8. Paura

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Poggiai di nuovo il cellulare sul mobiletto ed uscii velocemente di casa, in preda all'agitazione. Portarlo a lavoro con me poteva causarmi soltanto guai.
Sbattei la porta alle mie spalle, sentendomi il respiro pesante, il cuore che mi batteva all'impazzata a tal punto da riuscire a percepire il movimento delle pulsazioni sul mio polso. Chiusi gli occhi e cercai di riprendere fiato facendo dei lunghi respiri.

"Inspira." "Espira." Mi ripetetti almeno una decina di volte, fin quando sentii le mie pulsazioni cominciare a rallentare. Riaprii gli occhi e il mio primo pensiero andò all'orario, abbassai lo sguardo di colpo sull'orologio ed erano le 13:05. Ero in ritardo e di sicuro non avrebbe fatto piacere al mio capo reparto.

Cercai di fare più in fretta possibile e una volta arrivato all'esterno della fabbrica diedi un'ultima occhiata all'orologio che segnava le 13:13. Sicuramente qualcuno mi stava pensando e quel qualcuno doveva essere Owen. Non appena varcai la soglia d'ingresso mi ritrovai faccia a faccia con lui. Un'uomo alto, dalla corporatura massiccia, capelli scuri come anche i suoi occhi, dai quali riuscii a percepire la rabbia. Alla sua vista mi fermai all'istante. Era in piedi davanti a me, con le braccia conserte, mentre mi guardava con quel suo modo di fare minoccioso ma, allo stesso tempo, riuscii a intravedere oltre i suoi occhi la delusione che provava verso i miei confronti.

"Owen io..." non mi lasciò finire la frase. "Non dire mezza parola. Sei un grande operaio, sempre puntale e bravo nel tuo lavoro. Oggi però mi hai deluso, come fanno tutti qui!" Disse cominciando a sbraitare sulle ultime parole, mentre io mi ritraevo all'indietro cominciando ad avere timore di lui. "Non chiamarmi più Owen, d'ora in avanti per te sarò Young, signor Young." Continuò a dire per poi voltarmi le spalle e allontanarsi.

Dal mio primo giorno di lavoro Owen era sempre stato disponibile per me, cercando sempre di aiutarmi a migliorare. Sarà stata anche la storia di mia madre il motivo per cui chiunque provava compassione nei miei confronti ma, Owen era diventato un amico per me. Evidentemente mi sbagliavo, nessuno aveva amici su Oblivion. L'unica persona su cui potevi fare sempre affidamento, eri soltanto tu. Te stesso e nessun'altro.

Mi diressi verso l'ascensore, al cui interno si trovava Owen, che mi guardava con sguardo impaziente e ancora furioso. Arrivato al suo fianco, le porte dell'ascensore si chiusero ed era come se riuscissi a percepire l'odore di tensione nell'aria all'interno di quelle quattro mura. Nessuno dei due disse mezza parole, regnava il silenzio. I miei occhi restarono fissi sui numeri dei piani che stavamo superando, cercando di ignorare quelli di Owen fissi su di me da quando ero arrivato. Mi sentii la fronte sudata, il cuore mi batteva forte e non vedendo l'ora di arrivare al piano -5.

"-2." Pensai, c'eravamo quasi e tutto questo sarebbe finito.

"Si, arrivati." Esultai nella mia mente, le porte lentamente si aprirono mostrandomi tutti gli operai a lavoro, compreso Patrick, che si voltò all'istante dalla nostra parte.
"A lavoro." Disse Owen prima di allontanarsi, diretto nel suo ufficio. Mi avvicinai velocemente alla mia postazione, presi la mia tuta da lavoro e la indossai, compresa di visiera. Mi diressi verso l'attrezzatura e cominciai a mettermi a lavoro.

"Pst." Sentii bisbigliare alle mie spalle, doveva essere Patrick. Feci finta di non sentire e lo ignorai, non potevo cacciarmi ancora nei guai, l'ultima cosa che volevo in questo momento era un'ammonizione sul lavoro per aver scambiato due parole con un collega. Dopo il ritardo di stamattina tutti gli occhi erano puntati su di me e, non soltanto quelli di Owen, anche Timoty mi stava osservando. Ne ero più che certo. Tutt'intorno a noi, in ogni angolo della fabbrica, erano istallate delle telecamere che seguivano tutti i nostri movimenti e oggi, come mai prima d'ora, le sentivo tutte puntate su di me.

Passarono alcuni minuti. "Pst." Sentii bisbigliare di nuovo alle mie spalle. Alzai gli occhi al cielo, sperando che la smettesse al più presto. "Pst." Continuò sempre più insistente. "Che c'è?" Dissi furioso, cercando di mantenere basso il tono di voce e voltandomi di scatto verso di lui. I miei occhi poi si indirizzano subito in alto, sulle telecamere. Spostai lo sguardo qua e là sperando che nessuno mi avesse notato. "Ehi, mi stai ascoltando?" Disse Patrick riportandomi alla realtà, ero così preso dal guardarmi intorno da non riuscire a percepire il suono della sua voce, mentre mi parlava. "Cosa?" Domandai confuso. "Scusami non è giornata." Continuai a dire voltandomi e continuando a saldare parti meccaniche. La parte peggiore del mio lavoro, anche se era principalmente ciò che facevo ogni singolo giorno.

Improvvisamente il suono di un campanello ci fece drizzare e tutti gettarono i loro utensili per mettersi sull'attenti. Quel suono preannunciava solo una cosa, di cui chiunque aveva timore e io, più di tutti, stavo cominciando a tremare. Cominciai a sentirmi le mani e la fronte completamente sudate, il cuore mi batteva talmente forte, come se volesse esplodermi dal petto. La paura prese il sopravvento di me. Stava arrivando Timoty.

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