2 | Arrestami

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CAPITOLO 2
Arrestami

Arrivo a casa mia.
Dopo una decina di minuti a piedi nello specifico, scoprendo così che Nick dell'Afghanistan non mentiva. Le sue risposte schifosamente sincere e dirette erano sul serio vere.
Lui è chi dice di essere e ogni cosa nella sua storia quadra alla perfezione e questo mi dà fastidio.
Il suo appartamento in subaffitto si trova proprio tra l'edificio del Pink Ocean e il negozio aperto ventiquattr'ore.

Avrei preferito di gran lunga scoprire che fosse un pazzo omicida, almeno così non starei a pensare che qualcuno di completamente sconosciuto mi ha ripescato dalla immondizia, mi ha spogliata dai miei vestiti su cui mi sono vomitata addosso e si è preso cura di me.

Non voglio niente di tutto ciò e sapere che lui l'ha fatto senza chiedere niente indietro mi fa sentire inevitabilmente in debito.

Con i vestiti che profumano di ammorbidente alla lavanda e una smorfia schifata in viso, mi avvicino all'armadio dove sull'unica gruccia poggio con cura la felpa. Rimango con le dita strette sulla manica, la fisso per qualche istante, troppi, e poi con un forte sospiro chiudo l'anta incurante di tutti gli altri vestiti ammucchiati malamente dentro sui due ripiani in legno.

Fortunatamente è sabato e questo vuol dire che non ho saltato la mattinata di lavoro perché troppo ubriaca nella sera del mio ventesimo compleanno. Nemmeno una torta... non mi serve. E poi per cosa? Cantarmi da sola "tanti auguri" per poi spegnere le candeline e demoralizzarmi nella mia triste e piccola cucina?

Posso sempre chiedere a Denise se ha bisogno di una mano d'aiuto per il turno di stasera siccome è il weekend, almeno racimolo qualche soldo in più e tengo la mente occupata anziché buttarmi tra le coperte del mio letto singolo che scricchiola da ogni angolatura e addormentarmi con lo spinello sulla faccia rischiando così di dare fuoco al monolocale.
Ho già combinato qualche bruciatura di sigaretta sulle lenzuola, così come ci sono tracce scure di vino che non so come togliere, ci ho provato con ogni tipo di detergente ma è tutto inutile. Alla fine, quando mi verrà abbastanza voglia, dovrò comprare della nuova biancheria per il letto.
Ma quel giorno non è sicuramente oggi.

Con un piede sposto di lato la pila di bollette che ormai cadono dal piccolo mobile di arredamento dove ci sono alcune ceramiche, bicchieri mai usati e tazzine impolverate. Avanzo verso il frigo, stappo una birra, prendo un pezzo di pizza dal tavolo rimasto da ieri sera e mi butto sul divano in pelle marrone.
Davanti a me la TV spenta, la veneziana bianca tirata, la stanza sprofondata in penombra e il silenzio più tombale, e io mangio.

***

Tra lavoro, discrete confezioni di cibo preriscaldato, cheeseburger mangiati in riva al mare con Ethan, volano altri mesi e mentre il tempo cambia rapidamente, io cambio con esso. Il dolore si placa, forse del tutto. A volte ho qualche pensiero ma fortunatamente questo non intacca il mio umore per troppo a lungo.
Luglio sta per terminare, questo è quanto.
È tutto così frenetico e allo stesso tempo lento da sentirmi come assorbita in un vortice dove compio tutto nella maniera più meccanica possibile. È una routine. Nient'altro.

Mi sveglio, mi vesto, lavoro, stacco per la pausa pranzo e poi riprendo col turno serale. Infine raggiungo il mio monolocale che ho riverniciato, pulito e messo tutto alla perfezione. Lenzuola pulite, polvere inesistente e il pavimento tirato a lucido. Finalmente non sembra più una sorta di discarica abusiva. L'unica cosa da combattere è l'eccesso di alcol. Dopo quella volta che sono finita in dei sacchi della spazzatura ho finalmente capito di aver colpito il fondo del barile.
Io non sono questa. Non lo sono mai stata.

Discarica abusiva. Improvvisamente sorrido dentro al pensiero di queste due parole e la mia mente viaggia indietro di troppo, veramente troppo tempo che a stento riesco a inquadrare.
Io nel campus dell'università, Logan che mi afferra la borsa e dice proprio queste due parole mentre tira fuori le cartacce degli snack al distributore automatico che mi prendevo... quando soffrivo per via di Adrien.

Adrien. Chissà che fine avrà fatto... non lo vedo e nemmeno lo sento da un anno all'incirca o forse di più, non lo so. Non so più niente ormai.
Così come non so niente della mia famiglia, o meglio dire: mio padre. Suo figlio dovrebbe essere già nato, ma non ho avuto alcunché notizia da parte sua. Non sono stata chiamata da nessuna parte, ad assistere a niente.

Prendo il vassoio con le bibite da Ethan e mi avvicino al tavolo che le ha ordinate, lo stesso tavolo dove avevano preso posto i miei vecchi e ormai inesistenti amici d'università.
Kim non si è fatta più sentire dopo quella mia ultima uscita nei suoi confronti e nemmeno gli altri, probabilmente perché li ho cacciati fuori da questo locale e tra le righe anche dalla mia vita.

Il campanellino messo da Denise alla porta due settimane fa, suona. È arrivato un nuovo cliente.
Guardo Maddy e la vedo passarmi affianco per andare a dargli il benvenuto, proporgli i drink in offerta stasera e servirlo. Io, invece, torno al bancone del bar, do un'occhiata a Ethan e lo trovo a sistemarsi il ciuffo dei capelli con una eleganza disarmante.

«Vuoi un po' d'acqua?» sorride.
Stasera fa esageratamente caldo e nonostante il climatizzatore sparato a mille, la porta finestra spalancata a destra che dà sulla veranda di fuori dove Denise ha ristrutturato per metterci un gazebo - molto carino in realtà - non aiuta affatto.
«Sì, ti scongiuro. Mi sto sciogliendo» rispondo e lui va al frigo posto alle sue spalle e me la porge.

La stappo, ne bevo un lungo sorso, tanto lungo che quasi non la finisco sotto i suoi occhi marroni e stupiti.
«Ancora due ore e possiamo andarcene» mi dice con un sospiro. È evidentemente stanco morto anche lui, di tanto in tanto lo becco ad asciugarsi la fronte con una pezza.
«Non appena salgo a casa, butto del ghiaccio nella vasca e mi ci ficco dentro finché non muoio per assideramento» commento facendolo ridere.
«Ti prego, invece, di non farlo. Mi servi qui, soprattutto la prossima settimana. Maddy andrà in ferie per cui rimarremo solo noi due.»

Cazzo. Il doppio del lavoro mi aspetta.

«Denise?» chiedo invece tirando fuori un istante il cellulare e controllando l'orario esatto.
Il display raffigura le 8:10 PM, come sfondo c'è impostata una foto del tramonto sulle onde dell'oceano, scattata dalla barca a vela di Ethan che puntualmente ogni fine settimana mi trascina a pescare senza però pescare in realtà niente.
È una vera schiappa, ma lui nonostante tutto non molla la presa.

Lo sento cacciare un sospiro.
«Andrà alle Bahamas con Amber e la piccola Jocelyn per ben venti giorni.»
Strabuzzo gli occhi.
«E se lo permette?»
«Amber è un architetto. Sai quanto guadagnano quelli al mese? Uff!» ride sbeffeggiandosi ovviamente di noi due che invece lavoriamo come cani per un misero stipendio. Almeno lui non deve vivere prevalentemente di mance, come invece faccio io visto che sono una cameriera.
«Si è permessa di abbattere una parete per aggiungere quella parte» aggiunge poi con un cenno di testa verso il gazebo, i tavoli esposti con le sedie, l'erba verde come pavimento, lucine gialle appese tra le piante sempreverdi, in lontananza la vista sul mare libero, stasera decisamente poco trafficato. C'è solo un piccolo falò, intorno dei ragazzi che ridono tra di loro. Mi ricordano inevitabilmente di quando intorno a un falò del genere c'ero io...

«Oh! Ma tu guarda chi c'è!»
Ethan mi risveglia di colpo dai vecchi tempi vissuti, ormai troppo lontani, e mi indica con lo sguardo e un sorrisetto complice qualcuno alle mie spalle.
Aggrotto d'istinto la fronte e con i gomiti sul bancone giro quanto basta la testa. Gli occhi scivolano sui diversi clienti finché...

È uno scherzo?

«Maledizione...» mormoro sconsolata e poggio qualche istante la fronte sul bancone, sopra le mie braccia per nascondermi. Ethan ride come se ci fosse qualcosa di esilarante.
«Il tuo amico è venuto a farti visita. Perché non vai a parlargli?»

Alzo la testa e lo guardo male.
«Innanzitutto io non ho amici...» parto col dire e lui mi rifila uno sguardo offeso.
«E io che sarei allora?» si ferma dal pulire un bicchiere e poggia teatralmente una mano sul cuore. «Mi hai appena spezzato il cuore.»
«Oh, ma dai... non volevo dire questo e poi noi due siamo colleghi, non conta.»
«Mi hai doppiamente spezzato il cuore adesso.»
Lo guardo di traverso.
«Stavo dicendo: non ho amici all'infuori di te» mi correggo facendolo felice. Lui si asciuga con un dito una lacrima invisibile.
«Grazie, Ronnie. Non sai quanto questo significhi per me...»

Gli mollo uno schiaffo sul braccio in tutta risposta. «Che sentimentale che sei. Ho più palle io di te, sai?»
«Sei sessista ora» replica sbattendo le ciglia di nuovo offeso.
Caccio una piccola risatina.
«Quindi ora vai a parlare al tuo cavaliere?» riprende lui il discorso di prima. Schiocco la lingua contro il palato.
«No. C'è Maddy, se ne occupa lei» rispondo per niente convinta di incontrare di nuovo lo sguardo di quel tizio.

Dopo quella volta in cui mi ha trascinato a casa sua non l'ho più visto e né ha messo piede nel locale dove lavoro. Quindi ora che diavolo ci fa qui?

«Una bottiglietta d'acqua.»
Maddy appare improvvisamente al mio fianco con i suoi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e gli occhi marroni.

Ethan mi manda un sorrisetto equivoco davanti a cui io scuoto la testa a mo' di "che cazzo vuoi adesso?".
«Ecco qui» dice lui porgendola alla nostra collega. Lei l'afferra e sparisce dietro di me.
«Dici che dopo averle dato una banconota da ben venti dollari, bacerà anche il suo dorso di mano? O lo fa solo con te?» ridacchia con gli occhi alle mie spalle.
«La pianti?» chiedo cortesemente.
«Scommessa?» propone invece lui.

A volte stento a crederci che ha ben trentadue anni. Pare un adolescente nel corpo di un uomo adulto. Alto, snello, il naso diritto e le labbra piccole, e un accento fortemente inglese che gli dà un fascino tutto suo, soprattutto quando nella sua camicia nera e le maniche tirate in su prepara i cocktail attirando l'attenzione di non poche ragazzine che entrano qui dentro e che lo fissano come degli avvoltoi.

«No.»
«Avanti, una piccola scommessa. Io scommetto di no, tu scommetti di sì. Se vinci, ti preparo tutti i cocktail che vuoi pagando di tasca mia per un'intera settimana.»
«No.»
«Dai...»
«No. E avresti dovuto farmi una proposta del genere quando ero una alcolizzata. Ora sto cercando di stare alla larga dall'alcol e tu mi ci attiri. Gli amici non fanno questo» gli faccio ben notare. «E perché tu scommetti di no?»
«Perché lui ti sta guardando proprio in questo istante» dice con gli occhi alle mie spalle. Torna da me e mi sorride come un cretino.
«Cosa?»

Mi giro in automatico e i miei occhi si scontrano contro i suoi azzurri.
Merda.
Ritorno in fretta e furia con lo sguardo su Ethan che mi sorride beffardo.
«Scommessa?» propone ancora una volta e lo guardo inevitabilmente male.
«Torna a lavorare e chiudi la bocca» gli intimo seria in viso. Lui caccia uno sbuffo scocciato e alla fine riprende a fare le sue cose, quindi io sono obbligata a mettere fine alla piccola pausa e tornare a lavoro come lui.

Mi avvicino a un tavolo, chiedo se hanno ordinato e loro mi dicono di sì quindi alla fine raggiungo il gazebo e l'ondata di caldo dell'esterno mi colpisce in pieno il viso.

«Ciao, Veronica.»

Oh, cazzo.
Per qualche istante quasi non sussulto per lo spavento. Con gli occhi spalancati, mi giro di poco e in piedi, accanto a me, troppo vicino, c'è lui appoggiato di spalla alla struttura del gazebo in legno, la bottiglietta d'acqua in mano e le braccia conserte.
Lo fisso per diversi e lunghi secondi: la maglietta nera, sopra una giacca scura e i jeans addosso.
«Non stai morendo di caldo vestito così?» chiedo rifilandogli un'occhiata.

Lui, i capelli più lunghi della scorsa volta, tenuti in ordine con il ciuffo che gli ricade sulla fronte e quei suoi strani occhi, mi sorride lievemente.
«Sono abituato alle alte temperature, ricordi?»

Alzo le sopracciglia per niente ammaliata da qualunque cosa stia cercando di fare in questo momento. Lo voglio fuori dai piedi piuttosto e subito.

«Che ci fai qui?»
«Ero di passaggio» risponde semplicemente.
«E non potevi continuare a camminare per la tua strada?»
«Volevo un po' d'acqua...» solleva di poco la bottiglia. «E vederti.»

Oh, meraviglioso.

Lui mi lascia una lunga occhiata che io ricambio con un cipiglio un viso, con l'indescrivibile voglia di pilotare con la forza del pensiero un asteroide e farglielo schiantare in testa così che si possa levare di torno e dal mio posto di lavoro.

«Come stai?»

Ma è serio? L'acqua fredda gli ha dato di colpo al cervello?
Ah, sì. L'ultima volta mi ha raccattata dalla strada in coma etilico e come se non fosse abbastanza mi ha anche visto piagnucolare come una stupita. Che scena deprimente deve essere stata quella mia.

«Male» rispondo di getto.
«Perché fa caldo?»
«Perché ho le palle girate» replico invece, guardandolo di traverso.
Lui aggrotta le sopracciglia mentre io sposto gli occhi sull'oceano per qualche secondo.
«Sei stressata per il lavoro?»

Tiro un profondo respiro, uno di quelli capaci di sbloccare il mio quinto chakra e far esplodere l'universo finché non torna alla sua fase primordiale.
«Scusa, ma che diavolo vuoi da me?» torno con gli occhi su di lui, divorandolo con i nervi a fior di pelle.

Nick dell'Afghanistan, alza le spalle.
«Niente.»
«E allora prendi la tua bottiglia d'acqua e sparisci.»
«Sì, sarebbe il caso... Ho dei rapporti da compilare quindi meglio che vada.»

Ma per quale ragione ci tiene sempre a farmi sapere cose delle cui non me ne può fregare un accidente?
«Rapporti» ripeto però sbattendo le ciglia. «I soldati idioti della Marina non si limitano solo a disegnare vagine su fazzoletti perché sono sessualmente frustrati?» chiedo non potendo farne a meno.

Nick rimane di sbieco, ma poi ride leggermente. Scuote la testa.
«Non sono più di servizio. Volevo prendermi una pausa, quindi adesso lavoro presso la stazione di polizia.»
«E perché proprio qui e non a Washington DC o dal posto da cui vieni?» alzo un sopracciglio stranita.

«Non ho niente da quelle parti» dice semplicemente e abbassa una mano verso la tasca dei suoi jeans, i miei occhi lo guardano mentre sposta un lembo di giacca scoprendo il distintivo che ha attaccato alla cintura, con la pistola nella fibbia.
«Famiglia, amici... una ragazza?» chiedo. Lui tira fuori il cellulare, dà un'occhiata a un messaggio che gli è arrivato e poi lo ripone al suo posto. Mi guarda.
«Una ragazza?» chiede divertito.
«Una tua fiamma o qualunque altra cosa. I soldati quando fanno ritorno in patria non ficcano il loro pene in ogni buco che si trovano davanti?»

Nick questa volta scoppia a ridere.
«Molti sì» risponde con la sua solita sincerità disarmante che mi dà un fastidio abnorme.
«Tu, no?»
Scuote la testa.
«E perché?» chiedo quindi davvero curiosa. Si è letteralmente sfilato le mutande davanti a me e non sembrava per niente in imbarazzo di essere guardato.

Merda, l'ho visto completamente nudo.
E non era per niente male...

«Perché...» si avvicina e si china al mio viso. «Se decidessi di infilare il mio pene in qualcosa, vorrei farlo sempre nello stesso posto e non cambiarlo affatto.»
Dice e si allontana. Inutile dire che rimango di sbieco, ma raccolgo in fretta la mia buona forza di volontà di prendere per il culo quelli come lui, ovvero incredibilmente sicuri di sé.

«Mentre ti annoiavi nella tua stanzetta di due metri quadri in calcestruzzo rinforzato tra le tempeste di sabbia ti sei guardato un documentario su Jeffrey Dahmer?» domando portando le mani sulle braccia e guardandolo dal basso perché ha tremila metri di altezza.
«I cadaveri alla fine si decompongono. Che dici, invece, di fare l'abbonamento a un escort per i prossimi dieci anni?» aggiungo rifilandogli un sorrisetto.

Nick aggrotta la fronte e mi fissa in silenzio.
«Io parlavo di trovare una persona, innamorarmi e sposarla.»
Una smorfia disgustata mi si dipinge in viso.
«Che schifo» commento solo e giro i tacchi, pronta per lasciarmelo alle spalle e tornare al mio lavoro. Ho già perso troppo tempo per colpa sua.

«Ah, Veronica!»
Merda. Chiudo gli occhi e ispiro con forza.
Mi giro e lo vedo avvicinarsi a me e tendermi una mano, il palmo aperto in attesa di qualcosa.
Lo guardo, guardo la sua mano e guardo di nuovo lui.
«Che cosa vuoi?» chiedo quindi non capendo e mi porto le braccia conserte.
«La tua carta d'identità falsa.»

Per poco non scoppio a ridere.
«Prego?»
Lui annuisce.
«Ora sono un poliziotto, quindi voglio farti un favore e non trascinarti in tribunale con l'accusa di crimini federali di contraffazione di documenti.»
Spiega con aria seria.
«Vuoi farmi... un favore?» ripeto accigliata e mi scappa un cenno di risata.
«O mi dai la carta d'identità oppure sarò costretto ad arrestati.»

Ma come diavolo si permette di venire qui, nel mio posto di lavoro, dopo tutto questo tempo e rompermi il cazzo?
Serro i denti per il nervoso che mi sale di punto in bianco.
A braccia conserte, il mento alto, mi avvicino a lui tanto quanto basta per averlo a un soffio dal viso.

«Arrestami.»

***

Angolo autrice
*Tanti colpi di tosse* per il resto pare finalmente che Ronnie abbia completato il suo percorso psicologico e si sia ripresa in mano la vita da sola. Eppure, nonostante tutto, si vede lontano un miglio che è cambiata. Non so, è diventata più sicura di sé? Più spavalda forse oppure arrogante.
Da notare inoltre la sua risposta alle parole di Nick sull'amore e il matrimonio.
Chiaramente ora Ronnie vuole tutto tranne l'amore.
Ha inoltre cambiato lo sfondo del suo cellulare. Forse finalmente è passata oltre.


Intanto Tom Ellis come Ethan:





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