5. Hello

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"Hello, it's me

I was wondering if after all these years

you'd like to meet

To go over everything

They say that time's supposed to heal ya,

but I ain't done much healing"

Hello - Adele



Per le due mattine successive Aurora non prese l'autobus: sua madre doveva andare a lavoro prima quei giorni e aveva insistito per accompagnarla con l'auto. Aurora avrebbe voluto rifiutare, ma con quale scusa? Non poteva certo raccontare a sua madre di voler prendere l'autobus per rivedere un ragazzo di cui conosceva solo il nome. Sarebbe sembrata ridicola. Anche perché nessuno le poteva assicurare che lui sarebbe stato di nuovo lì, o che avrebbe voluto parlare ancora con lei. Quella di Marco poteva esser stata anche solo cortesia. E probabilmente sarebbe stato meglio così. Aveva altro su cui concentrarsi al momento. Così si rassegnò e accettò il passaggio in auto.

Il venerdì mattina Aurora era di nuovo alla fermata dell'autobus. Il cielo plumbeo lasciava presagire forti piogge per quel giorno, ma lei non se ne preoccupava, aveva sempre un ombrello nello zaino. Quando però aprì la cartella per prenderlo, si accorse di averlo dimenticato a casa. E proprio mentre il pullman faceva capolino all'orizzonte, incominciò a piovere. 

Aurora tirò su il cappuccio del giubbotto, nella speranza di proteggere dall'acqua almeno i capelli. E non appena l'autobus raggiunse la fermata, si affrettò a salire per trovarvi rifugio all'interno.

Il mezzo era più affollato del solito, così si rassegnò a dover fare il viaggio in piedi e si aggrappò ad uno dei pali di sostegno, per non rischiare di perdere l'equilibrio. Poi con l'altra mano si sfilò il cappuccio e si sistemò i capelli inumiditi dalla pioggia. Si sarebbe bagnata completamente durante il tragitto dal capolinea al dipartimento, non c'erano molte speranze che potesse arrivarvi asciutta data l'abbondanza dell'acquazzone. Era un vero e proprio temporale invernale. 

Possibile che avesse dimenticato l'ombrello proprio in una giornata come quella? E mentre rimproverava mentalmente sé stessa per l'inopportuna dimenticanza, una voce alle sue spalle la salutò.

«Ciao Aurora.»

Si voltò e in piedi alle sue spalle c'era il ragazzo dagli occhi verdi. Marco.

«Ciao Marco» rispose un po' sorpresa. Non si aspettava di poterlo incontrare ancora, anche se una parte di lei ci aveva sperato.

«Pessima giornata con questa pioggia, eh?» disse lui, facendo vagare lo sguardo fuori dal finestrino.

«Già, e sicuramente non era la giornata giusta per dimenticare l'ombrello a casa» rispose lei, continuando a bacchettare sé stessa.

«Accidenti, che sfiga... Direi che è proprio la giornata sbagliata...» Dopo alcuni secondi di pausa, Marco continuò: «Senti, se per te va bene, potrei accompagnarti al tuo dipartimento, ho un ombrello solo, ma credo sia abbastanza grande da coprirci entrambi» e concluse con un lieve sorriso, evidentemente un po' in imbarazzo.

Aurora non sapeva cosa rispondere. Era un gesto davvero gentile da parte sua, ma sarebbe stato opportuno accettare?

«Non saprei... Non vorrei che per accompagnare me tu facessi tardi per le tue lezioni...» disse lei con voce incerta.

«Non preoccuparti, oggi ho lezione solo in tarda mattinata, non ho fretta di arrivare in facoltà.»

A quel punto Aurora non aveva altra scelta, se non acconsentire. «D'accordo, se per te non è un problema... accetto. Grazie mille» disse con un sorriso cortese.

«Figurati, è un piacere, davvero.»

Non appena l'autobus raggiunse il capolinea, Marco si affrettò a scendere e ad aprire l'ombrello, in modo tale da non farla bagnare. La pioggia si era fatta più intensa, così Aurora si rifugiò subito al suo fianco, al riparo dall'acqua. L'ombrello era appena sufficiente a coprirli entrambi, così Marco le porse il gomito.

«Vieni, aggrappati qui. Dobbiamo stare il più vicini possibile o ci bagneremo» disse lui con sguardo dolce.

Aurora lo guardò negli occhi, quei meravigliosi occhi verdi che l'avevano incantata sin dal loro primo incontro, e poggiò la mano sul suo braccio. Era impressionante come un solo sguardo di quel ragazzo potesse farla sentire così... sconvolta, persa, come se il resto del mondo fosse solo una lontana melodia di sottofondo. 

Non aveva mai provato niente del genere prima di allora. Aveva amato lui, certo, ma non sapeva perché quello sembrava non assomigliare a nulla che avesse già provato. E questo la terrorizzava. Non poteva assolutamente perdere il controllo. Non di nuovo. L'ultima volta era stato un disastro completo. Aveva perso tutto, o quasi. E non poteva permettere che accadesse ancora. Questa volta avrebbe potuto non sopravvivere.

Aurora abbassò lo sguardo e si incamminò verso il dipartimento di fisica al fianco di Marco. Sentiva la sua mano tremare sul braccio di lui e sperò che il ragazzo non se ne accorgesse. Non doveva assolutamente permettere che lui capisse, o anche solo che sospettasse l'effetto che le faceva, oppure sarebbe stato tutto perduto.

Fecero gli ultimi passi di corsa, per evitare la pioggia sempre più fitta e insistente. Una volta dentro il dipartimento, Aurora lasciò andare il braccio di Marco e si scrollò qualche goccia d'acqua che era riuscita a raggiungere le gambe. Marco chiuse l'ombrello e si passò la mano tra i capelli. Sembrava in imbarazzo, evidentemente incerto sul da farsi. 

E Aurora sapeva ancor meno come comportarsi. Era stato premuroso ad accompagnarla fin lì, ma ora? Lei doveva andare a lezione, e non sapeva proprio come congedarlo. Così con voce un po' tremante e sguardo basso disse: «Grazie mille, davvero, sei stato gentilissimo ad accompagnarmi fin qui e ad allungare il tuo tragitto...»

Lui fece qualche passo verso di lei, le poggiò un dito sotto il mento per farle sollevare lo sguardo e con espressione seria e voce ferma: «Non c'è nessun altro posto dove vorrei essere.»

Aurora rimase pietrificata. Quel ragazzo era un perfetto sconosciuto, ma ascoltando quelle parole desiderò che non se ne andasse più. Le vennero in mente mille domande da fargli, mille scuse per poterlo trattenere ancora un po' lì con lei. Eppure dalla sua bocca non uscì neanche un fiato. Nulla. Era completamente incapace di parlare. A rompere quel silenzio imbarazzate ci pensò Marco.

«Senti, so che ti sembrerà strano, ma stavo pensando... Visto che ho un paio d'ore libere prima delle mie lezioni, che ne diresti se...». Esitò per qualche secondo «...se venissi a seguire con te una delle tue lezioni? Mi sono sempre chiesto come fosse una lezione di fisica dell'università, e mi piacerebbe davvero potervi assistere... Se per te non è un problema, ovviamente» disse portandosi una mano dietro la nuca, evidentemente in difficoltà.

Aurora ascoltò ogni parola, il suo sguardo fisso in quello di lui. Dentro di lei imperversava una battaglia tra istinto e razionalità. Sapeva bene che non sarebbe stata affatto una buona idea. Se avesse passato più tempo con quel ragazzo, avrebbe voluto conoscerlo sempre di più. Con buona probabilità ci si sarebbe affezionata. D'altronde, la chimica tra loro era innegabile. E i loro sguardi ne erano la prova. Come avrebbe potuto rifiutare quell'opportunità?

«Sì, perché no, puoi venire con me a seguire storia della fisica. Ho quella alle prime due ore... Non so quanto potrà piacerti, ma sei fortunato, avrebbe potuto capitarti la lezione di meccanica quantistica» rispose lei, ridendo per nascondere l'imbarazzo e l'insicurezza.

A quelle parole il volto di Marco fu illuminato da uno splendido sorriso.

«Bene, allora fai strada, ti seguo» disse lui facendo un passo indietro, per darle  modo di precederlo nel corridoio che conduceva alle scale.      

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