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Traccia #1: Ciò che manca

Il rumore del silenzio

A volte mi mancano. Succede più spesso di quanto vorrei ammettere. Lo sfrusciare del vento tra le foglie, le onde del mare che si infrangono sugli scogli, il sibilo della caffettiera alle cinque di mattina, il miagolio di un gatto che richiede il suo latte, le urla di gioia dei bambini per una sorpresa. Potrei continuare all'infinito, ma servirebbe solo a sconsolarmi ulteriormente.

Io sono sordo. Per fortuna non lo sono dalla nascita: nei miei primi vent'anni ho potuto registrare molti dei suoni che il nostro mondo ci offre e di tanto in tanto mi ritornano prepotentemente in testa, facendomi vagare tra i ricordi.

Sono tre anni che non sento quasi più nulla. Un paio di volte ho percepito un rimbombo lontano, in presenza di qualche rumore forte. Non avevo mai pensato a come si potesse vivere senza sentire niente, mi ha colto all'improvviso, inaspettatamente. Tuttavia c'è chi sta peggio di me: non so come potrebbe essere perdere la vista. Molte volte cerco di non pensarci, ma è inevitabile, mi è impossibile non provare compassione per chi sta male come me, o peggio.

La vita, però, non è nemmeno così brutta. Non sentire niente ha i suoi vantaggi, li si può contare sulle dita di una mano, ma qualcuno ce n'è. Adesso non ascolto più i rumori del traffico pesante nelle ore di punta, posso non sentire più gli insulti, le parolacce, le bestemmie. Se la gente sapesse cosa si prova a non poter più sentire le voci delle persone, certamente conserverebbe per gli altri sono le parole migliori.

Devo dire la verità: con l'egoismo, l'indifferenza e la mancanza di rispetto che c'è ai nostri giorni, non è per niente facile essere una persona portatrice di handicap. Mi sono capitate molte situazioni in cui alcuni ragazzi, una volta mi è successo anche con un adulto, mi prendevano in giro. Non ne sono sicuro, ma con la coda dell'occhio li vedevo parlare tra di loro e ridere a crepapelle. Io facevo finta di niente, la gioventù di oggi (di cui faccio parte anch'io) ha dimenticato il valore del rispetto, ma non spreco sguardi fulminanti per gente così maleducata, la trovo un'inutile perdita di tempo.

Per fortuna i miei amici mi sono sempre rimasti vicino, anche se le loro carriere, universitarie e non, li tengono molto occupati. Vi sembrerà strano, ma ho conosciuto il mio nuovo migliore amico, un ragazzo della mia età, dopo essere diventato sordo. Il nostro primo incontro è stato quasi spassoso, mi viene ancora da ridere quando ci penso.

Eravamo in corriera. Ho conservato, anche dopo la perdita dell'udito, il brutto vizio di osservare le persone. Mi è sempre piaciuto, perché posso apprezzare la varietà del genere umano, ma non è la situazione migliore per chi si sente fissato. C'era questo ragazzo, circa della mia età, che muoveva la testa seguendo un ritmo strano, probabilmente quello della musica che ascoltava con le cuffiette. Muoveva anche le labbra a ritmo (non so se stesse cantando o solo mimando le parole) e io lo guardavo divertito: era uno spettacolo originale.

Subito dopo mi stavo fantasticando sull'ultima canzone che avevo ascoltato, ma non riuscivo a ricordarne le parole. Ritornai al presente perché una mano si agitava nell'aria, attirando i miei occhi sul suo movimento. Il ragazzo mi guardava sorridendo. Io arrossii per la figuraccia e non avevo la minima idea di come scusarmi. Nel frattempo il giovane si era spostato sul sedile vicino al corridoio e mi porgeva una cuffietta. Mi domandò: "Vuoi ... ?" ma non capii il labiale della seconda parola. Forse voleva farmi ascoltare la sua canzone. Allora indicai me stesso, poi mi misi alle orecchie delle finte cuffiette e indicai le sue, per chiedere se voleva farmi ascoltare la sua musica. Lui fece cenno di sì e disse qualcosa come: "E io cosa ho detto?". All'epoca erano trascorsi solo sei mesi dall'incidente e non riuscivo ancora a leggere bene il labiale. Risposi rattristito che io non ci sentivo, sempre usando le mani. Lui parve capire e si rabbuiò in volto. "Mi dispiace." questa volta aveva mosso le labbra lentamente, permettendomi di capire le due parole.

Da quel giorno ogni volta che mi vedeva in corriera, si sedeva sul sedile al mio fianco e dopo un po' abbiamo iniziato a parlare di noi. Lui si chiama Giovanni. A me, invece, ci sono voluti venti minuti per fargli capire il mio nome. La volta successiva che ci incontrammo in corriera mi porse un pacchetto regalo, il mio nome svettava tra le decorazioni della carta regalo. Dentro c'era un block notes per poter comunicare tra di noi, scrivendo. A quanto pare, si doveva essere stufato pure lui di quei venti minuti impiegati per imparare il mio nome.

Adesso siamo grandi amici e comunichiamo con il linguaggio dei segni. È stato il primo tra i miei amici a impararlo e mi è stato sempre vicino nei momenti di crisi. È stato lui a presentarmi Monica, la mia attuale fidanzata. Siamo molto felici insieme, nonostante il mio problema. È una ragazza eccezionale, deve essere difficile sopportarmi - e supportarmi - ma lei non è mai seccata e mi ha sempre accettato così come sono. Per me questo è molto importante e sono proprio contento che abbia scelto me come suo fidanzato.

L'unico mio rimpianto è quello di non aver mai sentito il suono della sua voce, soprattutto quando mi dice che mi ama. Quello che per molte persone sono solo cinque lettere scritte nere su bianco, per me valgono molto di più. Sono l'interruttore del mio batticuore, sono le due parole più belle che abbia letto, e purtroppo mai sentito. Nonostante questo, io la amo. E lei mi ama. Noi lo sappiamo semplicemente guardandoci, non ci serve sentirlo.

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