CAPITOLO 8 prima parte

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CHRISTINA

Guardo l'orologio: è tardissimo! Non sono mai venuta a prendere Dotty così in ritardo. Il telefono si è scaricato e non ho potuto avvertire. Lei e zia Agata saranno preoccupatissime. Sono ancora sconvolta e si vede che ho pianto tanto, nonostante ciò non posso aspettare oltre e dovrò raccontare tutto. Non posso tenere nascosto qualcosa che rimpiangerò per tutta la vita, devo sfogarmi e condividerlo per poter essere consolata. Ne ho bisogno, perché mi sento morire. Il mio timore è solo quello di destabilizzare Dotty e farla soffrire come sto soffrendo io. Purtroppo, il mio aspetto è lo specchio del mio stato d'animo e, questa volta, non potrò proteggerla né minimizzare la realtà.

Con difficoltà, cammino lungo la stretta via in salita, inoltrandomi nella linea parallela delle abitazioni storiche, costruite in pietra, caratteristiche del centro storico di Assisi. Giunta alla piazzetta, riprendo fiato e mi massaggio la spalla indolenzita. Mi trovo a pochi metri dall'imponente monastero meta della mia camminata, alzo lo sguardo e osservo il campanile in stile gotico; dopo poco, mi muovo puntando a oltrepassare l'arco a tutto sesto per entrare nel cortile, lo attraverso uscendo dal lato opposto dove ci sono le scalette che portano al complesso scolastico.

Varco la soglia dell'edificio e mi dirigo verso le aule del doposcuola. Zia Agata è fuori dalla porta della classe che guarda verso il corridoio da cui sto provenendo, mi individua e congiunge le mani alzando il viso al cielo, poi si muove per venirmi incontro e subito compare Dotty che trotterella dietro di lei.

«Christina! Finalmente! Avevo una pena! Come mai hai fatto così tardi?»

Si blocca non appena è abbastanza vicina da distinguere i miei occhi gonfi di pianto.

«Oh, Signore Santo! Che ti è capitato?»

«Chichi! Hai p-pianto?!» Dotty supera la zia e mi viene sotto alzando la testa e allungando le braccia per accogliermi.

Mi abbasso e mi tuffo nel suo abbraccio. «Sì, Dotty, ho pianto! Ti prego, promettimi che non piangerai anche tu. Ho già pianto abbastanza per tutte e due.»

«Chris, per l'amor del cielo! Mi stai facendo preoccupare...»

Mi rialzo dolorante. «Ho bisogno di mettermi seduta.»

«Vieni da questa parte.»

Mi avvolge le spalle e mi guida dentro un'aula vuota. Prende una seggiola e me l'avvicina. Mi siedo, mentre Dotty si piazza davanti a me in attesa.

«Hai avuto un incidente?» mi domanda la zia.

«Una specie...»

«Quando? Dove?»

«Sono stata una stupida, zia. Mi sono fatta fregare come una stupida.» Sento che gli occhi tornano a inumidirsi, però non posso fermarmi, devo raccontare: «Stamattina, ero sul treno come tutti i sabati. Davanti a me si è seduto un uomo che non avevo mai visto prima. Non era uno dei soliti pendolari. Ha iniziato a parlarmi, voleva fare conversazione, ma io non ne avevo voglia; solo che, lo sai zia, non riesco a essere scortese. Si è presentato, mi ha teso la mano e io gliel'ho stretta. Lui ha continuato a parlare, parlare e ancora parlare. Non ne potevo più, guardavo fuori dal finestrino e ho iniziato a non ascoltarlo. L'uomo se ne è accorto, si è scusato di avermi importunato e con molta gentilezza mi ha salutato porgendomi di nuovo la mano. Secondo voi, cosa avrò fatto io?»

«L'hai s-salutato!» deduce giustamente Dotty.

«Sì, l'ho salutato con un'altra stretta di mano e lui se n'è andato sorridendomi.»

«Chris, tesoro, non capisco cosa ci sia di sconvolgente in tutto questo.»

È come se avessi tentato di ritardare il più possibile di ammettere quanto sto per ammettere, perché ripetere a voce alta ciò che sto per dire è come se mi trafiggessi ancora il cuore con un coltello affilato. Alzo il braccio destro, mettendolo bene in vista davanti ai loro occhi.

Vedo Dotty che porta le sue mani davanti alla bocca spalancata: ha già capito cosa manca.

Ricomincio a piangere, non riesco a farne a meno.

«Lo sconosciuto "gentile" era un ladro: mi ha rubato i braccialetti. Tutti e due! Quello dei nonni e quello di mamma e papà. Mi dispiace Dotty, mi sono fatta rubare la mia metà del nostro tesoro.»

«Oddio Christina, uno dei due era il braccialetto con i ciondoli?» infierisce zia Agata.

Annuisco fra i singhiozzi.

«Q-quetto.» Dorothea solleva il polso, mostrando la sua metà del tesoro.

Alla nascita di mia sorella, i miei genitori mi hanno consegnato un pacchetto, dentro c'erano due braccialetti identici: uno per me e uno per Dotty. A ciascuno era attaccato un solo ciondolo a forma di ciuccio. A ogni Natale ricevevamo un ciondolo nuovo. Io ho voluto continuare questa tradizione e così abbiamo raggiunto il numero di dieci ciondoli per ogni braccialetto. A parte il valore economico, che non era poco, aveva un enorme valore affettivo e io me lo sono fatta fregare stupidamente.

«Chichi, c-come ha fatto a luballo sul b-blaccio? Non ti sei ac-colta?»

Scuoto la testa.

«Tesorino, li ha slacciati nel momento in cui Christina gli ha stretto la mano. Le persone come lui sono abili e non si fanno accorgere. Già Chris, quando ti sei accorta?»

«Quando sono scesa dal treno, ero sulla banchina, stavo osservando il treno ripartire e quell'uomo era al finestrino che mi salutava ancora, ma stavolta con un sorriso ironico. Gli ho fatto un cenno con la mano, sempre per essere gentile, e ho sentito il braccio più leggero, poi ho visto il mio polso spoglio.»

A ripensarci, mi sento malissimo.

«Sei andata dai carabinieri?» chiede zia Agata.

«Sì, è per questo che ho fatto così tardi e non vi ho avvertito perché, nel frattempo, si era pure scaricato il cellulare.»

«Hai fatto la denuncia? Che ti hanno detto?»

«Che la mia descrizione corrisponde a un uomo che ha già parecchie segnalazioni di borseggio nei treni; purtroppo, se non viene colto in flagrante, non possono fare niente. Ho descritto i braccialetti e mi chiameranno se li trovano in qualche refurtiva.»

Piangente e sconsolata, mi rivolgo a mia sorella: «Mi dispiace, Dotty. Però non ti preoccupare. A Natale, mamma e papà continueranno sempre a farti trovare il tuo ciondolo vicino al presepe.»

La vedo fissarmi in silenzio, dopo di che si gira su se stessa e corre via.

«Accidenti, lo sapevo che ci sarebbe rimasta tanto male. Zia, dove starà andando?»

«Forse lo so, vado a controllare. Tu non ti preoccupare.»

Non ho la forza di correrle dietro, così rimango seduta cercando di riprendere il controllo. Devo smettere di piangere.

«È come pensavo» dice zia Agata, ritornando verso di me. «È andata a parlare con il nostro amico.»

«Ogni tanto mi dice di questo amico. Chi è? Uno dei frati? Da come ne parla deve essere un po' psicologo...»

«Fidati, è uno in gamba» e mi fa l'occhiolino. «Senti Chris, mi sembri addolorata. Intendo nel senso fisico, cioè mi pare che tu sia indolenzita.»

«È che...» Non riesco a non sospirare con afflizione. «Sono caduta.»

«Caduta!? Come? Che ti sei fatta?»

«Beh...» Non ne vorrei parlare, ma qualcosa devo pur dirle: «Alla stazione. Mi sono messa a correre, volevo provare a risalire sul treno...»

«Che sciocca! Potevi ucciderti! Ti sei fatta molto male?»

«No, no, non ti preoccupare. Sono planata sulla spalla» le spiego, toccandomi il braccio.

«Per sicurezza, dovresti fare un controllo. Oggi pomeriggio tengo Dotty e tu vai al pronto soccorso.»

«Scherzi! No! Non ce n'è bisogno, basterà un antidolorifico.»

«Mi dispiace Chris, insisto.»

«Ok, quando porto mia sorella dalla logopedista, vado dal mio medico che ha l'ambulatorio lì vicino.»

Dotty ritorna da noi sempre correndo ed è anche sorridente.

«Chichi, non p-piangele più!» Si ferma riprendendo fiato. «L'uomo che ha il tuo b-blaccialetto, c-capilà di avel s-sbagliato e te lo lidalà...»

Mi viene da sorridere e l'abbraccio.

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