3 | Momento di smarrimento

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CAPITOLO 3
Momento di smarrimento

«Arrestami» ripeto sfidandolo senza battere ciglio, gli occhi iniettati in quelli suoi che mi fissano stupiti. «Avanti» aggiungo e sollevo gli angoli della bocca in un sorriso glaciale.
«Non vorrei doverlo fare.»
«Fallo, invece» ribatto, priva del minimo fremito di paura. Attendo che si dia una mossa, che lo faccia, che mi arresti cosicché io possa finalmente fargli capire chi è che ha davanti a sé.

Probabilmente si sarà fatto una errata impressione dopo quel mattino nel suo appartamento, dove io mi sono svegliata in un posto che non conoscevo affatto, stordita e confusa, in imbarazzo di colpo quando l'ho visto senza niente addosso.
È stato solo inaspettato, ma lui non ha niente di speciale oltre quella sua strana eterocromia.
Io non sono la piccola e timida ragazza indifesa che si è costruito nella sua mente maschilista forgiata dai Marines, dove le donne sono da aiutare, da salvare.

«Fallo.»
Nick mi guarda a lungo, incerto, dubbioso, sembra che non fosse questa la reazione che si aspettava. Alla fine cede e porta una mano alla schiena, probabilmente per prendere le manette.
Lo interrompo.

«Ma prima potresti darmi un secondo? Vado a prendere la mia borsa che sta proprio lì - indico con un cenno di testa il bancone del bar - così ti evito il disturbo di chiederla al mio collega» torno su di lui mentre il mio cuore batte all'impazzata per il nervoso che mi sta bruciando le guance.
Non vedendolo fare alcuna mossa, mi allontano sotto il suo sguardo da sbirro.

Raggiungo Ethan, mi sporgo verso il bancone e non appena lo vedo, il barattolo che lui usa per i suoi sandwich fatti al volo aggiungendoci anche della marmellata ai frutti di bosco, infilo due dita dentro, raccolgo della crema e me la ficco in bocca con lui che si ferma di scatto dal preparare un cocktail e mi manda un'occhiata stranita.
In tutta risposta gli alzo gli angoli della bocca nel modo più innocente possibile.

Mi giro verso Nicholas Stronzo Reed e torno da lui che corruccia le sopracciglia quando non vede alcuna borsa.

Si è scelto decisamente la persona meno paziente da infastidire al momento.

Mi alzo sulle punte dei piedi, gli afferro il viso e lo tiro verso di me, poggiando di getto le mie labbra sulle sue, incurante delle persone, di Ethan che di sicuro si sarà strozzato con la sua stessa saliva o del campanello che suona avvisando un nuovo cliente appena entrato nel Pink Ocean.

Gli schiudo la bocca e gli infilo la lingua dentro con prepotenza, la qualche incontra la sua. Lo bacio una, due, tre volte tanto da togliergli il respiro a tratti e gli mordo un labbro prima di staccarmi. Lo trovo con un'espressione sbigottita in faccia, perciò gli rivolgo un sorriso beffardo, alzo un indice, raccolgo il burro di arachidi dall'angolo della bocca e lo lecco sotto il suo sguardo, sotto le labbra lucide e lievemente gonfie, il labbro imbrattato di qualche piccola goccia di sangue che lui asciuga con un dito. Lo fissa e poi fissa me.

«Se la memoria non mi inganna, avevi detto che giri sempre con una dose di adrenalina. Vero? Ce l'hai nei jeans? Non credo proprio, quindi o sta nell'auto di servizio o nel tuo appartamento...»

Non appena realizza quello è successo, sbarra gli occhi.

«Dovresti correre adesso» gli consiglio. «O se preferisci... arrestami pure. Non ho mai visto qualcuno schiattare per del burro di arachidi...» faccio una pausa, abbasso lo sguardo sulla sua giacca che afferro per i lembi. Alzo il viso e inclino di poco la testa.
«Che succede esattamente? Ti viene a mancare il respiro oppure hai qualche strano attacco epilettico?» chiedo curiosa.
«Non dovresti mai dire a qualcuno i tuoi punti deboli, Nicholas. Ma tu parli troppo, sei così sincero perché la verità è importante... ma quando racconti troppe cose, le persone possono usarle contro di te» concludo in tono canzonatorio, gli sorrido e gli rubo un altro bacio solo per il gusto di abbassare quella sua fastidiosa arroganza, sia da militare che da poliziotto, e mi allontano con un lieve retrogusto metallico di sangue che mi pizzica le papille gustative.

Nicholas Mezzo Morto Reed non replica, lascia perdere la mia carta d'identità, il mio arresto e gira semplicemente i tacchi. Diretto spedito all'uscita, con una calma apparente come se non stesse per crepare battuto dal burro di arachidi e non da un terrorista.
Che imbecille.

Mi giro verso Ethan che, con il kit in alluminio per fare i cocktail, mi fissa ad occhi spalancati, un sorriso incredulo sulle labbra. Mi avvicino a lui rapidamente che non appena gli sono vicino scoppia a ridere.

«Ma che diavolo ho appena visto?» sbatte le palpebre cercando di riprendersi.
Alzo le spalle.
«La conseguenza di avere l'allergia alle arachidi» rispondo.
«Cosa?»
Annuisco. «Così impara a venire qui e infastidirmi» dico, faccio il giro del bancone, mi tolgo frettolosamente il grembiule sotto i suoi occhi che mi analizzano confusi e afferro la mia borsa a tracolla posta in un angolo accanto la parete.
«Ma dove vai?» mi chiede girandosi a destra, quando gli passo dietro le spalle, diretta verso la porta sul retro che dà nel piccolo piazzale privato dove ci sono i cassonetti dell'immondizia.
Torno da lui, mi alzo sulle punte dei piedi e gli chiocco un bacio sulla guancia.

«Scappo dalla polizia. Tu coprimi finché non risolvo. Ti voglio bene e grazie!» esclamo quando sono ormai lontana.
«Dovresti scappare più spesso dalla polizia se questo vuol dire che mi dimostri affetto!» mi dice dietro abbandonando per poco l'angolo bar.
In tutta risposta gli alzo un dito medio che lo fa sghignazzare e tornare al suo lavoro.

Spingo la porta, esco fuori e la richiudo per poi mi allontano. Vado verso l'angolo dello spigolo dell'edificio sbirciando in fondo a destra, dove si trova la strada.
Non sono sicura se l'adrenalina non ce l'avesse in auto e anche se così non fosse, lui abita vicino per cui meglio dileguarmi prima che torni e provi di nuovo ad arrestarmi, parole sue.

La macchina della polizia la vedo parcheggiata lungo il marciapiede. Riduco gli occhi in due fessure e rimango stranita nel non vedere nessuno dentro.
Ma dov'è finit-

Delle mani mi afferrano da dietro e mi sbattono improvvisamente di spalle contro il muro.
Cazzo.
Alzo il viso. Un un paio di occhi azzurri, macchie marroni in quello sinistro. L'espressione che ha in viso è tremendamente dura e seria. Abbasso le pupille sulle sue mani sulle mie braccia che mi tengono ferma, la gamba che blocca le mie ed evitargli un calcio nelle palle.

«Ora ti arresto» sibila a un soffio dal mio viso. Mi guardo in giro e ritorno con gli occhi su di lui, gli sorrido incurante.
«Va bene» dico e per l'ennesima volta leggo confusione sul suo viso. Aggrotta la fronte.
«Arrestami» lo invito alzando le sopracciglia ma lui non si muove.
«Ha fatto male?» chiedo d'un tratto. Nicholas sembra non capire.
«Quando ti sei iniettato l'adrenalina.»
«Hai assalito un pubblico ufficiale» replica però lui.
Rido di conseguenza.
«Davvero?» inclino la testa guardandolo. «Io non ricordo che siano andate così le cose, ma piuttosto che ti ho baciato e anche molto bene... - aggrotto le sopracciglia con finta aria pensierosa - anzi, credo proprio che hai ricambiato. Il sapore di burro di arachidi com'è? Ti piace? Suppongo tu non l'abbia potuto sperimentato molte volte.»

«Stanotte la passi dietro le sbarre, lo comprendi questo?»
«Mi vuoi arrestare sì o no?» domando a mia volta.
Nicholas non se lo fa ripetere un'altra volta, tira fuori le manette e ne approfitto della sua disattenzione per prendergli il braccio, girarglielo, scivolare di sotto. Con un movimento lo giro verso di me, gli faccio lo sgambetto e perde l'equilibrio, finendo a terra e io sopra di lui a cavalcioni.
La mano si muove rapida, afferra le manette, una si incastra al suo polso, l'altra la sbatto rapidamente contro il tubo di acciaio del cancello in rete di ferro.

Lui, completamente disorientato, fissa la sua mano ammanettata e poi me.

«Ciao, Nicholas» lo saluto. «Ora che ti ho ammanettato in un modo molto inaspettato quanto erotico, posso farti vedere in che modo ti posso rubare la pistola e spaccarti la faccia?» sbatto teatralmente le ciglia.
«Ti ho mai detto che so il combattimento corpo a corpo?» chiedo divertita. «No?» alzo le sopracciglia.

Lui in tutta risposta tira con forza il polso ammanettato senza però risolvere un bel niente.

«Dovresti prendere esempio da me, Nicholas. Il nemico bisogna prenderlo di sprovvista, senza che se lo aspetti minimamente. Non te l'hanno insegnato in Afghanistan? O tutto quello che sai è impugnare un M4?» lo prendo in giro mentre ficco le mani nelle tasche dei suoi jeans alla ricerca di qualcosa, lui prova a fermarmi ma ormai è troppo tardi.

Con le chiavi delle manette mi tiro in piedi, lui fa lo stesso e prova a strapparmele, ma mi scosto subito e viene bloccato dal tubo che lo tiene vicino ad esso.
«Non è divertente» dice serio.

Sbatto le ciglia e rido mentre lancio le chiavi in aria e ci gioco un po' passandole da mano a mano.
«Per me sì» mi fermo e lo guardo.
«Slegami subito» ordina a denti stretti.
Fingo di pensarci e poi caccio un sospiro.
«Sì, dai... forse è stato un pochino esagerato...» mi avvicino al tubo, ma mi fermo d'un tratto. Faccio una smorfia. «O forse no...» dico guardandolo di striscio con un sorrisetto diabolico in faccia.
Nicholas spalanca gli occhi.

«Nah...» alzo una mano con noncuranza e mi siedo sul cemento a gambe incrociate sotto il suo sguardo che mi analizza sbigottito.
«Slegami subito» ripete iniziando a innervosirsi e prova più volte con degli strattoni a smuovere il tubo ma la vedo abbastanza difficile dal momento che la base è stata cementificata.
«Se non mi sleghi-»
«Che fai? Chiami un tuo collega e ti fai venire a salvare come una principessa?» ridacchio ridendo.
Lui tira un profondo respiro.
«Slegami.»
«No» dico scuotendo la testa. Tiro fuori dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette, ne ficco una in bocca e la accendo in tutta tranquillità.
«Slegami immediatamente» lo sento dire provando ancora e ancora a liberarsi da solo ma è inutile, tira forte il polso, strattona di nuova, ancora e ancora, sembra che la sua classica calma abbia finalmente fatto le valigie.
«Diventi sempre così irascibile quando perdi il controllo della situazione?» chiedo. Lui si ferma di scatto e mi guarda male.

«Io sono stato gentile con te, mi pare. Potresti ricambiare e darmi le chiavi?» protende una mano verso di me.
Alzo un sopracciglio.
«Oh... tu vivi secondo il grande codice del lavoro di squadra. Se tu aiuti un tuo compagno, lui aiuterà te» gesticolo con la sigaretta tra le dita. «Ma io non faccio parte della tua squadra.»
Alzo gli angoli della bocca quando più falsamente possibile.
Nicholas annuisce, serra la mascella e mi guarda in silenzio per alcuni istanti.
«Stavo solo facendo il mio lavoro. Un altro al mio posto ti avrebbe già trascinata alla stazione di polizia.»
Lo indico con la sigaretta.
«Ecco, qui ti sbagli» replico. Lui alza un sopracciglio.

«Perché stasera sei stato un bugiardo» poggio il gomito sul ginocchio piegato e il viso sul palmo.
«Ma di che parli?» sorride.

«Ogni distintivo ha una serie di numeri e i numeri dicono un paio di cose di chi lo indossa, ad esempio il proprio grado. Il tuo sai che dice?» domando e lui resta in silenzio.
«Che non sei un sergente. I sergenti possono andare in giro in borghese. Tu, invece, sei un agente e gli agenti del SFPD in servizio indossano l'uniforme ma tu no, questo vuol dire che non sei di turno e quindi sei un bugiardo. Perciò....» prendo una breve pausa con lui che mi fissa palesemente colto con le mani nel sacco.
«... ora mi dici perché volevi a tutti i costi la mia carta d'identità falsa. Potevi chiedere a un altro sbirro di venire, perquisirmi e poi sbattermi dentro, ma sei venuto tu e hai avuto il coraggio di continuare a fingere di potermi arrestare. Sono figlia di un poliziotto, Nicholas. La mia infanzia l'ho trascorsa circondata dai colleghi di papà e quando io andavo con mio padre alle convention di poliziotti, sceriffi e agenti della DEA, tu di sicuro eri un adolescente con gli ormoni a palla che trascorreva il suo tempo a rimorchiare le ragazze col suo grande fascino da cattivo ragazzo.»
Termino con aria soddisfatta. Lascio le chiavi delle manette per terra in modo tale che non gli venga in mente di afferrarmi in un qualche modo per rubarmele. Mi alzo in piedi, avvicinandomi a lui.

«Perché insistevi sull'avere la mia carta d'identità?» chiedo ancora, veramente curiosa. Cos'è che gli passa per quella sua testa da militare?

«Mi sleghi prima?» chiede con aria calma e alza il polso stretto dalla manetta.
«Rispondi.»
«Slegami.»
«Rispondi» ripeto per la milionesima volta. Lui fa per portarsi con enfasi le braccia al petto ma viene bloccato dal polso destro attaccato al tubo che gli rovina il momento.

«Perché volevo semplicemente farti un favore.»
Alzo le sopracciglia.
«E quale sarebbe questo favore? Tu non sei nessuno e non puoi presentarti sul mio posto di lavoro, a fare lo stronzo con la tua superbia militare del cazzo» gli sibilo chiaro e tondo così che gli si ficchi bene in testa.

«Io non sono superbo» controbatte e poi riapre bocca. «Al distretto c'è stato un blitz, hanno beccato un paio di casse di armi in un seminterrato, oltre a queste c'era un certo Reno che si occupa di documenti falsi. Forse non hai pagato abbastanza il servizio, perché lui si è tenuto una lista di ciascun acquirente magari per ricattarli nel caso si fosse trovato in difficoltà economica. Alcuni nomi sono illeggibili, altri invece ci sono e c'è anche il tuo.»

Ma che...
Rabbrividisco di colpo e tutta l'aria divertita mi scompare, si disintegra in un battito di ciglia.
Nicholas mi guarda in silenzio.

«Verrò arrestata?» chiedo di getto col cuore che inizia a battere talmente tanto forte che mi sento mancare il respiro.
Oh, cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
Per tutta la mia adolescenza c'è stato mio padre a proteggermi, coprire le stronzate che combinavo in giro, ma questa volta lui non c'è, è letteralmente in un altro Stato, con la sua nuova famiglia mentre io...
Indietreggio a passi lenti e alzo una mano tra i capelli. Con gli occhi spalancati e un brivido di terrore che mi attraversa le viscere, fino a scuotermi fin dentro le ossa, mi giro verso la strada improvvisamente paranoica che qualche auto a luci rosse e blu si possa fermare, scendere dei poliziotti e sbattermi in galera.
Merda, questa volta l'ho combinata grossa e per cosa? Per poter comprare qualche bottiglia di alcol da un negozio di merda che pare prossimo ad essere rapinato con cinque dollari in cassa?

«Oh... cazzo» mormoro. «Quel gran figlio di puttana...» aggiungo riferendomi al ragazzino tutto nerd con i brufoli che pareva uno scolaretto che voleva farsi due spiccioli facendo qualche foto, stampando una carta d'identità e spacciandola per vera.
«Merda, che cazzo faccio adesso? Scappo? Cioè...» mi volto di scatto verso Nicholas ora appoggiato di spalle alla parete.
«Sì. Fanculo. Scappo. E dove cazzo scappo?» ci penso rapidamente su. «Messico. Scappo in Messico. Tu che dici? Sì, scappo in Messico tanto non ho niente che mi tenga legata qui. Scappo in Messico!» schiocco le dita e rido con nervosismo pensando già alla mia vita di perenne fuggitiva con alle calcagna l'Interpol.

«Ho cancellato il tuo nome.»
Lo guardo di getto.
«Cosa?»
Lui annuisce.
«Ho preso una penna e l'ho cancellato.»
«Hai manomesso una prova?» chiedo incredula. Lui alza le spalle come se niente fosse.
«Ma è meglio se ti disfi di quella carta, magari c'è una copia digitale da qualche parte, quindi se dovessero perquisirti meglio che non te la trovino addosso altrimenti non farai in tempo a scappare in Messico» tira su gli angoli della bocca per un istante e alza il polso ammanettato. «Ora mi sleghi?» mi fa di colpo serio.

Raccolgo le chiavi da terra e gliele lancio, lui le afferra al volo con la mano sinistra. Senza aggiungere altro, le infila, slaccia entrambe le manette e le ripone al loro posto alla cintura dei jeans, sotto la giacca. Poi mi guarda.
«Mi hai avvelenato» fa d'un tratto venendo in mia direzione. Un cipiglio suo viso.
«Come?»
Si ferma a un metro dal mio corpo.
«Tu sei completamente fuori di testa. Se avessi saputo che avresti provato ad ammazzarmi, non ti avrei mai salvato il culo.»
«E perché l'hai fatto?»
Lui ispira profondamente.
«Perché tutti possono avere un momento di smarrimento e lasciarsi andare, ma ciò non significa che questa piccola fase debba distruggere un intero futuro.»

Non voglio ammetterlo ma le sue parole mi lasciano una sorta di mutismo a cui per la prima volta non so come ribattere.

«Non spezzarla e non buttarla da nessuna parte. Bruciala» consiglia improvvisamente riferendosi alla carta d'identità.
Mi guarda un'ultima volta, si tocca con la lingua il labbro inferiore che gli ho morso e poi senza aggiungere altro gira le spalle, andando via.

***

Angolo autrice

Ordunque...
Molto intenso. Comunque nel capitolo successivo vi aspettano tante belle cose.
Vi faccio solo uno spoiler: un personaggio torna 👀

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