A CASA DI SAM

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ROSEMARY

Ti amo solo perché io ti amo,

senza fine io t'odio, e odiandoti ti prego,

e la misura del mio amor viandante

è non vederti e amarti come un cieco.

(Pablo Neruda)


Non sapevo perché avessi accettato quel passaggio. Probabilmente era stato a causa della preoccupazione per Abigail. E poi, ahimè, iniziavo a credere che forse avevo giudicato male Tyler. Lo aspettai davanti all'uscita del campus, la borsa stretta al petto. Lui arrivò dopo qualche minuto, a bordo di una decapottabile bianca che doveva essergli costata parecchio, sgommando.

-Ehi, bellezza!- mi chiamò, sollevando gli occhiali da sole sulla testa e sorridendo, eppure il suo sorriso mi sembrò un forzato.

-Sei sempre il solito- mi avvicinai, un po' titubante.

-Senti, devi saltare perché la portiera è rotta-

-Cosa?-

Scoppiò a ridere. –Scherzo- premette un pulsante e la portiera mi si aprì di fronte, magicamente –sono o non sono un gentiluomo?-

-Forse un po'- salii e agganciai la cintura. Il sedile era molto comodo e morbido.

-Tieniti forte- e Tyler partì.

Mi sentii sbalzare in avanti e se non avessi avuto la cintura probabilmente sarei stata catapultata fuori dalla macchina. Mi aggrappai al sedile, il cuore in gola.–Ma sei matto!- urlai –Vai troppo veloce!-

-E posso andare ancora più veloce, questa auto è fantastica!- dovette urlare per farsi sentire, perché il fruscio dell'aria era fortissimo.

-Attento-

Tyler scansò appena una macchina. Pazzo, ero in macchina con un pazzo. E lo stomaco si contorceva in una morsa.

-Vuoi che accenda un po' di musica?- mi urlò Tyler, ridendo.

-No, grazie-

Avevo la nausea e ricordai con orrore che da bambina avevo sofferto il mal d'auto. Chiusi gli occhi. E alla fine non resistetti più.

-Fermo-

-Cos'hai detto?-

-Fermo- urlai più forte che potei.

E finalmente si fermò. Aprii la portiera, scesi, mi piegai e lottai contro i conati, inspirando a fondo l'aria fresca e cercando di controllare il battito cardiaco.

-Ti senti un po' meglio?- mi chiese Tyler, la voce stranamente premurosa.

-Sì, credo di sì-

Eravamo seduti su una panchina, a qualche metro da dove l'auto si era fermata. Mi girava la testa.

-Avresti dovuto dirmelo che soffrivi la macchina-

-Normalmente non la soffro, ma andavi un po' troppo forte-

-Oh, adoro correre con la macchina... mi dispiace- e pareva davvero dispiaciuto.

-Allora sei anche capace di dispiacerti- mi sfuggì un sorriso.

-Sono capace a fare molte cose- si stiracchiò e il suo braccio finì dietro la mia schiena, sfiorandomi i capelli e il collo... il suo braccio decisamente muscoloso.

-Oh, davvero?- chiesi, cercando di non avvampare.

Tyler rise tra sé, poi si sporse un po' verso di me e potei inspirare il suo profumo. La sua mano nel frattempo si aprì e mi sfiorò delicatamente la spalla, mentre un brivido mi percorreva. Potei vedere il suo viso, i lineamenti che parevano scolpiti, lo sguardo intenso, le labbra carnose... mi avrebbe baciata? Dovevo tirarmi indietro? Eppure... un rumore mi fece sobbalzare come una sciocca.

-Il... il... cel... lulare- balbettai, sentendomi subito una sciocca, mentre lo recuperavo rapidamente dalla borsa.

Tyler non si mosse dalla posizione in cui era, al contrario, restò immobile quasi come una statua, mentre rispondevo.

-Abigail?- chiesi, riconoscendo il numero.

-Wow, che voce!- esclamò la mia amica allegramente. Beh, almeno Sam non l'aveva ancora fatta sparire. –Tutto bene?-

-Sì, sono solo un po' in ritardo- inspirai a fondo –un piccolo imprevisto, Tyler mi ha dato un passaggio e guida in modo spericolato-

Tyler scoppiò in una risata... decisamente seducente. Ma cosa mi stava succedendo?

-Capito, ma cerca di non farti fregare, quel tipo non mi piace, ho saputo che non vede di buon occhio il mio rapporto con Sam- ma senti da che pulpito veniva la predica, era proprio lei che fino a poco tempo prima lo elogiava –a dopo- e mi riattaccò il telefono.

-Rimproveri?- mi chiese Tyler.

-Proprio così, a volte non so come mai siamo amiche- esclamai scherzosa, anche se a volte lo pensavo veramente, come mai eravamo amiche?

-Penso la stessa cosa di me e Sam, siamo così diversi- si strinse nelle spalle e per un folle attimo mi chiesi come sarebbe stato bello appoggiare la testa contro il suo petto. Ma quante sciocchezze!

-Dobbiamo andare- mi rimisi in piedi.

-Sicura di stare meglio?- mi scrutò con attenzione.

Annuii. –Certo, su, ci aspettano-

-E noi non li faremo aspettare- e balzò anche lui in piedi, uno strano sorriso sulle labbra.

La casa in cui abitava Sam era in realtà un'enorme villa, con tanto di fontane e piscina. La osservai a bocca aperta chiedendomi che lavoro dovessero fare i suoi genitori per potersi permettere di vivere in un posto del genere. In realtà anche casa mia era grande, ma quella era decisamente su un altro livello.

-Un gran bel posto, eh?- mi disse Tyler, parcheggiando dentro il cortile –E il giardino sul retro se si può è anche meglio-

-Ragazzi- chiamò Sam, venendo verso di noi e salutandoci con la mano.

Uscii dall'auto e lasciai che mi stringesse la mano. –Abby dov'è?- chiesi.

-Di sopra, nella mia stanza-

-Ma com'è successo?- domandai, cercando di non sembrare sospettosa.

-Non so di preciso, è caduta dalle scale- la voce era tranquilla.

Caduta dalle scale? Sentii il sangue gelarsi nelle vene e ripensai a quello che avevo letto su internet, a Jessica, a quella ragazza che era sparita nel nulla, al sangue in cucina e sul coltello. –Era da sola?-

-In realtà io ero dietro di lei, è scivolata-

Scivolata? –Vorrei vederla-

-Certo, seguimi-

Guardando il viso di Sam, il suo sorriso aperto, sentendo il suo eloquio amichevole, come si poteva credere che fosse un assassino? Eppure... a momenti temevo meno Tyler nonostante la sua aria da balordo. Strinsi a me la borsetta e sentii il peso rassicurante della pistola.

Mio padre mi aveva insegnato a sparare quando avevo compiuto diciotto anni, il giorno del mio diciottesimo compleanno mi aveva regalato una pistola a piccolo calibro, leggera e non molto grande.

-Una vera pistola da borsetta- l'aveva definita –così saprai sempre come difenderti-

In effetti il peso della pistola in borsa mi aveva spesso tranquillizzata anche se per fortuna non avevo mai avuto occasione di usarla fuori dal poligono.

Abigail era sdraiata sul letto, in camicia da notte, una caviglia fasciata  e posata su un cuscino. A parte questo pareva stare bene. La stanza di Sam era grande, ariosa, con un bel letto a baldacchino e un grande armadio.

-Ehilà, sorella- mi fece l'occhiolino, tirandosi indietro una ciocca ribelle.

-Come stai?- chiesi avvicinandomi.

-Bene, per essere caduta dalle scale- disse con voce allegra.

Mi sedetti sul bordo del letto. –Allora, dimmi cos'è successo-

-Sono caduta- si strinse nelle spalle –probabilmente sono scivolata- non sembrava minimamente preoccupata.

-Però non ne sei sicura?- le chiesi in un sussurro.

-Perché parli così piano?-

Presi il cellulare e rapidamente trovai l'articolo che parlava della sparizione di Jessica. –Lo sapevi?- chiesi porgendoglielo.

Abigail lo lesse rapidamente, poi sorrise. –Sì, me ne ha parlato, mi ha detto che non ne sa nulla- ma vidi il suo tic all'occhio. Mi nascondeva qualcosa? Era nervosa?

-E tu ci credi?-

-Certo, perché mi dovrebbe mentire?-

Quanta ingenuità. –Se l'ha uccisa lui certo che ti mente-

-Io credo in Sam- disse con una voce che non ammetteva repliche –senti, non mi sono mai sentita bene con nessun ragazzo come con lui... basta... non ne voglio più parlare-

-Va bene- oh, sì che ne avremmo riparlato, ero più determinata che mai a risolvere quella storia.


NOTE DELL'AUTRICE:

Grazie a tutti! Cosa ne pensate di questo capitolo?

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