47 | Le suore mi facevano paura

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CAPITOLO 47
Le suore mi facevano paura

So qualcosa a proposito della mia pazienza, ovvero che ultimamente ne rimane sempre di meno.
Dopo i due anni passati a riprendere in mano la mia vita e smettere di fare l'alcolizzata in giro per i sacchi dell'immondizia di San Francisco, ho dato un taglio alle stronzate, o forse più semplicemente se qualcosa mi infastidisce elimino il problema dalla radice senza cercare più di risolverlo.

Tra i miei problemi adesso c'è solo un nome.
No, stranamente non è Nicholas ma qualcuno che pensavo che riavere nella mia vita mi avrebbe resa felice e invece si sta consumando la mia sanità mentale. Voglio delle risposte, questo è chiaro. E una volta avute mi toglierò di mezzo, ma prima pretendo di sapere il motivo per cui ha deciso di ripiombare nella mia vita se non fa altro che creare disordini.

Sono al campus dell'università.
È strano ritornare qui. L'ultima volta è stato quando ho avuto la prima volta con Logan, andata veramente male, e da allora non ci ho rimesso più piede ma adesso sono qui e l'unica ragione per cui torno in un vecchio posto del mio passato è Logan Price o meglio il mio Cisco. Già, chi l'avrebbe detto che con me avrei portato anche un'ondata di puro rancore e rabbia?

Fra poco è orario di pranzo quindi mi avvio sul prato e raggiungo il bar del campus.
Entrarci mi crea uno strano effetto, stare qui sembra di essere in un posto che non mi appartiene più. Ma stranamente non sono nervosa.
Prendo un caffellatte, mi siedo a un tavolo e attendo la fine del corso di studi di Logan picchettando le dita sul tavolo mentre sorseggio il caffè e cerco di ammazzare il tempo tenendo la testa occupata col cellulare.

«Ronnie?»
Una voce.

Alzo lo sguardo e davanti agli occhi vedo... Kim.
I capelli tagliati cortissimi, il suo solito stile d'abbigliamento stravagante tutto colorato e al suo fianco Nathalie. Entrambe mi fissano incredule.

«Ciao» le saluto con un piccolo sorriso. La mia reazione sembra lasciarle impreparate, probabilmente si ricordano la mia versione ricolma che ha mandato tutti a fanculo quel lontano sabato sera al Pink Ocean. Come dimenticarselo...

«Come... aspetta, sei tornata? Sei... sei di nuovo qui? Cioè... studi di nuovo qui?»
Kim stranamente balbetta schiarendosi la voce più volte e vederla così è insolito. Lei era la ragazza alpha del gruppo, il capobranco. O perlomeno era questa l'idea che mi ero fatta giungendo qui dalla mia piccola e sconosciuta località del Texas.

«Oh... no, no!» rido scuotendo la testa. «Sono qui per una persona. Voi, invece? Come state?» chiedo gentilmente cercando di fare conversazione.
Nathalie, rimasta in silenzio per tutto il tempo, con i suoi lunghi capelli neri e ora le mesh verde, rigorosamente vestita all black, scatta d'improvviso verso di me e mi abbraccia così forte da togliermi il respiro.
Spalanco gli occhi all'inizio per poi sorridere e ricambiare, mollando un'occhiata divertita a Kim che ci fissa come se stesse ammirando la settima meraviglia del mondo.

«Ciao anche a te, Nath» la saluto con diverse pacche sulla spalla.
Lei si stacca e mi afferra il viso tra le mani mollandomi un bacio a schiocco talmente sonoro da perforarmi il timpano. Rido non potendo farne a meno, perciò mi tiro su un piedi e guardo Kim per alcuni secondi finché non mi avvicino a lei e la tiro tra le mie braccia.

«Mi dispiace per tutte le cose che ho detto, so di non avere scuse in merito e che sono stata una stronza, soprattutto nei tuoi confronti, ma davvero mi dispiace un sacco» sussurro nell'incavo del suo collo mentre il suo profumo mi pizzica il naso.
Mi allontano quanto basta per vederla in viso. Kim alza lievemente gli angoli della bocca e resta per alcuni istanti in perfetto silenzio.

«Era un brutto periodo» parla finalmente con un piccolo sospiro e mi avvolge in un abbraccio. «Ora stai meglio» osserva non appena ci stacchiamo.
Annuisco.

«Sono successe un po' di cose... tante cose» dico e do un'occhiata a Nath che ci guarda con gli occhi lucidi. Sorrido inevitabilmente e le faccio segno di avvicinarsi.
«Vieni qui» la tiro verso di noi in un abbraccio di gruppo facendola ridere.

«Resti?» mi chiede speranzosa e purtroppo le devo rovinare le speranze. Scuoto la testa.
«No, sono solo di passaggio. Sono qui per Logan, lo avete visto per caso?» chiedo notando di non averlo ancora scorto da nessuna parte. Di solito veniva sempre qui a fine lezioni, non questa volta a quanto pare.

Non appena nomino il suo nome, d'improvviso sulle loro facce qualcosa cambia, drasticamente direi.
«Non è qui?» domando quindi. Kim si guarda in giro e sembra nervosa, lo stesso Nath e non capisco il loro atteggiamento.

«Chi non muore si rivede!» esclama qualcuno che è difficile dimenticarsi. Sposto lo sguardo.
Muscoli in bella vista sotto la t-shirt senza maniche, capelli biondi corti e occhi azzurri. Duncan.

Lo guardo, lui fa lo stesso per diversi secondi finché senza alcun indugio mi avvicino a lui e lo abbraccio talmente forte da strozzarlo tra le mie braccia.
«Sembri un miraggio» ridacchia divertito. Mi stacco da lui sorridente e lo indico con un cenno di testa.
«E tu hai messo più massa muscolare del solito. Vuoi battere qualche strano record?» ridacchio.
«Faccio l'istruttore di fitness quando ho tempo e gli allenamenti col coach sono pochi. Ultimamente la nostra squadra non fa altro che perdere» ride come se niente fosse, contagiandomi. «Che ci fai qui? Sei tornata?»

«No, ormai l'università non sta più tra le mie priorità. Lavoro ancora in quel posto, il Pink Ocean con la sola differenza che...» mi avvicino a lui poggiando una mano accanto alla bocca, «non fumo più marijuana» sussurro ridendo lievemente e alzo le mani in aria. «Ho smesso con tutto, anche con l'alcol. Solo birra analcolico e il limite massimo di un bicchiere di vino ogni trenta giorni, solo per togliermi lo sfizio e combattere l'impulso di scolarmi un'intera bottiglia. Tu? Come stai? Yuri, invece?» chiedo sorridente.

Duncan, che era tutto felice, d'improvviso si spegne come una lampadina fulminata.
«Ho detto qualcosa di...»
«No, no» mi ferma lui rapidamente e tira un sospiro grattandosi nervosamente la nuca. «Yuri e io ci siamo lasciati.»

Aspetta... che cosa?
Resto ammutolita e sinceramente non so come ribattere tanto che lancio un'occhiata frettolosa a Kim e Nath magari cercando di scovare la motivazione dietro la loro rottura.
Mi sembra irreale... loro due erano letteralmente anime gemelle, erano perfetti insieme.

«Storia lunga, sarà per un'altra volta» riprende parola lui con un sorriso forzato. «Ma sto bene e... sono felice che lo stesso valga per te, è stato veramente bello rivederti» mi abbraccia frettolosamente. «Ciao, Ronnie!» mi saluta e se ne va, prende il caffè ordinato al bancone, paga, mi alza una mano ed esce via dal bar.

Mi giro quindi verso le due ragazze.

«Sono cambiate un po' di cose, eh?» cerco di sdrammatizzare. Kim in tutta risposta alza la mano sinistra con al dito dell'anulare un anello in argento che fisso non capendo.
«Ci siamo fidanzate!» lancia un gridolino Nath saltellando come una bambina e abbracciando Kim che alza gli occhi al cielo nonostante tutto divertita. «Questa che vedi è la mia futura moglie, baby!» la indica ridendo.

Beh... sì, sono cambiate un po' di cose. Tante cose.

D'improvviso ricordo il tipo di amicizia che correva tra loro due tempo fa, il modo in cui Kim stava sempre insieme a Nath, il modo in cui se ne prendeva cura e la portava ovunque. Credevo fossero solo migliori amiche e invece... sorrido scoppiando in una piccola risata.
«State scherzando!» esclamo incredula e mi avvicino a entrambe guardando l'anello più da vicino.
«Aspettate... ma quando? Stavate insieme anche quando c'ero io qui oppure lo avete capito dopo? E... e volete fare una cerimonia? E dove? A San Francisco oppure da un'altra parte?» domando a raffica.

Kim sorride imbarazzata ed è esilarante vederla così tutta tesa.
«In realtà è una cosa nuova... pochi mesi, ma l'abbiamo capito in quel viaggio in Texas, ricordi? È stato lì che l'abbiamo capito» spiega Nath guardando Kim. Il sorriso che avevo in viso si affievolisce, solo un po' nel sentire citato quel viaggio che per me è stata la disfatta della mia vita, ma scaccio immediatamente via ogni pensiero negativo.

«Beh, congratulazioni, sono davvero felice per entrambe» dico e sono sincera. Le ho viste bene insieme dal primo istante e a tratti parevano effettivamente una coppia, solo che non immaginavo che Kim avesse gusti che andassero oltre all'essere etero.

«Perciò... hai rivisto Logan?» chiede non appena riprendo posto al tavolo e loro due si siedono con me ordinando un caffè e un Bubble Thea.
Annuisco. «Quest'anno. Tutti incontri casuali e...» aggrotto la fronte. «Non vi ha parlato di me?» chiedo stranita.
Kim scuote la testa e gira lo sguardo sulla vetrata che dà sul campus.

«Ultimamente non lo vediamo più in giro. A volte non si presenta nemmeno a lezioni, la sua stanza al campus è perennemente vuota. Sta a Sacramento, viene qui solo per sostenere gli esami e poi si dilegua» spiega con un'espressione strana in viso tirando su un sorriso forzato e più va avanti con le parole più rimango spaesata.

«Siete tornati amici?» chiede poi e rimango come di conseguenza in silenzio non avendo la più pallida idea di cosa rispondere.

«No... ecco, ci stiamo frequentando a dir la verità o perlomeno ci stavamo provando ma lui non si fa sentire e... non lo so, è strano, non mi risponde al cellulare...» confesso sospirando mentre mi giro e rigiro il bicchiere tra le mani. La mia risposta sembra lasciare di stucco entrambe tanto che Nath quasi non si strozza con suo caffè.

«Voi due...» mi indica Kim strabuzzando gli occhi. «Aspetta, come? C-cioè, in che senso?»

Non sto capendo. Cosa c'è di così strano? Sì, probabilmente il ritardo con cui abbiamo deciso di darci una possibilità, ma dalle loro reazioni esagerare pare che io abbia detto a tratti una bestemmia.
«In che senso, cosa?» chiedo a mia volta con una smorfia confusa in viso.
«In che senso tu e lui vi frequentate?» dice Kim sbattendo le ciglia rincretinita tutta d'un colpo.

«Oh... beh, ci siamo trovati insieme in un posto, lui mi ha chiesto un appuntamento e, sì, ecco, non è andato, ma poi c'è stato un secondo appuntamento e poi-»
Kim mi interrompere immediatamente. «Logan si è preso la tua verginità?!» quasi non urla tanto che mi guardo in giro stranita ignorando le occhiate delle persone presenti che si sono girate di colpo a guardarci.

«Cosa? No!» esclamo contrariata. «Cioè non lui, uhm... cioè - sospiro pesantemente - sentite, qualcuna vuole dirmi che cosa c'è di così strano? Perché non capisco. È perché siamo stati migliori amici? Per questo suona strano? Sì, lo è stato anche la prima volta che lo abbiamo fatto ma poi... non lo so, credete che non avrei dovuto e che sono stata troppo precipitosa?» parto in quarta a tutto gas cercando di capire.

«Tu, precipitosa?» alza un sopracciglio Nath.
Annuisco.
«Sì, l'ho voluto fare io, è stato... beh non è andata come me l'aspettav-»
«Tu hai perso la verginità con qualcuno che non è Logan? E chi è questo tizio o.. tizia o, insomma, hai capito!» mi interrompe bruscamente Nath incredula ricordarsi solo ora le parole che ho detto poco fa.

Il pensiero fugge a un paio di occhi azzurri, alto tanto che gli arrivo a malapena alla spalla, ex Marine e ora poliziotto.
Ma non mi va di spifferare questo particolare angolo della mia vita, soprattutto sessuale, credo di aver parlato abbastanza.

«Ragazze, mi volete dire che diavolo sta succedendo? Devo andare a Sacramento e bussare alla porta di casa di Logan e dirgli che cavolo ha che non va? Mi state preoccupando. È malato? Ha... qualcosa, un problema in famiglia? So solo che sua sorella sta passando dei guai con il suo ragazzo e che-»

«Ma chi, Elizabeth?» ride Kim come se le avessi detto la barzelletta del momento. «Ma quale ragazzo? Elizabeth è a Vancouver, in Canada per l'inizio della specializzazione in chirurgia. È partita tre mesi fa.»
Se non fossi seduta probabilmente a quest'ora le mie gambe sarebbero gelatina. «Che cosa?»
Kim annuisce.

«Ma allora...» mi fermo per un istante sempre più confusa. Quella volta che mi ha mollata in spiaggia, dov'è andato se non dalla sorella? E la volta al ristorante?
«Dove diavolo è Logan?» chiedo di getto.

Nath molla un'occhiata a Kim che sorseggia il suo caffè e non proferisce parola mentre la sua ragazza abbassa per un istante lo sguardo sul tavolo.
«Forse dovresti andare a Sacramento e vederlo con i tuoi occhi.»

La sua risposta mi spiazza.
Tiro su un mezzo sorriso nervoso.
«Non... non capisco. Vedere cosa?» chiedo ma Kim sta in silenzio sull'argomento.
«Che sta succedendo?» chiedo ancora iniziando a innervosirmi.
«Non è compito di nessuna di noi dirtelo» indica se stessa e Nathalie. «Io vorrei farlo, dico davvero, Ronnie, ma...» scuote la testa con rammarico. «Non posso, non sono affari miei ma ascolta il mio consiglio: vai a Sacramento e capirai da sola.»

In poco tempo sono fuori nel campus universitario, il caffè in mano, la borsa in spalla e per pochi e futili momenti mi sembra come essere scaraventata indietro nel passato quando io questo posto lo frequentavo.
Rivedo il mio primo giorno con Kim a farmi da guida insieme a Nath, rivedo me stessa a litigare con Adrien sotto la pioggia, rivedo Logan al mio fianco dopo essere spuntato dal nulla solo per mollarmi una delle sue battute ridicole di abbordaggio che mi facevano ridere...

Dove sono finiti quei momenti?
Lui e me... noi due. Quando ci siamo persi?
Abbiamo litigato tante volte ma alla fine ci siamo sempre ritrovati in un modo o nell'altro e adesso...
Lui mi ha mentito.
Non c'è niente che giustifichino le sue fughe improvvise. Non c'è sua sorella, perché lei non è qui.
Logan mi ha mentito e cosa ancora peggiore è che Kim, che ricordo amante dei pettegolezzi, si è rifiutata di darmi la risposta che cerco.

Ma che diavolo è successo in questi due anni? Se la mia vita è cambiata, in che modo è cambiata quella di Logan? Cosa non mi ha detto della persona che è oggi?
Ho scoperto il suo passato in ritardo, il giro di droghe in cui si era ficcato senza capire la gravità della situazione perché un ragazzino, ma... Del suo presente io cosa conosco?

Ancora una volta niente.
Non ho ricevuto niente da parte sua. Nessun messaggio, né una telefonata, nessun segno di vita. È passata più di una settimana e tra lavoro e altro non ho avuto un momento per trovare un modo per contattarlo. Venire qui era la prima opzione così da risparmiarmi un viaggio fino a Sacramento, viaggio che a quanto pare farò ugualmente.

Io voglio delle risposte e questo desiderio supera di gran lunga quello di volere Logan. Voglio delle risposte.
Pretendo di sapere il motivo per cui mi ha mandato a rotoli quello che mi ero creata in tutti questi mesi lontano da lui; il motivo per cui mi ha chiesto ben due appuntamenti per poi sparire all'improvviso. Io voglio saperlo.

«Ronnie, aspetta! Hai dimenticato il cellulare!»
Mi giro e vedo Nath corrermi incontro finché non si ferma davanti a me col fiatone.
«Il cellulare» dice porgendomelo. Lo afferro e lo rimetto in tasca. Sono pronta a dirle grazie se solo non fosse che Kim si avvicina e apre bocca, precedendomi.
«E se facessimo una piccola festa?»

La sua proposta mi lascia confusa. «Una festa...?»
Lei annuisce. «Sì, tu, noi, gli altri della comitiva. Sarà qualcosa di tranquillo. Che ne pensi? È stato bello rivederti, magari possiamo fare una piccola festa per passare un po' di tempo insieme.»

«Non credo che gli altri della comitiva mi vedano di buon occhio. Ho fatto un mucchio di cazzate» sforzo un sorriso assolutamente contrariata e poi alle feste c'è alcol, il doppio se i partecipanti sono universitari, e dove ci sono gli studenti c'è anche la marijuana e io non posso in alcun modo andare a una festa del genere. Questo mondo non mi appartiene più. Sto rigando diritto, non posso permettermi deviazioni.

«E... sarò sicuramente occupata col lavoro, ho i turni anche nel fine settimana, vorrei mettere qualcosa da parte per delle spese aggiuntive...» confesso sincera riferendomi alla mia moto che mi ha mollata. Già, ha un guasto per cui devo pagare ben trecento dollari.
Sono arrivata qui in auto con Ethan che mi ha dato un passaggio e probabilmente userò un Uber per tornare a casa.

«Puoi fare un piccolo salto. Niente di che, dai...» mi fa implorandomi con gli occhi. «Sarà qualcosa di piccolo, te lo prometto, uh? Che ne dici?»

Merda, sono in trappola...
Non voglio comportarmi di nuovo da stronza o perlomeno sembrare tale ma non ho nemmeno voglia di ad alcuna festa, ma allo stesso tempo vorrei passare del tempo con loro. Mi sono mancate.

«Va bene» cedo alla fine ed entrambe sorridono. «Ma niente di eccessivo, né rumoroso o-»

Kim mi interrompe.
«A casa mia, il prossimo sabato sera. Non fare tardi, mi raccomando» mi abbraccia di scatto mollandomi un bacio sulla guancia.
Fortunatamente non ha menzionato la confraternita.
È un buon segno, credo.

«C'è stato un omicidio?» chiede tutto d'un tratto Nath lasciandomi confusa. Aggrotto la fronte e seguo il suo sguardo che punta verso l'uscita del campus.
«Perché c'è un poliziotto?» chiede Kim stranita.

Se il mondo si potesse mettere a rallentatore, probabilmente questo sarebbe il momento ideale.
Fasciato dalla sua divisa blu scura, la camicia senza maniche, le braccia scoperte e il passo fermo e deciso, avanza facendo scorrere lo sguardo coperto dagli occhiali da sole sui vari studenti finché non si ferma su noi tre, o meglio solo me.

«Nath, non hai ricominciato con la droga, vero? Se l'hai fatto giuro su Dio che ti ammazzo» sibila tutto d'un tratto Kim.
«Cosa?! No! Io non-»
«Oh, merda! Sta venendo da noi. Sta venendo in nostra direzione. Nath, che diavolo hai combinato questa volta?!»

Ancora un paio di passi finché non si ferma davanti a me, mi guarda e poi sembra dare un'occhiata alle due ragazze accanto. Mi volto leggermente e trovo Kim frugare nelle tasche dei pantaloni di Nath agitata e non appena lui si schiarisce la voce lei si ferma di scatto e alza lo sguardo, mettendosi immediatamente composta e tirando su un sorriso forzato.

Nicholas alza una mano, si toglie gli occhiali da sole, li mette al collo e poi si protende verso di me sfilando la borsa che avevo in spalla. Kim e Nath fissano la scena ammutolite.
«Ti ho telefonato due volte, non hai risposto» mi dice.

«Chi sei, mio padre?» ironizzo mentre mette la borsa sulla sua spalla e mi lancia un'occhiata.
«Pensavo fosse successo qualcosa» replica.
«Ho solo dimenticato il cellulare nel bar qui accanto» spiego indicandolo frettolosamente con un dito. «Tu che ci fai qui?»

Non dovrebbe essere a lavoro?

Nicholas abbandona quella faccia seria da sbirro, abbozza un sorriso e mi afferra una mano, tirandomi a sé. «Ethan mi ha chiesto se potessi darti un passaggio fino a casa. Sono fuori servizio, quindi posso fare questo e anche prepararti qualcosa per pranzo prima della festa di Tyler.»

Lo guardo, metabolizzo e poi abbandono la fronte contro il suo petto, sconsolata.
«Ah... la festa di promozione» mormoro chiudendo per un istante gli occhi. L'avevo completamente rimosso dalla testa.
«Nell'ultimo periodo ti dimentichi un sacco di cose, come il tuo cellulare. Lo lasci ovunque. Devo iniziare a preoccuparmi?» caccia un cenno di risata e lo guardo in automatico male.
«Non ho casi di Alzheimer precoce in famiglia» replico con una smorfia.
Nicholas annuisce e mi alza il mento con la mano piantando le sue iridi azzurre nelle mie tanto che il respiro quasi non mi si mozza.
Deglutisco.

«Ma ciò non toglie che stamani hai dimenticato il rubinetto del bagno di servizio aperto e hai allagato il locale» ride lievemente.
«Cosa ho fatto?» sbatto le ciglia incredula.
«Mhm, mhm. Credo che nonostante le tue mosse da ninja, tu debba tenere le distanze da Ethan per un bel po'. Mi ha esplicitamente detto che ti avrebbe strappato via l'utero per poi fecondarci uno xenomorfo - aggrotta la fronte stranito - che avrebbe usato per vendicarsi... salendogli in sella.»

Lo fisso in silenzio per diversi istanti finché non scoppio a ridere.
«Stava parlando di... Alien Covenant, vero?» chiede con fare incerto, divertito nonostante tutto.
Annuisco con un sorriso.
Lui mi guarda, io faccio lo stesso e per non so quanto resto imbambolata, del tutto incatenata ai suoi occhi e il motivo per cui sono qui al campus, la rabbia si dissolve nel nulla.

«Oh... quasi dimenticavo anche questo» mi sveglio d'un tratto e indico le ragazze al mio fianco. «Kimberly e Nathalie. Due amiche dell'università» gliele presento.
Loro due, invece, ci guardano in silenzio finché non è Nath ad aprire bocca.

«Non mi vuoi arrestare, vero?»

Nicholas mi molla un'occhiata per poi porre gli occhi su di lei.
«Dovrei?» le chiede con un tono talmente basso e serio da lasciarmi spiazzata finché non rido quando Nath impallidisce come non mai.
«Sei terribile» commento guardandolo con dissenso. Lui in tutta risposta sorride beffardo.

«Sta' tranquilla, non può fare niente, si diverte solo ad esercitare il suo potere» scimmiotto verso Nath alzando una mano sul viso di Nick e spingendolo via tanto da farlo ridere lievemente. Che imbecille...

«Ci conosciamo?» gli chiede d'un tratto Kim che per tutto il tempo non ha fatto altro che osservarlo a sopracciglia corrucciate.
Già, lui è il fratellastro di Kieran e alla fine dei conti gli assomiglia.

«Nicholas Bailey Reed» glielo presento ad entrambe senza aggiungere altri dettagli. So bene che a Nick non fa piacere essere ricollegato al nome degli O'Brien.

Kim invece ha un'espressione pensierosa stampata in viso finché i suoi occhi non si illuminano di scatto.
«Il Pink Ocean!» esclama schioccando le dita. «Ecco dove ti avevo già visto... Sei lo stronzo egocentrico» mi si rivolge tutta sorridente lasciandomi di stucco, non solo per come l'ha descritto ma perché sono passati due anni e lei si ricorda di lui.

«Come, prego?» le chiede Nick aggrottando la fronte. Kim spalanca gli occhi quando realizza cosa ha detto e mi indica rapidamente.
«L'aveva detto lei.»

Resto a fissarla inebetita per poi girarmi lentamente verso Nicholas che mi guarda con le sopracciglia alzate in attesa di una spiegazione.
«Oh... beh...» gli rifilo un sorrisetto. «Non mi ricordavo di aver detto una cosa del genere. Ti ho offeso in molti modi, stronzo egocentrico non è nemmeno un'offesa, sembra quasi un complimento se ci pensi, forse avrei potuto dire di meglio...» corruccio le sopracciglia pensierosa.

Nicholas mi fissa, si passa la lingua sul labbro inferiore e annuisce. «Veronica» mi richiama d'un tratto afferrandomi il viso con una mano. Me lo alza finché i miei occhi non si iniettano nei suoi e il battito del mio cuore aumenta di getto.
«Mh?» mugugno e sento le guance in fiamme.
«Dopo ti mollerò un morso che ti resterà attaccato per le prossime due settimane» mi fa con uno sguardo così intenso da farmi vacillare improvvisamente le gambe.
I miei occhi scivolano in basso.
Le sue labbra.

Un colpo di tosse.
Nicholas mi lascia il viso, io mi giro di scatto tornando a respirare e trovo Kim e Nath a fissarci.
Oh, merda...

«Quindi...» si schiarisce la voce Kim lanciando occhiate a entrambi. «Ora voi due... siete amici?» chiede dubbiosa.

Mi volto a dargli uno sguardo fugace non avendo la più pallida idea di come dovremmo presentarci.

«No.»
«Sì.»
Si sente all'unisono.
Perdo un battito. Aggrotto la fronte e torno con gli occhi su Nicholas.
«Cosa?»
Lui annuisce come se niente fosse. «Certo che sì.»
Lo guardo per alcuni istanti. «Invece no. Non siamo amici.»

Lui ci pensa su. «Sì... in effetti facciamo cose che gli amici non fanno.»
Sbarro gli occhi.
«Non ti sopporto.»
Lui in tutta risposta fa qualcosa che mai ha fatto in mia presenza: alza gli occhi al cielo.
Ma come si permette?

«È sempre stata così?» mi indica a sua volta rivolgendosi a Kim e Nath che ci fissano in silenzio.
«Che vuoi dire?» gli chiedo però io.
«Irragionevole e ostinata.»
Spalanco gli occhi sbattendo teatralmente le ciglia. «Perdonami?»
Lui mi fa un cenno di testa. «Sei perdonata.»
Rimango di stucco.
Ma è scemo?
«Era una domanda» gli faccio ben notare.
«E io ti ho risposto.»

Nicholas mi rivolge una smorfia strana, pare essere mezzo scocciato. Non ci credo...

Gli mollo una sberla sul braccio. «Ma vai a farti fottere» dico offesa.
Nicholas sorride. «Sì, Veronica. Da te certamente. Andiamo, ora? Vorrei farmi una doccia e mangiare qualcosa prima» dice sfacciatamente e mi afferra la mano intrecciando le nostre dita.
Lo fisso sbigottita.
Kim che stava sorseggiando il suo Bubble Thea si strozza tanto che si allontana e cerca di tossire per riprendere fiato.

«È stato un piacere conoscervi» dice alle ragazze e prende a indirizzarsi verso l'uscita del campus, portandomi al suo fianco come una bambina persa a Disney Land.

«Perché hai le mani sempre così fredde?» chiede stranito tutto d'un tratto. Alzo il viso.
«Sono un diavolo sgusciato dall'inferno» rispondo incazzata e provo a staccare la sua maledetta mano dalla mia ma me lo impedisce.
«Vuoi smetterla?» chiede. Sbuffo sonoramente mentre tiro via la mano ancora e ancora finché le suole delle scarpe non scivolano contro l'erba e io non finisco col sedere per terra.
Oh, ma dai!
«Hai finito?» lo sento chiedere. Sollevo il mento. Lui perfettamente composto, la mia borsa ancora in spalla e io che gli alzo un dito medio.
«Sembra che io ti stia trascinando in galera. Ti vuoi alzare da lì?» chiede ancora ma non me ne frega niente delle cose che sta blaterando.
«Mi metto a urlare se non mi lasci subito» minaccio con un sorriso.
«Preserva la tua voce per stanotte.»

Io lo uccido. Adesso giuro che lo uccido. Lo uccido questo grandissimo figlio di puttan-
Si china e mi afferra tra le braccia tirandomi su come se niente fosse.
Lo disprezzo a morte.

«Ora sei calma?» chiede a qualche centimetro dal mio viso.
«No» rispondo.
Lui annuisce, mi mette giù e cerca qualcosa nella tasca dei pantaloni. Afferra la mia mano e me lo poggia sul palmo.

«Ecco, mangia.»

Abbasso gli occhi, li rialzo e gli rifilo un'occhiata accigliata.
«Mi hai appena dato una caramella?»
«Una alla fragola» sorride tutto felice.
Alzo un sopracciglio. «Perché giri con le caramelle nelle tasche quando sei in servizio? Derubi i bambini per strada usando il tuo distintivo?» chiedo e la lancio lontano beccandomi un'occhiata di dissenso da parte sua.
«Non la voglio la tua caramella» dico stizzita. Lui in tutta risposta ne prende un'altra dalla tasca, strappa la cartina plastificata e me la infila in bocca senza darmi il tempo di protestare. Lo guardo male.

«Brava ragazza...» mi dà due morbide pacche sulla testa divertito.
«Ti sembro forse un cane?» chiedo sbattendo teatralmente le ciglia.
Lui ci pensa sul serio su...
Incredibile.
«E non mi parlare, non puoi dire in giro che facciamo cose che gli amici non fanno.»
«Ma è vero.»
Sbarro gli occhi girandomi di scatto verso di lui tanto che quasi non mi viene addosso. Gli punto un dito sul petto. «Sei ridicolo... e piantala di guardarmi!» sbuffo scuotendo la testa e riprendo a camminare, sbando e prendo in pieno il palo del cancello. Cazzo.

«Non ridere» ordino con una mano sul viso e l'altra a tenergli un dito alzato contro.
Nicholas mi guarda e annuisce con sorrisetto fastidioso in faccia.

«E se Ethan mi dovesse strappare l'utero per allevarci uno xenomorfo lo addestrerò per darti la caccia e sarò io a ridere e lo farò con la mia risata più malefica in assoluto quando ti beccherà e io ti guarderò farti sbranare e ballerò il Lago dei Cigni sui tuoi reni, la tua milza e poi...» aggiungo, guardandolo di striscio e lo becco a trattenere una risata perciò metto la mia lingua a freno. Ispiro profondamente infastidita. Lo odio.

«Noi due non siamo amici» dico di getto non appena salgo nella sua auto di pattuglia e allaccio la cintura di sicurezza.
«Sono d'accordo» replica mettendo in moto. «Perché mi innervosisci ogni volta che ti vedo.»
«Spegniamo le luci.»

«Aspetta, che?»
Mi volto verso di lui.
«Se ti innervosisco. Suppongo sia per via dei miei bellissimi occhi, credo ti mettano a disagio ma non preoccuparti, non ti giudico perché evidentemente ti piacciono molto» scimmiotta divertito mollandomi un'occhiata che non mi piace per niente perché troppo illegale e considerando che lui è vestito da sbirro e questa è un'auto della Polizia, è tutto troppo... paradossale.
«Ecco, adesso sì che sei uno stronzo egocentrico» schiocco la lingua contro il palato girandomi verso il finestrino aperto.

«Sono formidabile, skr, skr
Muovo lentamente la testa verso sinistra e lo guardo stranita.
«Che hai detto?» sbatto le ciglia.
Lui si volta frettolosamente e alza le spalle ridendo. «Sai che non ne ho idea? L'ho sentito oggi da dei ragazzini vicino un parco giochi. Sembra fico

Lo fisso per diversi istanti finché non scoppio a ridere tanto che mi giro dall'altra parte coprendomi il viso con una mano.
«Fico.» Ripeto rincretinita.
«Preferisci swag
«Ti prego fermati» gli dico sul punto di volermi togliere la cintura, aprire lo sportello e fuggire da questa tortura per il mio povero cervello. Nicholas in tutta risposta cerca di non ridere ma gli viene veramente difficile.

«In Afghanistan il massimo che usavamo era "amico", perché eravamo tutti amici, no? Non so... bro, qui la vita è diversa, bro, hai capito, bro?» fa con una tale enfasi che sono obbligata a serrare le labbra per non ridere.
«Bro» dice poi tutto d'un tratto.
«La smetti?» gli chiedo cortesemente perché ho ancora la caramella in bocca e rischio sul serio di strozzarmici.

«Capisco i sei anni in Afghanistan ma prima dove sei vissuto? Questo termine lo usano da millenni, perfino nel Texas nella mia località sperduta in mezzo ai campi di grano e mucche.»
«Al collegio le suore mi facevano paura, perciò parlavo l'inglese corretto, niente neologismi o strani soprannomi.»

Aggrotto la fronte d'improvviso.
«Collegio?» ripeto sbattendo le ciglia completamente presa di sprovvista. Nicholas mi guarda di sfuggita prima di svoltare a un incrocio.
«Non ti ho mai raccontato delle suore?» ride stupito.
«No...?»
Lui mi alza le sopracciglia, evidentemente se ne sarà dimenticato.
«Hai frequentato un collegio cattolico?» chiedo per averne una ulteriore conferma perché tutto questo è veramente surreale.

«Mhm, mhm. C'era una sola regola: Gesù guarda e ti giudica, chiedi perdono altrimenti finisci all'inferno. Se suora Josephine sapesse tutte le cose che abbiamo fatto insieme - mi lancia un'occhiata che mi manda in iperventilazione - probabilmente morirebbe di infarto. E non mi dispiacerebbe, mi odiava. Forse dovrei farle visita ma solo per prendere la mira da lontano e sparare ad ogni suo vaso di argilla» ridacchia in un modo che rimango intontita.

«Cosa?» rido istintivamente.
Lui si gira. «Troppo, dici?» chiede in un modo talmente incerto e innocente che gli rivolgo una smorfia confusa e divertita.
«Sì... sei un poliziotto, ricordi?»
«E se provassi a intrufolarmi di nascosto e girare ogni crocifisso a testa in giù? È meno illegale» aggiunge lasciandomi sbigottita.

Lui si gira proprio quando scatta il rosso al semaforo e quindi ferma l'auto.
«Solo moralmente sbagliato» gli faccio notare. Ride divertito. «Si può sapere perché una suora ti odiava?» chiedo cercando di non ridere.
Lui ci pensa su e sembra indugiare più di quanto non fa quando risponde a una delle mie domande.

«Da piccolo ero un po'... come dire... mi annoiavo» dice semplicemente.
«E che facevi quando ti annoiavi?»
Sul suo viso spunta un sorrisetto così stupido che in automatico riduco gli occhi in due fessure e gli mollo una spinta con la mano. «Che diavolo combinavi? Dai, dimmelo» insisto.

«Niente di speciale» risponde. «Spostavo i mobili di notte, giocavo a tennis con le finestre, spargevo infuso di papavero da oppio sulle ostie eucaristiche e... ah, sì! Una volta ho portato un gruppo di procioni nella mensa scolastica, ma non mi ricordo come... Forse briciole di pane» fa pensieroso.
Lo fisso ad occhi sbarrati mentre lui ne parla come se niente fosse e non sono sicura se ridere o meno.

«Ma suora Jo mi detestava perché viveva di pregiudizi. Sapeva fossi figlio di genitori divorziati e i miei bellissimi occhi - scimmiotta - per lei erano un segno che Dio mi aveva dato per il peccato che i miei avevano commesso quando hanno rotto il giuramento della Sacra Unione.»

«Che troia» mi esce di getto. Lui mi guarda e ride.
«Gesù ha sentito e ti sta giudicando» ridacchia divertito.
«Se vuoi ancora sparare ai suoi vasi di merda, posso aiutarti. Ho una buona mira» dico facendolo sorridere.
«Sì, te l'ho visto con i postumi della sbornia, non oso immaginare senza. Diventi una sorta di vendicatore spietato?»

Mi porto le braccia al petto sprofondando di spalle nel sedile.
«Può darsi, - dico con un sorrisetto -sempre che tu non mi uccida oggi con questa macchina. Cambia le pastiglie dei freni» ordino mentre il semaforo diventa verde e la vettura si rimette in moto.
«Lo farò.»
«Bravo» dico poggiando il gomito sul finestrino abbassato e giocando con la mano controvento.
«Credevo che la tua infanzia fosse o solo tragica o solo noiosa. Se mi avessi detto prima che da piccolo eri un piccolo delinquente forse mi saresti stato simpatico» commento ad un tratto e mi volto verso di lui.

«Non me ne hai mai dato il tempo. Ogni volta che vieni da me mi dici "spogliati, ora facciamo sesso"» scimmiotta con enfasi facendomi scoppiare a ridere.
«Oppure "Nick, alzati e fammi da mangiare"» mi guarda di sfuggita beccandosi un'occhiata di traverso.

«Non è vero... a volte io-» mi fermo. Oh, merda. «Sì, è vero» dico meravigliata da me stessa. «Anche se non lo facciamo da più di quasi tre settimane perciò chiudi il becco.»

«Stai contando i giorni come un prigioniero di guerra? Se vuoi recuperiamo, non c'è problema» dice accostando e vedo il parcheggio della Centrale di Polizia. Poco più lontano il suo SUV.
Spegne il motore e scende non dandomi il tempo per ribattere.
Faccio lo stesso e il mio sguardo finisce su di lui che si avvicina a me, mi afferra e mi tira con un movimento secco contro il suo petto.

«Che... che stai facendo?» sorrido confusa mentre le guance mi vanno a fuoco in un modo completamente insensato.
«Veronica» mi chiama. Aggrotto la fronte.
«Nicholas» dico cercando di non ridere mentre lo fisso negli occhi rapita dal suo sguardo. È strano.
Forse è l'astinenza da lui che mi crea questo effetto come se ogni tocco fosse amplificato doppiamente lungo i miei terminali nervosi e l'effetto che mi provocava, solo sessuale, mi stesse mandando in cortocircuito il cervello, come a quella cena: il suo piede che sfiorava il mio, il suo sguardo che mi faceva rabbrividire il corpo.

«Me lo devi solo chiedere, come sempre» la sua bocca è troppo vicina alla mia, la sua mano sotto il mio mento che me lo tiene alzato verso di lui.
«No» scuoto la testa, perché non posso.
Il pollice scivola sul mio labbro mentre il respiro si fa sempre più pesante e il battito cardiaco è alle stelle.
«Va bene» dice tirando lievemente in su gli angoli della bocca. Le pupille piantate nelle mie non mi fanno ragionare e non capisco un accidente di quello che mi sta dicendo. Che significa "va bene"? Altre volte avrebbe insistito e-

«Allora te lo chiederò io.»
Corruccio le sopracciglia.

«Posso scoparti?» sussurra sulle mie labbra. «Per favore?»

I miei neuroni si arrestano di scatto. Brividi mi attraversano ogni fibra di carne.

Oh, Merda.

***

Angolo autrice

Sto malissimo AHAHAHAH
Nicholas ma che cazzo facevi nel collegio cattolico?
Poi vabbè, il resto è poesia.

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