno di risposte.

Dopo diversi secondi lei decise di parlare.

«No. Mi ha anche riferito che non hai intenzione di arrenderti. E che ci sarai per me. E lo apprezzo, davvero. Ma non posso farlo Marco. Tu non sai niente di me, di quello che mi sono lasciata alle spalle. Non mi conosci, e io non conosco te. E in un certo senso credo sia meglio così. Sarà più facile dimenticare quello che è successo e restare amici.»

Marco rimase stupefatto. Non riusciva a credere che lei avesse detto veramente quelle cose. Aurora voleva che restassero amici. Ma come poteva mai accadere una cosa del genere? Lui non si sarebbe accontentato di quella spiegazione. Voleva delle risposte e le avrebbe ottenute. Doveva darle semplicemente una piccola "spinta".

«Senti Aurora, so dell'incidente. È questo che ti blocca?» disse afferrandole il braccio sinistro.

A quel gesto impetuoso gli occhi di Aurora tornarono a fissare i suoi, le pupille dilatate per la sorpresa, sul volto un'espressione terrorizzata. «E tu come fai a saperlo? Te l'ha detto Eleonora, vero?»

Quindi l'amica sapeva. Come lo aveva scoperto? Glielo aveva raccontato Aurora o anche lei l'aveva saputo da altre persone?

Nel frattempo vide che l'autobus si stava avvicinando alla sua fermata. Così, preso dall'impulso del momento, tenne stretta Aurora per il braccio e la tirò verso le porte del pullman, per farla scendere insieme a lui.

«Marco, ma cosa fai? Questa non è la mia fermata. Lasciami!» gli ordinò Aurora.

Ma lui non lasciò la presa e quando le porte dell'autobus si spalancarono, la tirò giù.

«Senti, abbiamo bisogno di parlare, ora. Non possiamo rimandare oltre. Ho bisogno di risposte. Ti prego, vieni con me in un posto. Lì staremo tranquilli e non ci disturberà nessuno» la supplicò lui, insistente.

Aurora era evidentemente perplessa e indecisa sul da farsi. Dopo un lungo e interminabile minuto: «D'accordo, ti seguo. Ma lasciami andare il braccio, so camminare da sola» disse lei in tono secco, evidentemente infastidita dall'accaduto.

Marco mollò subito la presa. Non si era accorto di tenerla ancora per il braccio dopo esser scesi dal pullman. Quando era con lei perdeva completamente il controllo di sé. Così fece un respiro profondo, per calmarsi, poi disse: «Seguimi» e la guidò verso il dipartimento di filosofia.

* * *

Aurora seguì Marco nei corridoi del dipartimento di lettere e filosofia di Firenze, fino alla porta sul retro, e poi attraverso un grande parco pieno di grandi alberi. L'erba era secca, i rami degli alberi spogliati delle foglie e luccicanti per le tante minuscole goccioline di rugiada che li ricoprivano. Era uno spettacolo meraviglioso. Attraversarono tutto il parco, finché non arrivarono in fondo, dove si nascondeva un piccolo specchio d'acqua di un blu inteso, la cui superficie era increspata dalla brezza invernale. Marco andò a sedersi sul tronco di una magnolia vicino alla riva del laghetto e le fece segno di imitarlo. Aurora indugiò alcuni secondi, poi andò a sedersi accanto a lui.

Era terrorizzata all'idea di dover riprendere il discorso "incidente", ma aveva bisogno di capire quanto lui sapesse del suo passato, e soprattutto da chi ne fosse venuto a conoscenza.

«Marco, chi ti ha detto dell'incidente?» esordì lei.

Marco sospirò. «Non è stata Eleonora. Se ti sei confidata con lei puoi stare tranquilla, non mi ha detto assolutamente niente. Me lo ha detto mio fratello» ammise il ragazzo.

Aurora era confusa. «Tuo fratello? Ma com'è possibile? Io non lo conosco nemmeno... O meglio, l'ho visto per la prima volta lunedì sera... Com'è possibile che lui sappia qualcosa di me?»

«In effetti è così, tu l'hai visto per la prima volta quella sera al bar, ma a quanto mi ha detto vi eravate già incontrati anni fa, al conservatorio di Firenze.»

Aurora impallidì. Solo in quel momento incominciò ad intuire da chi potesse aver avuto quelle informazioni.

«E cosa ti ha detto?» chiese con un filo di voce, troppo spaventata dalla possibile risposta.

«Non molto in realtà, solo che ti ha riconosciuta perché suonavi il piano ed eri piuttosto famosa nell'ambiente della musica classica. Ti ha vista ad un concorso qui a Firenze e ti ha riconosciuta. Poi parlando di te con un suo collega, che a quanto pare ti conosce, ha scoperto che hai avuto un incidente e che da allora non suoni più. Questo è quanto mi ha riferito. Non so altro» disse Marco tutto d'un fiato, come se non vedesse l'ora di esaurire la sua parte di racconto per ascoltare l'intera storia dalle labbra di lei.

Aurora aveva lo sguardo fisso sul lago, mentre le mani erano poggiate sulle gambe, intente a massaggiarsi nervosamente i pollici.

«Okay, quindi lo sai. Spero che questo ti basti, perché io non ho intenzione di aggiungere altro» disse lei in tono freddo, sperando che fosse sufficiente a chiudere il discorso. Ancora un po' e sarebbe scoppiata, come una stanza piena di gas in cui venga sfregato un fiammifero.

«Bastarmi?» disse Marco con espressione incredula sul viso. «Bastarmi? No che non mi basta!» esclamò il ragazzo, furioso.

Un calore improvviso gli infiammò il collo e il viso. Si sentiva frustrato, impotente di fronte al muro dietro il quale lei si ostinava a nascondersi. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter scavalcare o abbattere quel muro.

«Ascoltami Aurora, io non voglio forzarti a raccontarmi il tuo passato. Ma ho il diritto di sapere perché sei fuggita l'altra sera. E non dirmi che era tardi e dovevi andartene perché non me la bevo» disse Marco in tono risoluto. Era determinato ad ottenere delle risposte.

Aurora chiuse gli occhi e inspirò a fondo, nel tentativo di trattenere le lacrime e calmarsi. La stava mettendo alle strette e doveva prendere una decisione, in fretta. Sapeva che se gli avesse raccontato la verità sulla serata al locale, allora lui avrebbe voluto saperne di più, non si sarebbe accontentato di una spiegazione a metà. Non si sarebbe arreso. L'unica altra alternativa era mentire, dirgli che il bacio non le era piaciuto, che non aveva provato niente quando le labbra di Marco si erano posate sulle sue. Ma sarebbe stata in grado di rendere quella bugia credibile?

«La verità è che mi sono resa conto che quel bacio è stato un errore. È per questo che sono andata via» disse Aurora, la voce leggermente tremolante.

Stava facendo del suo meglio per essere convincente.

«Non ci credo. Non crederò neanche per un secondo che tu lo pensi davvero. Eri lì con me, come puoi dire che è stato un errore? Lo volevamo entrambi, era evidente. Come puoi negarlo?» replicò Marco, agitato ed esasperato.

«Mi dispiace che tu abbia frainteso. Non volevo mandarti un messaggio sbagliato. È stato uno sbaglio, non accadrà più.»

Aurora riaprì gli occhi, convinta che fosse tutto finito, che avesse avuto successo nella sua impresa.

Ma Marco non era intenzionato ad arrendersi. Così le prese delicatamente il viso tra le mani e lo voltò verso il suo, costringendola a guardarlo negli occhi. Aurora stava tremando. Sapeva che sarebbe stato difficile per lei mentirgli guardandolo negli occhi.

«Aurora, non dirmi che è stato un malinteso. Tu eri lì con me, non puoi non aver provato quello che ho provato io. Guardami negli occhi e dimmi la verità. Qual è il vero motivo per cui sei scappata?» disse lui, stavolta con un tono più calmo e dolce.

La testa di Aurora era invasa da un milione di vocine, ognuna pronta a suggerirle cosa dire o fare. E mentre continuava a fissare i suoi limpidi occhi verdi, improvvisamente una vocina prevalse sulle altre. Non sapeva se si trattava del cuore, della ragione oppure di semplice e puro istinto. Fece semplicemente l'unica cosa che non vedeva l'ora di fare dalla sera al bar.

Si sporse verso di lui.

Gli prese la mano.

Se la portò dietro la nuca, tra i capelli.

Chiuse gli occhi.

Posò la mano di lui sulla cicatrice.

E rimase così, con la testa bassa, la fronte a pochi centimetri dal suo viso, immobile e tremante, per almeno un minuto, nel tentativo di mantenere il controllo. Ora lui sapeva.

Presto si sarebbe reso conto che lei era come un vecchio vaso rotto, i cui cocci erano stati incollati. Da lontano poteva sembrare ancora intero, intatto, ma se lo si fosse guardato da vicino tutte le crepe e le imperfezioni sarebbero state evidenti.

Rimanendo in quella posizione, sempre ad occhi chiusi, decise di parlargli.

«Questo è il motivo per cui sono scappata lunedì sera. Mentre ci stavamo baciando l'hai sfiorata. Non ho mai permesso a nessuno di toccarla, a parte i dottori. Per questo sono scattata in quel modo. È un residuo del mio incidente. Il problema è che non è l'unico.»

Si fermò alcuni secondi per fare un bel respiro e cercare di calmarsi, poi continuò.

«Marco, io sono un disastro. Il mio passato è un cumulo di macerie, e andare avanti non è facile per me. Ci sono troppe cose che non sai e che io non sono pronta a dirti. So quello che hai chiesto ad Eleonora di riferirmi e sono davvero colpita dalle tue parole. Ma non posso permettere che ti avvicini a me. Non ti trascinerò nel mio caos, non voglio... Non ci conosciamo da molto ma sembri un bravo ragazzo, e non sarò io a sconvolgere la tua vita.»

Di scatto lei sollevò la testa, lo guardò negli occhi per alcuni secondi, poi si alzò in piedi e, senza aggiungere altro, si incamminò verso l'edificio alle loro spalle.

Se vi è piaciuto non esitate a lasciare un commento e una stellina ^_^ Grazie ❤ 

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