30 | Otto centesimi

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CAPITOLO 30
Otto centesimi

Il contachilometri digitale, illuminato di bianco e rosso, segna il numero centoventi. La mano preme ancora di più sull'acceleratore tirandolo all'indietro. La Kawasaki ruggisce contro il vento che sta sferzando e i centoventi diventano centotrenta. Faccio slalom tra le varie macchine, le sorpasso quasi sfiorandole a tratti tanto mi pulsa il cuore nel petto con violenta, martellandomi la gabbia toracica.

La Pacific Ave a due corsie per senso di marcia fortunatamente è diritta senza troppi sbocchi se non per zone residenziali, solo a poco più di cinquecento metri in avanti c'è la svolta a destra da percorrere per girare intorno alla costa e rientrare in entroterra, nella zona più urbana e caotica di San Francisco.

Accelero ancora e finalmente lo scorgo.

Il mio respiro si fa più pesante.
Ethan non c'è, l'ho mollato alle spalle e di sicuro starà cercando di contattarmi perché sento il telefono vibrare nella tasca, ma non posso rispondere, non ora.
Accelero ancora sfidando le mie stesse capacità di guida su un affare del genere, probabilmente sfidando la mia stessa fortuna e sorte dal momento che per oggi ho solo fatto l'autostrada da Santa Barbara fino alla stazione di servizio. Il cuore mi batte a mille, l'adrenalina scorre nelle mie vene come fuoco, accende il mio petto come brace.
Le pupille ipnotizzate alla strada, lo sguardo fisso, il baricentro ben equilibrato in sella alla Kawasaki, avanzo ancora qualche metro e gli passo affianco a tutta velocità e quando succede il respiro mi si mozza per un solo secondo. Quando gli passo affianco è come se una scarica elettrica mi avesse attraversato ogni fibra, ogni molecola del corpo. Brividi mi dalla testa fino alla punta della piedi, è questo che sento. Rallento, scalo rapidamente e gli finisco di lato.

Lui volta il casco leggermente in mia direzione e la consapevolezza che sappia chi ha affianco è pericolosamente agghiacciante, come una scottatura da freddo.
Non appena noto una macchina in avanti, rallento, mi sposto dietro di lui che si volta frettolosamente per controllarmi e gli finiscono alla sua sinistra. Quando mi scorge, punta lo sguardo da me alla strada davanti a sé e d'improvviso rallenta.
Aggrotto la fronte e guardo attraverso lo specchietto retrovisore destro. Lo vedo scendere di qualche marcia, rimanere ancora di più indietro, poi spostarsi sulla corsia accanto e infine accelerare di getto immettendosi su quella di emergenza e fuggendo dalla mia vista.

Sento una fitta.
Una potente.
Una che mi taglia il fiato.
La sento diritto nel cuore e fa un male che... non pensavo avrei mai più sperimentato.

È scappato via da me.
Cazzo, ma che mi aspettavo? Che volevo che succedesse invece?
Dal modo in cui mi ha parlato qualche minuto fa era più che palese che non voleva più averci a che fare nulla con me.
Che diavolo pensavo? Che sarebbe successo come tutte le altre volte, ovvero noi due che ci incontriamo e io che non riesco a staccargli gli occhi di dosso? Due chiacchiere e un ennesimo e ridondante addio?

Una angoscia talmente feroce mi obbliga a scendere sotto gli ottanta chilometri orari e accostare in una piazzola di sosta lungo la carreggiata.
Ho bisogno di un momento.

Ho bisogno solo di rimettere in sesto il mio battito accelerato e far smettere le mani che mi tremano e che mi servono.
Mi servono per guidare, maledizione.
Mi servono per andare avanti, fare inversione e tornare da dove sono venuta, tornare a casa mia dove adesso dovrei essere in marcia insieme ad Ethan e invece sono qui, a rincorrere una parte del mio passato perché qualcosa non va in me e non riesco a lasciarla andare.

Perché diavolo non ce la faccio?

La mia testa lo vuole, ma il mio cuore non riesce a lasciar andare lui nonostante io l'abbia fatto tremila volte cercando di convincere me stessa da sola che ci sia riuscita.

Mi tolgo il casco, lo appoggio sulla moto e prendo posto sul muretto che separa l'area di sosta dall'erba adiacente. Tiro fuori il pacchetto di sigarette, ne ficco una in bocca una e la accendo.
Tiro un profondo fumo per poi cacciarlo via dal naso, e guardo le dita della mano che regge la sigaretta. Mi tremano fottutamente tanto che ci poggio sopra l'altra mano per farle smettere.

Forse le scuse implicite sono finalmente terminate come le occasioni. È troppo tardi per fare qualunque cosa. Risentire la sua voce che mi parla, rivedere il suo sorriso, inebriarmi della sua risata e delle sue battute per poi annegare nei suoi occhi così scuri da far vacillare ogni mio centimetro di carne.
Tutto questo è finito. Lo sento, è tangibile, concreto ed è così prepotente da farmi sentire con un vuoto che si allarga, si proponga nel mio petto fino a farmi provare un male devastante.

Ora che è lui a non volere me e ora finalmente realizzo quanto le nostre strade ormai si siano talmente allontanate da viaggiare nemmeno più in linea parallela su binari separati. Ora viaggiano in due direzioni completamente opposte.

Tiro un altro fumo, butto la sigaretta per terra, la spengo e risalgo alla guida, e accelero. La mano spinge sull'acceleratore tirandolo all'indietro al massimo e la moto sferza l'aria davanti a me con non so nemmeno quanti chilometri orari, non li sto più controllando, i miei occhi sono puntati solo sulla strada, sulle macchine tra cui mi infilo, che sorpasso, che mi lascio indietro. Con i denti serrati al massimo e il mio cuore messo a riposo per stasera, svolto a destra e invece che fare inversione, mi infilo su una strada e parcheggio vicino a un locale dove ci sono tante altre moto, tutte prevalentemente modelli della Harley Davidson.

Tolgo il casco, lo appoggio sul manubrio e scendo dirigendomi all'interno, dove, non appena entro in quello che sembra un Lounge bar in legno massello, musica anni '80 messa in sottofondo e alcuni tavoli occupati, mi dirigo verso la barwoman.

«Una bottiglietta d'acqua fredda» dico appoggiandomi al bancone. Lei annuisce e me la passa. Mi siedo su uno sgabello, la stappo e nel mentre ne bevo un sorso cerco nella tasca dei pantaloni il cellulare con le banconote che ho sempre infilate nella cover. Lo tiro e provo a mettere cinque dollari sul bancone quando una mano lo fa al mio posto.

Aggrotto la fronte e mi volto staccando la bottiglia dalla bocca, rifilando così un'occhiata di traverso a chiunque stia cercando di rompermi le palle stasera. Non sono per niente in vena di nessun becero scambio di parole, perciò meglio che prenda e se ne vada al diavolo.

I miei occhi finiscono in quelli verdi di un ragazzo che non riescono minimamente. Alto, corporatura slanciata, mascella leggermente pronunciata, capelli marroni e un po' ondulati e faccia di chi crede che gli uomini debbano per forza offrire da bere alle donne perché un altro tipo di escamotage per portarsele a letto non c'è.

«Che credi di fare?» chiedo di getto in tono piatto. Poggio un dito sulla sua banconota, la sposto lontano e al suo posto poggio la mia, sotto gli occhi della barwoman che ci fissa in silenzio.

Lui, invece, sorride.
«Volevo solo essere gentile» replica con una voce tanto profonda quanto rincoglionita dall'alcol. Non pare ubriaco, ma brillo lo è eccome.
Avvicino il mio viso al suo.
«Prendi la tua gentilezza e sparisci» sibilo inviperita a bestia tranciandolo di netto con lo sguardo. Lui, invece, resta palesemente stupito. Non era questa la reazione che si aspettava.
«Siamo nervosette stasera, eh? Che ne dici se ti offro qualcosa che non sia dell'acqua?» sorride e si gira verso la ragazza dietro al bancone. «Due whisky» ordina con un gesto di mano e poggia il gomito sul bancone mollandomi un sorrisetto beffardo che mi fa tornare improvvisamente la nausea per via delle crepes alla Nutella che credevo di aver completamente sconfitto e invece me la tornare un tizio alto uno e settantacinque e le sue tecniche da rimorchio di cui stasera ne faccio volentieri a meno.

Nel mio quartiere, a solo pochi metri tra casa mia, ho già il poliziotto che mi porto a letto quando mi pare e piace, perciò non ho bisogno di qualcun altro. Nicholas è sufficiente.
Improvvisamente aggrotto la fronte.
Nicholas.
È sabato sera. Chissà che starà facendo... Probabilmente sarà a casa sua o magari in compagnia di quel suo amico sbirro, Tyler se non sbaglio.
Potrei andare da lui, farmi preparare qualcosa di buono, combinare qualcosa di indecente nel suo letto e invece sono qui a non so nemmeno io che cazzo fare. Diamine... sto perdendo il controllo.

«Nate» dice d'improvviso il tizio accanto a me svegliandomi di colpo e mi allunga una mano che guardo per poi sollevare gli occhi su di lui senza smuovermi di un centimetro.
«Non sei di molte parole» osserva divertito e si volta verso il suo bicchiere di whisky, la mia coda dell'occhio invece scivola suo mio che fisso, deglutisco ma non tocco minimamente.

«Ho visto dalla finestra che sei qui in moto. Mi piacciono le ragazze che vanno in moto» continua a blaterare mentre io sbatto lentamente le ciglia guardandolo.
«Hai finito?» gli chiedo e torno con i gomiti sul bancone, sblocco il cellulare e do un'occhiata ai messaggi di Ethan che mi scrive "Torna subito qui e non fare cazzate stasera. Ti prego."

Non ne farò.
Voglio solo liberare un po' la testa dai vari pensieri per poi rimettermi alla guida senza lasciarmi trascinare dalla mia rabbia e dal mio rancore, e accelerare tanto da perdere il controllo e ammazzarmi in strada. Non sono così stupida.
Digito "Torno." E lo invio.
Ethan lo visualizza subito.

«Non lo bevi?»
Chiudo per un istante le palpebre e ispiro profondamente a denti stretti.
Ma è ancora qui?
Mi volto, gli pianto le pupille addosso e inclino di poco la testa.
«No.»
«Perché sei alla guida? Se vuoi ti riaccompagno io a casa.»

Inevitabilmente scoppio in una breve risata. «Preferisco schiantarmi contro un palo della luce e farci un graffitti col mio sangue» replico sorridente e con un dito trascino il mio bicchiere lontano, in sua direzione.
«Sei una tosta, eh?» ridacchia ridendo lievemente.
«Sono una con le palle girate perciò levati di torno» replico e non faccio in tempo a finire che una voce mi distrae l'attenzione.

«Ho detto che è finita! Mi devi lasciare in pace!»
Mi volto come di conseguenza e a uno dei tavoli infondo al locale, dietro al separé in legno e piante verdi, c'è una ragazza bionda, davanti a lei un tizio il doppio di lei. Muscoli, testa rasata, cannoniera nera, sopra il giacchetto di pelle senza maniche col logo sulle spalle di qualche banda, e un tatuaggio sul braccio, una rosa avvolta dalle spine e una carta da poker che... È così ridicolo da far ridere.

«Devi smetterla! Smettila di telefonarmi, smettila di mandarmi messaggi e smettila di dare fastidio ai miei amici!» urla infuriata a mille mentre gesticola con fare nervoso contro di lui, per poi mollargli uno spintono che non lo muove di un solo millimetro.

«I tuoi amici?! O forse è quel pezzo di merda che ti ficca in testa cose, una dietro all'altra?! Ti scopi lui, eh?! È questo? Ma certo che è questo! Guardati — la indica con le mani — ti vesti come una puttana!»

Una sberla.

Lo schiocco risuona a tutto volume nell'aria e questa volta il suo viso si gira dall'altra parte. Lei, con gli occhi ricolmi di lacrime lo fissa con un fare tanto terrorizzato che mi lascia stranita, e si porta le mani alla bocca indietreggiando di qualche passo. Lui, invece, le pianta gli occhi addosso e serra la mascella.
«Sei una solo una troia come tutte» la afferra per il polso e la schianta di fondoschiena contro il tavolo che le sta dietro e lei sbarra di conseguenza gli occhi.
I motociclisti seduti ai vari tavoli, con tanto di giacche di pelle, bandane e facce adulte che si bevono le loro birre in santa pace, non ci fanno caso così come nemmeno la barwoman davanti a me.

Ma che cazzo...

«Ehi!» apro bocca attirando la sua attenzione e spezzando questo strano momento. Scendo dallo sgabello, lasciandomi Nate alle spalle, e mi indirizzo verso il tipo che pare appartenere ai motociclisti qui intorno. Lui si volta col polso della ragazza ancora tra le dita e mi punta gli occhi addosso.
«C'è qualche problema?» chiedo con aria calma e do un'occhiata alla ragazza che, con le lacrime che scendono silenziose sul suo viso mi fa segno di no con la testa e trasalisce copiosamente quando lui molla il suo polso di getto spingendola via tanto che cade di mani sul tavolo dietro di sé.
Il suo presunto ragazzo si gira completamente in mia direzione e mi lancia un sorrisetto gelido.

«Ti sei persa, tesoro?» ridacchia.
Do un'occhiata in giro e noto molti guardarmi, inclusa la barwoman, poi torno con gli occhi su di lui.
Il rumore di una porta mi fa girare leggermente il viso e resto di stucco per alcuni istanti.
Logan esce da quello che dovrebbe essere un bagno, si blocca, mi guarda e io mi domando che diavolo sta succedendo con la mia vita. Come ho fatto a non notare la sua moto parcheggiata qui fuori?
Ah, sì, probabilmente perché ce ne sono sedicimila.

Poi mi ricordo improvvisamente del tizio che ho davanti e il mio batticuore si mette in pausa. Torno con gli occhi su di lui.
«Ti ha detto di smetterla» gli faccio ben notare indicandogli la bionda che di colpo sbianca. «Hai per caso qualche problema all'udito?» chiedo per niente intimidita dal suo sguardo glaciale di merda. «È un effetto collaterale del tenere sempre il culo attaccato sopra un motore a scoppio oppure sei semplicemente mezzo coglione?»

Lui, in tutta risposta, resta di stucco per poi ridere come se avessi detto la cosa più esilarante dell'universo.
«Guarda che non era una battuta, ma una vera domanda. Il tuo cervello riesce ad elaborare una domanda talmente semplice? O forse ti serve un altro tatuaggio con un inchiostro radioattivo fatto in prigione come quello — glielo indico con un cenno di testa — per mettere in moto i neuroni?» chiedo beccandomi un'occhiata quasi incredula da parte sua che lascia perdere la bionda e si avvicina a me col passo pesante e si ferma di botto.

Mi ritrovo quindi davanti al suo petto, alzo il mento e lo guardo un viso senza battere ciglio. Lo fisso in silenzio, imitandolo per diversi secondi finché le mie ovaie non ne hanno a sufficienza.
«È... una mossa da supercattivo?» alzo le sopracciglia incerta. «Ora stai cercando le parole giuste per provare a mettermi paura?» aggrotto la fronte.

Lui sorride. «Tu in questo preciso istante stai giocando col fuoco.»
Lo guardo per diversi istanti, riduco le labbra in una linea diritta e poi non riuscendo più a trattenermi scoppio a ridere tanto che indietreggio di qualche passo e mi porto la mano alla bocca per darmi un contegno.
«Scusa, scusa... davvero, mi dispiace veramente, io... io so che è veramente maleducato ma...» gesticolo ridendo e cerco di fare dei profondi respiri sotto il suo sguardo attonito.
«Mi dispiace, davvero... ora ti starai domandando tipo "Non sono stato abbastanza cazzuto? Il mio charme da evaso da un gulag in Russia non ha più effetto? Avrò perso tre grammi di testosterone? Non sono più abbastanza primate corazzato di livello cento? Mia madre ha trovato le Barbie con cui gioco di nascosto nella mia cameretta alle tre di notte?"» scimmiotto poggiando le mani sui fianchi e caccio un'altra risata con colpo di tosse. Ho male alla pancia. Tiro un forte sospiro e lo guardo.

«Sei fortunata ad essere una ragazzina, lo sai?» mi fa d'un tratto.
«Ah, davvero?» chiedo falsamente stupita
Lui annuisce e fa un altro passo avanti.
«Perché? Altrimenti che avresti fatto?» alzo un sopracciglio sul serio curiosa.
«Ti avrei spaccato quella tua faccia da smorfiosa del cazzo.»

Annuisco a mia volta.
«Quindi non tocchi le altre ragazze, ma la tua fidanzata sì, invece? Seguendo il filo di questo ragionamento, questo è un comportamento abbastanza incoerente. Ci hai fatto caso?» osservo. «Oh! No, no, è vero. Sei così fatto di gas di scarico che ormai metà del tuo cervello è andato. Magari se ti impegni puoi usare l'altra metà rimanente» consiglio.

Lui in tutta risposta fa un altro passo quindi in automatico sollevo gli occhi.
«Sai chi sono io?»

Perché ho come un déjà vu?
Kieran O'Brien, fratellastro di Nicholas.

Sì, lui e la sua faccia da schiaffi da multi miliardario figlio di papà.

Mi giro per un istante e indico i tizi seduti alle sue spalle. «La puttana di quelli là?» chiedo con fare ovvio.
La mia risposta lo lascia a dir poco spiazzato. Sorrido istintivamente.

Non so quand'è che succede, ma capita tutto in un battito di ciglia.
La sua mano mi afferra per la gola, stacca i miei piedi dal pavimento e mi sbatte con forza di spalle sul tavolo accanto.

Cazzo.

Il fiato mi si spezza per qualche istante.
Afferro il suo polso, alzo una gamba e piego il ginocchio per poi sferrargli un colpo in faccia che lo fa indietreggiare preso di sprovvista. Afferro la birra accanto alla mia testa e gliela sferro contro la testa quando fa per tornare da me. Rotolo sul tavolo, finisco sul pavimento e sbatto contro di esso.
Cazzo.

Mi sento afferrata per una caviglia e tirata, poi con le mani mi afferra per il colletto e mi tira su con uno strattone mollandomi una testata che mi stordisce e mi lancia sul tavolo, dove scivolo e cado dall'altra parte.
«Cazzo...» bofonchio alzando il viso dal pavimento. Sangue.

Sbatto le ciglia con forza cercando di riprendermi e aggrotto la fronte al sangue che mi gocciola dal naso e finisce sul pavimento in legno.

Non mi era mai successo... credo di aver perso dei colpi.

O forse sono semplicemente le tonnellate di zuccheri della Nutella nelle crepes che mi sta rincoglionendo il cervello.
Il rumore di alcune moto che si fermano fuori dal locale mi danno il tempo per riprendere un po' la lucidità.
Pianto i gomiti nel pavimento e tiro il viso più alto. I miei occhi finiscono su un paio di Vans nere a meno di una decina di passi.
Mi tiro a fatica di più su e trovo Logan, appoggiato al muro dov'è la porta del bagno, braccia conserte che mi fissa.

«Non me la dai una mano d'aiuto?» chiedo sbattendo le ciglia per mettere a fuoco perché la sua immagine continua a traballare di tanto in tanto.
Lui solleva le sopracciglia, con fare confuso. «E perché?»
«Sono un po' in difficoltà» rispondo.
«Non è un mio problema.»
«Sono una ragazza in difficoltà» ritento ricordandogli il suo motto esistenziale "le donne della mia vita" e "sono un femminista".
«Hai lo spray al peperoncino?»
«No.»
«E allora non posso fare niente.»

Maledizione...

«Ti piace la mia moto?» chiedo d'improvviso. Cazzo, credo di aver un trauma cranico o qualcosa del genere. Sputo sul pavimento del sangue che cola dall'interno del mio labbro.
«È carina.»
Alzo un pollice in segno di gratitudine e mi tiro sulle ginocchia.
«Volevo chiederti... se avessi qualche consiglio da darmi nelle curve» dico sputando altro sangue e sbatto un altro po' le ciglia quando la vista mi si annebbia di colpo.
«Sicura che ora non ti serva un altro tipo di consiglio, come ad esempio... "come mi tiro fuori da questa situazione"?» ridacchia con un'occhiata indecifrabile.
Sorrido a labbra serrate.
«Mi lanci... mi lanci quella stecca da biliardo?» chiedo dal momento che si trova vicino al tavolo.
«Non ti serve un fazzoletto, piuttosto? Stai perdendo molto... molta...» indica il suo viso. «Roba rossa.»

La porta si apre, volto lo sguardo e altri motociclisti fanno la loro apparsa.
«O'Donnel quante volte ti ho detto di lasciare in pace mia figlia?!» sbraita un tizio sui cinquant'anni, barba e baffi grigi, bandana nera in testa e giacchetto da motociclista. Cazzo... sto iniziando sul serio a odiare le moto.

«Mi dai un fazzoletto?» torno con lo sguardo su Logan mentre nel locale inizia una sorta di discussione accesa, molti dei motociclisti al tavolo si alzano, quelli dietro alle spalle del vecchio che paiono un gruppo di pecore si imbruttiscono e io mi poggio di spalle contro il piede del tavolo alle mie spalle.
Logan sfila un pacchetto dalla tasca dei jeans e me lo lancia per terra.
«Sono ottanta centesimi.»

Strabuzzo gli occhi.
«Che?»
Lui annuisce.
«L'ho pagato ottanta centesimi.»
«E se ne uso solo uno?»
«Sono dieci fazzoletti. Ottanta diviso dieci, sono otto. Quindi otto centesimi.»
Lo guardo per un istante accigliata.
«Vuoi otto centesimi?»
Annuisce di nuovo.

Oh, cazzo... Avrei dovuto imboccare la destra e andare a casa a guardare la sesta stagione di Game of Thrones con Ethan.


***

Angolo autrice
E niente. Ronnie ma che cazz??
AHAHAH

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