CAPITOLO 1 prima parte

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CHRISTINA

Apro gli occhi al primo squillo della sveglia e un grido silenzioso che viene dall'anima chiede: «Aiuto!»

È lunedì, l'inizio di una nuova settimana piena di impegni, di doveri, di problemi da risolvere e di angosce per i soldi che non bastano mai.

Scorro mentalmente, in modo rapido, la lista delle cose da fare prima di lasciare Assisi per raggiungere Roma, quindi prendo coraggio e mi alzo stiracchiandomi. Lo specchio mi rimanda l'immagine di una Chris ancora assonnata, con i capelli arruffati e gli occhi gonfi. Accidenti, sono proprio tanto gonfi. Dovrò rimediare con il trucco, perché non voglio che Dotty si accorga che ho pianto. Giuro, questa sarà l'ultima volta che verso lacrime per Paolo. Mi ha costretta a mettere la parola fine a tutte le speranze che ancora aleggiavano in fondo al mio cuore: ieri sera mi ha inviato un messaggio annunciandomi che tra qualche mese si sposerà.

Quanto tempo sprecato. Quanti anni buttati pensando di aver trovato l'uomo della mia vita per poi assistere, alle prime difficoltà, alla sua fuga. Più di due anni fa, mi ha lasciato sola ad affrontare la morte di mio padre, la responsabilità di Dotty e la lotta per trovare e mantenere un lavoro.

Avrei dovuto odiarlo, invece speravo che tornasse da me.

L'ho aspettato.

Fino a ieri sera.

L'annuncio del suo imminente matrimonio mi ha dato la scossa che era necessaria per voltare pagina. Sì, finalmente sono determinata ad andare avanti senza di lui.

Ricominciare.

Anche se lo ammetto, sono un po' spaventata: ho paura di innamorarmi ancora e soffrire e lottare e poi perdere ancora tempo.

«Dotty! Sveglia, è ora di alzarsi.»

Un mugolio sommesso affiora dal piumone rosa. Conosco bene mia sorella e so che le ci vorrà un po' prima di riuscire ad aprire gli occhi, quindi ho il tempo di finire di aggiustarmi l'acconciatura "professionale da ufficio" e di indossare uno dei miei tailleur dal taglio classico. Dopo l'esperienza alla B.M.I. Agency con l'ingegner Trottamani, al lavoro, ho imparato a evitare abiti troppo femminili per non dare nell'occhio e passare inosservata. Direi di aver centrato il mio obiettivo: lavoro all'ultima scrivania in fondo alla sala, semi nascosta da un pannello divisorio e riesco a tenere un profilo talmente basso che credo di risultare invisibile alla maggior parte dei miei colleghi uomini; soprattutto credo di essere invisibile agli occhi del mio nuovo capo che non so nemmeno se sa della mia esistenza.

Inforco gli occhiali per schermare i miei occhi azzurri, questa mattina più chiari e lucidi dopo le lacrime versate nella notte. Con una forcina, nascondo una ciocca bionda, ribelle che è sfuggita alla treccia arrotolata che lascia in evidenza la parte più castana della ricrescita e sono così pronta per l'arduo compito di svegliare del tutto Dotty.

«Dorothea Paradiso! Si sta facendo tardi, tra poco arriva zia Agata per portarti a scuola.»

«Nooo...»

«Dai tesorino!» Tanto lo so che con una parola dolce e un bacino la convinco sempre.

Infatti Dotty si alza con movenze da sonnambula e si dirige al bagno.

Quando c'era la mamma, questo compito spettava sempre a lei. Si occupava di Dorothea con un amore immenso, dedicandole tutto l'affetto di cui era capace e la tenerezza che le ha donato ha fatto crescere la mia sorellina allegra, vivace, spensierata e con un carattere dolce. È proprio una brava bambina, tranne quando fa i capricci: in quei frangenti diventa davvero difficile gestirla. Comunque, da che i miei genitori sono morti, ce la sto mettendo tutta.

Le ho preparato i vestiti al bagno, così li può indossare davanti alla stufetta per non prendere freddo, poi mi tocca aiutarla con la pettinatura: due codine alte al lato della testa con i fiocchetti colorati intonati alla divisa di scuola. Come tutte le donne della nostra famiglia, anche Dotty ha i capelli biondi e gli occhi azzurri, i suoi sono di una tonalità che si avvicina più al grigio-celeste e ha il mio stesso difetto alla vista che la costringe a portare gli occhiali. Lei, però, è obbligata a portarli sempre, mentre io, avendo un astigmatismo molto più lieve del suo, li indosso solo al lavoro.

Venuti a mancare i nostri genitori, Dotty ha dovuto affrontare una serie di cambiamenti che hanno stravolto in modo radicale la sua giovane esistenza: passa l'intera settimana nel residence ospitale dell'Istituto Francescano di Assisi dove zia Agata, una suora laica, insegna; il sabato e la domenica, quando io torno da Roma dopo il lavoro, si trasferisce di nuovo a casa con me.

Nostra madre se ne è andata circa tre anni fa, in una triste nottata d'inverno, dopo aver lottato come un leone contro un cancro che le aveva divorato l'intestino. Il dolore e il freddo di quella notte non riuscirò mai a dimenticarli e rimarranno indelebili nel profondo del mio cuore. Avevo pensato che non avrei mai provato sofferenza più grande; invece, passato poco meno di un anno, nostro padre ci ha lasciato all'improvviso, senza darci neanche la possibilità di un ultimo saluto. Un infarto ha troncato di netto la sua vita, lasciandomi un dolore diverso, inaspettato ma altrettanto forte. Non ho potuto impedire a mia sorella di soffrire per la perdita che abbiamo subìto; tuttavia, ho cercato di preservarla in qualche modo dall'angoscia di tutti i problemi che si sono presentati successivamente alla loro dipartita. Sto ancora lottando per cercare di avere un'esistenza dignitosa e per garantire a Dotty tutte le cure di cui ha bisogno.

Il suono del campanello spezza i miei tristi pensieri: è zia Agata, la cugina del papà. Per fortuna c'è lei che mi sta aiutando con Dorothea, altrimenti non avrei saputo proprio come fare.

Veloce, sbircio il trolley che ho preparato per me, il borsone di mia sorella, il suo zaino di scuola e la mia ventiquattr'ore: c'è tutto, non manca niente.

Dotty, già vestita di tutto punto, corre ad aprire la porta e il rituale del lunedì mattina si svolge immutato davanti ai miei occhi.

«Zia!» L'abbraccia. «S-siamo plonte.» Annusa l'aria come fosse un cagnolino. «Hai p-poltato le blioche! La mia l'hai plesa al ci-ci-cio-ccolato?»

«Certo! Ciao piccola...» L'accarezza sulla testa. «Buongiorno Chris, tutto bene?» Mi guarda con fare interrogativo dritta negli occhi, intuendo che ho pianto.

Zia Agata conosce molto bene le mie vicissitudini, perché, oltre quello che le dico io, riceve informazioni dettagliate da Dotty che le fa compilare il suo diario segreto. So che è diventato una vera e propria consuetudine, così, ogni lunedì sera, detta alla zia i suoi pensieri sul weekend trascorso insieme.

«Tutto ok, zia...»

Ci gustiamo in fretta la colazione che zia Agata ci ha offerto, ascoltiamo Dotty che ormai sveglissima è diventata, come al solito, loquace e poi si parte con la vecchia Panda della zia. Sono le sei e trenta di mattina: io vengo accompagnata alla stazione per prendere il treno per Roma, mentre loro se ne vanno a scuola in centro, ad Assisi.

°°°

Lunedì mattina non è mai garantita la mia puntualità; anzi, può succedere che faccia qualche minuto di ritardo, dipende dal treno. In ogni modo la responsabile del personale, la dott.ssa Rosa Castaldi, lo sa e mi concede una certa tolleranza, in virtù del fatto che tutti gli altri giorni, trovandomi a pochi isolati dalla sede della ICT web Design, sono alla mia postazione sempre in netto anticipo.

Appena entro nel salone delle scrivanie, noto subito una certa agitazione: c'è fermento. Non riesco a capire a cosa sia dovuto, pertanto mi avvicino a una collega per chiederle delucidazioni.

«Buondì, Angela, che succede?»

«Ciao, Chris. Non si sa niente di preciso, solo che stamattina è sceso il grande capo e che Silvia ci sta parlando. Siamo tutti curiosi di sapere perché!»

Sbircio in direzione degli uffici del personale sperando di vederlo attraverso la vetrata. Niente. La tendina a persiana è chiusa: non si vede nessuno.

Da quando lavoro qui, ormai da due anni, ho avuto pochissime occasioni di vedere l'ingegner Coleman e in tali circostanze ero solo io che guardavo lui da lontano; non ci siamo mai incrociati, neanche per errore, quindi il mio capo non ha mai posato gli occhi su di me.

Forse è meglio così: credo che potrei arrossire e fare la figura della ragazzina timida.

Devo ammettere che Coleman è un tipo affascinante, il suo charme cattura e sollecita l'immaginazione, anche senza che tu lo voglia, e io sto facendo di tutto per tenere a bada la mia fantasia, visto che in più occasioni ho sentito le colleghe raccontare di ex dipendenti trasferite, non riconfermate o addirittura licenziate, perché avevano tenuto comportamenti anche solo ammiccanti con lui. È risaputo: non vuole complicazioni sentimentali sul lavoro. Non che io sia interessata, ma sarei un'ipocrita a non ammettere che lo ritengo un bell'uomo e, qui, tutti gli ingegneri donna la pensano come me.

«Ecco Silvia! È uscita!» Dico al gruppetto dei colleghi e delle colleghe che si è riunito a fare congetture.

«Allora, che succede?» Le domanda Angela.

Tutti pendono dalle sue labbra.

«Ragazzi, devo fare un annuncio! Non ho voluto dire niente prima di comunicarlo ai vertici...»

«Sei incinta!?» Gridano all'unisono le sue compagne di scrivania.

Silvia batte le mani e, sorridendo a trentadue denti, dice: «Sì!»

Tutti si congratulano: chi solo a parole, chi con una stretta di mano, chi con un bacio di auguri chi, come me, con un abbraccio.

Silvia è una delle colleghe con cui sono entrata più in confidenza, perciò mi soffermo con altri tre ingegneri a chiederle particolari sul suo stato interessante.

«Di quanto sei?»

«Quasi quattro mesi.»

«Sai già se è maschio o femmina?»

«Ancora no, ma lo saprò presto.»

«Hai un'ecografia tra poco?»

«Sì.» Ora il suo sguardo da raggiante si fa un poco preoccupato. «Non solo, farò anche l'amniocentesi.»

«Che c'è? Sei diventata così seria» le dice Angela.

«Questo esame mi preoccupa un po'.»

«Non ti angosciare: è un esame di routine» la rassicura Claudia.

Io non la penso come Claudia. Le prendo la mano nelle mie e le chiedo: «Perché lo fai? Sei ancora tanto giovane!»

Mentre attendo la sua risposta, sono talmente concentrata su Silvia che non mi accorgo che il gruppetto si disperde e ognuno torna verso le proprie postazioni.

Silvia sospira e fa per parlare, ma non fa in tempo a dire niente; la vedo, invece, vagare con lo sguardo oltre le mie spalle e la sento far scivolare via la sua mano mentre indietreggia.

«Non è ora di mettersi al lavoro?»

Una voce profonda risuona appena dietro al mio orecchio sinistro; non solo, sento due mani appoggiarsi alle mie braccia per sospingermi e farmi spostare verso destra.

Io bloccavo il passaggio e l'ingegner Coleman dopo avermi ricollocato su un lato è passato spedito senza nemmeno voltarsi; d'altro canto, io non ho fatto in tempo a girare la testa, avendo avuto, così, solo la possibilità di vedere le sue spalle.

Rimango immobile, qui, dove lui mi ha lasciato, sgomenta e incredula per quel brivido che continua a scorrere su e giù dalle braccia alla testa, dalla testa allo stomaco, dallo stomaco fino alla punta dei piedi per poi tornare dritto verso il cuore; il mio povero cuore che ha cominciato a correre all'impazzata a un ritmo che potrei paragonare alla galoppata di un purosangue all'ippodromo delle corse.

Cosa caspita mi sta capitando? È dai tempi del liceo, quando vedevo Paolo, che non mi succedeva più una roba simile. Non sono più un'adolescente e non dovrei avere queste reazioni.

"Accidenti! È tutta colpa del troppo tempo che è passato dall'ultimavolta che il mio ex mi ha sfiorata" penso. "Chris, calmati! Chris, torna in te! Chris, non puoi permetterti di provare certe emozioni per Andrew Coleman! Chris, non essere stupida! Chris, non sei più una ragazzina! Chris..."

«Chris! Che ti è preso? Sembri in trance» mi dice Silvia, sventolandomi la mano davanti al viso.

«Niente, niente. Non farci caso...»

«Forse è meglio mettersi al lavoro, non vorrei che l'ingegnere tornasse indietro e ti ritrovasse ancora qui con questa espressione imbambolata!»

«Imbambolata? No! Che dici? Ero solo assorta. Della tua gravidanza ne riparliamo dopo» le dico, spostandomi verso la mia scrivania e lanciandole un bacio con la mano.

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