10. Il nuovo arrivato

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Mi sentivo i muscoli ancora intorpiditi e la testa continuava a girarmi, come se avessi appena fatto un giro sulla giostra. Lentamente stavo riacquistando i sensi e feci un sospiro, non appena mi resi conto che i miei piedi stavano di nuovo toccando terra.

Aprii gli occhi di scatto, ero disteso su un lettino, la stanza intorno a me era completamente bianca con dei faretti sul soffitto e qualche mobile qua e là, sembrava essere l'infermiera della fabbrica. Cercai di farmi forza per alzarmi ma un dolore al braccio mi bloccò, volsi lo sguardo e avevo una siringa conficcata nel polso. Seguii il tubo con lo sguardo e notai la grande sacca, piena di liquido trasparente, al mio fianco, doveva trattarsi di una flebo o almeno lo speravo.

Il rumore della maniglia della porta mi fece sobbalzare, mi buttai di getto sul lettino e chiusi gli occhi, facendo finta di dormire.

"Ancora dorme?" Disse qualcuno dal tono di voce forte e prepotente da essermi fin troppo familiare, non volevo crederci.
"Signor Timoty ha bisogno di riposo." Disse un uomo, dalla voce debole e un po' rauca sembrava trattarsi di un signore anziano. Aprii leggermente gli occhi ed avevo ragione, pelle invecchiata, capelli bianchi, poteva avere sulla sessantina di anni e ciò che mi rassicurò fu il suo camice da dottore. Adesso mi sentivo un po' più tranquillo e richiusi gli occhi cercando di mantenere la calma. Se Timoty era ancora qui, la sua visita a lavoro non aveva avuto scopi amichevoli, cercava me e adesso ne ero certo.

"Basta non ho più tempo da perdere!" Disse Timoty alzando il tono della voce, mentre udii i suoi passi pesanti avvicinarsi a me. La paura stava tornando e con essa l'agitazione, mi sentii le mani tremare ma e cercai di trattenerle. Stessa cosa però non riuscii a fare con il sudore, che si propagò sulla mia fronte in pochi secondi ed ero certo che anche Timoty se ne sarebbe accorto, era solo questione di attimi.

Una sensazione di calore vicino al mio viso, come un respiro affannoso, mi fece spalancate gli occhi. "Eccoti qua." Disse Timoty con un sorriso, allontanando lentamente il suo viso dal mio. "Bene..." Disse cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza. "...ho tante cose da dirti Alex, posso chiamarti Alex?" Domandò, fermandosi sui suoi passi per voltarsi verso di me. "Certamente." Dissi cercando di accennare un leggero sorriso, ma dentro mi sentivo morire.

L'agitazione mi assalii, il cuore mi batteva all'impazzata mentre il sudore cominciava a sgocciolarmi sul viso. Incrociai lo sguardo del dottore, che mi osservava con preoccupazione. Si era reso conto di quanto fossi spaventato, forse a causa del tremolio incontrollabile delle mie mani.

Ho sempre avuto questo problema, anche da bambino e l'unica con la capacità di calmarmi era mia madre. La sua assenza aveva causato non pochi problemi alla mia salute, mentale e fisica.

"Ho notato il tuo ritardo a lavoro, posso giustificare la tua assenza di stamattina, ma non questo ritardo Alex." Disse Timoty continuando a camminare in cerchio per la stanza. "Mh." Disse sottovoce fermandosi al centro della stanza, con sguardo pensieroso.
"Ti sposto al reparto fonderia, nessuna ammonizione per stavolta." Disse voltandosi verso di me, mentre mi guardava con quei suoi occhi scuri, paragonabili a due buchi neri.

La fonderia, si trovava al piano più interrato dell'edificio, nessuno voleva finire lì a causa del caldo e dei fumi tossici che si respiravano, nonostante la maschera di protezione.

"Ti sei ripreso?" Disse avvicinando di nuovo il suo viso al mio. "Direi di sì." Risposi ancora confuso, cercando di farmi forza per tirarmi su dal lettino. "Dovrebbe riposare un altro po' prima di tornare a lavoro." Disse il dottore, mettendosi tra me e Timoty. Cominciai a pregare, sperando che Timoty lo ascoltasse e mi lasciasse restare lì. "Dottor Waits io la stimo, è un bravo medico ma, non può intromettersi nel mio lavoro. Quindi adesso si tolga dalla mia vista." Disse Timoty aggrottando le sopracciglia, stava cominciando ad innervosirsi e il dottore si spostò senza dire un'altra parola. Per un attimo ci avevo sperato, ma nessuno andava conto la parola di Timoty, nessuno.

"Andiamo." Disse facendomi segno di alzarmi e, senza fiatare, lo seguii fino all'uscita.
Ci dirigemmo all'ascensore, dove Timoty premette il pulsante -8, l'ultimo e più profondo tra i piani interrati.

All'apertura delle porte la prima cosa a colpirmi fu il forte tanfo che, in pochi secondi, assalì l'interno dell'ascensore. Restai immobile, con i piedi saldi a terra, a guardarmi intorno. Tutti gli operai indossavano una tuta color argento che li copriva dalla testa ai piedi, completi di caschetto con visiera protettiva per gli occhi. All'ingresso di Timoty al reparto calò il silenzio, l'unico suono rimasto era quello dei macchinari. Tutti gli operai lasciarono in sospeso il lavoro che stavano portando avanti, per mettersi sull'attenti.

"Riposo. Tornate a lavoro." Disse Timoty, facendo echeggiare il suono della suona voce per tutta la stanza. "Seguimi." Disse, voltandosi dalla mia parte per farmi strada e lo seguii senza fiatare. Arrivammo davanti a una porta oltre la quale riuscii a intravedere degli armadietti, dovevano essere gli spogliatoi. Ci dirigemmo in fondo alla stanza, quando Timoty si fermò di fronte ad uno dei tanti armadietti presenti. Tutti avevano dei cognomi stampati sopra, mentre in quest'ultimo non c'era niente.

"Procurati la tua targhetta, puoi richiederla all'ufficio in fondo alla sala macchine." Disse, indicandomi lo spazio vacante nell'armadietto.
"Qui c'è la tua uniforme da lavoro, senza questa non puoi mettere mani alle macchine. Non vogliamo che ci rimetti le penne, non è così Alex?" Disse voltandosi verso di me con una smorfia divertita, mentre mi mostrava l'interno dell'armadietto. "No signore." Risposi semplicemente, ero ancora troppo scosso e, anche se avessi voluto, non potevo oppormi alle sue regole.

"Bene cambiati adesso." Disse andando verso la porta d'ingresso e restando lì in piedi ad aspettarmi. Presi la tuta e il casco e mi cambiai più in fretta che potevo, per poi tornare accanto a lui. "Ti ambienterai facilmente, per quanto riguarda il funzionamento delle macchine puoi sempre chiedere al tuo capo reparto." Disse facendomi strada lungo la sala macchine e indicando un uomo in fondo alla stanza, il suo viso era coperto dalla visiera mentre si occupava della colata del metallo ardente. "Stewart!" Esclamò Timoty attirando l'attenzione dell'uomo, che posò i ferri all'istante e si mise sull'attenti verso di noi.

"Ti presento Alex Paiton, appena arrivato dal reparto saldatura. Lo aiuterai ad ambientarsi." Disse Timoty con un sorriso. "Certo signore." Rispose Stewart, dal viso e dai capelli che riuscii a intravedere oltre il casco, castani e brizzolati, sembrava avere sulla quartina di anni. "Bene, a lavoro allora." Disse Timoty. "Ci vediamo presto." Continuò a dire dandomi una pacca sulla spalla. Si voltò un'ultima volta verso di me, con occhi minacciosi e compiaciuti, prima di dirigersi verso l'ascensore. Quando Timoty svanì dal reparto tutti gli operai ripresero a chiacchierare fra di loro, come se la sua visita non fosse mai avvenuta. Restai confuso da questo comportamento. "Tranquillo, qui è normale." Mi disse Stewart con un sorriso, notando la mia confusione.

"Ragazzi." Urlò a tutti i presenti, che si voltarono a guardarlo. "Salutate il nuovo arrivato!" Continuò a dire.

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