08 - Solo con un cane

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ADAM

È ormai sera inoltrata quando inserisco la chiave nella toppa di casa. Entro in casa e subito Buk, il mio cane, mi salta addosso facendomi un sacco di feste.

Non so bene di che razza sia, Buk è un trovatello. L'ho trovato ai tempi delle scuole medie per la strada. Pioveva a dirotto e lui era in una scatola di cartone, tremante e senza medaglietta. Aveva non più di un paio di mesi, si vedeva. Subito l'ho afferrato e l'ho portato a casa.

Ricordo che la prima cosa che ho fatto, dopo averlo sfamato, è stata quella di asciugarlo con un fon, per quanto tremava. Me l'ero poi nascosto in camera, timoroso che mia mamma avesse qualcosa da ridire sulla sua presenza in casa. Ci sono voluti solo un paio di giorni prima che lei se ne accorgesse, anche perché di certo all'epoca non ero ancora in grado di occuparmi di un cucciolo del genere – non avevo mai avuto animali, eccezion fatta per un pesciolino rosso senza nome, vinto una sera al luna park che mi era morto dopo poco nonostante il giorno a seguire, felicissimo, gli avessi comprato con la mia stessa paghetta una boule di vetro e del cibo per pesci con l'intento di prendermi cura di lui a lungo.

Come da copione, quando mamma ha scoperto del cane che io le stavo nascondendo s'è arrabbiata, e non poco... Mi aveva detto le stesse cose di sempre: "Adam, sei impossibile! Fai sempre di testa tua! Non so più cosa devo fare con te, mi porterai al manicomio!", ma alla fine aveva ceduto. Io mi ero impegnato a prendermi cura di lui come se fosse un figlio – «Gli darò le crocchette e non dovrai portarlo fuori a spasso mai, nemmeno una volta», le avevo promesso – e lei aveva considerato l'idea che avere un cane mi avrebbe fatto sentire più protetto e meno solo, le volte in cui lei era costretta a star via per lavoro. E così è stato. Da allora Buk è stato il mio fedele compagno nelle mie lunghe sere che altrimenti avrei vissuto in solitudine. Come questa...

«Sì, sì, bello... Anche tu mi sei mancato. Sì, bello». Gli friziono la testa cosparsa dal pelo grigio e riccioluto.

Mi porto l'orologio sotto gli occhi per controllare l'ora e lui mi batte su una gamba con la zampa, quasi a dirmi: "Ehi, tu, è l'ora di uscire. Io qui me la sto facendo addosso".

Sorrido.

«Hai ragione, bello», gli comunico, «Andiamo!»

La parola magica. Buk prende a gioire come un matto, faccio quasi fatica a mettergli il guinzaglio quanta è l'emozione incontenibile che prova.

Guaisce e all'improvviso, sebbene sia di taglia media, mi sembra di portare a spasso un San Bernardo. Mi trascina, letteralmente, fino a fuori il cancelletto e, da lì, non contento, continua a tirare e tirare finché non arriva al luogo prescelto. Non so bene come mai Buk abbia scelto questa sera proprio quel punto in cui liberarsi: qualche ciuffo di verde che si libera da una crepa del marciapiede.

«Buk, che cazzone sei, con tutte le aiuole che ci sono proprio qui?!».

Buk mi guarda come a dire: "Chi? Io? Io non ho fatto niente".

Raccolgo quel che devo con l'apposito sacchettino e mi libero non appena posso della bomba a mano che cerco di non stringere troppo fra le dita, e da quel momento la passeggiata con Buk è più tranquilla.

La strada è deserta ed è quasi piacevole sentire l'aria fresca della sera punzecchiare la pelle.

Dalla tasca il cellulare prende a vibrare.

Lo porto sotto gli occhi e leggo il messaggio.

Mamma: ciao amore mio. Come stai? Non mi aspettare sveglio oggi. Farò tardi... mi manchi...

Ripongo il telefono in tasca.

Ovvio che non ti aspetto sveglio, mamma.

Mia madre lavora da tipo sempre in un pub non troppo distante da casa. Fa degli orari assurdi e io non la vedo quasi mai.

Prendo il cellulare e inizio a digitare: "Mi manchi anche tu, mamma...", ma poi preso da un moto di rabbia o frustrazione cancello tutto.

Che differenza farebbe?

È facile dire "mi manchi" e poi non fare niente per esserci, mamma...

Per cercare di distrarmi dai miei pensieri, dal senso di ingiustizia che non mi lascia tregua, apro l'app di Facebook. Scorro sulla home, in maniera quasi meccanica, vuota. Le immagini e le frasi sfilano di fronte agli occhi, ma non le guardo davvero. Poi mi viene in mente Eden. La tanto riservata Eden. D'istinto, digito il suo nome nella barra di ricerca. Noto che non la ho tra gli amici e subito le inoltro la richiesta di amicizia. Sbirciando sulla sua bacheca non trovo altro se non immagini contenenti stupidi versetti biblici e qualche altra frase motivazionale. Di foto poche. Giusto quelle del profilo sono visibili. Immagino che debba aspettare che lei mi confermi l'amicizia prima di poter vedere altro. Chissà che io non possa trovare qualche informazione utile al mio scopo. Eden sembra inerte al mio fascino, non che mi sia sprecato troppo fino ad adesso, però non avrei disdegnato un cedimento in più da parte sua, un segno che il mio interesse nei suoi confronti non le sia del tutto indifferente, insomma. Di certo mi renderebbe il gioco più semplice, in quattro e quattr'otto me la farei ed eviterei di diventare la barzelletta del gruppo. Sono solo un paio di giorni che i miei amici hanno lanciato la sfida e già non si parla d'altro sul gruppo. Già mi immagino che scene farebbero se questa cosa non andasse in porto... Me la devo fare. È una prerogativa. Così almeno mi tolgo il pensiero.

Guardo a lungo la sua foto profilo, gli occhi luminosi e chiari, e il sorriso genuino. I capelli di colore biondo scuro le incorniciano il viso a forma di cuore. Non sembra truccata se non, forse, per un velo di burrocacao sulle labbra che le fanno risultare più morbide e lucide. Ha dei bei lineamenti, non c'è che dire... Forse non sarà tanto male stare con lei.

Il telefono vibra e un'icona rossa abita la sezione notizie di Facebook.

Eden Neve ha accettato la tua richiesta di amicizia.

L'angolo della bocca mi scappa verso l'alto mentre, solo per un attimo, qualcosa mi strizza di poco lo stomaco.

Avido, ritorno a sbirciare sul suo profilo che ora mi appare in tutta la sua completezza. Ci sono tante tante foto. In quasi tutti gli scatti l'espressione è la stessa: la gioia che le dipinge il viso non la abbandona mai. È spesso circondata da grossi gruppi di persone, magari suoi amici della chiesa o simili. In alcune indossa strane parrucche o costumi e fa delle facce buffe. Non ha paura di risultare ridicola e sorrido. In alcune lei e ritratta con un microfono in mano.

Canta...?

Sarebbe una bella sorpresa sapere che Eden canta.

Man mano che scorro tra i suoi album mi accorgo di come alcune delle facce inizino a diventare familiari ai miei occhi. Una ragazza in particolare si presenta in maniera costante. È molto carina, sebbene anche lei acqua e sapone, ha capelli e occhi castani e un visetto che ispira simpatia.

Poi, eccola. Una foto in particolare attira la mia attenzione. Risale sicuramente al giorno della famosa pizzata di classe, quella in cui lei aveva indossato l'abitino azzurro, in tinta con i suoi occhi. È un primo piano, ma lei non guarda in camera, i suoi occhi puntano altrove, magari verso il suo interlocutore. È presa di tre quarti, dalle spalle in su. Tanto per cambiare, sorride, le labbra, però, questa volta sono contrassegnate da un rossore che le fa sembrare ancora più belle; le ciglia anche risultano più intense rispetto a come appaiono nelle altre foto... Sicuramente quella santa di mia cugina insieme a Manuela l'avevano convinta a piegarsi alla vanità del trucco. Alcuni ragazzi non amano il trucco sulle ragazze, ma io non sono d'accordo. Mi piace sempre quando una ragazza cerca di essere più bella per compiacere, specie se è per me che si mettono in tiro.

Mi soffermo diversi istanti su quello scatto e, solo a riguardarla così, sono sicuro che se solo Eden iniziasse a tirarsela un po' di più e a valorizzare la sua bellezza sarebbe di certo considerata fra le più carine della scuola. È il suo essere poco oca a relegarla nello stagno dei brutti anatroccoli...

Trasalisco e mi rendo conto di star fantasticando troppo su quella foto così passo oltre. Ne sfoglio velocemente alcune quando mi imbatto in un altro scatto completamente diverso da quella che aveva catalizzato la mia attenzione è tutte le altre. È un primo piano del profilo di Eden. Delle luci colorate stagliano il disegno del suo naso, piccolo e all'insù, e delle sue labbra dal resto dello sfondo, composto da persone che però risultano fuori fuoco. Ha gli occhi chiusi, un'espressione concentrata, una mano stesa verso l'alto e l'altra sul petto, all'altezza del cuore.

Chissà cosa sta facendo... Mi chiedo.

Non faccio a tempo a rispondermi che sento Buk che ha portato ai miei piedi un ramo con il chiaro invito a lanciarglielo.

Senza farmi pregare, afferro il pezzo di legno, slaccio Buk dal guinzaglio e lancio il suo gioco improvvisato all'interno dell'area verde che abbiamo raggiunto per permettergli di correre a recuperarlo.

«Buk, guarda che non sei più giovincello come una volta!», gli ricordo, anche se lui sembra non badarci.

Continuiamo così per un po': io gli lancio il ramo e lui me lo riporta. A ogni lancio mi spoglio di un pensiero fino a che non mi sento più leggero.

«Buk, vecchio mio...».

Ti voglio un gran bene.

«S'è fatto tardi. Torniamo a casa, bello...».





































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Buongiorno a tutte le meraviglie! 🌈

Come state? Come avete passato le feste? 😊

Puntuale (come al solito, ultimamente 😎) sono riuscita a pubblicare il nuovo capitolo

Questo è il primo capitolo un po' più intimistico di Adam - per la prima volta privo dello scudo che i Fantastici sono per lui...

Allora?! Che ne pensate? Commenti a caldo...? Muoio dalla curiosità... 😍

Come ormai è consuetudine, ringrazio quella santa di MC_Peregrine e, ancora una volta, rilancio l'hashtag #prayforsharon - perché, sì, il prossimo capitolo non è ancora pronto... 😅

Grazie di aver letto fino a qui e per il sostegno continuo.

Siete importanti!

Un bacio a testa,
S.C.
😘

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