22. Saturn - Parte I

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Cari amici e lettori

Lo so, lo so, vi avevo promesso che avrei pubblicato presto, e alla fine non ci sono riuscita. Non odiatemi :( 

Ma il fatto che l'una di notte sia passata da un po' e io sia qui a pubblicare, spero serva come testimonianza che ci metto sempre il massimo impegno per non deludervi, anche se a volte la routine mi impedisce di rispettare le scadenze che mi sono imposta.

Per questo capitolo ho scelto una canzone davvero speciale. So che forse molti di voi non la conoscono, ma vi raccomando di ascoltarla almeno una volta, perché merita davvero. 

Inoltre, alla fine di questa parte, ho deciso di inserire la traduzione del pezzettino di testo con cui ho dato il via a questo capitolo, perché ho trovato queste parole davvero speciali e ci tengo che tutti possano apprezzarle fino in fondo ❤ 

Vi auguro buona lettura

"With shortness of breath, you explained the infinite.

How rare and beautiful it is to even exist.

I couldn't help but ask

For you to say it all again.

I tried to write it down

But I could never find a pen.

I'd give anything to hear

You say it one more time

That the universe was made

Just to be seen by my eyes."

Saturn - Sleeping at last

Quel martedì mattina Marco fu svegliato di soprassalto dalla sua stessa voce. Si ritrovò seduto nel letto, con piccole goccioline di sudore ad imperlargli la fronte e il petto, inumidendo la maglietta blu scuro del pigiama, mentre il cuore era impegnato in una folla corsa per raggiungere lei, Aurora.

L'aveva sognata.

Nella sua visione onirica erano ancora in piedi l'uno di fronte all'altra, sotto la pioggia, davanti al dipartimento di fisica. Aveva scorto nelle sue iridi, in quel momento simili a due abissi oscuri e profondi, tutta la delusione e la tristezza che la sua assenza le aveva procurato. E quando lei si era voltata per andare via, Marco non era stato in grado di dire una parola, non era stato capace di fermarla.

Aurora era scesa da quel marciapiede, attraversando la strada per raggiungere il pullman, e lo aveva lasciato solo, trasformando quel sogno nel suo peggiore incubo.

Era stato il tentativo di chiamare il suo nome a svegliarlo. Aveva urlato "Aurora" così forte da spezzare le catene del sonno e tornare allo stato di veglia. Ci aveva messo un po' a rendersi conto di cosa fosse successo, a capire che aveva fatto ritorno alla realtà, una in cui, finalmente, aveva avuto il coraggio di confessarle la verità, almeno in parte.

Era stato adottato.

E ora lo sapeva anche Aurora.

Pronunciare quelle tre parole di fronte a lei gli era costata una fatica immensa, più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Fino a quel momento non era stato in grado di parlarne con nessuno, fatta eccezione del penoso tentativo di conversazione che aveva avuto con Cristian il sabato sera precedente, al Music Time; ma tutto l'alcol che aveva ingurgitato non aveva fatto altro che annebbiare e confondere ancora di più la sua mente, rendendogli impossibile raccontare la faccenda con ordine, in modo tale che fosse comprensibile anche al suo amico.

E Marco si disse che forse era meglio così, perché non sarebbe riuscito ad affrontare la questione, non in un futuro prossimo perlomeno.

La scoperta della sua adozione era stata per Marco come subire un lutto. Ad essere morte erano state tutte le sue certezze, sbriciolatesi inesorabilmente dinanzi alla verità messa nero su bianco da Giulia.

E solo in quel momento si rese conto del perché confessare tutto ad Aurora si fosse rivelato così doloroso per lui. Non si era trattato solo della paura di trascinarla a fondo con lui, per quanto quella avesse contribuito a frenarlo; e non era neppure una questione di fiducia. Lei gli aveva aperto il suo cuore, gli aveva raccontato l'orrore che si celava dietro l'apparente stato di calma e serenità con il quale Aurora aveva cercato di nascondere e cancellare il suo passato.

Dopo quella sua confessione, se si fosse trattato di un qualunque altro segreto, Marco non avrebbe esitato neanche un istante a rivelarglielo.

Ma quella era tutta un'altra storia. Perché Marco sapeva che, nell'esatto momento in cui glielo avesse raccontato, sarebbe diventato tutto reale, e le bugie di una vita intera sarebbero crollate come le tessere di un domino, una dopo l'altra, fino a quando non fosse rimasto in piedi più nulla.

Conosceva bene il processo del lutto; qualche anno prima aveva trovato in casa una copia del libro "La morte e il morire", della celebre psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross, in cui ne elencava le diverse fasi: la negazione, la rabbia, la contrattazione, la depressione, e in ultimo l'accettazione.

Immediatamente dopo aver letto il libro di Giulia, le fasi della negazione e della rabbia si erano avvicendate in un'altalena emotiva che lo aveva lasciato a pezzi e senza forze.

Poi, la sera al bar, quando aveva tentato di parlarne con Cristian, aveva deciso di saltare lo stadio della contrattazione, per passare direttamente a quello della depressione, condito con un pizzico di rabbia e abbondante alcol.

E dopo tutto quello, nonostante avesse informato Aurora della sua scoperta, segno che forse era pronto per passare alla fase dell'accettazione, una grossa fetta del sua mente continuava ad indugiare nella fase della negazione, e Marco si chiese quanto altro tempo avrebbe impiegato per tirarsene fuori e passare allo step successivo.

Voltò la testa verso sinistra, in direzione del comodino, per controllare che ora fosse. La sveglia analogica segnava le sei e sette minuti, e l'assenza di luce oltre la finestra sul suo letto confermava che il sole non era ancora sorto.

Marco si lasciò ricadere con la testa sul cuscino e chiuse gli occhi, nella speranza di poter spegnere ogni pensiero e riprendere sonno, almeno per un'altra mezz'oretta, ma fu tutto inutile.

Perché ogni volta che serrava le palpebre, l'immagine di Aurora riaffiorava dinanzi a lui, con i suoi lunghi capelli bagnati incollati al viso e le labbra dalla leggera sfumatura violacea, screpolate dal freddo.

Così decise di alzarsi e ricorrere all'unico rimedio che gli avesse mai portato un po' di sollievo: la scrittura.

Scostò le coperte e, non appena provò a mettere i piedi per terra, una scarica di dolore lo percorse dalla testa ai piedi. Ogni muscolo e osso del suo corpo erano indolenziti, segno che la pioggia e l'umidità presi il giorno prima avevano lasciato i loro strascichi. Da come gli doleva la testa e dal naso gocciolante, Marco avrebbe scommesso di avere la febbre. Ma in quel momento i suoi pensieri erano occupati altrove, con l'unico obiettivo di trovare un po' di sollievo, se non fisico, quanto meno mentale.

Con uno sforzo considerevole si mise in piedi e si diresse alla scrivania, recuperò il diario dal cassetto in cui era solito riporlo, prese al volo una penna dalla tazza sul ripiano e tornò a sedersi nel letto, coprendosi le gambe con la trapunta, nella speranza di tenere al caldo almeno metà del corpo.

Aprì il quaderno alla prima pagina bianca disponibile, fece un respiro profondo, leggermente ostacolato dal naso chiuso, e diede inizio al suo sfogo, nel tentativo di dare un senso alle sue pene.

Cara Giulia,

è passata una settimana da quando ho scoperto tutto.

Per le prime quattro notti non ho chiuso occhio e, appena cedevo e mi addormentavo, facevo sempre lo stesso incubo. Continuavo a sognare di essere ancora con te, mentre stringevi la mia mano, e io ero felice. Ma la mia gioia durava poco, perché presto la lasciavi andare e ti allontanavi da me. E io restavo fermo sul marciapiede, in lacrime, a guardarti andare via.

L'ho sognato ogni maledetta volta che il mio corpo si arrendeva al sonno, come intrappolato in un circolo di dolore dal quale non sono stato capace di evadere. Solo l'alcol, panacea di tutti i mali, è stato in grado di spegnere ogni pensiero e ogni emozione in me, come una rapida passata di vernice bianca su una parete piena di scritte confuse.

Ma l'effetto è durato ben poco; e non appena l'intonaco ha iniziato a venir via, la mia mente è tornata incredibilmente lucida, costretta a fare i conti con la realtà e con i disastri che ho combinato negli ultimi tempi.

Da quando ho confessato ad Aurora la mia scoperta, gli incubi non sono cessati, ma sembra che lei abbia preso il tuo posto nei miei deliri notturni. E mentre fino a qualche giorno fa gridavo il tuo nome nel sonno, ora è il suo quello che chiamo disperatamente, terrorizzato all'idea che anche lei, come te, mi lasci solo e vada via.

E dopo il modo in cui mi sono comportato, non potrei certo biasimarla.

Sono stato un vigliacco, ho voluto nascondere la testa sotto la sabbia, piuttosto che affrontare la verità, e alla fine non è servito a nulla, se non a ritardare l'inevitabile e a far soffrire l'unica persona con cui io mi sia sentito bene da molto, molto tempo. Sono stato un vigliacco perché sono terrorizzato all'idea di perderla, eppure non ho esitato a lasciarla sola nel momento di maggior fragilità.

E sono un vigliacco anche ora. Perché, anziché spiegarle tutto e chiederle perdono, mi sono nascosto ancora una volta dietro il muro del silenzio, rimandando l'ineludibile momento in cui dovrò confessarle la verità su di me e, insieme ad essa, anche il mio bacio con Federica.

Ma quando le avrò spiegato tutto, sarà davvero reale, e per ora non sono in grado di reggere il colpo.

È una settimana che so la verità, e ancora non riesco a capacitarmene.

Io sono stato adottato.

Non appena l'ho scoperto, il mio primo pensiero è stato dirlo a te. Ci ho messo un po' a realizzare che non avrei potuto farlo. Perché tu non sei qui.

Avrei dato qualsiasi cosa per poterti avere con me in quel momento. Avevo bisogno di sentire il calore del tuo abbraccio, di sentirti dire che sarebbe andato tutto bene ugualmente, che io starò bene, anche se non credo sia più possibile.

Mi manchi Giulia, mi mancano i tuoi meravigliosi occhi blu, mi manca la tua voce quando mi leggevi i miti di Platone per farmi addormentare, mi mancano le tue mani che mi accarezzavano i capelli per consolarmi quando ero triste.

Mi manchi tu, mamma.

Non so se abbia ancora senso che io ti chiami così, ora che so che in realtà non sei mia madre. Ma per me non ha molta importanza.

Mi dispiace di aver provato rabbia quando ho trovato il libro e ho scoperto la verità. Ce l'avevo con te per non avermelo detto di persona, guardandomi negli occhi, ma capisco che non dev'essere stato facile ritrovarsi con un bambino da un giorno all'altro. Mi hai cresciuto e mi hai dato il tuo amore ogni giorno della mia vita, fino a quando sei andata via, e non ti potrò mai ringraziare abbastanza per questo.

Per me sei stata e sarai sempre la mia mamma.

E non importa dove tu sia o cosa tu stia facendo in questo momento. Perché il tuo messaggio d'amore è giunto fino a me, mamma.

Spero che tu stia bene e sia felice.

Con amore, Tuo Figlio

Marco posò la penna tra le pagine del diario, che adagiò sul comodino con un gesto frettoloso, per poter riportare subito la mano sinistra alla bocca e silenziare una serie di colpi di tosse piuttosto violenti, mentre con la destra si teneva il petto, sempre più indolenzito.

Ormai non c'erano dubbi, si era ammalato. Marco maledì tra sé e sé il maltempo del giorno prima, che quasi sicuramente lo avrebbe costretto a letto per almeno un paio di giorni.

Il suo primo pensiero fu per Aurora. Si chiese se stesse bene, o se anche lei stesse subendo le conseguenze della loro incoscienza del pomeriggio precedente.

Pensò poi a Cristian e alla promessa che gli aveva fatto di non mancare più a lezione. Dallo stato del suo naso e della sua gola, era evidente che non avrebbe potuto mantenere la parola data, perlomeno non quel martedì mattina. Quindi decise di scrivergli un messaggio per avvisarlo della sua assenza, così che il suo amico non si preoccupasse inutilmente. E fece lo stesso con Aurora, informandola che quella mattina sarebbe rimasto a casa e chiedendole se avesse beccato il raffreddore anche lei.

Dopodiché decise di alzarsi, per controllare che suo padre e Alessandro fossero svegli e pronti a dare inizio alle rispettive giornate. Quando si rese conto che, almeno per una volta, non c'erano guai all'orizzonte, andò in bagno, rovistò nell'armadietto dei medicinali per rimediare un'aspirina, e tornò in camera sua, sotto le coperte, nella speranza che l'antinfiammatorio lo rimettesse in sesto in breve tempo.

Ma la pace durò ben poco. Si era appena appisolato, quando sentì il campanello di casa suonare.

Marco maledisse mentalmente quel trillo ripetuto che gli rimbombava nella testa e gli impediva di rimanere a letto, al caldo, come avrebbe desiderato.

Sbuffando e imprecando, il ragazzo scostò la trapunta e si avviò verso l'ingresso, pronto ad incenerire con lo sguardo chiunque avesse avuto l'ardire di interrompere il suo riposo, ultimamente già molto disturbato per ben altre ragioni.

Non appena aprì la porta, rimase confuso nel ritrovarsi dinanzi la zazzera bionda di Cristian, in parte nascosta dal borsalino nero che portava leggermente calato sulla fronte.

«Che ci fai qui?» chiese con voce nasale.

«Ehi, allora è vero che sei malato... La tua voce sembra venire dall'oltretomba e hai l'aspetto di uno zombie. Che hai combinato?»

La voce squillante di Cristian perforò i timpani di Marco, procurandogli una violenta fitta alla testa.

«Ehi, abbassa la voce, mi scoppia il cervello» lo rimbeccò lui, massaggiandosi piano gli occhi nel tentativo di diminuire l'emicrania. «Ieri sono uscito senza l'ombrello, mi sono trovato sotto il diluvio e mi sono raffreddato. Tutto qui» concluse frettolosamente, desideroso di troncare la conversazione e tornare al suo riposino. «Non mi hai ancora detto che ci fai qui... Non dovresti essere a lezione?»

«Già, ma non ho molta voglia di andarci stamattina... Beh, non mi fai entrare?» e senza attendere una risposta, Cristian si fece avanti ed entrò in casa, oltrepassando Marco.

Il ragazzo lo lasciò fare, poi richiuse la porta alle sue spalle e, trascinando i piedi, seguì l'amico che si era avviato in cucina.

«Allora, ti decidi a parlare o ti devo tirare le parole fuori di bocca con le pinze?» insistette il vocalist, accomodandosi su una sedia intorno al tavolo.

Marco prese posto di fronte a lui, sistemò i gomiti sul ripiano e vi posò la testa, il cui peso sentiva crescere di attimo in attimo.

«Te l'ho già detto Cristian, non ho niente da raccontarti» replicò deciso, nella speranza che l'amico, prima poi, si sarebbe arreso.

«E che mi dici di sabato sera allora? Tu e il barista avete dato un bello spettacolo.»

«Non fare il sarcastico con me Cris, so che ho sbagliato» replicò il ragazzo, il tono reso meno duro dal timbro nasale che la sua voce aveva acquistato da quella mattina, a causa del raffreddore.

«Non ho mai detto che hai sbagliato» lo interruppe Cristian, mentre studiava la strada migliore per ricavarsi uno spiraglio nella barricata che Marco sembrava aver eretto tra lui e il mondo.

«Amico, so tutto. Ho parlato con Alessandro e mi ha detto cosa avete scoperto. Solo che avrei preferito me lo raccontassi tu, anziché ubriacarti come se non ci fosse un domani prima ancora che potessi finire il concerto.»

Marco alzò gli occhi al cielo e maledisse mentalmente suo fratello e la sua lingua lunga.

«Mai una volta che si faccia i fatti suoi quell'altro... Ha fatto male a parlartene, anche perché non c'è niente da dire.»

Poi si alzò bruscamente, trascinando la sedia sul pavimento e producendo uno stridio acuto e fastidioso che fece stringere gli occhi a Cristian, e si diresse verso il frigorifero, per poter dare le spalle all'ospite.

Finse di prendere una bottiglia d'acqua e di versarsene un bicchiere, ma in realtà Marco cercava solo una scusa per evitare lo sguardo color nocciola del suo amico, nel quale poteva leggere la pietà e il disappunto che provava nei suoi confronti.

Non era pronto ad affrontare l'argomento, in quel momento meno che mai. Non era sceso nei dettagli neppure con Aurora, nonostante fosse stato sul punto di perderla proprio a causa del suo silenzio, e certamente non avrebbe parlato della sua adozione con Cristian.

E poi Alessandro gli aveva già raccontato tutto, cos'altro voleva da lui? Che bisogno c'era di riprendere la questione proprio quella mattina?

Cristian studiò i movimenti del suo amico, notando le spalle leggermente sollevate e tese, come se tentasse di fare scudo alla propria anima con il corpo. Sapeva che Marco aveva bisogno di parlare, di sfogare la rabbia che era certo lo avesse travolto nel momento esatto in cui aveva scoperto che la sua intera vita era fondata su una bugia.

Ma spingerlo oltre il precipizio, in quell'occasione, avrebbe potuto significare vederlo schiantarsi al suolo, senza possibilità alcuna di salvezza.

Così Cristian decise di fare un passo indietro e di dare a Marco il tempo di elaborare la notizia, speranzoso che, quando si fosse sentito pronto, avrebbe saputo di potersi sfogare con lui.

«Ascolta amico» disse il vocalist, alzandosi anche lui e raggiungendo Marco alle spalle, «ho capito, non sei pronto a parlarne e lo rispetto. Volevo solo che tu sapessi che puoi contare su di me, per qualsiasi cosa» e accompagnò le parole con una vigorosa pacca sulla spalla che fece traballare Marco, indebolito dall'influenza. «E non pensare minimamente di sparire per giorni interi, che non ho nessuna intenzione di seguire le lezioni senza di te! Intesi?» scherzò infine, avviandosi all'ingresso.

E proprio mentre il ragazzo stava per aprire la porta di casa e varcarne la soglia, la voce di Marco lo bloccò sull'uscio.

«Ehi Cris.»

«Dimmi» chiese l'amico, voltandosi verso di lui.

«Ci vediamo domani a lezione» disse Marco, fissando Cristian negli occhi.

Quest'ultimo sorrise, sollevato e soddisfatto, consapevole che quelle poche parole ne nascondevano di più profonde. Marco sapeva che Cristian ci sarebbe sempre stato e, quando fosse giunto il momento, si sarebbe aperto con lui.     

Allora, che ne pensate di questa prima parte?

Devo confessare di essermi commossa nello scrivere la lettera di Marco a Giulia. Voi cosa avete provato? E' riuscita ad emozionarvi?

Come promesso, ecco a voi la traduzione della parte di testo della canzone "Saturn" che ho citato:

"Con il respiro corto, hai spiegato l'infinito.

Come sia raro e bello anche soltanto esistere.

Non potevo fare altro che chiederti

di ripetere tutto di nuovo.

Ho provato a scriverlo

ma non sono mai riuscito a trovare una penna.

Darei qualsiasi cosa per sentirti

dire un'altra volta

che l'universo è stato fatto

solo per essere visto dai miei occhi."

Se avere la traduzione delle canzoni che cito vi piace, fatemelo sapere, così da inserirla ogni volta che utilizzo una canzone straniera :)

Come sempre ci tengo a ringraziare tutti voi lettori, quelli più vecchi ed affezionati, e quelli più recenti 13 mila volte grazie per tutto il sostegno e l'incoraggiamento che mi date ❤

Spero davvero che vorrete continuare a seguire le vicende di Marco e Aurora fino alla fine 

Sempre Vostra


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