13. The scientist - Parte I

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Cari amici e lettori! Innanzitutto volevo RINGRAZIARVI DI CUORE per aver continuato a seguire la mia storia, non potete capire quanto mi renda felice sapere che qualcuno si è davvero appassionato alle avventure di Marco e Aurora ❤ 

Un GRAZIE SPECIALE a tutti coloro che hanno votato la mia storia, che hanno recensito la mia storia e che hanno lasciato un commento 
Mi fa sempre un IMMENSO piacere leggere le vostre opinioni, ma soprattutto le VOSTRE emozioni! Grazie di cuore ❤ 

E ora vi lascio con un altro emozionante capitolo di BROKEN - Il passato tra noi; continuate a seguire la storia, vi prometto che non vi deluderò ❤ 

Un bacione a voi tutti :*

P.S. Questa volta ho voluto accompagnare il capitolo con il VIDEO contenente la versione della canzone The scientist dei COLDPLAY che ha ispirato questa parte del racconto. 

Spero vi piaccia ❤ 

"Tell me your secrets, and ask me your questions

Oh, let's go back to the start

Running in circles, coming up tails

Heads on a science apart

Nobody said it was easy

It's such a shame for us to part

Nobody said it was easy

No one ever said it would be this hard

Oh take me back to the start

I was just guessing at numbers and figures

Pulling your puzzles apart

Questions of science, science and progress

Do not speak as loud as my heart

Tell me you love me, come back and haunt me"

The Scientist - Coldplay



Marco rimase dov'era, incapace di muoversi. La guardò andar via, senza riuscire a muovere neanche un muscolo.

Era rimasto in silenzio per tutto il tempo, lo sguardo perso in un punto al di là delle spalle di Aurora, la mano sulla nuca di lei, l'indice che accarezzava la cicatrice con movimenti appena percettibili. Era come un piccolo bernoccolo, una lieve curva dalla superficie ruvida. Era riuscito a percepire sotto il polpastrello i segni dei punti su tutta la lunghezza del rigonfiamento.

Quando Alessandro gli aveva raccontato dell'incidente non aveva immaginato niente di così grave. Aveva pensato ad una brutta caduta, forse qualcosa di rotto, ma guardandola dall'esterno non avrebbe mai potuto intuire che si era trattato di qualcosa di più serio.

A quel punto cominciava a chiedersi che tipo di incidente avesse avuto, quanto si fosse fatta male, quali fossero le altre cicatrici che le aveva lasciato, non solo sul corpo ma soprattutto nello spirito.

Era evidente che quell'avvenimento le aveva sconvolto la vita.

Superato lo shock iniziale, Marco si riscosse dallo stato di pseudo trance in cui era piombato nel momento in cui aveva posato la sua mano sulla nuca di lei. Ora più che mai gli era chiaro che doveva trovare delle risposte a tutte le domande che gli ronzavano in testa. E doveva farlo lontano da lei. Forse se avesse scoperto la verità che gli stava nascondendo, avrebbe potuto trovare un modo per avvicinarsi a lei senza farla soffrire ancora.

Vederla tremare al solo suo tocco, così fragile e spaventata, gli aveva fatto capire che insistere nell'interrogarla sul suo passato non avrebbe fatto altro che ferirla. Doveva trovare le risposte per conto suo.

Quando quel pomeriggio Marco tornò a casa, si diresse subito in camera del fratello. Quando bussò e la voce di Alessandro lo invitò ad entrare, lui non esitò neanche un secondo.

«Ehi fratellino ho un favore da chiederti» esordì in tono concitato.

«Buonasera anche a te, Marco. Ti vedo piuttosto agitato. È successo qualcosa a papà?» chiese Alessandro, lo sguardo preoccupato.

«No, tranquillo, papà stamattina è andato a lavoro regolarmente, l'ho accompagnato io fino all'ingresso. Il favore riguarda un'altra cosa.»

«C'entra per caso Aurora in questo favore che devi chiedermi?» chiese il fratello in tono malizioso.

«Sì Ale, ma non è come pensi. Oggi le ho parlato, le ho detto che sapevo dell'incidente sperando che lei si aprisse e mi raccontasse qualcosa di più. Ma è servito solo ad allontanarla ancora di più da me. Ho bisogno che tu indaghi ancora in conservatorio. Ho bisogno di risposte e da lei non posso ottenerle. Quindi sei la mia unica chance.»

Era evidente che Marco era disperato.

«Marco, non credo che quel mio collega possa dirmi altro. E non saprei a chi altro chiedere. Mi dispiace, ma stavolta non so proprio come aiutarti» concluse Alessandro, sinceramente dispiaciuto di non poter fare di più per suo fratello.

Marco emise un pesante sospiro. Ma non si arrese. «Almeno potresti chiedergli il cognome di Aurora? Così posso cercare qualche notizia su internet. Se era famosa come mi hai detto, ci sarà scritto qualcosa da qualche parte, anche un trafiletto del giornale locale che magari mi spieghi che tipo di incidente ha avuto. Ho un bisogno disperato di risposte Ale.»

Alessandro lo scrutò da capo a piedi, con lo sguardo perplesso e confuso.

«Diamine Marco, ma che ti prende? Non ti ho mai visto così... Che ti ha fatto questa ragazza?»

«Non lo so, non ci sto capendo più niente... La conosco da così poco, eppure mi fa sentire come un satellite, costretto ad orbitarle intorno. Non riesco proprio ad ignorarla. Allora, fratellino, mi darai una mano?»

Alessandro si passò una mano tra i capelli e sospirò mentre meditava sul da farsi. Alla fine acconsentì a dargli una mano.

Erano trascorse più di ventiquattro ore dall'ultima volta che Marco aveva visto Aurora, seduta accanto a lui, sotto la grande magnolia.

Aveva trascorso la sera precedente in palestra, a dare pugni al sacco, e la notte a studiare, nella speranza che ad un certo punto la stanchezza potesse aiutarlo a prendere sonno. Ma non era servito a nulla. Il risultato era stato un dolore diffuso a tutti i muscoli della parte superiore del suo corpo, una notte in bianco e due occhiaie che lo facevano sembrare più vecchio di almeno dieci anni.

La mattina e il pomeriggio di quel sabato erano trascorsi con una lentezza spaventosa e lui non vedeva l'ora che la giornata finisse.

Mentre era in cucina intento a preparare la cena, sentì alle sue spalle i passi di Alessandro.

«Ehi fratellino, hai fame? Ceni a casa con noi stasera?»

«No Marco, stasera suoniamo al Music Time. Sto andando da Edoardo per rivedere alcuni passaggi dell'ultimo brano che abbiamo composto. Perché non ci raggiungi? Federica mi sta tormentando, mi chiede in continuazione di invitarti alle nostre serate. Dai, vieni, così ti distrai un po'.»
Marco continuò a mescolare pigramente le lenticchie nella pentola, per non farle attaccare al fondo. Dopo la nottataccia che aveva passato non aveva molta voglia di uscire, ma Alessandro aveva ragione: se fosse rimasto a casa, da solo, sarebbe diventato pazzo.

«D'accordo, ceno con papà, mi do una sistemata e poi vi raggiungo.»

Alessandro gli diede una pacca sulla spalla, sorridendo. «Ottima scelta fratellone. Federica impazzirà quando lo saprà. Beh, io scappo, a più tardi» e uscì, chiudendosi la porta di casa alle spalle.

Non appena la cena fu pronta, Marco andò a chiamare suo padre. Si diresse verso la porta dello studio di sua madre e diede due colpi. Dall'interno nessuna risposta.

«Papà, sei lì? La cena è pronta.»

Ma dopo diversi secondi nulla. Marco lo chiamò ancora, ma niente. Così provò ad abbassare la maniglia e con un leggero cigolio la porta si aprì. Marco rimase immobile per alcuni secondi, con la mano sulla maniglia, la porta appena socchiusa, completamente stupito di averla trovata aperta.

Con molta cautela e senza far rumore, spalancò piano la porta e guardò nello studio. Erano mesi che non metteva piede lì dentro. Da quando il padre ne aveva fatto il suo rifugio, non permetteva a nessuno di entrare. E poté constatare che aveva lasciato tutto esattamente com'era. Ogni cosa nello stesso posto in cui lei l'aveva lasciata. Ogni cosa, dalla superficie della scrivania di legno chiaro, al lume nell'angolo destro della stanza, era ricoperto da un pesante strato di polvere. Era evidente che l'uomo non trascorresse le ore lì dentro facendo le pulizie.

Suo padre Stefano era lì, sul divano di fronte alla scrivania, raggomitolato su un fianco, profondamente addormentato, avvolto dalla luce soffusa del lume. Ai piedi del divano c'era uno spesso fascicolo rilegato con una spirale, aperto poco oltre la metà. Marco entrò nella stanza, cercando di non far rumore, si avvicinò al divano e si chinò per raccogliere il fascicolo. Non gli era per nulla familiare, e quando lo richiuse per guardare la prima pagina rimase a bocca aperta.

Era un libro scritto a macchina. Sulla copertina in cartoncino c'era il titolo.

Le strade del Destino

Marco non aveva mai visto quel libro prima di allora e il titolo non gli era familiare. Così voltò la copertina e sulla prima pagina trovò la dedica.

A mio figlio Marco,

affinché conosca la verità

e possa liberamente scegliere la strada del suo Destino.

Marco era sotto shock. Era un libro scritto da sua madre. Eppure lui non lo aveva mai visto in giro per casa, nessuno gliene aveva mai parlato. E sua madre lo aveva scritto per lui, perché sapesse la verità. Ma a quale verità faceva riferimento? Marco si sentì completamente perso e disorientato. Una parte di lui avrebbe voluto correre in camera e leggere quel libro tutto d'un fiato. Ma una vocina nella sua testa continuava a ripetergli che qualunque cosa fosse scritta in quelle pagine avrebbe cambiato per sempre la sua vita. E in quel momento non era certamente pronto ad affrontarlo.

E mentre rifletteva sul da farsi, suo padre si svegliò.

«Cosa ci fai qui?» chiese in tono brusco. Evidentemente quell'intrusione non era di suo gradimento.

«Papà ti ho chiamato diverse volte per la cena, ma non rispondevi, così sono entrato per vedere se era tutto okay...» spiegò Marco.

Stefano si mise a sedere sul divano, si stropicciò gli occhi, e poi notò che Marco aveva in mano il libro. La reazione fu immediata. Scattò in piedi e gli strappò il manoscritto dalle mani, il viso rosso dalla rabbia.

«Cosa facevi con quello? Chi ti ha dato il permesso di entrare? Esci immediatamente da qui. Ora!» gli urlò in faccia, furibondo. Poi corse verso la scrivania e mise il libro nel primo cassetto.

Marco rimase immobile, incapace di fare anche il più piccolo movimento. Non aveva mai visto il padre così furioso, e non ne capiva assolutamente il motivo.

Forse perché era entrato nella stanza senza permesso? O più probabilmente perché aveva scoperto del libro? Se il padre non glielo aveva consegnato prima, era evidente che non voleva che Marco venisse a conoscenza del suo contenuto.

Per evitare di farlo alterare ulteriormente, Marco decise di lasciar perdere la discussione, almeno per il momento, e abbandonò lo studio senza replicare, rifugiandosi nella sua stanza.

Quando due ore dopo si affacciò in corridoio, notò che sia la porta dello studio che quella della camera da letto di suo padre erano chiuse, il che significava che era andato a dormire, o almeno così sperava. Andò in cucina per mangiare qualcosa. I piatti di lenticchie sul tavolo erano ormai freddi, così ne vuotò il contenuto di nuovo nella pentola e la mise in frigo, con l'intenzione di riscaldarlo e mangiarlo il giorno seguente. L'appetito gli era definitivamente passato. L'unica cosa che aveva voglia di fare era bere e spegnere il cervello. Almeno per una sera. Così andò in bagno, si cambiò e si preparò ad uscire per raggiungere Alessandro al locale.

Trovare parcheggio fu un'impresa che richiese quasi mezz'ora, ma alla fine giunse al Music Time. Essendo sabato sera il locale era stracolmo di gente. I Kaleidoscope avevano già cominciato a suonare. Così si fece largo tra la folla e a fatica raggiunse il bancone del bar.

Dopo un'attesa di più di dieci minuti, il barista fu finalmente da lui.

«Cosa prendi?» gli chiese urlando per sovrastare la musica e il caos provocato dagli avventori.

«Bourbon liscio, e fammelo doppio» rispose Marco.

Il barista lo fissò a lungo prima di preparargli il drink e porgergli il bicchiere. Erano anni che Marco frequentava quel locale, eppure era la prima volta che vedeva quel ragazzo da quelle parti. Quasi sicuramente si trattava del nuovo barista a cui aveva accennato Eleonora lunedì sera.

Si scolò il liquido color ambra in soli tre sorsi, come fosse acqua. Quell'ultima settimana era stata un vero disastro e l'unica cosa che desiderava era cancellare tutto. E se per farlo gli fosse servita un'intera bottiglia di bourbon, allora ne avrebbe comprata una.

Quando il gruppo terminò lo spettacolo, Marco aveva trovato posto al bancone già da un po' ed era già al terzo giro. Il primo a raggiungerlo fu Cristian.

«Ehi bello, che ci fai qui? Credevo ci avresti raggiunto dietro le quinte durante la pausa. Che combini?»

Ma non appena l'amico si voltò a salutarlo, Cristian non ebbe più bisogno di una risposta. La puzza dell'alito di Marco bastò a spiegare come aveva trascorso le ultime ore.

«Ehi, amico. Bella performance stasera, avete spaccato» biascicò Marco, prima di ingurgitare l'ultimo goccio nel bicchiere.

«Beh, ti ringrazio per il complimento fatto sulla fiducia, perché a quanto pare sei talmente ubriaco che dubito tu abbia ascoltato anche solo un pezzo. Ehi Marco, ma che ti succede? Non è da te bere così tanto...» disse il cantante, con espressione preoccupata.

Ma la loro conversazione fu interrotta da Federica, che sbucò alle spalle di Cristian e gettò le braccia al collo di Marco.

«Ciao Marco, finalmente sei venuto ad ascoltarci. Ti è piaciuto lo spettacolo di stasera?» cinguettò la ragazza, scuotendo leggermente il suo caschetto di capelli castani striati da ciocche rosa shocking.

«Ehi, Fede, sì, bellissima serata» rispose Marco sorridente, voltandosi sullo sgabello per guardarla in faccia. Poi le passò un braccio dietro la schiena e posò la mano destra sulla sua vita.

«Ehi che ne dici se ci buttiamo in pista anche noi? Ho proprio voglia di scatenarmi» gli propose lei, con un sorriso malizioso sulle labbra.

«Fede, penso sia meglio che lasci perdere, non credo che si regga in piedi stasera» intervenne Cristian.

«Dai, Cris, non fare il guastafeste, certo che mi va di ballare. Su, andiamo.»

Scese dallo sgabello, e tenendo Federica per la vita, la guidò verso la pista da ballo.

La musica dal vivo dei Kaleidoscope era stata ora rimpiazzata da quella da discoteca, abilmente remixata da un giovane dj.

Marco si abbandonò alla musica, lasciando scivolare via ogni ricordo dell'ultima settimana. Federica si muoveva sinuosa davanti a lui. Il corpo snello, il seno non troppo prosperoso messo in mostra grazie ad una canottiera particolarmente scollata e attillata, le gambe lasciate nude dai pantaloncini neri incredibilmente corti, il piercing sul sopracciglio sinistro luccicante sotto le luci stroboscopiche della pista. Il ragazzo la trovava decisamente attraente, specialmente grazie a tutto il bourbon che aveva in circolo. E quando lei gli mise le braccia intorno al collo e lo baciò, Marco non ebbe la forza di respingerla. La testa gli girava, aveva ormai perso il controllo del suo corpo. Quando la lingua di Federica si fece largo tra le sue labbra, sentì subito il metallo del piercing che la ragazza aveva sulla lingua. Era freddo e piuttosto fastidioso. Sapeva che tutto quello che stava accadendo non sarebbe mai dovuto succedere.

Era tutto sbagliato.

Lei era solo un'amica per lui.

Lei non era Aurora.

Con le ultime forze rimastegli, le mise le mani sulle spalle e la allontanò, cercando di recuperare un briciolo di controllo.

«Cosa c'è? Non ti è piaciuto?» chiese Federica, piuttosto infastidita da quella interruzione.

«No, non è questo, è che non è giusto, non ci saremmo dovuti baciare. Io non sono in me stasera. Scusami, devo andare» balbettò Marco, cercando di divincolarsi dalla presa della ragazza.

E non appena si voltò per andarsene, trovò Eleonora dietro di lui, a bloccargli il passaggio. E l'espressione severa che aveva in volto non prometteva nulla di buono.

«Ti faccio i miei complimenti Marco, vedo che ci hai messo poco a cambiare idea. Aspetta, cosa mi avevi detto l'altra sera a telefono? Che non ti saresti arreso? Ma che belle parole, vedo che sono durati molto a lungo i tuoi buoni propositi. Ha fatto bene Aurora ad allontanarti...» concluse la ragazza, con tono disgustato; poi si voltò e uscì dal locale.

Marco la rincorse, barcollando per le scale, e una volta fuori, riuscì ad afferrarla per un polso e a bloccarla.

«Eleonora, aspetta ti prego, io non volevo, ma Aurora mi ha respinto e...» farfugliò Marco, nel disperato tentativo di rimediare alla situazione. Ma la mancanza di lucidità lo stava portando a peggiorare le cose.

«E cosa Marco? Ma ti sei visto? Sei ubriaco fradicio! Ma cosa accidenti ti è preso? »

Le urla della ragazza risuonarono per tutto il vicinato.

«Non mi vuole Eleonora! Mi ha fatto toccare la cicatrice e poi mi ha detto che non vuole dirmi niente. E se n'è andata. Mi ha lasciato lì impalato come un perfetto coglione. E avrei un milione di domande a cui lei non vuole rispondere, e io non voglio ferirla. Non le voglio fare del male. Cazzo, so che è folle ma credo di amarla...»

Le ultime parole di Marco furono un sussurro nel silenzio della notte, accompagnate solo dal lontano rumore di qualche macchina che vagava per la città quasi del tutto addormentata.

Ormai Marco stentava a reggersi in piedi. Il mondo attorno a lui aveva perso di profondità e stava diventando sempre più sfocato.

Eleonora si avvicinò a lui, lo afferrò con entrambe le mani e inspirò a fondo.

«Non è a me che devi dire queste cose. Devi parlare con Aurora. Ma non ora ovviamente. Adesso devi solo andare a casa e metterti a dormire. Domani avrai un mal di testa di quelli pazzeschi» sogghignò la ragazza all'idea.

E proprio mentre Marco stava per perdere i sensi, sentì alle sue spalle la voce di suo fratello che lo chiamava. Poi le luci si spensero e Marco scivolò in un profondo oblio.

Ricordate, se la storia vi è piaciuta, lasciate un commento e una stellina, 

mi farebbe molto felice sapere cosa ne pensate ❤ 

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