26. What about us - Parte II

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Cari lettori❤  
Ecco a voi il capitolo tanto atteso :)

Spero possiate perdonare il ritardo, ma il malfunzionamento di Wattpad dell'ultima settimana non ha aiutato... 

Vi auguro buona lettura 


Erano in viaggio da più di un'ora e si erano scambiati solo qualche parola. Le voci di diversi cantanti si alternavano alla radio, riempiendo l'abitacolo e sollevandoli dall'imbarazzo di restare nel più completo silenzio.

I tiepidi raggi del sole, in lenta ascesa verso lo zenit, si rifrangevano attraverso le piccole gocce di rugiada che ricoprivano l'erba secca e bassa dei campi, illuminando così i lunghi filari di vite che correvano veloci al di là del finestrino.

Aurora ammirò quel paesaggio nuovo ed estraneo, ne studiò i colori, lo osservò danzare sotto la leggera brezza invernale, piegarsi di lato e cambiare sfumatura, per poi ritornare sempre identico a sé stesso.

Lei, che era abituata al mare, specchio d'acqua in continuo mutamento, proprio non lo capiva quel paesaggio: come poteva evolversi così repentinamente, ed essere in grado di tornare uguale a prima?

Anche lei era cambiata in quell'ultimo anno, proprio come cambia il mare dall'estate all'inverno, e da distesa calma e cristallina, si era trasformata in una pozza scura piena di tumulti sotterranei, un'onda alla disperata ricerca di una scogliera su ci infrangersi.

Aveva provato a far finta di niente, a convincersi che la tempesta dentro di sé prima o poi si sarebbe placata, che tutto sarebbe tornato alla normalità.

E invece era lì, a centinaia di chilometri dalla sua normalità, seduta accanto a un estraneo dai pensieri imperscrutabili, diretta verso una meta sconosciuta di cui non riusciva a intravedere l'orizzonte.

Quando Marco accostò sul ciglio della strada di campagna, Aurora si guardò intorno, chiedendosi se il tanto atteso "primo" appuntamento si sarebbe svolto lì, in mezzo al nulla fatta eccezione per la natura, spogliata dei suoi colori vivaci e cangianti.

«Girati leggermente di spalle» le chiese il ragazzo, tirando fuori dalla tasca dei jeans scuri un foulard rosa pallido con dei piccolissimi fiorellini gialli.

Lo sguardo perplesso si Aurora fu una risposta sufficiente.

«Tranquilla» aggiunse lui, «devo bendarti perché manca poco alla meta, e voglio che sia una sorpresa fino alla fine» spiegò, con un sorriso dolce ed entusiasta a illuminargli il viso.

A quel punto la ragazza non poté che acconsentire, lasciando che Marco le coprisse gli occhi con la sottile sciarpa di seta, che emanava un delicato sentore di lavanda.

Aurora respirò a fondo quell'odore di fiori, così simile al profumo che indossava sua nonna, e per quello a lei familiare.

Proseguirono in silenzio per altri dieci minuti, fino a quando il leggero stridio dei freni non suggerì alla ragazza che erano giunti a destinazione.

Sentì Marco spegnere il motore, poi la radio, e tirare il freno a mano.

«Non muoverti e non toglierti la benda» le ordinò lui prima di uscire dall'abitacolo.

Qualche secondo dopo la portiera alla destra di Aurora si aprì, il ragazzo la prese per mano e l'aiutò a scendere dalla macchina.

Privata della vista, la ragazza mise in allerta gli altri sensi, nel tentativo di raccogliere indizi che potessero suggerirle in quale misterioso posto Marco l'avesse condotta.

La prima cosa che notò fu: il silenzio. Non un rumore di auto o il vociare di persone sembrava disturbare la quiete intorno a lei, come fosse chiusa in una bolla da cui era stata aspirata tutta l'aria, senza lasciare al suono alcun mezzo attraverso cui propagarsi.

Ci volle un po' perché le sue orecchie si abituassero a quella nuova condizione e fossero in grado di percepire il lontano grido di un gabbiano.

«Vieni con me» sussurrò Marco al suo orecchio, afferrandola delicatamente per il braccio destro e guidandola in direzione opposta a quella dell'auto.

L'aiutò a salire uno, due, tre gradini, probabilmente di legno, pensò la ragazza, a giudicare dallo scricchiolio prodotto dalle assi. Dopo aver percorso un paio di metri, il ragazzo la fece fermare.

Aurora sentì un rumore metallico, una serie di scatti, poi Marco si posizionò alle sue spalle e la sospinse delicatamente in avanti, accompagnando i suoi movimenti cauti e incerti.

Un clack alle sue spalle le fece intuire che doveva trattarsi di una porta chiusa, inducendola a chiedersi in quale particolare luogo Marco l'avesse condotta.

Un locale? Un albergo? O forse un agriturismo fuori porta?

«Aspettami qui» le disse, sciogliendo la delicata presa sulle sue braccia. Con gli occhi bendati e senza più le mani di Marco su di sé, Aurora si sentì persa, smarrita. Attraverso il foulard che le copriva le orecchie le giunsero suoni indistinti e confusi, che ebbero l'unico effetto di accrescere al tempo stesso la sua ansia e la sua curiosità.

Dove l'aveva portata?

Si lisciò i lunghi capelli corvini, resi crespi dall'umidità che impregnava l'aria, vanificando così i suoi sforzi della sera precedente di domarli in morbide onde.

Un altro clack, stavolta di fronte a lei, poi un freddo refolo di vento le investì il viso, facendola rabbrividire.

Ancora una volta sentì le mani di Marco afferrarla per le braccia e guidarla attraverso un percorso non più lineare. Il cambiamento di temperatura le suggerì che dovevano trovarsi di nuovo all'esterno e, dopo diversi passi in avanti, scese cinque gradini, fino a mettere il piede su una superficie morbida e irregolare.

«Ora posso togliermi la benda?» chiese Aurora, incapace di pazientare oltre.

Marco la prese per mano e la condusse ancora per qualche passo, poi si fermò e lo sentì armeggiare con i lacci dei suoi stivaletti.

«Si può sapere che stai combinando?» e istintivamente fece un passo indietro. Ma il ragazzo non la lasciò indietreggiare ancora, agguantandola per una caviglia e inchiodandola sul posto.

«Oh mio dio, non sarai un feticista dei piedi, vero?» insistette la ragazza, il cui tono era a metà tra il divertito e il preoccupato.

Marco ridacchiò. «No, tranquilla, i piedi non esercitano nessun particolare fascino su di me, puoi tornare a respirare. Voglio solo che tu senta una cosa» e proseguì a slacciarle le scarpe, per poi sfilarle i calzini e lasciarla a piedi nudi.

Non appena posò le piante sulla superficie soffice e bagnata, Aurora fu travolta da un vortice di emozioni che a stento riuscì a controllare. Gioia, euforia e nostalgia si mescolarono in lei in un cocktail perfetto, quello in grado di farla sballare e farle dimenticare ogni cosa.

«Sei pronta?» le chiese il ragazzo, il cui cuore aveva perso un battito al solo vederla così, con le mani tremanti e un sorriso impaziente sulle labbra.

Dopo aver ricevuto un cenno di assenso, Marco si posizionò alle sue spalle, per poi sciogliere piano il nodo della benda e, insieme a esso, il mistero sul luogo in cui l'aveva condotta.

Non appena gli occhi della ragazza furono liberi di esplorare lo spazio circostante, una scintilla si accese in loro e, come braci sopite sotto la cenere, presero a bruciare di felicità ancora una volta.

Aurora guardò il mare, con la sua superficie increspata dalle onde e l'acqua di una sfumatura a metà tra il verde bottiglia e il blu notte, respirò l'odore della salsedine mescolata ad ogni granello di sabbia sotto le piante dei suoi piedi, ascoltò il fruscio della risacca scivolare sui ciottoli e le conchiglie del bagnasciuga.

E si sentì di nuovo a casa.

«So che non è il mare della tua Polignano, ma volevo portarti in un posto che ti facesse sentire un pochino meno la nostalgia della tua terra» spiegò il ragazzo, mentre la seguiva verso la riva a pochi passi di distanza.

Aurora rimase in silenzio, a contemplare la distesa d'acqua irrequieta dinanzi a lei. Passò un minuto prima che si girasse verso il ragazzo e, guardandolo negli occhi,: «Grazie. Non credo ci siano sufficienti parole nel nostro vocabolario per descrivere quello che provo in questo momento. Perciò mi limiterò a dirti grazie.» Poi gli si avvicinò, e senza dargli il tempo di rendersi conto di cosa stesse per fare, Aurora si mise in punta di piedi e lo baciò.

Marco sentì immediatamente il calore trasferirsi dalle labbra della ragazza alle sue, diffondersi velocemente verso il basso e ridestare tutti i suoi sensi.

Aveva desiderato quel bacio ogni minuto di ogni giorno che li aveva visti separati, lo aveva atteso come un elefante aspetta impaziente la stagione delle piogge dopo la lunga siccità che prosciuga ogni pozza d'acqua della savana.

Senza essere in grado di controllarsi, le posò una mano sulla parte bassa della schiena e l'attirò a sé, annullando lo spazio tra loro e lasciando che il profumo del suo bagnoschiuma alla fragola gli invadesse le narici.

Le sue labbra, soffici e leggermente screpolate dal freddo, sapevano di buono.

Sapevano di amore.

Quando si staccarono per riprendere fiato, Aurora fece un passo indietro e, prendendolo per mano, lo trascinò con sé di nuovo verso la riva, per poi lasciarlo andare a un passo dall'acqua in cui immerse i piedi, che Marco le aveva denudato.

«Dai, togliti le scarpe anche tu e raggiungimi!» lo esortò lei.

Marco sollevò istintivamente un sopracciglio. «Non ci penso neanche, col freddo che fa oggi ci saranno due gradi lì dentro.» indicando con un cenno del capo la distesa scura e agitata.

«Fifone» lo apostrofò lei, calciando col piede uno schizzo d'acqua nella sua direzione.

Marco provò a scansarsi, ma non riuscì ad evitare che lo spruzzo gli bagnasse parte dei pantaloni.

La fulminò con lo sguardo. «Ah, è così? Ora ti faccio vedere io.» la minacciò e iniziò a sfilarsi gli scarponcini beige, lanciandoli uno per uno alle sue spalle e arrotolando l'orlo dei jeans intorno alle caviglie. Quando ebbe terminato, si lanciò all'inseguimento di Aurora che, divertita, prese a correre sul bagnasciuga, schizzando acqua e sabbia tutto intorno a sé. Essendo più alto della ragazza di una spanna, Marco impiegò poco a raggiungerla; la prese alle spalle, avvolgendole la vita con un braccio, e la sollevò, per poi farla ruotare in aria tra le sue proteste divertite.

«Oddio, sei pazzo?! Dai, mettimi giù!» gridò lei, con il cuore a mille e un sorriso che le arrivava fin quasi alle orecchie.

Quando Marco le permise di toccare di nuovo terra, Aurora si piegò sulle ginocchia, nel tentativo di ridare aria ai suoi polmoni contratti dalle risate.

«Non credo che ci sia qualcosa di più bello al mondo che sentirti ridere» la sorprese lui, lasciando che le parole gli sfuggissero dalle labbra, prive di filtro e fuori controllo.

Lei sollevò la testa e gli rivolse uno sguardo dolce, che il ragazzo vide mutare troppo in fretta in un'espressione carica di tristezza e rammarico.

«Marco... Noi dobbiamo parlare.»

Bastò quella frase a spezzare il sortilegio che, solo per qualche minuto, li aveva trasportati in un'altra realtà, una nella quale tra loro non c'erano né segreti né silenzi, in cui potevano essere solo due ragazzi innamorati, senza paure né riserve, senza il passato a intromettersi prepotentemente tra loro.

Ma il passato non si può cancellare, lo sapevano entrambi.

E ancora una volta stava per tornare alla carica, pronto a calpestare tutto e a travolgere ogni cosa.

«D'accordo, entriamo in casa e beviamo qualcosa di caldo, poi parleremo con calma» le comunicò Marco, facendole strada verso il piccolo edificio in pietra bianca alle loro spalle, quello attraverso il quale avevano raggiunto la spiaggia.

Così, raccolte le scarpe, riattraversarono la passerella di legno che collegava il retro della casa alla battigia, poi il ragazzo tirò fuori dalla tasca dei jeans un paio di chiavi, con cui fece scattare la serratura della grande vetrata che ricopriva quasi interamente la parete posteriore della struttura, regalando al soggiorno una fantastica visuale direttamente sul mare.

«È tua questa casa?» chiese la ragazza, mentre si sfilava il cappotto e lo abbandonava su uno dei due divani a tre posti che riempivano la stanza.

«No, è di Cristian. È una delle tante case per le vacanze che possiede la sua famiglia. Vengono qui tutte le estati, almeno per un paio di settimane, ma in questo periodo la usa solo lui di tanto in tanto, per avere un po' di privacy con le sue conquiste.»

A quelle parole, Aurora si sentì avvampare le gote. Era per quello che Marco l'aveva portata lì? Pensava di poterla riconquistare portandosela a letto?

«Non fare quella faccia, io non sono Cristian» precisò il ragazzo ridacchiando, dopo aver inevitabilmente colto l'imbarazzo diffusosi sul volto della ragazza. «Ho promesso che ti avrei raccontato tutto e non ho intenzione di venir meno alla parola data» continuò, di nuovo serio. «Dammi il tempo di preparare qualcosa di caldo e ti dirò tutto» concluse, allontanandosi verso la cucina.

Aurora fece vagare lo sguardo nella grande stanza dai muri bianchi, decorati con fotografie di barche a vela e stemmi di club nautici; la parete di fronte a uno dei divani era interamente occupata da un'enorme libreria, stracolma di volumi di ogni colore e dimensione. Sul tavolinetto basso al centro della stanza, una pila di libri era ricoperta da uno spesso strato di polvere, come quasi ogni superficie orizzontale, segno che nessuno aveva frequentato quel luogo nell'ultimo periodo.

A interrompere l'ispezione di Aurora intervenne un brivido di freddo, che dai piedi e i leggings bagnati risalì lungo tutto il corpo, facendola tremare.

«Marco, sai per caso se in casa c'è un phon con cui posso asciugarmi i pantaloni? Sto congelando...» disse a voce alta, in modo che il ragazzo potesse sentirla anche dall'altra stanza.

Qualche secondo dopo Marco ricomparve, porgendole le chiavi della macchina. «L'ho portato io, immaginavo ci saremmo bagnati e non sapevo se qui ce ne fosse uno. È nel borsone sul sedile posteriore. Io intanto finisco di preparare lo spuntino.», poi le sorrise dolcemente e le lasciò un fugace bacio sulla fronte.

Aurora chiuse gli occhi e godette per alcuni secondi del tepore delle sue labbra sulla fronte, aggrappandosi con la mano destra al maglione che gli fasciava il busto stretto e tonico.

Quando Marco interruppe il contatto per tornare alle sue faccende, la ragazza lasciò andare la presa e si diresse all'esterno, con le chiavi nella mano sinistra e la sensazione nel cuore che, alla fine, tutto sarebbe andato come doveva andare.

Come annunciato dal ragazzo, un borsone rosso sportivo con la scritta Everlast era adagiato sul sedile posteriore dell'auto. E quando Aurora si sporse all'interno dell'abitacolo per afferrarne i manici, la sua attenzione fu catturata da uno scintillio dorato ai piedi del sedile.

Così allungò il braccio verso il basso, fino a quando non ebbe tra le mani uno strano libricino spesso non più di due dita, con la copertina marroncina impreziosita da intarsi color oro. La chiusura calamitata le fece intuire che non doveva trattarsi di un normale libro, ma più probabilmente di un'agenda, oppure un diario.

Aurora sapeva quanto quello che le balenava in mente fosse sbagliato e contro ogni principio eticamente corretto, eppure non fu in grado di resistere all'impulso di far scattare la patta e sbirciare il contenuto del misterioso libricino.

Non appena lo aprì, a una pagina a caso, una parola le saltò immediatamente all'occhio.

O meglio, un nome.

Giulia.

Se vi sono saliti istinti omicidi, frenateli! Non ho intenzione di lasciarvi in sospeso molto a lungo xD ahah

Ho diviso il capitolo in tre parti perché stavolta è venuto fuori molto lungo. Ma non disperate! La TERZA E ULTIMA parte di questo capitolo sarà tutta vostra già DOMANI :) 

Un bacione a tutti e come sempre grazie per essere rimasti qui con me fino ad ora 

 Sempre vostra

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