41 - Una piccola, tenera e bellissima talpa

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*piccolo spazio autrice abusivo*
Riepilogo delle puntate precedenti di #ESTRATTIFOCACCIATI
[Segue screenshot]

Ci avrete preso?
Vedremo. 😏
Buonalettura a tutti! 😘

♡♡♡

EDEN

«Adam, che ci fai qui?» è l'unica cosa che riesco a pronunciare.

«Salta su», mi risponde lui, «ti do uno strappo a scuola».

Sono ancora rimbambita dal sonno, ma non posso che cercare di capire: «Ma... che ci fai qui?»

«Ti sono venuto a prendere», è la sua risposta più che evasiva che non esaudisce neanche minimamente il desiderio di sapere che cosa ci faccia lui, qui, affianco alla sua macchina, parcheggiata proprio di fronte a casa mia, con la portiera aperta pronta per farmi entrare, a quest'ora del mattino.

«Sono a malapena le sette, Adam, è l'alba!», insisto, il tono di voce più alto rispetto a quello che volevo adottare, o che sarebbe opportuno considerando che a quest'ora la maggior parte delle persone ancora dorme.

«Infatti!», ribatte lui, «Giusto in tempo per prenderti e raggiungere la scuola insieme. Se ti decidi a salire, dovremmo pure avere il tempo di fare una bella colazione, tra l'altro...».

Non smuove i suoi occhi decisi dalla mia figura e io non li smuovo da lui. Forse lo guardo imbambolata e interdetta per un tempo troppo esteso, dal momento che a un certo punto mi sento dire: «Allora?! Muoviti che fa un freddo cane!»

Mi sento trasalire e con un cenno del capo acconsento. Lui aspetta che io prenda posto per chiudere la portiera dal lato del passeggero, per poi sedersi al volante.

Appena entra mi osserva di sottecchi, solleva le sopracciglia e sorride.

«Che c'è?», gli chiedo imbarazzata.

«Nulla», blocca il labbro inferiore fra i denti, continuando a mantenere quella sua espressione sbruffona, «Solo che sei particolarmente tenera, in questo momento».

«Tenera?!»

«Sì, con la faccia del sonno e ancora il cuscino stampato in faccia», mi spiega lui, divertito.

D'istinto, allungo la mano per tirare giù l'aletta parasole, sperando di trovarci il consueto specchietto all'interno. Fortunatamente ne scopro la presenza e posso osservare in tutta la loro magnificenza i disegni intricati che il tessuto del mio cuscino ha lasciato sul mio viso.

«Guarda che occhietti che hai!», lo sento continuare, «Sono tipo così». Mi giro per guardarlo e lo trovo con le palpebre a fessura e l'espressione buffa, un po' stordita. «Sembri una piccola talpa!»

Continua a tenere quella faccia per diversi istanti, credo aspettandosi una mia reazione che non tarda ad arrivare: «Ehi! Guarda che se continui a prendermi in giro io scendo!»

Lui finge di non avermi nemmeno sentita e, gli occhi fissi sulla strada, continua imperterrito: «Una piccola, tenera e bellissima talpa». Mi lancia uno sguardo, cosciente di aver calcato il tono su quel termine specifico - bellissima - e il sorriso ilare che ha caratterizzato il suo viso finora lascia spazio a uno più dolce. «Non ti sto prendendo in giro», mi spiega, «non volevo essere offensivo. Le talpe sono tenere. Come te in questo momento.»

«Io sono sempre tenera!», ci tengo a precisare.

Lui punta i suoi occhi nei miei, le labbra morbide piegate all'insù. «Lo sei», mi dà ragione, «ma, in questo momento, di più», aggiunge. «Sei bellissima, Eden, qualsiasi ragazzo sarebbe più che fortunato a svegliarsi vicino ad una ragazza che ha questo tuo viso, appena sveglia».

Io lo so che probabilmente sta facendo il cascamorto e che io non dovrei sentirmi così, ma sento qualcosa agitarsi nel mio ventre. Un'emozione che si traduce in brivido e fuoco per poi depositarsi sulle guance.

«Grazie», è tutto ciò che riesco a bofonchiare.

«Come stai?», gli chiedo quindi.

«Sto», mi risponde lui, evasivo. «E tu?»

«Sto anche io», riprendo appositamente la sua risposta, «bene, direi». Poi mi ricordo di come se n'è andato ieri e mi viene da chiedergli: «Ma non dovevi andare da Buk? Cioè... com'è che ti trovi qui se ieri sei scappato tipo all'improvviso da casa mia dicendo che dovevi tornare a casa per portarlo a spasso?»

Di nuovo concentrato sulla strada, mi risponde: «Alla fine ho sentito mia mamma e m'ha detto che riusciva a pensarci lei, per questa volta».

«E tu sei rimasto qui, quindi?»

«Vins», mi spiega in una parola lui, «Non abita troppo distante da casa tua».

«Sì lo so...»

«E tu come fai a saperlo?», mi chiede, improvvisamente ravvivato dalla curiosità.

«Pronto?! Prendeva anche lui il treno, fino all'anno scorso...», gli ricordo.

«Ah, già, è vero. Meno male, iniziavo ad essere geloso!»

«Geloso?! E perché mai scusa?!». Per un'attimo, sento un principio di vergogna minacciare di dipingermi le guance, così cerco di placare il disagio buttandola sul razionale: «Per essere geloso dovresti essere nella posizione di poterlo essere - e non mi pare ci sia niente che presupponga un legame di esclusività tra me e te», gli spiego, cercando di limitare la saccenza nel mio tono. «Comunque», continuo poi, scorgendo un dettaglio che può essere per me una via di fuga da questo discorso, «Non sapevo che Vins avesse i capelli rossi». Allungo la mano per afferrare il capello incastrato al velcro del cappuccio della sua giacca. «Anche piuttosto lunghi, noto», continuo con tono di chi l'ha colto in flagrante, avvicinando al suo viso il capello teso fra le mie due mani.

Lui getta un'occhiata a ciò che gli sto mostrando e scoppia a ridere. «Ah!», quasi urla, «Adesso sei tu a fare quella gelosa... interessante!».

Il fuoco che ero riuscita a fermare, si accumula improvvisamente sulle mie gote, così, per celare il probabile cambio di colore del mio incarnato, porto d'istinto le mani al viso, mi tocco i capelli, ribattendo: «Ma cosa dici! Non sono gelosa!».

«Mi stai facendo le storie per un capello», osserva lui, «potrebbe essere di mia madre, per quello che ne sai».

Mi sento improvvisamente stupida. «È di tua madre?», mi accerto.

«No, non lo è», mi risponde lui serio, senza però riuscire a trattenere la risata subito dopo aver detto quello che ha detto.

«E allora?!», sbraito io, «Sei terribile!», aggiungo quindi, sorridendo e scuotendo il capo insieme.

«Se non è di tua madre di chi è?», gli chiedo a un certo punto.

Forse questa domanda potevo tenermela per me...

«Nessuna», alza le spalle con aria di sufficienza, «Una tipa».

«Una tipa...?», lo esorto a continuare, quasi non avessi già capito quello che voleva lasciare intendere.

«Una tipa con cui sono stato», mi accontenta lui, per poi vendicarsi, credo, con quella che ha tutta l'aria di essere una frecciatina: «Sai... rossa, focosa... tutto l'opposto di quello che sei tu».

«Ehi!», esclamo, «E cosa vorresti dire, scusa?». Non so se sentirmi offesa o cosa. «E che ne sai tu che io non sono... focosa?!». Ho inghiotto un fiotto di saliva per riuscire a portare a termine la frase e, tuttavia, l'ultimo termine mi è uscito dalla bocca come fosse un rantolo.

Lui ride. Lo fa con gusto.

«Mi dispiace dovertelo dire proprio io, ma, credimi, hai tante qualità - davvero dico - ma in quanto all'essere focosa... Eden, ti chiamano Maria mica per niente a scuola... non dai l'idea di essere una che si... come dire... sciolga tanto fra le braccia della passione, ecco. Dai più l'idea di...», si prende qualche istante per pensarci, «principessa Elsa! Ecco, sì, di principessa Elsa! Di ghiaccio e chiusa nella sua torre».

Il suo paragone mi lascia stupita e interdetta. «Nessuno mi aveva mai dato della principessa Elsa», osservo - e io vorrei poter ribattere a tono, perché non mi sento di essere come dice lui, ma non ho le prove per dimostrargli il contrario... non nel senso in cui dice lui, almeno.

«Ci somigli pure!», rincara la dose lui, «Bionda, con gli occhi chiari... bella».

È la seconda volta, nel giro di pochi minuti, che fa mi chiama bella e io mi sento avvampare di nuovo.

«E non era bella la tipa? La rossa...».

Ma che cavolo chiedi, Eden?! Perché tutto 'sto improvviso interesse nei confronti di una ragazza, che neanche conosci, la cui unica colpa è di essere la diretta proprietaria del capello trovato sulla giacca di Adam?

«Oh, sì, era molto bella», mi risponde. Poi subito si corregge: «Lo è! Che io sappia non è morta... beh, a meno che non l'abbia ammazzata di sesso!», prende a scherzare.

Non gli do la soddisfazione di dar peso a quella sua squallida battuta e incalzo: «E perché non sei da lei ora?».

«Perché sono con te», espone semplicemente.

«E perché?»

«Perché mi sono svegliato e sono uscito dalla casa della tipa. Ho pensato che tu eri vicina e che, andando nella stessa scuola, e classe, avrei potuto darti un passaggio», mi spiega paziente.

«Perché?!», mi sembro un disco rotto, un bambino pedante alla ricerca di risposte impossibili. «Non era mai successo, prima, che tu fossi in zona?»

«Perché questa domanda?», mi chiede improvvisamente stranito e forse lievemente irritato.

«Tu rispondi...», gli faccio con tono implorante.

«Sì, era successo», ammette.

«E non sei mai venuto a prendermi, ma oggi sì.»

«Oggi sì, sì.»

«Perché proprio oggi? Potevi rimanere dalla tipa. Magari potevate stare ancora... insieme. Altro giro altro regalo!», cito i giostrai per cercare di alleggerire i toni del mio discorso, «Perché sei qui, oggi, Adam?»

Lui non risponde, per un tempo indefinito continua a tenere lo sguardo fisso sulla strada, la mascella lievemente irrigidita e le nocche delle mani impallidite dalla forza con la quale sembra stringere il volante.

All'improvviso, fa una virata e accosta la macchina per girarsi e puntare i suoi occhi nei miei.

«Perché per me, prima, eri solo Maria. Ma adesso... adesso è diverso. Oggi mi sono svegliato e non è che mi sono sforzato di pensare che avrei potuto venirti a predere...», mi spiega quasi interpretando quelle sue parole, «mi sei venuta in mente e stop. Non sono uno che si fa troppe pippe mentali: l'ho pensato e l'ho fatto. Punto. Perché mi andava. Perché mi piace la tua compagnia. Perché quando sto con te sto bene. Perché ti ho pensato e avevo voglia di vederti.»

L'onestà che sembra trasparire da quelle sue affermazioni mi lascia di stucco. «Grazie», è tutto ciò che riesco a eccepire, quasi balbettando.

«Ultimamente mi succede spesso, sai? Che ti penso, dico. Io non ci voglio credere, ma ieri ti ho pensato pure mentre ero con la tipa», confida.

Il respiro mi si blocca nei polmoni e una forte stretta sembra afferrarmi alla bocca dello stomaco.

«Grazie...?!», faccio incerta, davvero incapace di scegliere se sentirmi lusingata nel sapere che mi pensa o scandalizzata nel sapere che mi ha pensato anche mentre era con la tipa...

Spero non nel momento X, almeno...

L'immagine che mi si profila nella mente mi imbarazza terribilmente e io non riesco a celare il mio disagio, glielo esterno: «Ecco», inizio con fare incerto, «questo magari potevi evitare di dirmelo... avrei preferito non saperlo!». Mi sforzo di sorridere, cercando di alleggerire la mia lamentela, ma temo che la mia espressione risulti più simile a una smorfia.

Lui ride. «Vedi?! Per questo mi piaci...! Sei la persona più vera che conosco! Sei genuina, non ti tieni niente, ti si legge tutto in faccia - e spesso le dici pure le cose che pensi!». Sorride e si morde per un istante il labbro. «Per questo mi piaci», ribadisce, «e perché, quando sono con te, ho l'impressione di poterlo essere anche io... vero».

Io non so cosa dire così ancora una volta analizzo tutto e trovo i cavilli utili al fine di non cedere troppo alla vergogna: «Hai detto ben due volte, nel giro di pochi secondi, che ti piaccio. Tre, se contiamo quella di prima... devo preoccuparmi?»

Lui mi guarda come incantato e divertito mi risponde: «Oh, sì! Assolutamente!», vedo un guizzo indefinito balzargli nello sguardo, una luce diversa, una consapevolezza. «E forse dovrei farlo anche io...», aggiunge.

Subito dopo, distoglie lo sguardo dal mio rivolgendo il volto verso la strada. Si porta una mano a massaggiarsi le palpebre. Scuote il viso, con un sorriso incerto che non smette di animargli le labbra.

«Cazzo, Eden...», dice ad un certo punto.

Poi, un secondo. In un lampo, prima che io abbia il tempo di realizzare ciò che sta succedendo, me lo ritrovo vertiginosamente vicino a me.

Io rimango come una statua di cera, il respiro congelato, il suo volto che ha violato imprevedibilmente la mia bolla di intimità, tanto veloce che io non so come reagire - perché non ce l'ho avuto il tempo di pensare a come fare.

«Eden Neve», chiama il mio nome, il suo respiro caldo a solleticarmi il viso, «tu mi piaci».



♡♡♡



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Ciao a tutte le meraviglie che sono arrivate sino a qui!

Come preannunciato, sono riuscita a pubblicare in tempo! 😎
[applausi ed elogi qui ➡]

Tuttavia, il tempo che ho trovato per pubblicare il nuovo capitolo non riesce ad includere anche quello per scrivere quello che mi andrebbe di raccontarvi nel mio spazio autrice... Lo so, lo so... non eravate pronte per una simile tragedia... 🥺 (😂)

Io ora scappo, ma voi, per favore, fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo! Avevamo assistito ai primi passi di Adam, ma Eden... 😏

Vi abbraccio fortissimo.

Grazie di cuore per tutto e a tutti (ma a @MC_Peregrine uno più grande)!

71k (quasi 72k) baci a testa!
S.C.

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