Capitolo 23: Blocchi mentali e non

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Dublino, nella notte più buia di sempre, sapeva incutere timore anche nell'animo più coraggioso di tutti.

Le strade, il paesaggio apparentemente deserto, misero in allerta Lauren, spingendola a camminare più veloce, finendo quasi per farla correre.

Proseguì spedita sino a casa degli zii e, solo una volta richiusa la porta alle proprie spalle, poté tirare un sospiro di sollievo. Era al sicuro.
Per tutto il tragitto sino alla villetta non aveva potuto fare altro che voltarsi, aguzzare l'udito, accertarsi di non essere seguita.

Una volta fuori pericolo, nell'atrio, udì il brusio di una televisione accesa in salotto e decise di seguirlo, forte di un coraggio che mai aveva pensato di possedere in vita. Non potè che sentirsi esausta, sfinita, per via delle innumerevoli sfide che la vita, in quel periodo, andava mettendole sempre contro il muso. Era giunto il momento di affrontarne un'altra, l'ennesima battaglia, contro persone che aveva sempre pensato l'amassero, senza se e senza ma.

《Perché nessuno mi ha detto che Kevin è stato quì di recente?》lo chiese ai presenti, incapace di mettere a fuoco le sagome raggomitolate sul divano. Avrebbero dovuto essere almeno due, pensò, passando al setaccio le ombre proiettate sul muro bianco.

《Non abbiamo pensato fosse importante che lo sapessi. È stata solo una visita di cortesia.》rispose lo zio. Abbassò il volume della televisione però, pronto per l'ennesima discussione famigliare.

《Lui sa che io frequento lo studio di Colton e dice che glielo avete detto voi.》s'irritò, non tanto per l'ammissione, quanto più per la pacata tranquillità che tutti andavano possedendo, tutti tranne lei.

《Non è vero.》replicò Jean. 《Noi gli abbiamo solo detto che ti stavi facendo aiutare da uno psicanalista che pratica ipnosi.》

Lauren si stupì per via dell'ignoranza dilagante nella sua famiglia, nessuno escluso.

《Gli avete praticamente servito su un piatto d'argento che vado in Dame street. Lui lo sa, è venuto a cercarmi. 》

《Dove si trova Stephen? Perché non sei tornata con lui come promesso?》domandò una voce di donna. La più bella voce di donna.

《Non cercate di cambiare discorso. Non sono affari vostri dove sia Stephen. 》

Qualcuno si alzò in piedi, camminando nella direzione di Lauren. Le afferrò le spalle, stringendole un poco.
Zia Beth.

《Tesoro, perché ti preoccupi tanto? Kevin è stato così carino. Aveva bisogno di vederti, tutto quì. 》

《Questo è quello che ha raccontato a voi! Maledizione!》si scansò dalla presa della zia.《Perché siete sempre così ciechi? Dovrei essere io a non vedere, ma siete voi a non accorgervi di certe ovvietà! Kevin è venuto da me, stasera. Dice di avere cose da dirmi su Colton,  su suo figlio e sull'ipnosi!》

《Quale figlio?》chiese Jean, di nuovo tornato nel cerchio.

Lauren pensò davvero di aprirsi con lo zio e raccontare di Stephen, ma poi finì con il ricredersi. La storia andata male con il ventenne non sarebbe stata mai una questione di interesse famigliare.

《Non cambiate discorso. Voglio sapere che ha Colton che non va. A cosa andava alludendo Kevin, poche ore fa, quando mi ha detto di aprire gli occhi? Mi ha detto che si tratta solo di una combutta contro di me. 》

《Ma nulla, cara! È chiaro che Kevin voglia solo spaventarti. È pur sempre il cugino di Franklin. Sta ancora cercando di difenderlo. 》

La tensione nella stanza si fece palpabile. Lauren scosse il capo, incapace di difendere le parole degli zii. Si trovò a lottare contro i mulini a vento, come, del resto, capitava di continuo.

《Siete voi che non state difendendo me. Questo riappare a casa nostra e voi gli raccontate tutti i fatti miei. 》

《Ci ha detto che sei stato da lui, che lo hai accusato di essere complice di Franklin per via del messaggio che hai ricevuto. Non sei nella posizione di fare l'offesa, Lauren. Ci hai mentito, lo hai fatto pure tu, e questa disgraziata》indicò Maria seduta accanto a sé 《è tua complice. 》

Lauren si sentì tramortita per via delle parole dello zio. Pensò alla povera Maria seduta sul divano, al fatto che si stesse prendendo delle colpe che non aveva mai avuto. Era stata un'idea solo sua e di nessun altro, quella di andare da Kevin per metterlo alle strette. Gli zii avrebbero dovuto saperlo.

《Devo essere punita per questo? D'accordo, chiudetemi in casa. Non mi interessa. 》fece per andarsene, ma la voce dello zio richiamò di nuovo la sua attenzione.

《Non sarai punita. Ti chiediamo solo di fidarti di Colton, lui sa quel che fa. Il percorso è iniziato, almeno portalo a termine. Fallo per te. 》

Lauren decise di non ascoltare oltre.

Salì le scale, arrivò davanti alla propria stanza e chiuse la porta, sbattendola come farebbe un'adolescente frustrata e arrabbiata. Si tolse gli indumenti caldi, mise il pigiama profumato e si stese sotto le coperte, alla ricerca di tranquillità e calore. Gli ultimi messaggi sul cellulare richiamarono l'attenzione su Stephen e riportarono il pensiero su di esso. Uno dopo l'altro vennero ascoltati, letti tramite il sintetizzatore. Una miriade di scuse, di giustificazioni, di grandi parole d'affetto a cui Lauren aveva già smesso di credere, da ore. Bloccò il contatto di Stephen e pregò di non incontrarlo nello studio di Colton, non più.
Si trovò a riflettere sulle parole di Kevin. Poteva esserci qualcosa di vero in quello che le aveva detto? Esisteva davvero una combutta contro di lei?
Si premette i palmi sugli occhi, al fine di soffocare il ricordo della serata appena trascorsa. Era andato tutto così bene in principio. Il suo Irish Steack lo avrebbe ricordato sempre come il più buono mai assaggiato, la suonata al piano così rigenerante. Poi quel finale così triste, che l'aveva portata alla conoscenza di un segreto che mai avrebbe voluto sapere in vita.
Il solo Stephen, non era solo Stephen.

Ripercorse le ultime sedute e tutto le fu chiaro. Non l'aveva mai visto entrare, parlare con il medico in termini specialista-paziente. Colton sapeva che il figlio andava in giro raccontando certe stupidaggini sulla sua famiglia?
Lauren pensò dovesse risolvere la questione anche con il medico, l'indomani, alla prossima seduta.

Si mise a pancia sotto, con tutte le più buone intenzioni di dormire.
Scavò nel materasso, girò su sé stessa, fino a che non fu in grado di prendere sonno.

Andava già lasciandosi trasportare nel mondo dei sogni, quando il cellulare emise un trillo, un banalissimo tweet.
Afferrò il cellulare, fece scorrere il dito sullo schermo e solo una volta all'interno dell'applicazione, il  sintetizzare prese a parlare.

Ne uscì un rumore sordo, come il tonfo di una porta chiusa e un suono stridulo, simile a quello di una risata sommessa.
Il sogghigno di un uomo.

"NO, TI PREGO! Ti prego... Non farmi del male!"

Riconobbe la voce nell'audio e le vennero i brividi.
Non poteva certo trattarsi di una registrazione vocale in diretta, non sarebbe mai stato possibile.

Quella voce che aveva implorato aiuto, che aveva chiesto pietà tra le lacrime, quella che stava udendo, altro non era che la sua.








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