Capitolo 1

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Insicurezza. Paura. Fragilità.

Avevo sempre pensato che l'insicurezza fosse uno dei più terribili stati d'animo che esistono al mondo. Ero sempre stata una bambina insicura, indecisa, fragile, sensibile.
Sempre più timida delle altre, sempre più chiusa.

Ma se era vero che l'insicurezza rendeva le persone deboli, che cosa si poteva dire riguardo alla paura?

La paura ti blocca, ti rende ancora più debole, decisamente più fragile, più spaventato, più solo.

Avevo sempre sentito che nessuno poteva mai capirmi veramente.

Nessuno riusciva a credere che dopo anni e anni, una donna adulta, avesse ancora paura del sesso perché in tenera età aveva assistito ad una violenza sessuale.

Eppure se chiudevo gli occhi, tutte le volte, ritornavo la bambina di quel giorno.

Rivivevo tutta la scena, perfettamente.

I rumori al piano di sotto, la madre di Allie che venne a chiamare me e sua figlia, fingendo di fare un gioco.

«Nascondetevi nel mio armadio» disse, con un sorriso abbozzato, ma nonostante fossi soltanto una bambina capii dal primo momento che c'era qualcosa che non andava.

Io ed Allie ci chiudemmo nel suo armadio, rimanendo in silenzio lì dentro mano nella mano.

Sentimmo due uomini, sua madre che li implorava di prendere tutto e di andarsene.

Ero sempre stata una bambina curiosa, così quella notte aprii di poco un'anta dell'armadio, lasciando uno spiraglio.

Vidi tutto.

Vidi il primo uomo gettarla a faccia in giù su quel letto, abbassarle velocemente i pantaloni del pigiama e penetrarla in un sol colpo, senza alcun tatto.

Ricordo la dignità di Miranda, la madre di Allie. Non disse una parola per non spaventare me e sua figlia, ma io vidi il suo volto, girato da un lato.

Era sofferente, implorava un silenzioso aiuto.

Mentre uno dei due la violentava, l'altro era già pronto, col membro perfettamente eretto di fuori. Era pronto per dargli il cambio.

E così fecero. La violentarono a turno, fino allo sfinimento.

Da quel momento giurai a me stessa che qualunque cosa fosse, io non avrei mai permesso a un uomo di farmi quello.

E così feci.

Negli anni avevo provato con la terapia, ma senza risultati.

Una dottoressa mi disse che sarebbe accaduto, ma che l'avrei fatto con amore. Eppure io quell'amore non avevo mai provato nemmeno a cercarlo.

Non mi importava.

Non saprei dire quante volte avevo provato, negli anni, a forzarmi. Ero uscita con qualche ragazzo, ma non ero mai andata oltre qualche appuntamento.

Il sesso mi terrorizzava ancora, nonostante i miei ventisei anni, nonostante avessi avuto un mucchio di pretendenti. Alcuni anche dei bravi ragazzi, almeno così sembrava, ma... ma per me l'idea di dover affrontare, prima o poi, la mia sessualità, mi faceva tremare.

«Ohi! Sembri pensierosa, stasera, Holly. Guarda che dobbiamo divertirci! Niente musi lunghi.»

La mia migliore amica Arielle, sempre pronta a studiare ogni mia mossa, mi ammonì istantaneamente, leggendo nel mio viso pensieri poco positivi.

Mi voltai verso di lei, notando anche gli occhi di mia sorella Alice puntati addosso a me.

Sorrisi a entrambe e annuii, quasi scusandomi. Poi afferrai la mano di Arielle e la strinsi forte.

Quella sera eravamo in una splendida limousine per festeggiare l'addio al nubilato di Sandra, una nostra amica.

La cosa buffa era che saremmo andate in un locale di spogliarelli. Mi veniva da ridere al solo pensiero. Non avevo mai frequentato un posto del genere e non osavo immaginare l'imbarazzo.

«Siamo quasi arrivate, fanciulle» strillò con entusiasmo Portia, un'altra amica, che aveva organizzato il tutto.

La povera Sandra era bendata e non avrebbe visto niente finché non fossimo arrivate al locale.

Osservai la città scintillare dai finestrini oscurati della limousine e mi chiesi quando avrei cominciato, anch'io, a godermi la vita.

Ero una bella ragazza, di sani principi, con una famiglia meravigliosa alle spalle. Avevo due genitori perfetti e due fratelli gemelli che amavo più della mia vita.

Bright era il nostro angelo custode. Io e Alice ci sentivamo sempre protette da lui. Quanto alla mia dolce gemella, per quanto fossimo diverse, eravamo due facce della stessa medaglia. Ci completavamo, totalmente. Nessuna mi capiva come lei, nemmeno Arielle che era la mia migliore amica. Non nello stesso modo, almeno.

E poi, cavolo, avevo un bel lavoro, quello che avevo sempre sognato fare. Ero una maestra e fiera di esserlo. Avevo dei colleghi fantastici e delle amiche meravigliose.

Eppure sentivo che c'era qualcosa che mancava.

Nonostante tutto, quando guardavo i miei, ancora lì dopo tanti anni, sognavo anch'io qualcosa di simile.

Il famoso pezzo mancante, la tessera che è capace di completare il puzzle.

E io ero un puzzle vecchio e malandato, nessuno si sarebbe preso la briga di aggiustarne prima tutti i pezzi e poi completarmi.

Troppo complicata, troppo difficile da decifrare. Una lotta troppo ardua quella con me. Una lotta già persa in partenza.

«Eccoci!» strillò Portia come una matta e noi attendemmo pazientemente che la limousine si fermasse e ci faccesse scendere.

Quando ciò accadde, venni trascinata fuori da mia sorella che sgambettò felice, mostrandosi in tutta la sua bellezza.

Io, invece, d'istinto, mi abbassai il vestito troppo audace che lei mi aveva convinto ad indossare.

Mi aveva prestato un abito cortissimo, color argento, con due piccoli spacchi sui lati e la schiena scoperta.

Avevo pochissimo seno, quindi non era un problema per me non indossare il bra (inutilmente push up), ma mi sentivo decisamente troppo nuda.

Non mi piaceva dove stavamo andando, trovavo l'idea di doversi spogliare per vivere decisamente ridicola.

Mia sorella mi tenne tutto il tempo per mano, mentre dietro di me Arielle e Portia urlavano a squarcia gola, gasate come non mai.

Sorrisi, e quando venni invasa dalle luci psichedeliche della sala alzai d'istinto gli occhi.

Non amavo le discoteche ma quel locale era così vivo. Così vivo che per un attimo mi sentii viva anch'io. Viva davvero. Una ragazza normale che esce con le amiche e si diverte, mentre uomini attraenti si spogliano sotto i suoi occhi.

Il locale era arredato in stile country. Sembrava ci fossimo catapultate in una discoteca del selvaggio west.

Tutto era in tinta, tutto ben curato e dall'aspetto nuovo.

Chissà da quanto era lì quel locale.

«Cambiano set ogni settimana. Oggi è la volta del west» strillò Portia nel mio orecchio, quando vide un uomo e sparì. Forse il tipo mediante cui aveva prenotato la serata.

Ci buttammo nella mischia, godendoci il balletto di un sexy cowboy, mentre Portia parlava con quel ragazzo che aveva notato e che subito dopo ci preparò il tavolo.

Alla fine ci accomodammo. Risi divertita alle battute di Arielle e per gli occhi sgranati di Sandra alla quale, nel frattempo, era stata tolta la benda.

Mia sorella era felice e spensierata e io adoravo vederla così.

Aveva appena ottenuto un nuovo lavoro e io ero stra fiera di lei.

Ci portarono da bere e Portia ci incitò a brindare per la futura sposina.

Facemmo un sonoro cin cin e, in un secondo, gettammo in gola tutto lo spumante.

Poi la musica terminò e un uomo più anziano, ma ben messo, salì sul palco.

«Bene, signore, siete pronte per una delle nostre punte di diamante?» chiese e un mucchio di donne che, come galline starnazzanti, urlarono un sì che mi trafisse i timpani.

«Capelli scuri, occhi più blu dell'oceano, fisico statuario. Ecco per voi, il nostro sexy cowboy Tyler!!»

Tantissime donne si alzarono in piedi, coprendomi la visuale, e Arielle mi prese per mano, costringendomi a fare lo stesso.

Applaudii anch'io, mentre un uomo, a testa bassa, raggiunse il centro, mettendosi di spalle a noi del pubblico.

Un fumo uscì dai lati del palchetto, coprendo la sua figura.

Una musica partì, lui si girò e le luci si accesero.

L'uomo tirò via il cappello, lanciandolo verso il pubblico e cominciò a ballare in maniera sensuale.

Aveva indosso dei jeans scuri, stile country, degli stivali alla texana, un piccolo gilet di jeans che gli copriva praticamente niente.

Lo osservai ballare, tracciando con lo sguardo ogni centimetro del suo corpo. Finché i suoi occhi non finirono su di me e i miei nei suoi. Due pozzi, due rivoli d'acqua così profondi e intensi da darmi una sola unica, folle idea: le rapide. Le rapide dei parchi giochi, quelle naturali. Così pericolose eppure così affascinanti.

Non staccava lo sguardo dal mio. Ero così catturata da quegli occhi magnetici e affascinanti che dimenticai tutto il resto.

Non mi interessava il suo corpo, o quello che di lì a poco avrebbe mostrato di sé, togliendosi uno degli indumenti che aveva addosso.

Mi interessava solo il suo sguardo, leggergli dentro. Trovare qualcosa che lo rendesse simile a me.

Un boato mi fece cambiare visuale e notai che aveva levato via la camicia.

Fu costretto a guardare altrove, non poteva certo fissare me per tutta la durata della coreografia.

Cercai di guardare altrove a mia volta ma non vi riuscii. Cercai di nuovo quegli occhi, istintivamente. Il suo sguardo mi afferrò per pochi istanti, finché non fu costretto a cedere, cadendo altrove, ammiccando. Il ragazzo sorrise, finse di cantare la canzone senza emettere fiato.

Alla fine tolse gli stivali, lanciandoli sul retro, e poi si strappò i pantaloni, mostrandosi in un minuscolo e striminzito perizoma di nylon color marrone.

La coreografia terminò e riuscii a vedere il volto di Alice sporgersi verso di me, fugace, come per dire qualcosa (magari qualche battutina sul balletto).

Non gliene diedi modo.

Mi alzai di scatto, dicendo in un sol fiato:

«Vado a prendere una boccata d'aria.»

Uscii da lì, facendomi spazio tra la gente e finendo sul retro del locale. Attraversai la porta e uscii fuori, respirando quasi a fatica.

Mi appoggiai al muro socchiudendo gli occhi.

Che cavolo avevo provato lì dentro? Perché l'immagine di quegli occhi così intensi mi perseguitava? Anche vari minuti dopo. Anche dopo aver visto altro di lui.

Restai lì, tenendomi il petto, incredula e sconvolta.

Cercai qualcosa nella borsetta e mi accesi una sigaretta, consapevole che se mia sorella mi avesse scoperto si sarebbe incazzata di brutto.

Non avevo il vizio del fumo ma di tanto in tanto mi concedevo una sigaretta scaccia pensieri. Era una sorta di modo stupido per rilassarmi. Fumai per pochi istanti, sola, perché qualcuno uscì da dove io avevo fatto lo stesso e riconobbi lo spogliarellista a cui, mio malgrado, stavo pensando.

Merda, no!

Stavolta, indosso, aveva un pantalone di tuta e una canotta piccola che metteva in risalto i suoi muscoli.

I capelli gellati erano tirati all'indietro e il suo sguardo era truce e quasi spaventoso. Anche se non in senso negativo.

«Ciao» disse, rimanendo sulla porta.

«Ciao» biascicai, continuando a guardare dritto davanti a me.

«Non lo sai che il fumo fa male?» disse e, con un gesto, allungò la mano e mi prese la sigaretta, facendola cadere a terra.

La calpestò con la scarpa e poi mi guardò.

«Guarda che quella era mia» mi lamentai e lui sorrise, stizzito, toccandosi un ciuffo indurito di capelli che, ribelle, si era spostato dalla fila.

«La gente muore per questa merda. E il sottoscritto non sarebbe apposto con la coscienza se non evitasse a una dolce fanciulla come te di fumare» disse, sicuro.

«Chi ti dice che sono dolce?» lo provocai.

Cristo, ma come mi era uscito? Non era da me. Non era decisamente da me.

Il ragazzo sorrise ancora e poi esalò:

«I tuoi occhi.» Mi si accapponò la pelle e il cuore iniziò a battere di più.

«Comunque io sono Tyler» aggiunse, allungando la mano.

Stetti per qualche istante di più a fissargliela e alla fine l'afferrai, anche se per un misero secondo.

«Olivia.»

Rimanemmo per altri brevi istanti a guardarci, finché lui non sorrise ancora, come se volesse dire qualcosa ma si stesse trattenendo.

Alla fine parlò e ciò che disse mi fece rendere conto che, come sempre, era esattamente uno dei tanti. Come tutti gli altri. Come tutti quelli che vedevano una sola cosa nella piccola Olivia.

«Ti hanno mai detto quanto sei bella?» chiese, avvicinandosi lentamente a me.

Sorrisi amaramente e annuii.

«Un'infinità di volte» specificai, senza staccare gli occhi dai suoi.

«Sì, immagino. Solo che non sei semplicemente bella, no. C'è qualcosa nei tuoi occhi, qualcosa che... cazzo!»

Mi spinse al muro, incastrandomi col suo corpo. Una mano scese sul mio fianco mentre l'altra mi cinse il capo.

Posai, d'istinto, la mia mano sul suo petto come a volerlo fermare. Ma lo volevo davvero?

«Che stai facendo?» chiesi, mentre il cuore mi sbatteva forte nel petto.

«Ti guardo» rispose, travolgendomi completamente.

Una porta si spalancò e io girai la faccia, trovando il viso sconvolto di mia sorella.

Mi distaccai da lui, spingendolo via e mi coprii istintivamente il corpo.

Non avrei mai dovuto mettere quel dannato abito!

«Ho interrotto qualcosa?» chiese Alice con un sorrisetto.

«No, niente» risposi subito, lanciando un'occhiataccia a Tyler.

Fu lui, per fortuna, a intervenire, mettendo fine a tutto.

«Io andrei. È stato un piacere. Olivia» disse, rimarcando apposta il mio nome.

Andò via facendo l'occhiolino a mia sorella, con un'aria da bello e dannato che me lo fece odiare.

Guardai Alice che mi squadrò guardinga. Mi calai d'istinto l'abito e distolsi lo sguardo.

«Tu adesso mi dici tutto!» ordinò, ma le passai davanti alzando una mano.

«Non c'è nulla da dire, non è successo nulla! È solo il classico idiota che voleva provarci.»

Mi fermò, girandomi con un gesto verso di sé.

«Guarda che non la bevo! Ho visto come vi guardavate, mentre ballava.»

«E allora? Adesso non si può più nemmeno guardare qualcuno? Non farti assurdi film perché non c'è niente di cui parlare!»

«Sicura? Non è che ti sei fatta affascinare dallo spogliarellista ridicolo e oliato?» chiese, riferita al discorso che avevamo fatto a casa.

Alice aveva scherzato sul fatto che mi sarei potuta innamorare di uno spogliarellista e io le avevo detto che non avrebbe mai potuto piacermi uno di quei tipi ridicoli e oliati.

«Tyler non era oliato!» mi scappò, e lei sorrise d'istinto.

«Cioè, volevo solo dire...»

«Conosci anche il suo nome! E lui il tuo. Interessante!»

Portò le braccia al petto, incrociandole, e mi punzecchiò col suo sguardo, più eloquente di mille parole.

«E allora? Si è presentato e io gli ho risposto, per educazione. Tutto qui!»

«Sei una pessima bugiarda, lo sai?»

«E tu una rompiscatole! Torniamo dentro o no? La festa è lì dentro non qui fuori!»

«Oh, lo so bene... e tu più di me, a quanto pare!» mi prese in giro, mentre io sbuffai, portandomi le mani ai capelli.

«Dio, basta! Certo che quando ti ci metti diventi proprio insopportabile! In quale lingua devo dirti che non è successo niente?»

«In nessuna. Tanto non ti crederei.»

«Fa come vuoi. Ora possiamo andare? Sandra ci darà per disperse!» strillai, non volendo.

Alice decise di mollare e, per mia fortuna, rientrammo nel locale e lei non fece più riferimento a Tyler.

Non volevo più parlare di lui né pensarlo.

Tanto non lo avrei più rivisto. Per mia e soprattutto per sua fortuna.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro