23. Memory - Parte II

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Buonasera lettori! ❤

Ecco a voi il tanto atteso pomeriggio di shopping! Ma non è tutto, c'è anche un'altra sorpresa :D

Buona lettura :* 


Mezz'ora dopo le due ragazze erano nel parcheggio del centro commerciale Gavinana, nella periferia sudest di Firenze.

Eleonora parcheggiò la sua C3 poco distante dall'ingresso sotterraneo, poi spense il motore e sganciò la cintura di sicurezza, così da potersi voltare verso l'amica.

«Allora, dove si svolgerà questo primo appuntamento a scoppio ritardato?» domandò in tono scherzoso.

«Sai che non ne ho la più pallida idea? Ha detto che sarà una sorpresa» rispose la bruna, facendo spallucce.

Eleonora la fissò con la bocca spalancata e lo sguardo spaesato. «Ma se non sai dove ti porterà, come faremo a scegliere l'outfit perfetto? Cavolo, questa non ci voleva...» continuò, massaggiandosi le labbra con la mano sinistra, pensierosa.

«Ma stai tranquilla, basterà trovare un jeans nero e un maglioncino grigio o bianco e sarò a posto.» liquidò la questione Aurora.

«Stai scherzando, vero?» la fulminò l'amica, con sguardo incredulo. «Cioè tu vorresti presentarti al primo appuntamento vestita come ogni altro giorno? E no, cara mia, basta con questi jeans e i maglioni scuri. È da quando ti conosco che non ti ho visto indossare altro!»

«Ma...» provò a replicare la ragazza, senza successo.

«No, niente ma. Abbiamo un intero centro commerciale a nostra disposizione, e che Dirac mi fulmini se ti lascerò uscire di qui con un jeans e un maglione! Nossignore, ora entreremo lì dentro e faremo in modo che tu sia pronta a ogni evenienza!» sentenziò la rossa, concludendo la sua filippica con un occhiolino malizioso.

Aurora, spiazzata dalla determinazione dell'amica, non poté fare altro che acconsentire; così scesero entrambe dalla vettura e si diressero verso le porte automatiche all'ingresso.

Le due ragazze presero la centrale delle tre grandi scale mobili che portavano ai piani superiori del centro commerciale. Quando furono nell'atrio, la bruna rimase stupita nel vedere la quantità di vetrine scintillanti l'una a fianco all'altra, alcune già addobbate con le decorazioni natalizie, cariche di oggetti colorati della più svariata natura.

Nel trambusto delle ultime settimane, Aurora aveva completamente dimenticato l'avvicinarsi del Natale e quel pensiero non l'aiutò a sentirsi meglio, in quanto sarebbe stato il primo che avrebbe trascorso lontana da casa e dal resto della sua numerosa famiglia.

Suo padre, infatti, aveva un fratello più piccolo e due sorelle più grandi, tutti sposati e con figli d'età oscillante tra i sette e i trent'anni. Anche sua madre aveva un fratello, più grande di lei solo di un paio d'anni, sposato due volte e con tre figli.

La loro era una famiglia davvero grande e non era trascorso Natale senza che si riunissero tutti a casa di nonna Domenica e nonno Andrea, i genitori di suo padre. Anche quell'anno ci sarebbero stati tutti.

Tutti, tranne loro.

E quel pensiero le bruciava alla bocca dello stomaco come acido corrosivo. Perché sapeva bene che, da qualunque prospettiva la si guardasse, quella situazione era solo e unicamente colpa sua.

«Ehi, bella addormentata, sei tra noi? Dobbiamo darci una mossa se vogliamo trovare tutto quello che ti serve.». La voce di Eleonora la riportò al presente, distraendola dai suoi pensieri.

«Allora,» continuò la rossa «direi di cominciare col cercare un vestito. L'opzione più accreditata è che ti porti in un ristorantino romantico per una bella cenetta a lume di candela. E io so chi può aiutarci» ammiccò ad Aurora, prendendola per un braccio e trascinandola verso il terzo negozio sulla destra, senza lasciarle il tempo di opporsi.

Una volta varcata la soglia, una ragazza con un caschetto biondo, alta poco più di un metro e sessanta, andò loro incontro con un sorriso smagliante.

«Ehi, finalmente hai deciso di farti viva!» disse la commessa rivolta a Eleonora, salutandola poi con un abbraccio affettuoso.

«Lo sai, l'università non mi lascia molto tempo per lo shopping, purtroppo... Ma oggi ho un bisogno disperato del tuo aiuto.»

«Certo Ele, qualsiasi cosa. Che ti serve?» chiese la bionda intrecciando le mani, pronta ad ascoltare le richieste della sua amica e a entrare in azione.

«Stavolta non è per me, ma per la mia amica» disse facendosi da parte e indicando Aurora, che era rimasta un passo dietro di lei. «Viviana, lei è Aurora, una mia nuova amica dell'università. Aurora, lei è la mia amica d'infanzia Viviana, la maga dello shopping. Nessuno è bravo quanto lei nel trovare l'outfit più adatto, te lo posso assicurare.» le presentò Eleonora, lasciando che le ragazze si stringessero la mano.

«Piacere di conoscerti, Aurora. Ho sentito molto parlare di te da Ele» disse la commessa, sorridendo alla nuova conoscente. «Allora, ditemi tutto. Cosa stavate cercando?»

«Qualcosa di speciale per un primo appuntamento» spiegò la rossa. «Il problema è che il gentiluomo in questione, incurante dei drammi vestiari di una ragazza, non ha voluto rivelare dove si terrà. Quindi procediamo alla cieca.»

«Mmm capisco...» replicò la ragazza, massaggiandosi il mento e lasciando lo sguardo vagare tra le stampelle di abiti che riempivano l'intero negozio. «Quindi ci serve qualcosa di versatile e che magari, con qualche accessorio, possa trasformarsi da molto elegante a casual in un paio di mosse.»

«Esatto!» esultò Eleonora, euforica.

«Io preferirei qualcosa di semplice e casual, più che elegante» provò ad intervenire Aurora, venendo immediatamente fulminata dalle altre due.

«Cara, fidati di me, se dovessi ritrovarti a cena nel ristorante più elegante di Firenze o, che ne so, a teatro, ci ringrazierai per non averti lasciato optare per un outfit totalmente casual» la rassicurò la bionda, avviandosi poi in direzione dello scaffale sul fondo del locale, seguita a ruota da un'entusiasta Eleonora e una riluttante Aurora, preoccupata di come le due ragazze l'avrebbero conciata per questa prima uscita.

Il comportamento della rossa la faceva sorridere; trovava molto tenero il mondo in cui, per certi versi, si stava prendendo cura di lei, pur conoscendola da poche settimane. A casa, a Polignano, non aveva mai avuto un'amica così; era sempre stata troppo impegnata con lo studio e le lezioni di pianoforte al conservatorio per avere il tempo di uscire con le amiche. E quando poi al liceo aveva conosciuto Leonardo, lui aveva finito con l'occupare ogni attimo del tempo libero che le era rimasto.

«Allora» disse la bionda, frugando tra i vestiti sull'appendiabiti, «io opterei per un vestito lungo più o meno fino al ginocchio, a cui possiamo poi abbinare diversi modelli di coprispalla, così da renderlo più o meno elegante. Che ne dici?» chiese rivolta ad Aurora.

«Il vestito va bene, purché sia a maniche lunghe.» replicò la bruna, con un velo di tristezza negli occhi.

«Ma perché a maniche lunghe? Non ce ne sono quasi mai di vestiti carini a maniche lunghe!» protestò Eleonora, cercando lo sguardo di Aurora, che teneva gli occhi bassi.

«Ho detto che deve essere a maniche lunghe, non insistere» replicò la ragazza in tono perentorio, senza guardarla in viso.

«Mi dispiace, ma purtroppo non ne abbiamo a manica lunga, quest'anno non si sono usati per nulla» intervenne la commessa, interrompendo così la discussione. «Ma se vuoi che le braccia siano coperte non c'è problema, ti trovo subito un giacchino da abbinare agli abiti che voglio proporti» continuò la ragazza, con un sorriso persuasivo.

«Dai Aurora, prova qualcosa almeno, sono sicura che ti starà tutto benissimo, col fisico che hai!» la incoraggiò Eleonora, spingendola da dietro verso i camerini.

Così, senza avere ulteriore diritto di replica, Aurora si ritrovò chiusa in un cubicolo di un metro quadro a provare una montagna di abiti a bretelline o con le spalline molto strette, alcuni dei quali di colori o fantasie che lei non avrebbe mai scelto di indossare.

Prima di spogliarsi, rovistò nel mucchio alla ricerca dei più sobri. Scartato quello fucsia pieno di paillettes, uno dorato così corto da sembrare una maglietta, quello a fantasia floreale e uno completamente senza spalline, ne rimasero tre.

Il primo era un tubino nero con spalline larghe, che le arrivava poco più su del ginocchio. Lo scollo a v era in parte coperto da un inserto in pizzo e una spilla argentata a forma di fiore ne decorava la spallina sinistra.

Aurora osservò attentamente la sua immagine nello specchio e istintivamente portò la mano destra sul braccio sinistro, a coprire la lunga cicatrice lasciata completamente in vista dall'assenza delle maniche. Il vestito nel suo insieme era carino, le lasciava scoperte le gambe lunghe e magre, ancor di più dopo l'anno trascorso in ospedale; ma non la faceva impazzire di entusiasmo. Così passo al successivo.

Il secondo abito era stretto in vita e lungo fin quasi alle caviglie; la stoffa era rossa e plissettata, con un generoso scollo a v che metteva in mostra il suo decolleté ben più di quanto lei desiderasse. In quell'abito si sentiva più a disagio che in qualsiasi altro avesse provato: era il vestito adatto a una ragazza sicura di sé, briosa e desiderosa di attenzioni, tutto quello che lei era stata, molto tempo prima, ma che sicuramente non era più. 

Avrebbe dato qualunque cosa per passare inosservata, per evitare gli sguardi della gente, ne aveva sopportati così tanti da bastarle per una vita intera. Era per quel motivo che continuava a indossare maglioni dai colori spenti e jeans scuri, in modo tale da poter dare meno nell'occhio.

Così scartò anche quell'opzione e passò alla terza. L'abitino color avorio con scollo a cuore le cadeva a pennello; la gonna sfiorava appena il ginocchio e un velo di pizzo con su ricamate delle foglioline tono su tono ricopriva tutto l'abito, nascondendo appena alla vista anche la scollatura e le spalle. Sarebbe stato perfetto, se non avesse lasciato in mostra le braccia.

A quel punto Aurora realizzò che avrebbe potuto indossare qualsiasi abito, anche il più bello di tutto il centro commerciale, ma con la cicatrice scoperta avrebbe finito sempre col sentirsi a disagio.

Così si tolse anche l'ultimo vestito e incominciò a rivestirsi, ma prima che potesse terminare, sentì la voce di Eleonora chiamarla al di là della tenda del camerino.

«Aurora, come va? È molto che sei lì dentro... Non esci a farmi vedere come ti stanno?»

«Ele, non mi sta bene niente, mi sto rivestendo» disse Aurora in tono sconfortato, accelerando i movimenti nel timore che l'amica potesse entrare prima che avesse indossato il maglione e coperto la cicatrice.

«Eleonora, l'ho trovato!». La voce entusiasta della commessa arrivò fino alle orecchie di Aurora, che si tesero per captare il resto della conversazione.

«Cosa, Vivi?» sentì chiedere la rossa.

«Ho un vestito che sicuramente adorerà!» esclamò la bionda, su di giri. Poi, avvicinandosi alla tenda del camerino, si rivolse alla diretta interessata. «Aurora, giusto? Ho trovato l'abito perfetto per te!», la voce così alta da sembrare quasi un gridolino. «Posso passartelo?»

«Ma non l'ho vista con nessuno degli altri che le abbiamo proposto...» si lamentò Eleonora, facendo un piccolo sospiro; le sue aspettative sul pomeriggio di shopping sfrenato stavano venendo pian piano disattese.

«Fidati Ele, questo lo adorerà!» disse sicura di sé la bionda, che passò la gruccia alla mano che Aurora aveva allungato fuori dal camerino.

Non appena la ragazza vide l'abito che la commessa aveva faticosamente scovato per lei, rimase a bocca aperta. Aveva ragione in pieno, era l'abito giusto per lei. Così, senza ulteriori indugi, si affrettò a provarlo.

La fodera blu scuro, con scollo a cuore non troppo accentuato, le arrivava poco sopra il ginocchio; l'abito in pizzo, dello stesso colore, le scivolava addosso come un guanto, coprendole appena la scollatura e lasciandole la schiena quasi completamente scoperta. La caratteristica migliore erano però le maniche lunghe fin sotto il gomito, sempre in pizzo, quindi non totalmente coprenti, ma sufficienti a nascondere la cicatrice sul braccio sinistro.

Finalmente soddisfatta dell'immagine riflessa dallo specchio, Aurora scostò la tenda del camerino e si mostrò alle due ragazze in attesa di vederla.

«Wow, avevi ragione Vivi, è perfetto!» esclamò Eleonora, sbalordita.

«Ne ero certa!» replicò la commessa, con un'espressione compiaciuta sul volto.

«Dite che va bene? Non è troppo elegante?» chiese Aurora titubante, continuando a esaminare la sua figura nello specchio del camerino, alla ricerca anche del più piccolo difetto.

«Cara mia, con gli stecchini che ti ritrovi per gambe e la terza di reggiseno, ti starebbe bene anche un sacco per l'immondizia!» scherzò la rossa, sperando di incoraggiarla. Ma lo sguardo della bruna rimase perplesso e insicuro.

Era evidente, osservandola guardarsi allo specchio, che quello che Aurora cercava non era una conferma di quanto fosse bella o stesse bene con quel vestito, ma anche solo una ragione che avvallasse tutti i dubbi che le attanagliavano la mente e il cuore.

Da quello che le aveva raccontato dell'incidente, Eleonora sapeva solo che portava su di sé altre cicatrici, oltre quella dietro la nuca; non aveva idea di quante fossero o dove le avesse, ma aveva intuito che era quella la ragione per cui non si era mostrata con indosso nessuno degli altri abiti che lei e Viviana le avevano proposto.

Probabilmente, pensò l'amica, il suo severo esame allo specchio era volto ad assicurarsi che nessuna delle cicatrici fosse visibile ad altri. Così decise di tentare ancora.

«Aurora, sei perfetta con questo abito, richiama perfettamente il colore dei tuoi occhi. Quando Marco ti vedrà, non capirà più nulla, fidati di me» le disse sorridendo, in piedi dietro di lei, posandole le mani sulle spalle e facendole sentire appena la sua stretta di incoraggiamento.

Un timido sorriso incurvò le labbra della bruna che, finalmente, si sentì un po' più sicura della sua scelta.

«D'accordo, mi avete convinta, è quello giusto» sentenziò dopo un lungo respiro.

Le altre due ragazze lanciarono un gridolino di gioia, entusiaste che, alla fine, Aurora avesse trovato il vestito adatto a lei.

Dopo aver pagato in cassa e aver salutato e ringraziato Viviana, le due amiche continuarono il giro del centro commerciale, alla ricerca di un paio di scarpe dello stesso colore del vestito, che però non fossero eccessivamente eleganti.

Dovettero entrare in ben sette negozi di scarpe prima che Aurora trovasse un paio adeguato. Le decolleté con tacco di circa nove centimetri e cinturino alla caviglia si intonavano perfettamente all'abito; in più, il plateau di qualche centimetro compensava adeguatamente l'altezza del tacco, rendendo la camminata della ragazza più stabile.

Dopo ben tre ore e mezza di prove, compere e giri, le due ragazze si avviarono verso un bar, per fare una sosta e qualche chiacchiera in tutto relax.

Ma prima che potessero raggiungere il locale, a soli cinque metri da loro, Eleonora agguantò il polso dell'amica e la fermò.

«Aurora, scusami, ti dispiace se facciamo una piccola deviazione? Ho visto due miei amici entrare in quel negozio e, dato che non li vedo da molto, vorrei andare a salutarli» le comunicò la rossa.

«Vai pure tranquilla a salutarli Ele, io finisco il giro di questo piano, ci vediamo tra una decina di minuti al bar, d'accordo?» le propose Aurora.

«Okay, allora a tra poco.» e si allontanò per raggiungere i suoi amici, da poco entrati in un negozio di elettronica.

Aurora continuò con tutta calma il giro del piano, consapevole che, con la sua parlantina, Eleonora non avrebbe impiegato meno di venti minuti per tornare da lei.

Ad un tratto, un suono delicato e a lei familiare superò la musichetta fastidiosa e petulante che fuoriusciva dagli altoparlanti del centro commerciale.

Aurora avrebbe riconosciuto quel suono anche immersa in una piscina profonda cinque metri e con i tappi alle orecchie: era la musica di un pianoforte.

Istintivamente, fece vagare lo sguardo intorno a sé, alla ricerca della fonte di quella melodia soave e così familiare; e poi lo vide, un negozio di strumenti poco lontano da dove si era fermata lei. Così, senza ulteriori indugi, come un topolino richiamato dalle note incantate del pifferaio magico, si avviò verso l'ingresso della bottega. 

In vetrina erano in mostra due splendidi esemplari di pianoforte a coda: uno Yamaha nero, così lucido da riflettere la luce dei faretti e accecare i visitatori; l'altro, bianco, della Steinway & Sons, sembrava la tastiera su cui avrebbe potuto suonare un angelo del paradiso.

Aurora rimase imbambolata ad ammirare i due esemplari in vetrina, poi, senza neanche rendersene conto, varcò la soglia ed entrò. L'ambiente risultava piuttosto angusto, pieno com'era in ogni angolo di strumenti, dai pianoforti di ogni tipo ai violoncelli, messi in mostra sui loro piedistalli; alle pareti erano appese chitarre di varie forme, mentre, su alcuni scaffali bassi posti al centro della stanza, dai quali spuntavano spartiti e libri di musica, erano poggiate diverse custodie aperte, che lasciavano intravedere violini e qualche esemplare di strumento a fiato, come flauti, sassofoni, trombe e clarinetti.

Alla ragazza parve di essere entrata nel tempio della musica. Bastò un attimo perché il suo cuore si riempisse di gioia e nostalgia, sentendosi finalmente, dopo tanto tempo, a casa.

Ma ad attirare la sua attenzione era stata la musica che proveniva da un pianoforte verticale sul fondo del negozio, sul quale sgabello era seduto, dandole le spalle, un ragazzo con una camicia a quadri bordeaux e i capelli castano scuro, quasi neri.

Era certa che non l'avesse sentita entrare, perché continuava a far scivolare le mani sulla tastiera senza esitazione, producendo col tocco leggero delle sue dita la melodia che aveva incantato Aurora. Così si avvicinò a lui e posò delicatamente a terra le buste con gli acquisti del pomeriggio, pronta a godersi quel momento di nostalgia.

Lei conosceva bene quella canzone: era "Memory", un brano scritto da Andrew Lloyd Webber per il musical Cats, che lei aveva imparato a suonare a sette anni. Erano secoli che non la suonava più, da molto prima che avesse l'incidente; ma nel riascoltare quella melodia così familiare, ebbe la sensazione di averla eseguita per l'ultima volta solo il giorno prima, e ogni muscolo e nervo delle sue mani vibrò all'unisono con le corde di quel piano, gridandole l'estrema urgenza di tornare a sfiorare quei tasti lucidi e pesanti che, più di ogni altra cosa al mondo, la facevano sentire viva.

Quando la musica terminò, Aurora neppure se ne accorse. Rimase in piedi alle spalle del ragazzo, immobile, ancora preda dell'incanto della melodia.

Il ragazzo dovette ripetersi tre volte, prima che lei si accorgesse che l'aveva notata.

«Dico a te, posso esserti d'aiuto?» le chiese, fissandola perplesso.

Aurora strizzò gli occhi, come per destarsi del tutto dal momento di trans, e gli sorrise timidamente, imbarazzata. «No, perdonami, ero rimasta incantata dalla tua musica. Suoni davvero bene» si complimentò la bruna con lo sconosciuto.

«Ti ringrazio, sei gentile. Conosci la canzone che stavo suonando?» chiese lui, curioso di scoprire qualcosa della ragazza il cui sguardo gli sfuggiva, nascosto dalla frangetta corvina.

«Sì, come potrei non conoscere Memory? È una delle prime musiche che ho imparato a suonare» disse lei, con le labbra appena incurvate in un sorriso nostalgico.

«Davvero? Allora anche tu suoni il pianoforte?» chiese il ragazzo, con voce entusiasta.

«Sì, lo suonavo tanto tempo fa, ora ho smesso...» e subito lo sguardo le si adombrò.

«Come mai hai smesso?» domandò lui, facendo un passo verso Aurora.

Lei fece istintivamente un passo indietro e incrociò le braccia al petto, come a volersi far scudo dalle domande sempre più fastidiose del pianista sconosciuto.

«Perché ho dovuto. Non l'ho scelto» ribatté lei, sperando che quella risposta ponesse fine a quell'imbarazzante e dolorosa conversazione.

«E non ti manca? Io non potrei mai vivere senza suonare...»

«Vuoi la verità?» chiese in tono schietto Aurora. «Mi manca ogni giorno come potrebbe mancarmi il respiro.»

«Che ne diresti di sederti e provare a suonare ancora una volta? Non credo che possa ucciderti... Guarda, ho finito di accordarlo proprio una mezz'oretta fa, canta che è una meraviglia. Non desidera altro che essere suonato da te!» le propose scherzosamente il ragazzo, con un sorriso così dolce e persuasivo da risultare irresistibile per chiunque.

Un miliardo di volte Aurora aveva sognato di sedersi allo sgabello di un pianoforte e suonare ancora una volta, un'ultima volta, e quell'occasione era troppo ghiotta per non coglierla. Nessuno l'avrebbe sentita, a parte il ragazzo sconosciuto, nessuno che avrebbe potuto incoraggiarla a provare ancora se avesse fallito, nessuno con delle aspettative sul suo futuro da pianista.

Così sorrise timidamente al ragazzo e annuì, avvicinandosi al pianoforte e accomodandosi sullo sgabello. Una volta trovata la posizione più comoda, fece un respiro profondo e posò le lunghe dita affusolate sui tasti, ancora tiepidi del tocco dello sconosciuto. E, senza che la mente potesse controllare i movimenti, le mani cominciarono a suonare quella melodia che, solo pochi minuti prima, aveva eseguito il ragazzo accanto a lei, che ora la osservava ammirato.

Le mani di Aurora scivolavano sulla tastiera come acqua su vetro, riportando in vita la parte più vera di lei, quella che aveva scelto di seppellire nelle profondità più oscure del suo cuore.

Ci volle un minuto, però, solo un singolo minuto, a ricordarle il perché aveva fatto quella scelta.

Proprio mentre eseguiva il ritornello della canzone, un lampo di dolore le percorse tutto il braccio sinistro, dal dorso della mano fin sopra il gomito, facendole sbagliare l'accordo.

Aurora si portò istintivamente il braccio dolorante al petto, stringendolo con la destra e piegandosi leggermente in avanti, sulla tastiera; il viso, nascosto dai lunghi capelli neri lasciati sciolti sulle spalle, si trasformò, preda di uno spasmo di dolore che, oltre che del fisico, era soprattutto dell'anima.

Aveva provato altre volte a suonare, dopo l'incidente e la complessa operazione al braccio, ma ogni volta era andata così, fino a quando non si era arresa all'evidenza: non avrebbe suonato mai più.

Vedendola sofferente e in difficoltà, il ragazzo le si avvicinò, mettendole le mani sulla braccia per accertarsi che non fosse niente di troppo grave.

«Ehi, ti senti bene? Che ti è successo?» chiese con voce allarmata e il viso teso, evidentemente preoccupato.

«Niente, non succede niente. Ho solo sbagliato a venire qui» rispose la ragazza, che a stento riusciva a trattenere le lacrime.

«Ma non può essere niente... Dimmi, ti fa male il braccio?» insisté il ragazzo, ostinato.

«Ti ho detto che non è niente!» ribadì Aurora a voce alta e in tono rude, rivolgendo al ragazzo uno sguardo carico di rabbia e tristezza.

Poi, tornata alla lucidità, si scusò per essere stata scortese e si alzò, pronta ad afferrare le buste degli acquisti, abbandonate sul pavimento a pochi passi dal pianoforte, e ad andar via.

«Ehi, non c'è bisogno di scappare... Sicura sia tutto a posto...? Non so nemmeno il tuo nome...»

«Sono Aurora e sì, è tutto a posto. Scusa ancora per la rispostaccia, ho sbagliato io a tentare» concluse lei con lo sguardo puntato in basso, rossa in viso per l'imbarazzo.

«Ma figurati, non devi scusarti. Io comunque sono Riccardo, sono il nipote del proprietario. Sono qui tre pomeriggi a settimana per dargli una mano. Se ti interessa venire a fare un altro tentativo, o semplicemente due chiacchiere sulla buona musica, mi trovi qui» disse il ragazzo, sorridendole dolcemente e sperando che anche lei avesse voglia di rivederlo, nonostante l'"incidente" al piano.

«Mi dispiace, devo proprio scappare, la mia amica mi sta aspettando. Ciao e scusa ancora» si congedò Aurora, voltandosi per dirigersi verso l'uscita del negozio il più in fretta possibile.

Mentre la ragazza percorreva a grandi passi i pochi metri che la separavano dal corridoio affollato della galleria, Riccardo la osservò, avvolta com'era di mistero e naturale sensualità, e desiderò più di ogni altra cosa di poterla incontrare ancora.

Nella foto Riccardo, interpretato da Shawn Mendes.

Allora cari lettori, piaciuto il pomeriggio di shopping?

E che ne pensate di quest'altro personaggio che ha fatto il suo ingresso sulla scena?

Vi piacerebbe che avesse un ruolo importante o preferireste che rimanesse solo una comparsa?

Fatemi sapere come al solito cosa ne pensate, adoro leggere i vostri commenti 

Un bacione e a presto 

Sempre vostra 

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