Capitolo 35: Io so che tu sai

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《Ho il diritto di parlare con mia figlia!》

《Non è vero, Patrik. Hai perso questo diritto una decina di anni fa!》

Lauren si trovò proprio nel mezzo, tra due vorticosi fuochi.
Da un lato, un padre che aveva perso di vista da molto, troppo tempo, ma dal quale avrebbe presto preteso spiegazioni.
Dall'altro, due zii iper protettivi, sempre sulla difensiva e stimati come fossero stati genitori biologici.

Questi ultimi dimostrarono immediatamente non gradire la visita inaspettata del cognato, tornato dal nulla, dopo un decennio di assenza ingiustificata.

《Non dovreste trattarmi come uno sconosciuto. 》

《In fin dei conti, non sei questo per Lauren?》sibilò zio Jean, afferrandolo per il bavero della giacca.

L'unica certezza, maturata da Lauren negli anni, altro non sarebbe potuta essere che la tendenza dello zio di difenderla, sempre e comunque.

In quel contesto, però, Lauren si rese conto del fatto che zio Jean si stesse prendendo libertà a lui non dovute. Essa ormai si sentiva una donna e, in un qualche modo, se la sarebbe dovuta sbrigare da sola.

《Posso parlare con mio padre, in privato?》chiese, sull'orlo di una crisi di nervi. Essere la spettatrice di una discussione che la interessava e che andava avanti da ormai una decina di minuti senza tenerla in considerazione, le fece perdere la pazienza.

《Ci pare una pessima idea. Non trovi, Beth?》

Tutti rimasero in attesa affinché la donna potesse esprimersi e, solo allora, dare ragione al marito. Per un momento Lauren pensò di mandere tutti al diavolo e fare solo di testa propria.

《Credo che dovremmo concederle l'opportunità di parlare con lui. 》rimarcò Beth, indicando il padre di Lauren e lasciando a quest'ultima l'opportunità di decidere. Essa sentì di essere andata contro il volere di Jean, ma capì anche di non poter nulla contro le decisioni della ragazza. L'ultima parola sarebbe dovuta essere per forza di Lauren.

《Usciamo, facciamo due passi. Ho bisogno di spiegazioni, papà. 》

Lauren arrivò sul punto di fregarsene di cosa gli zii avrebbero potuto pensare del suo atteggiamento. Quell'opportunità, forse, non le sarebbe ricapitata più.

Patrik la seguì silenziosamente con lo sguardo, prima infilarsi il cappotto, poi dirigersi verso la porta. Accompagnò la figlia, con l'intenzione di darle tutte le risposte di cui essa avrebbe avuto bisogno.

《Dove sei stato per tutto questo tempo?》

I due si trovarono presto a passeggiare nel vialetto, fianco a fianco, ma ancora troppo vicini a orecchi indiscreti.

《Negli States. Per lavoro. 》

《Cazzate, Patrik. 》essa stessa si inorridì per il fatto di averlo chiamato per nome e non più semplicemente papà. Del resto, a fronte di quel rapporto pressoché nullo, non avrebbe potuto chiamarlo diversamente. Decise altresì di tener fuori le emozioni.

《Per lavoro? Dovresti dirmi la verità. Questo è il tuo momento buono. 》

《Mi ricordi davvero tanto tua madre. Anche lei era testarda. Non si arrendeva proprio mai. 》

Lauren percepì il fastidio per il solo fatto che Patrik avesse nominato la mamma. Credette inoltre che lui non avesse alcun diritto di farlo, ma preferì non esprimersi. Avevano già sofferto abbastanza in vita, tutti e due, per permettersi di gettare altra benzina sul fuoco.

《Non cambiare discorso. Hai una nuova famiglia, ora?》lo incalzò lei, con l'intento di farsi dire tutto, la verità nuda e cruda legata alla faccenda che per anni l'aveva fatta star male.

《Sì, ora sono sposato... e ho un figlio. 》

Calò il silenzio, da entrambe le parti.

《Come si chiama?》

A Lauren venne istintivo mostrare curiosità. Per anni aveva sentito di desiderare un fratellino, ma i suoi genitori non le concessero mai la gioia di diventare una sorella maggiore.

《Lo abbiamo chiamato Less. Ci piaceva, come nome. Ora ha sette anni. 》

Essa sentì una fitta al cuore. Suo padre, negli anni, si era rifatto una vita, ma aveva sapientemente dimenticato di essere già genitore di un'altra persona.
Il suo papà, solo e unico.

Scoprire di avere un fratello le strinse il petto ulteriormente. Si rese conto di non sapere nulla di suo padre, sebbene ancora lo nominasse con tale appellativo.

《Perché sei quì, adesso? Non mi hai mai cercata negli ultimi dieci anni. Mai una lettera, un regalo di compleanno, un biglietto d'auguri per Natale. Guarda come sono ridotta, tu che puoi ancora farlo.》gli mostrò il bastone, con l'intento di rimarcare la propria condizione e forse anche con lo scopo di farlo sentire in colpa.

Patrik smise di camminare, proprio accanto alle vetrate già illuminate di una pizzeria. Afferrò le mani di Lauren, le strinse nelle proprie. Mani di uomo adulto, vissute, che essa a stento fu in grado di riconoscere.

《Che significa che non ti ho mai cercata? Io l'ho fatto. Ti ho scritto, ti ho mandato delle lettere. Ho spedito un regalo tutti gli anni. Ho cercato di spiegarti, attraverso dei messaggi, i motivi per cui non sarei stato con te per le feste. Ti ho promesso che sarei tornato, l'ho fatto. Non ero consapevole nemmeno del fatto che avessi smesso di vedere.》

Lauren iniziò a non capire più nulla. Non aveva mai scartato alcun dono da parte di Patrik, mai sentito parlare di una lettera.

《Perché sei quì? 》glielo chiese di nuovo, nella speranza che esso rispondesse con sincerità.

Non avrebbero dovuto esserci più segreti tra loro, qualora Patrik avesse preteso di tornare, in un qualche modo, a far parte della vita di sua figlia.
Esso, di rimando, capì di non avere altra scelta, se non quella di dire la verità. E lo fece, seppur infrangendo una promessa fatta in precedenza.

《Perché sono stato contattato da tua zia. Mi ha fatto giurare che non l'avrei detto né a Jean, né a te. È preoccupata per la tua salute, sa che non te la stai passando bene. Io sono sempre stato all'oscuro di tutto, Lauren. Mi devi credere. 》

Lauren iniziò a ricomporre un puzzle, una serie di tasselli colorati, all'interno della propria mente. Se davvero zia Beth aveva chiamato Patrik perché tornasse in città, doveva essere stato lo zio Jean a impedire il riavvicinamento tra padre e figlia, nel corso degli ultimi anni. Tutto d'un colpo, Lauren prese coscienza della verità.

Zio Jean aveva nascosto le lettere, i regali, per anni.
Forse li aveva pure buttati. Ancor peggio.
Zia Beth, allora, era sempre stata succube della volontà del coniuge, se arrivata a chiamare Patrik di nascosto e fargli addirittura giurare di non menzionare il segreto.

《Non sai di Franklin, delle violenze?》gli chiese, incredula, nel caso fosse potuto essere davvero così.

《Nessuno mi ha mai chiamato per avvertirmi. Ho sempre parlato solo al telefono con Jean. Mi ha garantito tu non avessi bisogno di niente. Ha cercato di convincermi che tu stessi bene, che non volessi più vedermi. Io gli ho creduto, ho pensato tu fossi arrabbiata con me. Che non mi volessi più nella tua vita. 》

Lauren si sentì il protagonista di un fumetto, uno di quelli dipinti dalle mani di un artista, con il fumo alle orecchie e gli uccellini a formare un cerchio confuso.
La rabbia prese il sopravvento sugli altri sentimenti. Non odio, solo rancore. Per anni le avevano fatto credere che suo padre non volesse più avere nulla a che fare con lei e, per assurdo, essa ci aveva pure creduto.

《Mi hanno detto un sacco di bugie.》riferì Lauren, tremendamente a disagio e ancora più confusa di prima.

《Andiamo a prendere le tue cose. Non voglio che resti in quella casa nemmeno un secondo di più. 》

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