48 | Voglio essere una persona comune

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CAPITOLO 48
Voglio essere una persona comune

Sul ciglio della strada a due isolati di distanza, di spalle al SUV, berretto dei Lakers in testa e occhiali da sole, fisso da lontano la casa Price.
Sono arrivata a Sacramento da un paio di minuti indecisa su cosa fare. Bussare, chiamare prima Logan per l'ennesima volta e dirgli di uscire perché sono qui, davanti casa sua... non ho idea di cosa fare.

Ma vorrei solo tornare indietro nel tempo, al momento esatto in cui ero solo Ronnie, quella col cuore spezzato da Adrien. Vorrei essere lei, così da prendere una strada diversa da quella che ho percorso, fare la scelta giusta, stare ancorata al suolo da Logan Price, e non allontanarlo, non sprofondare in quel abisso di alcol e droga.

Forse.

O forse no. Se non avessi fatto tutte quelle cattive scelte adesso non avrei Ethan, il mio lavoro, una stabilità, piccola ma pur sempre mia.
Fisso la casa e più lo faccio, meno è l'impulso di avvicinarmi.

Kim mi ha detto di venire qui e vederlo con i miei occhi. Vedere cosa?
So solo che Logan mi ha mentito su diversi aspetti della sua vita, su tantissime cose e temo la sua ultima bugia perché sono certa che è l'ultima goccia, quella a poter spaccare il vaso che ho rimesso con difficoltà in sesto e che se rotto di nuovo io mi limiterò solo a prendere i cocci e buttarli via perché sono stanca.

Ho solo ancora due ore di tempo. Sono le cinque di pomeriggio, il sole sta calando e sta iniziando a tirare un po' di vento. Ho detto a Nicholas che avevo bisogno di un mezzo per andare a prendere un ordinario vestito da sera da indossare per la festa di Tyler e lui mi ha dato le chiavi.
Il vestito è nel portabagagli, il mio sguardo invece è in lontananza.

La porta d'ingresso si apre e lo vedo.
Capelli corvini, maglietta nera e i soliti pantaloni cargo. Tra le braccia un bambino piccolo, capelli rossi. Gli sorride mentre gli dice qualcosa e con lui in braccio raggiunge l'altalena. Lo infila dentro e lo spinge un po' quanto basta per farlo ridere.

Li fisso stranita, non capendo il motivo per cui sono qui. In giardino appare poi una ragazza.
Lunghi capelli rossi.
Vestito a fiori.
Meredith.
Si avvicina al bambino in altalena, lo spinge un pochino, quanto serve per poi girarsi verso Logan, andargli incontro, allacciare le braccia intorno al suo collo e... baciarlo.

Ah... ecco cosa dovevo vedere con i miei occhi: quello che è successo in questi ultimi due anni.

Lei gli dice qualcosa, lui annuisce e poi va prendere il bambino dall'altalena riportandolo in casa mentre Logan rimane indietro. Si china a raccogliere una palla da gioco, si tira su e si volta per caso in mia direzione e incontra il mio sguardo.

E va bene così.
Non so se mi ha riconosciuto, vorrei che fosse così, che sappia chi sta guardando in questo preciso istante, e invece si gira semplicemente e torna dentro.

Va bene. Va tutto... stranamente bene.

Ho smesso di dare di matto, sono solo stanca e non ho alcuna intenzione di battermi ancora per qualcuno, rincorrerlo, chiedere spiegazioni o qualunque altra cosa. La Ronnie di due anni fa lo avrebbe fatto, ma non questa.

Non so perché non me l'abbia detto, probabilmente aveva solo paura e cercava di recuperare qualcosa che non ha mai avuto come io stessa ho fatto. Quando l'ho rivisto in quella fiera un montagna con Ethan mi è mancato il suolo da sotto i piedi e mi sono sentita di nuovo diciottenne. Mi ha fatto sentire così. E tutte le altre volte che siamo stati insieme, mi ha fatto sentire come se niente di tutte le cose brutte che ho passato mi siano mai successe, come se niente fosse mai accaduto e noi due fossimo ancora quei due seduti sul muretto di un parcheggio fuori dal centro commerciale a mangiare gelato al cioccolato con San Francisco immerso nel buio e parlare di cose stupide, scherzare e ridere.

Non so nemmeno cosa volesse insieme a me, un futuro no, questo è certo, il suo futuro è là dentro in quella casa. Voleva un'occasione per avere quello che non ha potuto vivere, e anche io.

Non sento quella fitta lancinante al cuore come quando è successo al Pink Ocean quando l'avevo visto con la comitiva e la sua attuale... compagna e madre di suo figlio.
Non lo sento il dolore. Anzi, mi sento sollevata.
Credo che fosse questo che stavo cercando alla fine, nel profondo lo so: la verità e un incentivo per chiudere definitivamente il nostro capitolo.
Siamo stati amici, migliori amici, ci siamo innamorati e allontanati e poi ci siamo ritrovati solo per vivere quello che non abbiamo avuto l'occasione, e finalmente il capitolo si è chiuso.

E io sto bene.

Tiro lo sportello e percorro questa strada che so a memoria, ho passato qui abbastanza del mio tempo, seduta a tavola con la madre di Logan, a chiacchierare con sua sorella Liz, a ridere con il motociclista incontrato nell'appartamento di Adrien.

Questa vita non mi appartiene più e nemmeno Logan Price, lui appartiene a un'altra.

***

Davanti lo specchio a figura intera guardo il mio riflesso.
Passo le mani sui fianchi stretti dal vestito nero lungo fino al pavimento. Niente di speciale. Tessuto in cotone, scollatura diritta, petto e maniche in pizzo nero, ideale per una festa serale.
I capelli sono lasciati liberi sulle spalle, il rossetto rosso sangue sulle labbra.

Raggiungo il letto, prendo il paio di orecchini piccoli, due perle, e torno allo specchio infilandoli.

Dietro di me improvvisamente appare una figura. Torso nudo, asciugamano in vita e capelli umidi. Lo guardo nel riflesso mentre si avvicina e mi guarda.
«Dovresti darti una mossa» gli dico.
«Abbiamo ancora un sacco di tempo... Possiamo tante cose prima» mormora premendo le mani sui miei fianchi.
«Muoviti» ordino invece.

Voglio arrivare lì, fare la mia presenza e poi dileguarmi. Lui mi ha fatto un favore con stella cena che descrivere assurda sarebbe un eufemismo, perciò gli restituisco il gesto. Ecco perché sono qui, non c'è altra motivazione dietro. Niente stronzate sentimentali, niente che abbia quel amaro odore di emozioni.

L'amore non lo voglio, quello che voglio da lui è tutt'altro che amore ma non posso, perché c'è qualcosa che mi infastidisce di Nicholas e non è solo il suo modo di essere ma anche quello che provoca dentro di me ogni volta che mi sfiora o semplicemente mi guarda.
E mi fa paura.

Ogni volta che mi sono lasciata andare le cose sono andate male. Lui mi ha detto di essere mio, e... non so che significhi, forse si riferiva solo al fatto che non frequenta altre donne oltre a me.

Sì, è questo.

«Sei nervosa?» chiede con voce calma e mi tira a lui finché le mie spalle non aderiscono al suo petto ancora umido.
«Tu, no?» ironizzo poggiando le mani sulle sue braccia che ha intorno al mio ventre.
«No, se ci sei tu» confessa col viso nell'incavo del mio collo posando un bacio sulla spalla nuda.

Chiudo per qualche istante gli occhi.
Merda...

Il mio cuore ha un piccolo tuffo, uno forte da non so quanti migliaia di metri di altezza, ma potente tanto da scuotermi con forza dall'interno.

«Beh... spero di fare una bella figura, di solito metto gli altri in imbarazzo oppure rovino le cose» biascico sconsolata.
«Sei molto bella con questo vestito» dice accanto al mio orecchio. «Tu sei molto bella.»

Mi volto lievemente verso di lui che trovo con un piccolo sorriso sulle labbra.
Le sue mani mi girano e gli finisco faccia faccia. Troppo vicini, esageratamente troppo.
«Andrà tutto bene» dice afferrandomi il viso.
«Lo spero.»
«Andiamo lì, faccio felice Tyler e sua moglie e poi non lo so... facciamo quello che vuoi tu.»

Lo guardo in silenzio, ammaliata da tutto... lui. In una situazione diversa gli avrei risposto con una battuta stizzita perché deve smetterla di alludere a cose indecenti, adesso però solo semplicemente in silenzio.
«Che c'è che ti preoccupa tanto?» mi chiede d'un tratto corrucciando le sopracciglia.

«È una festa...? C-cioè ci sarà alcol e spumante presumo e... Non lo so, non ha senso, io lavoro in un pub dove servo ogni giorno cocktail ma lì è lavoro e so che mi non mi è permesso consumare, ma qui... qui tutto sarà sicuramente offerto e...» farnetico e mi fermo di scatto spostando gli occhi altrove. Tiro un profondo respiro.

Oggi ho visto qualcosa a Sacramento. Qualcosa che mi serve tempo per eliminare dalla testa e a quella festa ci sarà alcol.
Il ricordo non mi fa male di per sé. Sono passati due anni e lui come me ha vissuto delle cose, la sua vita è andata avanti, ma mi fa rabbia che sia ricomparso nella mia fottuta esistenza solo per prendermi in giro.
Mi ha chiesto ben due appuntamenti, mi aveva detto di stare insieme, essere una coppia, mi aveva detto che mi ama e poi è scomparso ancora e ancora. Ha anche avuto il coraggio di essere geloso su Nicholas e venire a quella cena. Ma come...
Non avrebbe mai dovuto permettersi di prendermi in giro così.

Lui non doveva.

Che diavolo mi aspettavo dopotutto? Suo padre ha tradito la moglie e ci ha fatto un figlio con l'amante e quel figlio è Yuri.
Adrien era stato chiaro con me tanto tempo fa: stai alla larga da Logan, lui non è quello che credi.
E aveva avuto ragione su tutto. Su ogni cosa.

Il mio miglior amico d'infanzia mi aveva messo in guardia e io non gli ho dato retta. Il ragazzo con cui sono cresciuta, con cui giocavamo a pallone davanti casa mia. Quel ragazzo... a cui devo chiedere probabilmente tante di quelle scuse che non saranno mai abbastanza per farmi perdonare.

Sono stata io il cattivo nella nostra storia, non lui. E vorrei solo potergli dire quanto io ne sia rammaricata e pentita.

«Merda...» mormoro mordendomi un labbro per contenere l'agitazione. Nicholas mi afferra il viso con le mani obbligandomi a guardarlo.
«Ti terrò d'occhio io, va bene? Non ti lascerò da sola... a me meno che tu non debba andare al bagno delle signore, sai...» scherza strappandomi un tenue sorriso. «Ma posso sempre accompagnarti anche lì e giuro che non lo farò per fare cose strane» riduce gli occhi in due fessure pensieroso. Poggio una mano sul suo petto e lo spingo via, lui invece mi afferra il polso e mi tira a sé, tanto da sbattergli contro. Preme sul mio fondoschiena e le mie mani gli si allacciano dietro il collo.

«Smetti di fare l'idiota e vestiti» dico cercando di fare la persona seria. Ultimamente credo che Nicholas stia subendo una metamorfosi o qualcosa del genere, perché si comporta in modo infantile più spesso del solito e il suo solito è mai.
«Resterei qui con te se solo non dovessi fare la persona matura e andare lì perché devo» sussurra a qualche centimetro dalle mie labbra.

«E come hai intenzione di presentarmi?» chiedo seriamente curiosa.
«Solo Veronica, no? Amici non lo siamo, quindi tu sei Veronica, io Nicholas e stasera ti farò annoiare con la mia noiosa vita. Perlomeno sono fottutamente bello, parole tue anche queste.»

Lo guardo male in automatico per poi restare a guardarlo in silenzio senza aggiungere altro mentre il cuore mi batte flebile, ma con battiti così sismici che sprofondo nei suoi occhi azzurri. C'è una strana aria stasera, mai sentito niente del genere.
Le sue pupille sono nelle mie e non ci sono parole, solo noi due a fissarci l'un l'altra mentre il mio respiro si fa sempre più pesante e irregolare, e il corpo mi va in fiamme nonostante il vestito non sia affatto pesante. Però ho caldo, ho tanto di quel caldo che mi sembra di essere un cumulo di brace, tanto da sentire formicolii fin dentro le guance.

Sì, lo sei. Sei davvero fottutamente bello. In ogni modo possibile lo sei.

«Fila a vestirti» ordino e mi stacco da lui combattendo ogni impulso primordiale che vorrebbe solo annullare le distanze, afferrarlo e sbatterlo al muro accanto.
Non lo tocco da tre settimane, forse di più, credo sia di più, e questa interruzione me lo fa desiderare in una maniera che non so nemmeno spiegare.

Gli passo affianco, prendo la borsa ed esco dalla stanza da letto. Sì, è meglio così.
Niente sentimentalismi.

***

Arriviamo sul posto della festa alle otto e mezza.

In camicia, senza alcuna cravatta e il colletto leggermente aperto, c'è Nicholas al mio fianco, mentre io mi guardo in giro alla ricerca di qualche volto famigliare, quale Edith, la moglie di Tyler.
Ci sono un sacco di persone, questo è certo e capisco anche l'ansia di Nick tanta da avermi chiesto di accompagnarlo.

Mi volto un po' e gli osservo il profilo. Ha lo sguardo perso a fissare un punto non tanto definito della sala dove c'è una sorta di rinfresco con stuzzichini e vassoi con bicchieri pieni di... champagne, mentre in sottofondo c'è della musica da giardino a basso volume che si mescola col chiacchiericcio degli invitati.

La mia mano scivola alla ricerca della sua e gliela stringo. Il mio gesto lo fa girare e guardarmi.
«Tutto bene?» chiedo avvicinandomi al suo viso. Lui sposta frettolosamente lo sguardo sui presenti e poi torna da me. Annuisce.
Gli rivolgo un piccolo sorriso a labbra chiuse, intrecciando di più le nostre dita e lo trascino a me addentrandoci nella massa di persone che ci fanno spazio per farci passare. Alcuni ci lasciano delle insistenti occhiate altri borbottano qualcosa indicandoci con o senza semplici sguardi di sfuggita e io aggrotto istintivamente la fronte.

«Mi dici che succede?» chiedo sottovoce.
Lui si volta.
«Niente di particolare, è l'influenza di mio padre» fa come se niente fosse.

«Sanno che sei un O'Brien?»
«Mhm, mhm» mugugna distrattamente.
«E come... fanno a saperlo? Prima di conoscere tuo fratello non sapevo nemmeno l'esistenza del grande impero aziendale della tua famiglia» ridacchio.
«Dovresti vedere mio padre» mi dice lasciandomi confusa.
«Vuoi che gli dia un pugno in faccia perché è un avido figlio di puttana?» chiedo incerta facendolo ridere.

Nicholas scuote la testa. «No, ma capiresti molte cose. Andiamo a cercare qualcosa di analcolico? Devo anche trovare Tyler, ma dove sarà finito?» conclude sovrappensiero guardandosi in giro.

Il suo amico sembra essere stato divorato da Cthulhu, non c'è altra spiegazione.
Raggiungiamo l'altra parte della grande sala allestita per la festa e più cammino più mi rendo conto che Tyler deve essere amato da molte persone altrimenti non si spiega la folla che è venuta solo per una semplice promozione.

Alla fine riesco a recuperare un bicchiere di analcolico fruttato, Nicholas trova Tyler in una zona più tranquilla quindi posso stare un po' di minuti per i fatti miei. Tiro fuori il cellulare e ci gioco per alcuni secondi finché la curiosità non mi sfiora più del dovuto e pertanto apro la barra di ricerca e scrivo "O'Brien Atlantic".
Mi appare la descrizione dell'azienda, l'anno di fondazione, il nome del fondatore e l'attuale CEO.

Ma che diavolo...

Alzo come di conseguenza il viso e lo punto su Nicholas in lontananza che non appena mi vede mi fa segno di avvicinarmi.
Ripongo gli occhi sullo schermo dando un'altra occhiata a Benedict O'Brien e poi di nuovo a Nicholas che... è la sua copia sputata.
L'unica cosa che li rende diversi è la differenza d'età, per il resto la somiglianza è a tratti inquietante.

«Ehi... buonasera» saluto Tyler con un mezzo sorriso non appena gli sono vicina. Lui si avvicina e mi stringe in un piccolo abbraccio.
«Grazie per aver portato qui Nick, ti sono debitore» dice staccandosi.
«Perciò mi aiuti a fuggire in Messico dopo che avrò fatto la rapina del secolo?» scherzo e gli indico la festa. «Sembra che tu ti stia candidando per il ruolo di Governatore. Ma chi sono tutte queste persone?»
Tyler mi guarda per alcuni istanti per poi ridere.

«Colleghi principalmente, gli altri non ne ho idea. È stata mia moglie ad organizzare tutto, è fissata con gli eventi di questo tipo» sorride.
«Sembra una di quelle convention di sbirri, solo che lì non c'era lo champagne... non pensavo che una promozione di lavoro interessasse così tanta gente, senza offesa ovviamente e congratulazioni» gli dico guardando a destra una donna sorseggiare dal suo calice e fissarci. Torno con gli occhi su Tyler che mi guarda stranito.

«Stai guardando la progenie di una lunga discendenza di poliziotti, militari e tutto il resto» spiego rapidamente con un gesto di mano e lui lancia un'occhiata a Nicholas al mio fianco. Quest'ultimo mi rivolge uno sguardo.
«Non guardarmi così, non lo sapevo» dice a Tyler che mi guarda di nuovo.

«Ah, già... si è solo limitata a darti del complottista» ride e prende un bicchiere di champagne sorseggiandolo.
Rimango confusa perché questa cosa risale al primo incontro mio e di Nicholas al Pink Ocean e Tyler non c'era affatto lì.
Lui sembra rendersene conto.

«Nick ha detto un po' di cose su di te» ridacchia divertito e guarda il suo amico verso cui mi giro anche io in attesa di qualche spiegazione.

Becco un Nicholas immerso in uno stato di completo smarrimento. Non credo di averlo mai visto così, nemmeno la volta che mi aveva invitato a quella ridicola cena a lume di candela.

«Non ho detto niente di nessuno» ribatte lui contrariato con quella sua stupida faccia seria e matura che prova a mantenere ma senza successo.
«Sì, che l'hai fatto, ricordi? Non la piantavi di parlare di quella misteriosa ragazza che ti aveva dato del complottista per poi minacciare di spaccarti la faccia con la pistola» racconta.
Guardo Nicholas sollevando un sopracciglio e lui sposta gli occhi altrove.

Ma che gli prende? E dov'è finita tutta la sua fastidiosa spavalderia?

«Hai parlato di me ai tuoi amici come le quindicenni ai pigiama party? Mentre lo facevi ti mettevi anche lo smalto ascoltando gli One Direction?» lo prendo in giro ora che finalmente posso e riesco anche a scalfirlo un pochino quanto basta per ottenere un po' di soddisfazione personale. Anche se... mi trattengo a forza di sorridere. Ha parlato di me. Non mi conosceva nemmeno e ha parlato di me ai suoi amici.
Che immagino siano tutti soldati come lui, il che è strano. Sì, molto strano.

Tyler ride lievemente.

Nicholas mi guarda male e scuote la testa. Io, invece, con un sorrisetto beffardo in faccia fisso le sue guance diventate un po' rosse. Non ci credo... È in uno stato di imbarazzo cataclismico.

«Grazie, Nick, per avermi portata alla festa di promozione del tuo amichetto del cuore. Lo userò per prenderti in giro pubblicamente finché non finiremo entrambi in una triste casa di riposo dove servono budini del discount e preztel al gusto di nonnine in decomposizione» sorrido e lui mi rifila un'occhiata colma di dissenso.

«La promozione è solo una scusa, è anche anche il primo anniversario di matrimonio mio e di Edith» dice Tyler.

«Beh... ci sono tanti sbirri» commento lanciando un'occhiata in giro. «Dopo farete un ballo di gruppo sventolando la vostra Glock preferita e facendo due tiri in aria in perfetto stile barbecue americano del giorno d'Indipendenza?» scherzo mentre mi sporgo dietro le spalle di Nicholas e rubo uno stuzzichino da un vassoio infilandomelo in bocca.

«Oh, mio Dio... è buonissimo» spalanco gli occhi. Tyler ride io e ne prendo un altro.
«Assaggia» dico verso Nicholas.
«No.»
Alzo gli occhi al cielo. «Oh, piantala di fare il finto offeso, non è mica colpa mia se parli troppo. Voi, uomini, di solito non blaterate cose sulle partite di football e cose così? Piccola curiosità: quando parlavi di me, volevi dei consigli su come raccogliere il tuo orgoglio da uomo dopo averle prese da una ragazza?» chiedo con un sorrisetto e provo a infilargli lo stuzzichino in bocca ma lui mi ferma guardandomi di nuovo male.

Non sa cosa si sta perdendo, perciò me lo divoro io e ne prendo un altro sotto gli occhi divertiti di Tyler.

«Nel Texas mio zio mi faceva sparare alle anatre selvatiche nel giorno del suo anniversario di matrimonio, è ironico se considerato che sua moglie è vegana e animalista» svelo masticando e mandando giù tutto con il cocktail.
Tyler alza un sopracciglio.

«Però era divertente perché non ascoltava mai papà e mi faceva fare dei tiri. Facevano una vera e propria battuta di caccia e lui mi insegnava le regole degli Scout. Quello che uccidi lo mangi altrimenti non mangi. Certo, una volta per sbaglio gli ho sparato alla gamba e non abbiamo mangiato niente fino al giorno successivo perché la polizia mi voleva accusare di tentato omicidio. Che razza di idioti... Se avessi voluto uccidere mio zio era perché non voleva darmi del cibo e perché il cortisolo usato per le punture di zanzare mi stava dando alla testa...» mormoro pensierosa con una smorfia in viso. «Senza offesa anche per questo perché sì, ecco, sei un poliziotto, no?» ridacchio non appena me lo ricordo e mi giro verso sinistra.

«Non ci credo...» sussurro. Poggio una mano sulla spalla di Nicholas. «Resta qui, vado a prendere quelle cose che sembrano essere di cioccolato. Non muoverti, torno subito» dico e mi allontano per poi tornare indietro.
«Tienimi questa» gli metto la borsa tra le mani e mi giro verso Tyler. «Grazie per il cibo che posso mangiare senza usare il Winchester SX4 di mio zio» dico e scappo via aggiustandomi frettolosamente i capelli.

Stavo dicendo? Sì, forse questa festa è popolata da gente che mi sta sulle scatole perché non smettono di fissare Nicholas, ma perlomeno c'è il cibo, e non immaginavo così buono e tanto, senza alcun versamento di sangue da alcuna anatra volante.

«Non ti ho mai vista prima» una voce mi distrae. Con un cioccolatino alla mandorla in bocca e gli occhi sul vassoio a guardare quello che sembra più invitante cercando di scegliere, alzo il viso.

Un tizio, coetaneo di Nicholas presumo, capelli e occhi scuri, in giacca e cravatta, mi sta rivolgendo un sorriso. I miei occhi cadono sulla sua mano tesa verso di me.

«Elijah» si presenta. Mano che fisso, mando giù il boccone e poi sollevo gli occhi sul suo viso.

Oh, bene. E io che pensavo di godermi il cibo in santa pace.

«Ti offro qualcosa?» mi fa poi. Rido come di conseguenza.
«Mi vuoi offrire il cibo e le bevande già offerte dal padrone di casa?» chiedo stranita.
Il cervello di Elijah si impalla d'improvviso.
«In effetti hai ragione» replica divertito.

«Sei un'amica di Tyler?»
Come conseguenza punto lo sguardo su questo che trovo a parlare con Nicholas, il quale si gira verso di me e mi guarda da lontano, per poi puntare Elijah.
«Sono... solo una tra gli invitati, non conosco nessuno» rispondo liquidando la cosa e torno con gli occhi su di lui.
«Ah... il primogenito di Benedict O'Brien» osserva.
«Un tuo amico?» chiedo riprendendo il mio bicchiere di analcolico lasciato sul tavolino del buffet. Qui sono tutti prevalentemente poliziotti, probabilmente sarà un collega di Nicholas.

«È il figlio ribelle.»
Alzo un sopracciglio.
«Ha tagliato i ponti con la sua famiglia per giocare al piccolo soldato in Medio Oriente» aggiunge e se Elijah mi stava sulle palle non appena è arrivato qui a invadere il mio spazio personale e respirare la mia stessa aria, adesso vorrei solo farlo tacere perché lui non sa un bel niente di Nick.

«Davvero?» fingo stupore bevendo un sorso e appoggiandomi di spalle al tavolino.
«Non dovrebbe nemmeno essere qui. Ha avuto la faccia tosta di mostrarsi in pubblico come se niente fosse» mormora sovrappensiero dando un'occhiata a Nicholas.

Mi porto il calice alla bocca. Sì, non è un collega di lavoro e se lo è nonostante tutto mi domando seriamente perché Nick faccia lo sbirro se i suoi colleghi lo odiano a tal punto che questo accanto a me spiffera il suo rancore a una perfetta sconosciuta.

«Non ti sta molto simpatico, eh?» scherzo.
Elijah scuote la testa con un sorriso. «Il minore dei figli combina stronzate, ma questo qui si finge l'emblema della giustizia - alzo di scatto gli occhi su di lui - quando la O'Brien Atlantic per andare avanti sfrutta i dipendenti, costruisce edifici spazzando via interi quartieri poveri e fa accordi con gente che dovrebbe stare in galera. Ma cosa non si fa per i soldi, dico bene?» alza le sopracciglia. «Se non fosse per Tyler che rispetto, a quest'ora l'avrei cacciato via da questo posto» mormora a denti stretti tanto che resto per certi versi così stupita.

Aggrotto la fronte.
«Parli dell'azienda di famiglia?» chiedo incerta.
Elijah mi guarda e si passa la lingua sul labbro trattenendo un sorriso ricolmo di amarezza. «Quel figlio di puttana ha ammazzato mio fratello.»

Aspetta, cosa?

«Ecco perché non fa più il soldato - scuote la testa con repulsione - ha fatto saltare in aria tutta la sua squadra e guarda caso solo lui è vivo e ora si gode la bella vita mentre di mio fratello non mi hanno rimpatriato nemmeno il corpo, ho seppellito una bara vuota» lo guarda da distanza e io faccio lo stesso. C'è Edith ora con Tyler e Nicholas.

«Scusami... probabilmente ho parlato troppo.»

La voce di Elijah mi riporta da lui.

Non mi ha detto niente che non sapessi già e il suo rancore non mi sorprende. Forse se Nicholas non fosse stato figlio di suo padre per Elijah sarebbe stato più facile perdonarlo oppure... essere più comprensivo, dopotutto in Medio Oriente le persone si fanno male, è inevitabile, e alcune perdono la vita. Ma Nicholas ora per lui non è altro che un viziato figlio di papà che ha ingannato la morte ed è qui a divertirsi quando la verità è che se io non fossi venuta con lui, adesso non sarebbe in questo posto.

Elijah è ancora evidentemente addolorato per la sua perdita, ma Nicholas si è trovato semplicemente a qualche metro di distanza dagli altri. Fortuna, probabilmente, chi lo sa. Ma non ha alcuna colpa e sebbene si sia salvato, la sua vita è completamente rovinata. Ha perso gli anni in quel posto di merda e il suo futuro non sarà mai come quello di chiunque altra persona.

«Forse avresti dovuto offrirmi da bere» dico ad Elijah.
«Sarebbe stata una scelta miglior-»
«Così avresti detto meno puttanate» lo interrompo prendendo un sorso del mio drink analcolico. Lui mi guarda confuso.
«Mia madre è morta di leucemia. Ho dato la colpa alla malattia, non a mio padre o a me per non esserci resi conto prima che si stesse ammalando, è stato imprevisto, non è stata colpa nostra così come non lo è stata di Nick. L'Afghanistan è proprio come una malattia, il colpo appare quando meno te lo aspetti, ma si chiama vita perciò le cose brutte accadono che tu lo voglia o meno, con la sola differenza che tuo fratello sapeva bene cosa stava facendo andando lì, era consapevole dei rischi e permettimi di dirti una cosa, Elijah» faccio un passo verso di lui mente lui sembra stupito dalle mie parole, forse perché ho nominato Nicholas quando lui non ha mai pronunciato il suo nome. «Prima di insinuare cose di cui non hai la benché pallida idea perché tu non ti trovavi lì, dovresti assicurarti prima di sapere a chi stai parlando.»

Gli rivolgo un sorriso a labbra serrate mentre il sangue mi ribolle nelle vene per il nervosismo.
«Le mie più sentite condoglianze per tuo fratello, posso immaginare il tuo dolore ma non ciò non giustifica le tue accuse, tra parentesi sufficientemente gravi per una denuncia che ti toglierebbe perfino questo banale completino da quattro soldi» dico spolverandogli teatralmente la giacca e rifilandogli un'occhiata gelida.
«D'ora in poi comincia a dosare bene le parole, che dici?» tiro su gli angoli della bocca e gli passo di fianco.

In circostanze diverse gli avrei mollato un pugno in faccia ma questo posto è pieno di sbirri per cui meglio tenere le mie mani al loro posto.
Lo saluto con un cenno di testa e torno da Nicholas che non appena mi vede, molla frettolosamente un'occhiata alle mie spalle, probabilmente ad Elijah, mentre Tyler si allontana raggiungendo una persona.

Recupero la mia borsa dalle sue mani.
«Forse dovresti andare via da questa città di merda. Qui le persone non ti odiano solo perché sei un O'Brien e tuo padre fa strani accordi con persone poco raccomandabili, ma anche perché a quanto pare giocavi al piccolo soldato...» mormoro guardandolo.

Lui non sembra per niente stupito, anzi mi rifila un piccolo sorriso afferrandomi al suo petto. A quanto pare il suo imbarazzo è scomparso, menomale. Mi serve Nick Lo Stronzo che deve fermarmi dal commettere una strage.

«Qualcuno ti ha fatto arrabbiare?» chiede divertito. Alzo il viso verso il suo.
«Lascia perdere» liquido l'argomento.
«L'uomo che ti parlava poco fa? Ti ha detto qualcosa?» chiede nonostante tutto con un atteggiamento così protettivo da farmi...

Lo guardo per alcuni istanti e lo trovo spensierato. Non voglio rovinargli la serata nominando il fratello del suo vecchio compagno di squadra morto.
«Non è niente» scuoto la testa.
«Che c'è?» chiede sorridendo dopo un po' che mi limito solo a fissarlo.

La vita è ingiusta con te, ecco cosa c'è e che vorrei dirgli. Perché è così dannatamente ingiusta?

Ha sprecato gli anni migliori in un posto dove c'è solo sofferenza e morte, poi gli sono successe tutte quelle cose nella sua infanzia, sua madre è al diavolo in Australia con la sua nuova famiglia, suo padre probabilmente l'ha rinnegato come figlio mentre suo fratello è un coglione che non capisce che il mondo non gira tutto intorno a lui. Dovrebbe fare il fratello, e invece si ficca in casini e Nick nonostante tutto gli va dietro e gli salva il culo.
Lui sembra badare a tutti anche se non dovrebbe, ma nessuno bada a lui.

Le mie braccia gli avvolgono il torso e poggio il viso sul suo petto.
«Ronnie?»
«Mhm?» chiedo ad occhi chiusi.
«Va tutto bene?»
«Mhm, mhm» mugugno per poi sentirlo ricambiare l'abbraccio.
«Sei stanca? Se vuoi torniamo a casa.»
«No, no... siamo appena arrivati» replico contrariata.

«Non sapevo facessi le battute di caccia con tuo zio» dice d'un tratto e lo sento chiaramente divertito.
«Sì... la mia infanzia non è stata giocare con le Barbie e mettermi lo smalto come fai tu» commento ridendo appena.

«La smetti?» chiede con finta esasperazione.
«No.»
Mi stacco lievemente. Con le mani allacciate dietro le sue spalle lo guardo in viso, sollevando il mento.

«Va tutto bene?» insiste comunque.
«Ho mangiato troppo cioccolato, credo di star avendo la nausea» confesso con una smorfia.
Lui sorride. «Vieni, ti porto sul retro per prendere un po' d'aria pulita e...» si ferma, alza una mano e mi pulisce nell'angolo della bocca. «Ecco fatto» dice e mi afferra la mano trascinandomi verso l'altra porta che dà su una sorta di giardino con alberi e alcune lucine attaccate da un ramo all'altro sopra la nostra testa.

Prendo posto su una panchina, lui fa lo stesso e io poggio la testa sulla sua spalla.
«Ora capisco perché non vuoi il cognome di tuo padre» dico fissando una aiuola di fiori vicino a un pezzo inutile di staccionata che non serve a niente.

«Mi sembra di essere tornata al liceo» aggiungo sospirando pesantemente.
«Come mai?»
«I bisbigli» rispondo incattivita.
«I bisbigli» ripete.
Alzo il viso e lo trovo a fissarmi divertito.
«Sì, i bisbigli. Là dentro non fanno altro che guardarti e bisbigliare facendo quei gruppetti di oche giulive. Credevo lo facessero solo gli adolescenti che non hanno di meglio da fare, ma a quanto pare nemmeno gli adulti scherzano. Dio... è così irritante» biascico abbracciandomi. Sfrego le mani per scaldarmi un po' e piego la testa all'indietro tanto quanto basta per fissare il cielo. Ci troviamo in una zona poco urbanizzata di San Francisco e fortunatamente l'inquinamento luminoso non è tanto, da qui si vedono le stelle, alcune ma ci sono. In sottofondo il rumore delle cicale.

«Mio padre ha una cattiva reputazione, sono abituato ai bisbigli» lo sento dire mi afferra e mi tira di spalle contro il suo petto. Mi abbraccia, tenendomi di conseguenza al caldo. Chiudo gli occhi per un po' lasciandomi inebriare dal suo profumo.
«Ma tu non sei tuo padre» replico con fastidio.
«Agli altri non importa.»
«Dovrebbero» lo correggo. «Prima di criticarti, dovrebbero sapere che tipo di persona sei. Non sanno niente di quello che hai passato, per loro sei solo il figlio di Benedict O'Brien che è fuggito in Medio Oriente rifiutandosi di partecipare al grande impero aziendale. Al diavolo il grande impero aziendale e le stronzate che combina tuo padre. Tu non sei lui e tutti loro dovrebbero chiudere la bocca perché non sanno niente» sibilo avvelenata sollevandomi sulla panchina e guardandolo.
«Non hanno la più pallida idea di quanto tu stia male, di quanto sia difficile e di quanto per avere la faccia tosta - mimo con le dita - di presentarti qui stasera hai dovuto chiedere di farti accompagnare. Non sanno che i posti chiusi con tanta gente ti fanno sentire soffocare, o di tutte le volte che ti svegli di notte e pulisci la cucina perché non riesci a dormire, oppure che fai l'agente di pattuglia perché puoi stare da solo, senza essere obbligato a intervenire con la pistola e quindi ti limiti solo ad arrestare ragazzini idioti che spacciano o fumano marijuana oppure dare qualche multa a chi supera il limite di velocità. Loro non sanno niente» aggiungo col sangue che mi ribolle nelle vene e Nicholas che mi fissa in silenzio senza proferire parola.

«Se vogliono criticarti dovrebbero prima darti una possibilità e conoscerti. Tu sei fottutamente gentile e buono, e aiuti le persone a prescindere da ogni cosa perché credi nelle seconde occasioni e vuoi pensare che là fuori la gente possa essere migliore di quanto non lo sia veramente-» farnetico a tremila chilometri orari.

«Basta» mi interrompe.
Aggrotto la fronte.

«Ma è... è vero, non possono farlo, non è... non è giusto e-»

«Veronica, ora basta» ordina lasciandomi di sasso.

Corruccio le sopracciglia confusa dal suo tono di voce.
«Perché ora...» si avvicina a me e rabbrividisco quando poggia una mano sul mio viso e me lo alza. Il respiro si fa irregolare, il cuore inizia a galoppare con prepotenza a velocità che nemmeno credevo possibile. Formicolii mi attraversano ogni capillare dentro le guance che sento a fuoco.

«... voglio essere una persona qualsiasi, qui con te non voglio essere altro che Nicholas. Niente Benedict O'Brien o bisbigli. Voglio essere una persona comune che fa cose comuni e parla di cose comuni» dice con una dolcezza che mi scioglie.

La musica da giardino è finita e adesso si sta suonando un pezzo lento, Tyler ed Edith stanno ballando al centro sotto gli occhi di tutti e lei, tutta sorridente, gli sussurra qualcosa all'orecchio che lo fa ridere. Gli fisso di sfuggita e mi sembra quasi di vedere la mamma lì tra le braccia di papà.
In ogni posto che entravano riuscivano letteralmente a illuminarlo. Erano perfetti insieme, come poche coppie che ho visto nella mia vita.
Litigavano ogni tanto, è ovvio, ma ogni volta loro tornavano insieme e il loro rapporto diventava sempre più forte. Ho sempre pensato che li avrei visti proprio così, come Tyler ed Edith, anche a cinquant'anni.

Lei nell'area di addestramento dei cavalli, papà che la raggiunge, le toglie il suo cappello da cowboy e la bacia dicendole che è ora di pranzo. Mamma amava il ranch, oltre la sua casa era anche un pezzo di lei. Papà mi raccontava sempre scherzando che non era mai stato sicuro se mamma amasse più lui o i cavalli. L'aveva portata al ranch, lei l'aveva guardato e poi ci era rimasta.

«E allora al diavolo tutti» mi alzo di scatto. Nicholas mi guarda stranito perciò gli porgo una mano.
«Se là dentro tutti ti odiano, che si fottano. Sei qui per il tuo amico, ma non puoi nasconderti in un angolo in disparte. Devi divertirti. Perciò - gli afferro la mano senza aspettare altro, obbligandolo a tirarsi su - tu ora vieni con me e facciamo cose da persone comuni» trascino dentro senza aspettare una sua risposta.

Non appena in quella che dovrebbe essere una pista da ballo improvvisata, afferro le sue mani e le poggio sui miei fianchi.

«Balla con me» allaccio le mani dietro il suo collo.
«Io non...» fa guardandosi in giro e sembra a disagio.
«Guardami» dico e non appena i suoi occhi finiscono nei miei apro bocca. «Tu ora sei con me, guarda solo me. Non c'è nessun altro a parte noi. Stasera sei solo Nick e tu ballerai con me, perché mi hai invitata, no? E gli altri? Forse ti fisseranno e diranno cose su di te, ma al diavolo loro e le loro stronzate. Ci siamo solo noi due, quindi devi solo... ballare con me.»

«Io non so ballare, Ronnie» mi confessa di getto in imbarazzo.
«Niente panico, te lo insegno io» replico con un sorriso che lo contagia.
«Non posso farti cambiare idea?»
Scuoto la testa. «Sono ostinata, ricordi?»


***

Angolo autrice

Beh uhm... povero Nick 🫂
E greve la situazione di Logan AHAHAHA mio dio vabbè sono molto senza parole
Ah, sì, il prossimo capitolo sarà uno molto interessante 👀

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