1 | La verità è importante

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CAPITOLO 1
La verità è importante


In un appartamento che non conosco, ficcata dentro una t-shirt bianca XXL fisso con sconcerto lo sconosciuto a una decina di passi da me.

Seduto sullo sgabello all'isola della cucina mi guarda a sua volta.
Un paio di strani occhi azzurri con chiazze marroni, il lieve sorriso che ha sulle labbra leggermente carnose e quella sua espressione da arrogante e presuntuoso soldato stampata in faccia.
Soldato.
Aggrotto istintivamente la fronte tutto d'un tratto non appena ripercorro alcuni ricordi di diversi mesi fa, troppi mesi, che pensavo di aver rimosso completamente dalla testa data la loro irrilevante importanza.

«Nick, M4 con caricatore da trenta colpi e cinque anni in Afghanistan...» mormoro rimettendo insieme alcuni pezzi che racimolo a fatica... e spalanco gli occhi credendoci a stento.
Lui, dinanzi le mie parole, annuisce e sorride di poco.
«Sei» mi corregge. «Adesso sono sei anni.»
«Perché sei a San Francisco?» chiedo di getto.
«Ho alcuni amici qui.»
«Perché proprio in questo posto di San Francisco» mi spiego meglio.

Per andare al negozio aperto ventiquattr'ore ho fatto quindici minuti a piedi, questo significa che se lui doveva essere sul mio stesso tragitto e in automatico significa che il suo appartamento non dista molto dal Pink Ocean dove ci siamo incontrati e dove mi ha detto che ci saremmo rivisti.

«Perché da qui sono dieci minuti a piedi fino alla spiaggia... anche se odio la sabbia.»
Alzo un sopracciglio.
«E allora perché hai scelto questo posto?»
«In riva c'è un piccolo bar che fa delle ottime granite.»

Ma che...

«Non è vero, quelle granite fanno schifo e tu stai dicendo un sacco di puttanate. Perciò ora dimmi quand'è che hai iniziato a pedinarmi così ti posso spaccare la faccia.»

Nick dell'Afghanistan corruccia le sopracciglia e a stento riesce a rimandare indietro la mezza risata che stava per lasciarsi scappare.
«Non vuoi più chiamare tuo padre per farmi arrestare?» sbatte teatralmente le ciglia.
«No» rispondo. Anche perché mio padre vive letteralmente in un altro Stato, ma lui questo non lo deve sapere.
«Rispondi. Mi hai seguita ieri sera dal Pink Ocean oppure lo stai facendo da diverso tempo?»
«Io non ho seguito e né tantomeno sto seguendo nessuno, in realtà eri tu quella a camminare dietro di me.»
«Non ti credo affatto» sibilo.
«Dovresti.»
«Mi hai narcotizzata» giungo alla mia conclusione.
«Non ho narcotici, al massimo l'adrenalina che mi porto dietro perché sono allergico alle arachidi e in questo posto le trovo in ogni snack possibile.»

«Sei sempre talmente sincero?» chiedo abbastanza rincretinita dalle sue parole.
Lui alza le spalle.
«La verità è importante.»
«E spifferi perennemente i tuoi fatti personali ai quattro venti?»
«Dipende dalle circostanze» risponde pensieroso.
«E queste sarebbero...?» alzo le sopracciglia.
«Considerando il fatto che io abbia vissuto per la maggior parte in Medio Oriente e che ogni tre per due stavo col fucile puntato su un ribelle con una bomba a grappolo in mano pronto per lanciarla sul mio plotone...» fa una pausa, «non mi mettevo di certo a condividere la mia allergia alle arachidi col nemico, sarebbe stato... fuori luogo e avrebbe ammazzato me e i miei compagni. No?»

«Mi hai fatto qualcosa?» continuo però io.
«A parte toglierti i vestiti? No.»
«Mi hai toccata.»
«Con le mani. Avresti preferito che ti toccassi con altro?» alza un sopracciglio dubbioso. Resto a fissarlo sbigottita.
«Tu dove hai dormito?» riduco gli occhi in due fessure.
«È un interrogatorio?» domanda lui d'un tratto tirando su un sorrisetto divertito dalla situazione.

I miei occhi scivolano sulla racchetta da tennis accanto, sulla palla nello specifico. Mi chino e la raccolgo. La fisso, la lancio in aria due, tre volte e poi guardo di striscio Nick.
Prendo la mira al volo, lancio la palla a tutta forza che si schianta diritto nella sua tazza da caffè a solo una ventina di centimetri dalla sua stazza, facendola cadere sul pavimento dall'altra lato dell'isola.

Nessun sussulto. Nessun battito di ciglio. Nessun tipo di movimento da parte sua.
Riduco gli occhi in due fessure analizzandolo. Che strano...
Lui fa scivolare gli occhi alla sua destra, dà un'occhiata al caffè rovesciato sul banco da cucina e poi con una naturalezza disarmante torna su di me.

«Era una dimostrazione di forza per provare che potresti spaccarmi la faccia...?» chiede incerto, indicando il posto dov'era la tazza.
«Che diavolo sei? Un Terminator?» chiedo a mia volta.
«Cos'è un Terminator

Ma dove ha vissuto? Ah, sì! Tra i terroristi.

Faccio per aprire bocca e rifilargli una battutina di poco gusto ma lui alza una mano di poco.
«Stavo scherzando. So bene cos'è» sorride lievemente e mi alza un indice in segno di attesa. Scende dallo sgabello, va dietro al bancone, si piega, raccoglie i cocci della tazza e li butta nel cestino.
Poi prende della carta da cucina e pulisce il banco e il pavimento e la butta sempre nel cestino. Infine si lava le mani nel lavabo posto nell'isola, afferra uno straccio e se le asciuga come se io non ci fossi. Quando finisce solleva gli occhi su di me.

«Ora mi dici perché sono qui prima che ti faccia il culo, guarda che non ho paura di te» minaccio a denti stretti.

«Hai una buona mira, nonostante tu sia svenuta in un vicolo non molto lontana da qui» osserva.
«Tiro al poligono da quando avevo dodici ann-» mi fermo di colpo. «Aspetta, cosa?»

Lui annuisce.
«Sono uscito per comprare dell'acqua e tu stavi camminando lungo il marciapiede, poi sei cascata di lato contro dei sacchi dell'immondizia.»

Merda.

«Avresti dovuto chiamare un'ambulanza» gli faccio ben notare. Non doveva raccogliermi come un cane randagio e portarmi nel suo cazzo di appartamento. Ma chi si crede di essere? Io non avevo bisogno di lui. Non ho bisogno di nessuno. Nessuno che mi salvi.
«Se lo avessi fatto, sarebbe venuta anche la polizia e avrebbero trovato la tua doppia carta di identità su cui c'è scritto che adesso dovresti avere ventidue anni.»

Merda.

Poggia le braccia sul bancone, china leggermente la schiena e mi fissa in silenzio per alcuni istanti.
«Mi vuoi arrestare?» chiedo rapida come una scheggia.
Nicholas aggrotta la fronte.
«Non sono un poliziotto.»
«Il tuo lavoro non dovrebbe essere quello di combattere la criminalità?»
«Il mio lavoro è finito cinque giorni fa. Sono in congedo» replica aprendo le mani con fare ovvio. «E non combatto la "criminalità"» fa le virgolette con le dita staccandosi dal banco da cucina e si avvicina all'altra tazza di caffè. «Per la gente di quel posto, il criminale sono io» aggiunge, afferra la tazza e viene verso di me. Questa volta non indietreggio.

Lui si ferma a una distanza considerevole e me la porge. Esito e Nicholas inclina d'un tratto la testa.
«È semplice caffè, non ho messo dentro nient'altro» alza le sopracciglia. «E non avrei cosa metterci oltre che lo zucchero, magari una goccia di latte ma non c'è...» si ferma di colpo e aggrotta la fronte pensieroso. «... devo andare a fare delle compere» mormora sovrappensiero e poi torna con gli occhi nei miei che lo guardo in tutta onestà stranita.

Allunga una mano, afferra la mia ancor prima che possa fermarlo e mi mette la tazza in mano per poi scomparire dalla mia visuale.
Sbatto inevitabilmente le palpebre confusa. Fisso la tazza di caffè e poi mi giro verso destra. Con essa tra le mani faccio alcuni passi finché non raggiungo quello che è un bagno.
La porta spalancata, lui che mi dà le spalle mentre si toglie la maglietta, la butta nella cesta, si sfila i pantaloni del pigiama e anche...
Oh, mio dio.

Immobilizzata, gli occhi fissi su di lui e su ogni piccola particella del corpo, lo fisso e non riesco a staccarli gli occhi di dosso tanto è stato inaspettato come cambiamento.
Si gira.

Forse è la sbornia che di colpo mi annebbia ogni neurone attivo al cinquanta percento delle proprie capacità cognitive, ma le mie pupille scivolano in basso e non si alzano più. Cristo.
Una mano, fortunatamente, si alza lentamente, ma lo fa, e copre la visuale di... quello che lui e tutti gli uomini hanno a livello biologico tra le gambe.
Deglutisco a fatica e finalmente ripongo gli occhi sul suo viso che trovo a guardarmi confuso.

«Che stai facendo?»
Le mie orecchie fischiano con prepotenza.
«Uh?» mi sblocco di scatto.
«Perché hai una mano alzata? È un saluto nazista o cosa?»
Corruccio le sopracciglia.
«C-cosa?» balbetto inevitabilmente e mi maledico subito. «No. Io... sto coprendo il tuo...» mi fermo perché non voglio più continuare.

Nicholas però sorride di sbieco.
«E perché?»
«Perché è inappropriato?» ironizzo.
«Non è niente di che» replica lui con una calma stranissima.
«Oh, sì, invece. Sì, che lo è» ribatto contrariata. «È molto... c'è della roba, sì... c-credo ci sia, ecco tu hai... sei... molto nudo» farnetico non sapendo minimamente che dire e poi mi schiarisco la voce. «I miei vestiti» dico d'un tratto. «Dove sono?»

Voglio andarmene via qui immediatamente e non posso farlo scalza e con una sola maglietta bianca addosso.
«Te li ho messi sul bordo del letto. Non li hai visti?»

No, certo che non li ho visti, ero troppo stordita dalla sbornia per farlo. Maledizione.
«Bene... Nick» rispondo e faccio un passo indietro, poggio la tazza sul pavimento accanto i miei piedi. «Io ora me ne vado. Grazie per non aver chiamato l'ambulanza, la polizia e non so... i servizi segreti. A mai più rivederci» alzo due dita e gli faccio un rapido saluto militare.
Raggiungo la stanza da letto e trovo i miei vestiti messi uno sopra l'altro, perfettamente ripiegati, quasi in maniera maniacale.
Decido di lasciar perdere e li indosso rapidamente rischiando di cadere contro il bordo del letto quando inciampo nei jeans.

Cazzo. Ho bisogno di una aspirina per il mal di testa, cibo perché ho una fame tremenda e una bottiglietta d'acqua fresca.
Per ultimo afferro la felpa fermandomi di punto in bianco a osservarla senza infilarla. La mia testa e il mio cuore ripercorrono insieme, in linee parallele, i ricordi di ieri sera dopo che ho staccato da lavoro.

Una pizza surgelata, un bicchiere di vino e io che fisso il telefono, che fisso le sue foto.
Sento mancarmi di colpo il fiato.
Prendo posto sul materasso e resto con in grembo tra le mani la sua felpa, nonostante abbia già infilato le scarpe e sia pronta per andarmene.

Ogni volta che lo penso mi manca così terribilmente che mi si spezza il respiro e dentro io mi sento soffocare. Il petto mi fa male quando il suo viso riemerge a galla dai ricordi.
I suoi occhi neri. I capelli corvini tutti scompigliati. Il sorriso stupido che mi rivolgeva ogni volta che stava per sparare una delle sue battute.
E fa... così male.

Dovrebbe essermi passata.
Le cinque fasi di una perdita, no? Dovrei averle compiute tutte perché non ha più senso rimuginare su qualcosa che non c'è più, che fa parte del passato, che io stessa ho allontanato.
L'ho fatto per lui. Affinché potesse essere felice e mi fa male che lui possa esserlo, con qualcuna altra mentre io non riesco a dimenticarlo, a smettere di amarlo.
Mi fa così fottutamente male e mi strugge, mi annienta fino all'anima.
Forse non ho compiuto tutte e cinque le fasi. Forse sono rimasta bloccata in un punto da dove non riesco a muovermi, non ancora perlomeno.
Ma io l'ho accettato. E allora perché non riesco buttare via la sua felpa? Cos'è che mi tiene ancora aggrappata sul fondo del mio stesso inferno?

Nessun singhiozzo, nessun sospiro, ma le lacrime mi scivolano ugualmente sul viso. Silenziose, di soppiatto loro fuoriescono dal mio controllo e cadono sulla felpa, macchiandone il cotone.
So solo che ad un certo punto tiro su col naso, avvicino la felpa al mio viso e chiudo gli occhi contro di essa immaginando che davanti in realtà io abbia il suo petto, intorno a me le sue braccia che mi stringono a con così tanta forza da farmi scricchiolare le ossa.

È meglio così.
Lui non deve in alcun modo tornare da me e se mai dovesse capitare lo fermerò prima che io gli possa distruggere di nuovo la vita con il casino di persona quale sono nonostante dentro di me spero che un giorno lui torni, che ci ritroveremo... anche se sento che con ogni giorno che passa mi sto sempre più spegnendo, diventando un guscio di vuoto siderale.

Mi serve solo un altro po' di tempo per dimenticarlo. Un altro po'. Per buttare i miei sentimenti in una buca, seppellirli a sei metri sotto terra e allontanarmi da essa, preservando dentro di me solo i bei ricordi e null'altro.

Di lui voglio ricordarmi le cose belle, non le volte che gli ho provocato solo sofferenza e lacrime. Il suo viso è troppo bello per essere macchiato dalle lacrime.

Tolgo la felpa, tiro un profondo respiro cacciando l'aria dalla bocca e serro i senti pronta per alzarmi e andarmene.
Punto gli occhi sulla porta, occhi che mi finiscono in quelli azzurri di Nicholas che sull'uscio, con un asciugamano in vita mi fissa in silenzio.
Come una scheggia mi tiro in piedi, mi asciugo frettolosamente il viso con una mano fingendo che niente sia mai capitato e gli passo di fianco, diritta spedita alla porta.

«Il cellulare!»
Mi fermo di getto e mi giro leggermente nascondendo il mio viso quanto più mi è possibile. Lui avanza e me lo porge. Lo prendo, sblocco lo schermo per un istante e leggo 10:13 AM.
Sullo sfondo una foto scattata tempo fa e mai cambiata nonostante la marea di mesi passati.
Logan e io, davanti l'albero di Natale a casa sua a Sacramento. Io che lo guardo a braccia conserte anziché fissare nell'obbiettivo, lui vicino a me che fa altrettanto con un piccolo sorriso sulle labbra.
Lo so è questo è masochismo, ne sono ben consapevole, ma non ho il coraggio per cambiare lo sfondo, non ce la faccio.
Mi serve ancora un po' di tempo. Anche per fare questo.

«Il tuo ragazzo?»
Alzo di scatto gli occhi pesanti da altre lacrime che sono tornate con violenza.
«Fatti i cazzi tuoi» sibilo tra i denti. Apro la porta, esco e la sbatto alle spalle con tanta di quella forza da spaccarla a momenti.

Ma tu guarda che stronzo.
Lui, le sue risposte sincere di merda e il come abbia il vizio di ficcare il naso in cose che non lo riguardano minimamente.

***

Angolo autrice

Sì, sono tornata AHAHAHA
Beh, che ne dite a proposito del primo capitolo? Spero vi sia piaciuto ♥
E spero vi sia piaciuto anche il personaggio di Nicholas. Apparentemente potrebbe sembrare un tipo strano, ma vi assicuro che vi lascerà stupiti.
Per quanto riguarda Ronnie... beh, ha bisogno di un altro po' di tempo per dimenticare Logan, forse ce la farà, forse no o forse combinerà qualche stronzata nel suo solito stile e farà un altro casino XD
Io lo spero 👀

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