Capitolo 3

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Sistemai le ultime cose nella classe e uscii fuori, lasciando la scuola stanca ma felice.

Quella mattina i bambini erano stati bravissimi. Li avevo portati nella cineteca per guardare un film sulla schiavitù.

C'era stata una discussione molto interessante, alla fine. Era nato un vivace dibattito sul tema e io fui davvero fiera di loro.

Delle volte mi stupivo per l'intelligenza dei bambini, per la loro sensibilità, la loro dolcezza, la loro bontà.

Attraversai il corridoio esterno per uscire di scuola. Avevo ancora il sorriso sulle labbra e trovai Piotr ad aspettarmi.

Mi fiondai tra le sue braccia e poi mi distaccai.

«Quei bambini sono adorabili. Dovessi vedere come hanno affrontato il tema della schiavitù. Sono così fiera di loro, Piotr.»

«Oh, immagino. Anche io sono fiero di te, e non per il tuo splendido ruolo da insegnante, per cui già sai quello che penso.»

«Davvero, e per cosa?» chiesi con un sorrisetto, incuriosita oltre ogni modo.

Sì, la curiosità era uno dei miei difetti più grandi.

La curiosità uccise il gatto, Olivia, ricordalo!

«Perché sei riuscita a far cadere ai tuoi pedi un uomo, rendendolo il tuo dolce zerbino, senza fare praticamente niente.»

«Ma che...» Scossi la testa, mentre lui indicò qualcuno in lontananza.

Spostai lo sguardo dove le dita di Piotr facevano segno e vidi lui, di nuovo. Era sul cofano della sua auto, con gli occhiali scuri e un mazzo di margherite tra le mani.

«Oh mio dio.»

«Devo davvero credere alla versione che mi hai rifilato sul belloccio?» chiese Piotr, guardandomi con finto sospetto.

Il giorno prima gli avevo raccontato di Tyler, di come l'avevo conosciuto e di quello che c'eravamo detti due giorni prima, sotto scuola.

Sapeva tutto di me e di lui, anche se non conosceva proprio ogni lato della mia vita.

Non sapeva fossi ancora vergine e perché, per me, fosse così difficile lasciarmi andare a un bel ragazzo come lui.

«Beh, ti rinnovo i complimenti allora» constatò, squadrando compiaciuto Tyler, che era ancora lì, in lontananza, seduto sulla sua auto con quell'aria da sfrontato.

Piotr mi diede una pacca sulla spalla, invitandomi ad andare da lui, e io lo feci, trovando dentro di me un coraggio che non credevo di possedere.

Avanzai a passo svelto, mentre intravidi sul viso di Tyler un sorrisetto.

Quando lo raggiunsi, afferrai con violenza i fiori, sbuffando.

«Non vuoi proprio lasciarmi in pace, eh?»

«Dove sono finite le buone maniere?» chiese, togliendosi gli occhiali da sole e mostrandomi i suoi splendidi ghiacciai.

Deglutii con forza e a fatica, abbassando lo sguardo imbarazzata.

«Grazie» biascicai. «Perché mi hai preso dei fiori? E perché sei ancora qui? Credevo di essere stata chiara, cavolo. E poi, cazzo, mi stai seguendo? Sei tipo uno stalker?»

«Oh, frena. Una domanda alla volta.

Domanda numero uno: alle belle ragazze si prendono fiori. Due: sono ancora qui perché non sono uno che si arrende al primo ostacolo. Tre: non ti sto seguendo e quattro non sono uno stalker. Semplicemente ti aspetto fuori scuola e attendo il momento in cui mi darai una possibilità. Si chiama corteggiamento, Olivia. Mai provato?» chiese, sorridendo malizioso.

Scossi il capo, mordendomi il labbro per non sorridere a mia volta.

«Sei incredibile, sai.»

«E tu troppo testarda, sai?»

«Dimmi perché io. Dimmi perché insisti così tanto.»

Lo guardai negli occhi e lui si avvicinò di più, facendo mischiare il suo azzurro col mio verde.

«Perché so che ne vali la pena, bionda.»

Rimanemmo a fissarci per un tempo lunghissimo, finché io non distolsi lo sguardo, puntando gli occhi a terra.

«Facciamo così: niente di troppo complicato, per cominciare» propose e io alzai gli occhi. «C'è una piccola tavola calda qui all'angolo. È ora di mangiare e io vorrei tanto offrirti il pranzo, così potremo fare quattro chiacchiere e conoscerci meglio. Che ne dici?»

Morsi il labbro nuovamente, indecisa.

Non mi avrebbe mica mangiato? Sarebbe stato solo un pranzo senza alcun secondo fine. Da parte mia, almeno.

Bugiarda! Mi ammonì una voce nella testa.

«Io non so se...» biasciai, facendo parlare la ragione, come al solito.

«Dai, Livy, sarebbe solo un pranzo.»

«È Olivia» lo corressi, consapevole, però, che adoravo quel modo tutto suo di chiamarmi.

«Come vuoi, Olivia» ripeté, scimmiottandomi. «Ora me lo dici questo "sì"?»

Mossi il capo, mangiandomi letteralmente le labbra, cosa che facevo spesso quando ero nervosa.

Ci pensai un po' su. Una parte di me voleva buttarsi, ma l'altra aveva il terrore di farlo.

Pensai a cosa mi avrebbero consigliato mia sorella Alice, la mia migliore amica Arielle e Piotr e tutte le persone normali al mondo.

«D'accordo» biascicai, sentendomi stupidamente emozionata. «Ma sarà solo un pranzo senza importanza. Quattro chiacchiere e poi ognuno per la sua strada. E tu non mi importunerai più» dissi, puntandogli il dito contro.

Tyler sorrise, scostò il dito con la sua mano e mi costrinse ad abbassare la mia.

«Questo non posso promettertelo, Livy, lo sai.»

«La smetti di chiamarmi così?» sbottai, fintamente infastidita. Nessuno mi aveva mai chiamata in quel modo. Per tutti ero sempre Olivia o Holly.

«Dai, che ti piace. Non fare la schizzinosa. E adesso andiamo che ho una fame da lupi.»

Mi toccò il fianco, spingendomi gentilmente verso l'uscita del parcheggio della scuola.

Attraversammo la strada ancora così, attaccati, mentre dentro di me sentivo qualcosa di mai provato prima.

Arrivati alla tavola calda Mickey, Tyler aprì la porta, facendomi passare per prima, e poi mi seguì al suo interno.

Scelsi un tavolo che dava sulla strada, uno di quei piccoli tavolini di alluminio con dei divanetti di pelle stile retrò.

Mi accomodai, posando i fiori sul tavolo, e lui si sedette di fronte a me, sorridendo.

Feci finta di niente e afferrai il menù, decidendo al volo cosa prendere.

Gli occhi di Tyler erano ancora fissi su di me, instancabili e profondissimi.

Alzai lo sguardo anch'io e gli sorrisi.

«Che c'è?» domandai in leggero imbarazzo.

«Non riesco a smettere di guardarti. Sei come una calamita, Olivia.»

«Sì, certo» biascicai, arrossendo.

Una mano raggiunse il mio viso, che si era abbassato per la vergogna, e lo alzò, costringendomi di nuovo a specchiare i miei occhi nei suoi.

«E adoro questa tua timidezza. Tutto quello che sei potrebbe far letteralmente impazzire un uomo, lo sai, vero?»

Deglutii, cercando di ignorare le sensazioni nuovissime che prendevano strada nel mio stomaco.

«E tu che ne sai di "tutto quello che sono"? Nemmeno mi conosci.»

Sentivo che se avessi dato ancora adito a quell'uomo di corteggiarmi, sarei caduta nella sua rete senza possibilità di uscirne. Ma lui non meritava una donna come me al fianco. Meritava di meglio... molto di meglio.

«Beh, facciamolo allora. Inizio io, visto che, a quanto pare, sei di poche parole.»

«Mi chiamo Tyler Fielding, ho ventotto anni e vivo nel Bronx. Ho una sorella più piccola e sto, insieme a lei e mia madre, in una vecchia e logora villetta di novanta metri quadri.

Di giorno lavoro come manovale in un'impresa edile, mentre di notte, come sai, faccio lo spogliarellista.

Ma mi piace dipingere, ero molto bravo quando andavo a scuola. In un'altra vita sono sicuro di essere stato un grande artista.»

Lo disse con un tale entusiasmo che mi fece tenerezza. Viveva nella zona peggiore di tutta new York ed ero sicura non dovesse essere facile ammazzarsi di lavoro per aiutare la madre e la sorella.

Non lo conoscevo affatto, ma con quel poco che avevo sentito, ero certa fosse proprio un ragazzo in gamba.

«Tocca a te» finì, e in quel momento una cameriera venne per le ordinazioni.

Io presi un toast con del bacon e formaggio, mentre Tyler chiese un cheeseburger con patatine fritte.

Quando la cameriera andò via, i suoi occhi tornarono su di me.

«Allora?» incalzò e io parlai.

«Sembri un ragazzo in gamba» dissi, riferita al suo racconto di pochi istanti prima.

Tyler mi sorrise, scrutandomi intensamente con quei suoi grandi ghiacciai.

«Ti ringrazio, ma adesso vorrei sapere qualcosa in più di te.»

Mi fissò maliziosamente e io mi morsi il labbro inferiore, spostandomi i capelli all'indietro dal nervoso.

«Io... ehm... mi chiamo Olivia Hockester e ho ventisei anni. Vivo con mia sorella in un piccolo appartamento a Chelsea» specificai, riferita al quartiere dove abitavamo. «Sono un'insegnante delle elementari e adoro i bambini. Ehm... che altro dire... ehm... mi piace la moda!» esclamai con entusiasmo. «Amo la moda! Se avessi saputo disegnare mi sarebbe piaciuto diventare una stilista. Ma faccio comunque un lavoro che mi appaga e mi rende felice, per cui...»

«Ex fidanzati?» chiese, spiazzandomi completamente.

«Come?»

«Sì, quanti ce ne sono stati e perché è finita?» domandò, posando il mento sulla sua mano e osservandomi con fare curioso.

«In realtà nessuno» confessai.

«Nessuno?»

«Sì, insomma... niente di serio, comunque. Solo qualche uscita fugace, ma... non ha funzionato» minimizzai, senza incrociare mai il suo sguardo.

«Oh.»

«Tu, invece?» chiesi, stavolta alzando gli occhi, e mettendomi nella stessa posizione che aveva assunto lui due secondi prima.

«Beh, molti flirt, una sola storia importante in realtà. Pearl. Una stronza che mi ha lasciato non appena ha trovato un uomo ricco che le ha promesso di regalarle il mondo» dice, con una punta di rancore.

«Mi dispiace.»

«È acqua passata. Ma meglio così, no? Almeno ho scoperto che razza di persona fosse.

Tu come mai non sei mai stata con nessuno? Insomma, in ventisei anni di vita ne avrai conosciuti di ragazzi. Non c'era nessuno per cui ne valesse la pena?» domandò.

Sorrisi forzatamente e alzai le spalle.

«Non lo so. Non è mai una domanda che mi sono posta veramente.

In realtà... io sono una persona complicata, Tyler, e se fossi un uomo scapperei anni luce da una come me» confessai, tenendo nuovamente lo sguardo basso.

«Addirittura? A me sembri una ragazza normale, Olivia. Sì, avrai il tuo dolore, un peso che porti sulle spalle, come tutti noi. Ma non c'è nulla che non possa essere superato per la persona giusta» disse e, d'istinto, i miei occhi si alzarono a cercare i suoi.

Ci fissammo intensamente per minuti interminabili, finché la cameriera non ci interruppe, servendoci le pietanze che avevamo ordinato.

Mangiammo quasi in completo silenzio, interrotto di tanto in tanto da Tyler che faceva commenti su quello che stavamo mangiando e sul cibo in generale.

Era calato un imbarazzo terribile e io sapevo di esserne la causa.

Quando terminammo, picchiettai nervosamente le unghie sul tavolo, guardandomi la mano pur di non incrociare il suo sguardo.

Ma quando il mio movimento venne interrotto dalla sua mano grande che si posò sulla mia, alzai nuovamente lo sguardo in cerca del suo.

«È tutto a posto, Olivia, non devi agitarti. È solo un pranzo.»

«Io... non sono agitata» mentii, scostando velocemente la mano per non sentire ancora quel suo tocco che era in grado di farmi sentire così diversa.

«Senti, so che sarebbe invadente, visto che ci conosciamo a malapena, ma... lo sospetto dal primo momento che ti ho vista, quando ci siamo lasciati ieri il sentore che fosse come pensavo si è fatto più forte, e il tuo atteggiamento di oggi sembra essere una conferma, perciò... ho bisogno di chiedertelo.»

«Chiedermi cosa?» biascicai, spaventata.

Tyler alzò lo sguardo, fissando i suoi occhi grandi ai miei. I suoi sembravano tristi, quasi mortificati.

«Sei stata vittima di violenze, in passato?»

Il cuore sembrò fermarsi nel petto e mi salì un magone che non riuscii a controllare.

Distolsi lo sguardo, trattenendo le lacrime, e poi tornai su di lui.

«No, ma che vai a pensare?» dissi, scuotendo il capo. «E comunque sì, è stato invadente» ringhiai tra i denti, cercando di trattenere il turbinio di emozioni che mi stava divorando. Rabbia, frustrazione, dolore, vergogna, tutto.

Mi sentivo così ridicola. Se solo lui avesse saputo la verità. Se solo avesse saputo che ero vergine perché ero una maledetta stupida che non riusciva a superare un trauma di una vita fa.

Donne che avevano subito gli abusi sessuali più terribili erano riuscite a venirne fuori e a godersi una nuova vita accanto a uomini che volevano loro bene, mentre io non riuscivo nemmeno a pranzare con un ragazzo. Maledizione!

«Mi dispiace, io...»

«Non sei il mio tipo, Tyler» mentii, diventando dura. «Ne ho visti tanti di bei ragazzi come te, quindi se credi di farmi colpo soltanto perché sei attraente, hai completamente sbagliato persona.»

«Olivia...»

«E comunque se mai decidessi di iniziare una relazione seria con qualcuno non sarebbe di certo con uno spogliarellista» tirai fuori senza freni, consapevole che l'avrei ferito.

I suoi occhi, infatti, cambiarono nello stesso istante in cui pronunciai quelle parole.

Mi guardò quasi con disgusto e poi annuì, sorridendo forzatamente.

«Quindi è questo il problema. È stato questo fin dall'inizio» commentò, ma io non risposi.

Scosse di nuovo il capo, torturandosi le labbra, quelle labbra così belle... quelle labbra che avrei tanto voluto si posassero sulle mie.

«Ma certo, come ho fatto ad essere così ingenuo. Una giovane maestra, una ragazza per bene che vive a Chelsea e ama la moda. Che cazzo c'entra con uno che si sporca le mani di giorno e l'anima la notte?»

«Tyler...» provai a dire, sentendomi terribilmente in colpa.

«No, lascia perdere. Va bene così. Sono io lo stupido che non l'ha capito quando doveva.»

Tirò velocemente delle banconote dalla tasca dei jeans e le lanciò bruscamente sul tavolino, alzandosi di scatto.

«Sai, credevo che dopo Pearl non avrei mai conosciuto una donna più stronza di lei. Ma devo farti i miei complimenti, Olivia, perché tu sei stato in grado di batterla» sputò fuori, come un veleno di un orribile serpente.

Me lo meritavo. Meritavo ogni singola parola.

Non lo guardai negli occhi nemmeno per un istante, consapevole che se l'avessi fatto sarei scoppiata a piangere come una bambina.

Senza dire una parola di più, andò via, lasciandomi sola.

E quando si fu allontanato definitivamente, mi presi il viso tra le mani e scoppiai in un pianto liberatorio che, nella mia assurda e volontaria solitudine, mi avrebbe tenuto compagnia per un bel po'.

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