Capitolo 2

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«E per oggi abbiamo finito. Tutti in fila per due, bambini. Piano, piano, calmi.»

Strillai, come ero sempre costretta a fare, e sorrisi quando Piotr fece finta di dare uno scappellotto a Daniel, il bambino più pestifero della classe.

La campanella non cessava di suonare, segno di un guasto, rintronandoci ancora di più.

Tra quel suono e gli strilli dei bimbi, avevo il cervello in pappa.

Aiutata dal mio collega, portai i bambini fuori dalla scuola, consegnandoli ai genitori.

Quando tutto terminò, tirai un sospiro di sollievo, mentre Piotr mi abbracciò.

Calai la testa sulla sua spalla e sbuffai.

«Sono esausta, amico.»

«A chi lo dici, amica. Menomale che stasera mi consolo col mio bel maschione. Mi sfinirà in un altro modo» disse ammiccando.

Mi distaccai, sgranando gli occhi.

«No! Mark è tornato?» domandai, stupita.

Piotr e Mark stavano insieme da tanto, si erano conosciuti proprio a scuola.

Mark aveva adottato una bambina, dimostrando di essere un ottimo padre single e una persona meravigliosa.

Fu una specie di colpo di fulmine tra lui e Piotr. Li invidiavo tantissimo. Si vedeva lontano un miglio quanto fossero innamorati.

«Mi ha fatto una sorpresa, è tornato stamattina, ma ho ricevuto la notizia solo poco fa.

Mentre spiegavi il Neolitico a Jenny, ho sbirciato il cellulare e c'era una sua foto. Era disteso sul divano di casa insieme a Mandy.»

Mandy era il loro cane, una border collie che aveva soltanto sette mesi.

Alla fine Piotr si era ritrovato a fare da secondo papà alla piccola Sarah. Erano una famiglia magnifica.

«Sono davvero felice per te, Piotr» dissi con un sorrisone, finché lui ridacchiò e io notai che stava guardando in una direzione precisa.

«Anche io per te. Se un uomo così bello mi fissasse in quel modo credo proprio che potrei svenire.»

Mi voltai, seguendo con lo sguardo la direzione che avevano preso gli occhi del mio amico.

«Non ci posso credere» sibilai, facendomi sentire da Piotr.

Tyler, lo spogliarellista, era lì, seduto su una vecchia Camaro un po' malandata. Indossava un jeans scuro e un giubbino di pelle sopra una maglietta grigia sdrucita.

Aveva l'aria da bello e dannato e non staccava gli occhi da me.

«Chi è? Che cos'è che non mi hai detto?» chiese Piotr, dandomi una gomitata.

«Nessuno» mentii. «Nessuno di importante» mi corressi.

«Devo andare. A domani. Salutami Mark.»

Sgattaiolai via prima che potesse rispondermi e mi incamminai decisa verso Tyler.

Lo raggiunsi, e lui si distaccò dalla sua auto, mettendosi dritto.

«Che cosa fai tu, qui?» chiesi con tono freddo, incrociando le braccia al petto.

Tyler sorrise, un sorriso così perfetto che mi fece sciogliere come neve al sole, anche se non diedi a vederlo.

Era a metà tra il divertito e il malandrino, un mix micidiale per i miei poveri ormoni che, da qualche parte, cercavano di prendere vita.

«Anche per me è un piacere rivederti, Livy» azzardò e io spostai di poco il capo indietro, incredula.

«Il mio nome è Olivia e comunque... come mi hai trovata?» domandai, incapace di credere che in una città grande come New York lui avesse semplicemente incrociato nuovamente il mio cammino.

«Diciamo che ho i miei informatori. Quindi è qui che lavori, fai la maestra?» chiese, affacciandosi con la testa per osservare la struttura dell'edificio.

«Sì. Mi dici chi ti ha detto che lavoravo qui?» insistei.

Tyler tornò a guardarmi negli occhi e io mi persi in quell'azzurro così intenso da farmi girare la testa.

«La ragazza che aveva organizzato l'addio al nubilato della tua amica aveva un numero. Numero che mi sono fatto dare da T.J., il ragazzo che si occupa delle prenotazioni e che, quella sera, vi ha accompagnate al tavolo.»

Erano passati soltanto due giorni dall'addio al nubilato di Sandra e io non riuscivo a credere che quest'uomo avesse architettato tutto solo per rivedermi.

«Non ci credo! Hai chiamato Portia?»

«Mh, mh. E lei mi ha consigliato di lasciar perdere, che... non ero il tipo adatto a te.»

«Avresti dovuto seguire i suoi consigli» ribattei con tono duro.

«Non sono uno che si arrende, Olivia. E non mi piace sentirmi dire che non sono il tipo di qualcuno solo perché faccio lo spogliarellista» replicò e notai del livore nelle sue parole. Come un risentimento forte, come se si fosse offeso.

«Guarda che non te l'ha detto per quello. Io... sono una ragazza complicata, ok? Il problema è mio, non tuo.»

Si avvicinò lentamente e piegò il capo sul mio viso fino a raggiungere l'orecchio sinistro.

«Mi sono sempre piaciute le cose complicate... Livy» aggiunse alla fine, appositamente per farmi innervosire.

Mi distaccai e sbuffai, portando le braccia sui fianchi.

«Si può sapere cosa cavolo devo dirti per convincerti a lasciarmi in pace?» strillai.

«Niente, semplicemente non ti lascerò in pace. So che non hai un ragazzo perché la tua amica Portia me l'ha detto, quindi... non hai nessun motivo per non uscire con me.»

«Uscire con te?» ripetei, quasi ridendo. «Io non uscirò mai con te.»

«Dimmi almeno perché» continuò, senza arrendersi.

«Perché... perché... sono lesbica» inventai, ma l'ultima frase mi uscì un po' troppo urlante.

Tyler scoppiò a ridere come un matto, piegandosi letteralmente in due.

«Sei davvero uno spasso, Olivia, davvero. Tu lesbica? Questa è bella!» disse ricomponendosi.

«Certo. Lo sono. Perché non dovresti credermi? Non capisco» feci spazientita.

Tyler scosse il capo, infastidito da tutta la mia resistenza. Poi agì e in un attimo venni sbattuta sulla portiera dell'auto, il suo corpo tonico e pesante a sovrastare il mio.

Sospirai, incredula, e poi il suo viso si avvicinò di più al mio.

«Perché a una ragazza lesbica non batterebbe così tanto il cuore alla vicinanza di un uomo. Perché una ragazza lesbica non mi guarderebbe nello stesso modo in cui mi guardi tu. Perché una ragazza lesbica non sentirebbe gli stessi brividi che stai sentendo tu, adesso, che ti sono così vicino.»

La sua bocca si avvicinò piano alla mia, ma la mia forza di volontà ebbe la meglio.

Lo spostai con una spinta e mi allontanai da lui.

«Oltre che arrogante sei anche presuntuoso! Chi ti dice che sento i brividi quando mi sei vicino?» strillai, arrabbiata.

«Il modo in cui hai tremato l'altra sera, fuori al locale. E il modo in cui stai tremando adesso. Così nervosa eppure così bella.»

Una mano si allungò verso di me e mi spostò un ciuffo di capelli.

Sentii quel brivido di cui mi aveva parlato solo un secondo prima, ma lo ignorai.

«È solo questo che sono per voi: bella» sibilai. Nessun altro uomo aveva mai voluto vedere oltre. Sì, era vero, io non gliel'avevo mai permesso, ma mai nessuno si era sforzato, per me.

«Quindi è questo il problema? Non vuoi che ti dica che sei bella perché te lo dicono tutti e questo ti fa credere che io sarei come gli altri?» domandò e mi sembrò sinceramente interessato alla risposta.

«Il punto è che voglio che mi lasci in pace. Non uscirò con te, né oggi, né domani, né mai.

Dimenticami, Tyler.»

Feci per andarmene ma una sua mano mi afferrò e mi portò di nuovo sull'auto, attaccata alla portiera.

«Come si fa a dimenticare una come te, dimmi, come si fa?» chiese, senza staccare gli occhi dai miei.

Cercai di distogliere lo sguardo dalle sue bellissime labbra e lo guardai dritto negli occhi.

«Ne trovi mille di ragazze belle quanto o più di me.»

«Ma a me non interessano le altre.»

«E a me non importa. Portia non avrebbe mai dovuto dirti dove lavoro, ma farò i conti con lei stasera.

Ora devo andare, Tyler, lasciami.»

«E se non volessi farlo?» chiese, continuando a tenermi attaccata alla sua auto.

«Mi metterò a urlare e ti farò arrestare fingendo che volevi farmi del male.»

«Non potrei mai farti del male, Olivia» assicurò, e mi sfiorò una guancia col dorso della mano.

Mio malgrado, chiusi gli occhi a quel tocco, ma solo per pochi istanti.

Poi li riaprii e li fissai nei suoi.

«Per favore, lasciami andare, adesso» implorai, mentre gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime.

Lui non poteva capire, nessuno poteva capire.

Lui non meritava una come me e io non meritavo lui.

Appena dissi quelle parole, Tyler mi mollò, e io andai via senza voltarmi, senza nemmeno salutarlo.

Volevo solo tornare a casa e dimenticare quell'assurdo incontro.

Volevo essere l'Olivia di sempre, perché era molto più facile che affrontare i miei problemi e provare a mettermi in gioco come tutti quanti gli altri.

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