60 - Blackout

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EDEN

«Eden e Adam, tocca voi.»

Ecco arrivare il momento il cui avvento avrei voluto ritardare il più possibile: la consegna del progetto di fotografia.

Accompagnata da Adam, la cui alzata è sostenuta dalle stupide grida di Scar e Giotto, che nemmeno in classe sanno darsi un contegno, mi alzo riluttante dal mio posto per raggiungere la cattedra, i piedi di piombo che si muovono a fatica.

Consegno al professore la penna USB sulla quale ho caricato le foto, il mio compagno fa lo stesso con la sua.

Se penso a quanto ero emozionata all'idea di svolgere questo compito, all'inizio... poi però è arrivato Adam a rovinare tutto, come tutto il resto che tocca.

«Da chi iniziamo?», chiede il professore.

«Prima le donne», fa Adam, la sua faccia di tolla perfettamente lucidata.

Tiro su le spalle e obbligo le labbra in un sorriso per illudere il professore che vada tutto bene.

L'insegnante infila quindi il mio dispositivo nella porta USB del computer, già allacciato alla LIM.

All'interno c'è una sola cartella che porta il nome "Adam". «Immagino sia questa», dice infatti il professore, quasi come se fosse una battuta. «Ma, prima di iniziare, raccontatemi un po'. Com'è andata? È stato tanto drammatico lavorare con il tuo collega? Ricordo che il giorno della consegna non hai fatto i salti di gioia...»

Sento il sangue raggelarsi nelle vene, tanto da bloccarmi, non riuscendo a emettere suono per rispondere al professore.

È stato drammatico, sì. Eccome se lo è stato.

Il professore riempie il silenzio rincarando la dose: «Com'è stato lavorare in coppia per voi, che siete senz'altro un'accoppiata atipica, sebbene io penso ben assortita...?»

«Lo siamo», risponde rapido Adam, il sorriso strafottente che campeggia sul viso che si accende al suono delle urla di incoraggiato che si elevano dalla classe.

Per un attimo sento un nodo attanagliarmi lo stomaco.

«Sicuramente siamo atipici, non c'è dubbio», cerco di riprendere le file io, «Non nego che sia stato così scontato riuscire a lavorare insieme, ma miracolosamente ce l'abbiamo fatta in qualche modo.»

«Abbiamo scoperto di avere una buona alchimia insieme.»

L'ultima frase di Adam esce da lui seria, apparentemente priva di insinuazioni o doppi sensi, tuttavia dalla classe si elevano numerosi "uh" e risatine sommesse, che caricano le sue parole di tutti i significati non detti, facendomele avvertire insopportabili.

Fortunatamente è il prof a intervenire: «Allora, ragazzi, la piantiamo? Mica siamo al circo qui», proferisce secco.

«A no, prof?»

«Sembrava!»

Sono le parole con cui ribatte la classe.

Ma quando siete inopportuni e insopportabili? Vi prego, crescete.

«Volevo dire», cerca di riprendere in mano la situazione il mio compagno, «Che è vero che siamo un'accoppiata strana, se vogliamo, ma lo strano non è sempre male, no? Già nel corso dell'anno ho avuto occasione di approfondire il rapporto con Eden, conoscerla meglio, e non nego che è stato inaspettato per me conoscerla sotto certi aspetti che di lei non mi aspettavo... Insomma, parliamo sempre tanto di diversità e di come accoglierle e poi noi stessi costruiamo dei muri. Io, francamente, mi sono accorto di averne costruito uno bello alto nei confronti della mia compagna, ma quando ho scorto la vera Eden, al di là dell'immagine che io stesso avevo fortificato, mi sono reso conto di quanto mi trovassi nell'errore».

Questo discorso mi suona strano uscito dalla bocca di Adam, tanto da spingermi a chiedermi cosa stia succedendo e se tutto questo fare il brillante non sia l'ennesimo passo preparato per proseguire nel suo piano.

Bravo, Adam. Ti sei preparato.

«Davvero un bel discorso, Adam, molto ispirato», si complimenta il prof.

Molto studiato, più probabilmente.

Adam si stringe un po' nelle spalle. «È qualcosa su cui sto riflettendo in questo periodo...»

«Ottime riflessioni!», lo lusinga ancora una volta l'insegnante. «E voialtri potreste trarre ispirazione dal vostro compagno, al posto di continuare a ghignare come sciocchi», rimpingua ancora una volta la classe, che subito finge malamente serietà.

«E per te, Eden?», mi chiede ad un certo punto a tradimento. «È cambiato qualcosa dal giorno in cui non hai mostrato entusiasmo a lavorare con Adam?». Allora lo fa apposta...

Tutto. È cambiato tutto, professore. Diciamo che delle volte volte capita che, anche abbattuto il muro, si scopra infine che in realtà questo era veritiero e aveva tutte le ragioni di essere innalzato.

«Abbiamo lavorato bene», gli rispondo, facendo appello a tutta la mia capacità diplomatica, «credo che gli scatti che gli presenterò ne siano un'ottima testimonianza», aggiungo anche, sperando in quel modo di incoraggiarlo ad arrivare alla presentazione, dando così un punto definitivo a 'sto quarto grado non richiesto.

«Bene allora!», mi accontenta miracolosamente lui, «Vediamo questi scatti allora!».

Oh, alleluia! Grazie, Signore...

Dicendolo, apre la cartella, all'interno della quale gli suggerisco la sottocartella intitolata "Foto Selezionate" - non mi sono sprecata a scegliere dei nomi per definire questo progetto, perché farlo avrebbe significato per me dover pensare ancora di più ad Adam e no, grazie.

Sulla LIM compaiono le tre icone delle foto selezionate. Il professore clicca sulla prima di queste e prende a scorrerle lentamente, una per una.

La prima. La foto in cui Adam, preso per intero, è avvinghiato alla sua chitarra, mentre la suona, quasi fosse la cosa più preziosa che ha o uno scudo a cui aggrapparsi.

La seconda. In cui in primo piano, un poco sfocata, è presente l'asta della chitarra; la mano attenta che la sorregge, impegnandosi nell'effettuare i giusti movimenti per eseguire correttamente gli accordi; il volto corrucciato di lui che la suona.

La terza, la più temibile di tutte. Un primissimo piano in cui Adam tiene gli occhi puntati su di me, mentre non smette di cantare quella canzone.

Non contento, il professore, silenziosamente le scorre ancora. Sempre lentamente. Sempre prolungando ancora la mia sofferenza.

Mi fa male il cuore. Un po' perché sono in attesa di avere un suo parere rispetto al progetto che ho presentato, ma, ancor di più, perché quelle foto appartengono a... prima. Prima che succedesse tutto e che io scoprissi di aver vissuto in una bugia.

«Vedo che hai optato per la scala di grigi», osserva, fermandosi infine sulla foto che più di tutte non vorrei vedere, in questo momento: l'ultima.

Cerco di non farmi distrarre dallo sguardo di Adam impresso sullo schermo e mi sforzo di rispondere: «Sì. Amavo la luce che filtrava dalla finestra, il gioco di ombre che si creava sul viso del mio compagno. Il mio approccio all'immagine è stato proprio questo: quello di cercare di aumentare questo contrasto, esasperarlo quasi, e credo che non ci sia niente di meglio del bianco e nero per riuscire a farlo»,

Vorrei quasi darmi il cinque da sola per come sono riuscita ad esporre il mio discorso ben studiato, riuscendo ad estraniarmi da ciò che quegli scatti evocano in me per rimanere sul progetto.

Queste foto non c'entrano niente con Adam, Eden. C'entrano solo con te e con la fotografia. Questo è il mantra che ho recitato mentalmente nella mia mente mentre elaboravo il progetto per convincere me stessa di quelle parole.

«Interessante. E come mai la scelta di, cito parole tue, esasperare il contrasto? Perché il tuo intervento è molto chiaro in questo senso: il viso del tuo soggetto, in questo caso il tuo compagno Adam, è come tagliato a metà». Mentre dice quelle parole, passa con il cursore sulla parte del viso quasi del tutto oscurata.

Io guardo Adam. Non volevo farlo, ma gli occhi hanno preceduto le mie intenzioni, tradendomi. Mi guarda con intensità e, malgrado io voglia pensarlo più forte di quello che è, sento il mio cuore sgretolarsi.

Porto i miei occhi lontani e ingoio un fiotto di saliva prima di rispondere al professore.

«Non credo di poter dire di conoscere bene Adam, dal momento che è poco più che un compagno di classe», dico quelle parole con freddezza, con il chiaro intento di evidenziare la giusta distanza che io e il ragazzo al quale getto un'occhiata seria dobbiamo mantenere, «tuttavia, da quel poco che ho capito di lui, anche in occasione di questo compito, è che è un ragazzo ricco di contrasti interni, dove la luce è davvero luminosa, ma il buio è davvero buio... Questo ho cercato di rappresentare».

«Ci sei riuscita ottimamente, Eden. I tuoi scatti sono eleganti e ben studiati. Mi piace molto come hai gestito la scala di grigi. Molto bene», quasi gioisco per le parole che il professore ha speso nei confronti del mio lavoro, quando questo scaglia una battuta che di certo avrebbe potuto evitare: «Poi, ammettiamolo, il tuo collega è anche un bel soggetto». È ufficiale: lo fa apposta.

La classe ride, ma io non la guardo. Anche se so che potrei trovare sostegno in loro, non ho nemmeno il coraggio di guardare in direzione di Viviana e Manuela, con le quali ho cercato di evitare il discorso Adam il più possibile, sebbene sono sicura che abbiano intuito che, non avendo io piacere di parlarne, ci sia qualcosa che non va.

Guardo lo schermo e, lì, incontro ancora una volta gli occhi tormentati di Adam. Riesco a sentire il silenzio di quei momenti. La pace che precede la tempesta.

«Hai dato un titolo a questo serie fotografica?»

«No, prof, non ci ho pensato», mi tocca ammettere. Non ho voluto pensarci.

«Pensaci ora, allora», mi sollecita lui.

Sono costretta, devo pensarci. Ma fa male. Fa troppo male riuscire a dare un nome.

«Allora?», insiste il professore.

La mia mente è un tornado di pensieri dai quali voglio scappare. Penso ad Adam, all'Adam della Bibbia. Penso allo spezzarsi dell'armonia costituita nel vivere nel Paradiso Terrestre; alla caduta, la cacciata dall'Eden. Penso a me, a lui. Alla separazione che ne deriva. Penso alla musica. Alla confusione. Alle note incerte. Penso al fatto che mi sento rotta dentro, spezzata.

«La consegna prevedeva un titolo, Eden», mi esorta ancora l'insegnante.

«Armonia», emetto quindi con ciò che mi suggerisce la pancia, «Armonia...», cerco di elaborare, «Armonia spezzata».

Il mio professore ripete il titolo che gli ho appena comunicato come a volerlo assaporare, poi aggiunge: «Interessante, sembra raccontare una storia...».

Sì, una storia che non mi va di raccontare.

Prego intimamente che la smetta di tartassarmi e che passi al compito di Adam. O, meglio ancora, che tutto questo finisca presto in modo da non avere più niente che mi faccia sentire collegata in qualsiasi maniera a lui.

Gloria a Dio, avviene come desidero. Sembra quasi di sentire cori angelici quando il professore annuncia: «Ora tocca a te, Adam. Illustraci il tuo progetto».

Il ragazzo interpellato sembra come trasalire e avvicinandosi all'insegnante gli indica come raggiungere la cartella esatta.

Francamente, non ho idea di che foto intenda presentare. Che mi risulti, non me ne ha mai scattate, sebbene prima che io lasciassi casa sua lui mi aveva detto di avere già quello che gli serviva. Mi era sembrata una risposta strana, ma affari suoi. Di certo non era compito mio indagare, ne tanto meno ne avevo voglia.

Il professore sta per cliccare due volte sul file, quando Adam lo ferma.

«Solo un attimo», dice attirando la sua attenzione. «Volevo... vorrei dire due parole prima di passare alla foto».

L'insegnante china di poco la testa inarcando le sopracciglia, dandogli in quel modo un tacito consenso.

«Voglio anticipare che questo scatto è stato fatto con un semplice Smartphone, che, sì, ha una buona definizione ma non arriverà mai ai livelli di una buona macchina fotografica. Tuttavia, prof, tu dici sempre che la fotografia la fa la testa: un dito che fa click su un pulsante in risposta a un'idea.»

Il professore fa un cenno di assenso con il capo, visibilmente compiaciuto nell'apprendere che il suo insegnamento sia stato appreso, così Adam è incoraggiato a continuare.

«Ecco... io, a dire il vero, non mi sono trovato lì con un'idea profilata in testa, nemmeno ci eravamo organizzati per fare uno shooting, in realtà», spiega. «Però, Eden era lì, e tutto intorno a lei sembrava perfetto per restituirla a me tramite l'obiettivo fotografico... e non so se fosse per le luci, per la sua espressione, o per il contesto, ma lei sembrava così... così reale... così Eden!». Fa tutto quel discorso ispirato ma poi subisce una battuta d'arresto. Sembra accorgersi del fatto che quell'ultima frase non ha troppo senso, se non per me e lui - anche se il fatto stesso di pensare che ci sia un codice che solo io e lui possiamo capire mi riempie lo stomaco di un vuoto, un vuoto tanto denso da farmi sentire le vertigini...

Dato il silenzio che si è creato, Adam cerca allora di spiegarsi: «Voglio dire... così vera...». Si salva in calcio d'angolo, ma ancora non sembra intenzionato a stoppare il suo discorso. «Non solo grazie a questo compito, ma, come anticipavo prima, quest'anno ho avuto modo di conoscere meglio Eden - quella che fino a poco fa era niente più che una mia compagna di classe - ed è stato bello e inaspettato, perché, a discapito di tutti i pensieri che avevo su di lei, ho avuto modo di conoscere una delle persone più vere che abbia conosciuto, perché... lei non è costruita, finta, come credevo. Al contrario. È come se là, vicino a lei, io mi rendessi conto dei miei punti ciechi, di tutti quei punti che in me sono costruiti. Così, non so... in quel momento lei era così vera, e io ho sentito la necessità di scattarle una foto, quasi a voler tenere per me qualcosa che a me sfuggiva, ma che lei sembrava avere tanto chiaro... una verità che io ancora non riesco a scorgere...»

Ascolto le sue parole cercando di capire dove voglia andare a parare, ma non capisco...

Che cosa stai facendo, ancora, Adam?

«E più - per conto mio, a casa - guardavo quella foto, più mi convincevo che non c'è modo migliore per ritrarre Eden, la mia compagna», continua.

Mi getta un'occhiata, ma io non so come reagire a quello sguardo. Non capisco cosa tutte quelle parole suscitino in me. Non voglio dare loro peso. Non so con che occhi ricambiare le pupille di Adam ferme, vacillanti, su di me.

«Nello scatto che presento oggi io riesco a scorgere tutti quegli aspetti positivi che mi hanno tanto colpito di lei, perché lei è così come la si vede. Non cerca di celare le emozioni, di nasconderle», continua a gettarmi delle occhiate, mentre parla, «lei si permette di viverle appieno e ispira gli altri a farlo con la loro vita, o, almeno... con me l'ha fatto...», accenna un sorriso. Io non so come reagire e lui continua: «Potrei dire un sacco di altre parole in proposito, poi però rischierei di esagerare - anzi, mi sa che l'ho già fatto... In ogni caso, questo è quanto». Sembra aver realmente concluso, ma non prima di aver proferito l'ultima frase: «Il mio titolo comunque è: "La verità dell'Eden"». La liquida così.

Il professore riprende in mano il mouse, mentre commenta: «Sai, Donati, se non conoscessi la tua fama da sciupafemmine, penserei che questa sia una dichiarazione d'amore, ma, vabbè, vediamo questo scatto...!».

In quel preciso istante sullo schermo della LIM compare la foto tanto chiacchierata.

Aggrotto di poco gli occhi nell'apprendere di che foto si tratti.

Sono io, gli occhi chiusi, il sorriso ad animare le labbra, con una mano alzata al cielo e l'altra all'altezza del cuore. Intorno a me altre persone, tutte opportunamente sfocate. Sulla mia pelle i riflessi inconfondibili delle luci dalle tinte blu e fucsia.

Il mio cuore accusa un balzo. È una foto che mi ha scattato in chiesa.

E io non lo so. Non so cosa pensare.

Blackout.





💘💘💘





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Buongiorno, meraviglie!

Intervento con questo mio nuovo capitolo per allietarvi durante questo lungo periodo che stiamo passando insieme di reclusione forzata, sotto il grido dell'hashtag #iorestoacasa.

Voi come state vivendo questo periodo, anche nell'ottica dei prossimi 20 giorni?

Io personalmente certo di fare attenzione, attuando tutte le precauzioni dei caso, ivi compresa quella di non uscire di casa se non per cose di reale urgenza (che poi io sia obbligata a recarmi nientepopodimeno che in ospedale 😷 nella giornata di domani è un'altra questione, ma di questo vi parlerò a breve! 😉).

I supereroi di oggi indossano i pigiami, e chi l'avrebbe mai detto. 🤩

Ora, tolto questo grande argomento incarnato dal Covid19... Io non ci posso credere che siamo a 60 capitoli! 😱 Sì, che nell'ottica di una futura probabile pubblicazione molti di questi saranno accorpati, formandone di fatto la metà, ma 60...! Ho paura di starmi facendo prendere troppo la mano... 😅

Sappiate, comunque, che arrivati a questo punto siamo quasi in dirittura d'arrivo! Immagino manchino una decina di capitoli o poco più per porre la parola fine a questa storia (fu così che furono 30 😜).

Ma, - udite udite - ve lo dico così senza preavviso:

🥁🥁🥁
Ci sarà un secondo volume per CIDELAS! Quindi l'intera storia sarà divisa in due parti, costituendo di fatto una dilogia.

Questa è una decisione che ho preso da diverso tempo per via di una motivazione specifica che al momento non posso rivelarvi, ma che vi spiegherò a tempo debito. 😉

Annunciato questo, che ne pensate del capitolo che avete appena letto?? Raccontatemi qualsiasi cosa vi venga in mente in proposito... teniamoci compagnia in questo tempo di reclusione! 😄

Io ovviamente ringrazio la mia preziosissima MC_Peregrine...! 💘 Grazie davvero! 🥰😭😍

Per il resto, non so chi di voi lettori sia abbia messo il follow anche sul mio profilo, ma vi consiglio di farlo perché presto vedrete delle novità!

Una piccolina in realtà già c'è, si tratta di questa...

Un gioco-storia in cui ogni frase inzia con una lettera dell'alfabeto. Un simpatico esperimento che ho portato avanti lo scorso anno in questo periodo sulla mia pagina Instagram e che ora sto riproponendo qui.

Ma, per parlare di componimenti più "seri", è mia intenzione pubblicare presto una nuova raccolta di poesie in cui inserirò in ordine sparso gli sfoghi del mio ultimo periodo (perché non so voi, ma quando io mi sento sopraffatta dalle emozioni che quasi non trovano spazio in me, le riverso su carta). Così niente, mi farebbe piacere avervi anche lì! 💘🥰

Inoltre (oggi sono piena di cose da dire), ma chi di voi per caso segue mio marito sQuare89? Incredibile ma vero, dopo anni di lavoro ai fianchi da parte mia, ha esordito su Wattpad con una raccolta di poesie.

Deve ancora metterla bene in sesto, ma apprezzo il piccolo inizio! ☺️ Ora vediamo se si deciderà anche a leggermi... 😜

Bene. Spero di aver detto tutto (spero). Io ogni caso mi do un limite, altrimenti questo spazio autrice diventa più lungo del capitolo! 😅

Grazie a chi mi ha letta fin qui. 💘

Un bacio a testa,
S.C.
😘

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