49 | Un bravo ragazzo

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CAPITOLO 49
Un bravo ragazzo

https://www.youtube.com/watch?v=nAQ_1lTDvPQ

Seduta sullo sgabello dell'isola della cucina di Ethan lo guardo mentre fa le sue cose ai fornelli lasciando tutto così pulito che mi meraviglio ogni volta.
La festa di Tyler?

Stavo per picchiare una vecchia bisbetica che blaterava troppe stronzate e Nick mi ha afferrata e trascinata via a forza. Forse erano tutti quei zuccheri che ho ingerito mangiando troppi cioccolatini, non ne ho idea, ma quando ha iniziato a dire cose a proposito dei quartieri poveri che la O'Brien Atlantic ha spazzato via sfrattando un sacco di persone rimaste senza case e che i figli sono complici perché non fanno niente per opporsi, soprattutto il maggiore dei due perché un poliziotto corrotto, mi sono intromessa nella discussione e le ho detto "Mi perdoni, ma lei è una puttana".

«Nick» lo richiamo ad un certo punto. Lui si gira, le maniche arrotolate e i capelli un po' disordinati. Nonostante il putiferio che ho alzato, sembra tranquillo. Cioè... Al suo posto mi avrei mollato un pugno in faccia per calmarmi e dirmi "Ronnie, ma che cazzo?"

«La O'Brien Atlantic è sempre stata così?»

Nicholas rimane visibilmente stupito dalla mia domanda.
«In che senso?»
«Un covo di affari illegali che rovina la vita alla gente senza soldi sufficienti per denunciare l'azienda?» ironizzo.

Lui prende un panno e si pulisce le mani. Ethan arriva nella sua vestaglia leopardata, apre il frigo, prende una lattina di Coca-Cola e abbraccia Nicholas da dietro per diversi secondi.
«Perché non sei gay?» gli domanda d'un tratto, gli occhi chiusi e poi si stacca stappando la lattina. «E perché non trovo nessuno come te? Oh... madre, zia Jeanette mi ha maledetto...» si lamenta ed esce fuori dove c'è la piscina.

In tutto ciò sia io che Nick ci guardiamo in silenzio per alcuni istanti finché non scoppiamo a ridere. Prendo il tappo di una bottiglia, glielo lancio contro e lui lo schiva.
«Smettila, non puoi farlo, sta soffrendo e tu sei un insensibile» lo riprendo cercando di darmi io stessa un contegno.

Mi aveva telefonato d'improvviso dicendomi che Ryan gli ha spezzato il cuore. Io gli ho detto che Ryan può anche andare a farsi fottere, e invece di tornare a casa ho chiesto a Nicholas di darmi un passaggio fino a qui. In tutto ciò io non ho la più pallida idea di chi diavolo sia questo Ryan.
Se si tratta di Ryan 1, il tizio palestrato col tatuaggio del dragone cinese sul braccio - veramente inguardabile; se Ryan 2, il professore di matematica della scuola elementare o Ryan 3, quello che parlava insistentemente di community LGBTQ+, gay pride e il braccialetto che aveva regalato ad Ariana Grande e che e voleva convertirmi al veganismo perché i pulcini sono troppo piccoli e carini.
Mi ricordo solo di avergli risposto che i pulcini li preferisco come chicken wings accompagnati da salsa barbecue... e poi non l'ho più rivisto e nemmeno Ethan perché aveva commentato con "Io preferisco il chili extra piccante".

«Sta bene?» mi chiede mentre lo guardiamo in piedi a fissare l'oceano che si vede dalla sua terrazza, il vento che gli scompiglia la vestaglia e lui a braccia aperte. Sembra sul punto di dividere le acque come Mosè.

«Tu continua a fare quello che stavi facendo. Se mangia, si sentirà meglio» dico con un gesto della mano.
Nicholas annuisce sorridendo.

«Non si può denunciare la O'Brien Atlantic» dice riprendendo il discorso di prima e lo fa in uno strano modo, come se avessi detto la battuta più esilarante del mondo. «Non funziona così...» poggia i gomiti sul bancone, chinando la schiena e mi rivolge un'occhiata insolitamente intensa, un po' come guardo io Pipistrello, il gatto randagio che vive nei cassonetti dell'immondizia sul retro del Pink Ocean e che nutro. Lo guardo proprio così quando lui viene a fare le fusa accanto le mie gambe.
«È per quello che è successo da Tyler? Cerca solo di dimenticarlo. Alcune cose semplicemente non si possono sistemare.»
«Ma tu sei un poliziotto» replico contrariata.

Lui mi sorride in un modo così dolce come se gli avessi fatto un complimento e si alza.
«Non posso schierarmi contro l'azienda di famiglia.»
«Perché sarebbe un conflitto di interessi?»
Scuote la testa. «Volevo cambiare cognome e andarmene il più lontano possibile, ma mio padre era stato molto chiaro su diverse cose e ha saputo rendermi la vita difficile. Dici che sono un maniaco del controllo? Non hai ancora visto lui» ride con tristezza. «Gli ho ceduto metà delle azioni, ho firmato una clausola di riservatezza e ho promesso che non avrei mai più varcato la soglia di quel posto. Tutto questo solo per lasciarmi in pace. Mio padre è... pericoloso» confessa alla fine spostando lo sguardo per un attimo altrove. Non l'ho mai visto così serio.

«E anche se ho fatto di tutto per buttare il suo nome nel dimenticatoio, a quanto pare resta inutile.»

«Sei la sua fotocopia...» mormoro. Lui mi rivolge un piccolo sorriso.
«Già... È difficile nascondersi quando la mia faccia è presente sui tabloid ma poi se guardi meglio ti rendi conto che non è affatto la mia faccia...» dice e riprende a cucinare.

«Non prenderla troppo sul serio» consiglia buttando la pasta in acqua a bollire. «Sono abituato a tutto. Devi solo ignorare, non c'è altro modo» torna da me e prende posto sullo sgabello accanto. Lo tira verso di lui finché non finisco con le ginocchia tra le sue gambe.

«Però fa schifo» replico.
Lui annuisce.
«E poi sei un poliziotto e... il tuo nome dovrebbe ispirare non so... quando papà entrava in una stanza, le persone dicevano "Guarda, c'è Kyle" e tutti si avvicinavano per salutarlo. Meriteresti lo stesso trattamento e invece la gente pensa che sei un poliziotto corrotto o che...» confesso spostando gli occhi a destra, sulla pentola che bolle e mi fermo perché quello che vorrei dire sono le parole che mi ha rivolto Elijah.
Nicholas che gli ha ucciso il fratello.

Mi sento toccare la coscia, perciò abbasso gli occhi e vedo la sua mano sul paio di pantaloni da tuta che ho preso da Ethan, togliendo così via il vestito e i tacchi.
«Va tutto bene, Ronnie.»
Poggio la mia mano sulla sua e gliela afferro.

«Se Tyler è tuo amico perché ha lasciato che venisse quella gente?» chiedo di getto azzardando forse troppo. Alzo lo sguardo.

«Perché è così che deve andare» risponde tranquillo. «Ha la sua vita, la sua carriera e io non posso dirgli o pretendere che si schieri verso un cavallo di battaglia che ha già perso in partenza. Gli serve che la gente lo apprezzi, lui a differenza mia non ha quello che...» tira un sospiro stringendo la mia mano. «... Se qualcosa dovesse andare storto, posso sempre contare sui soldi che mi ha lasciato mio nonno. Non li ho mai toccati, ma sono lì, invece per Tyler la sua carriera è tutto. È sergente ora, ha lavorato tanto, non posso portarglielo via. La lealtà è tutto, ma non quando questa può distruggere una persona; ho già rovinato vite a sufficienza.»

«I tuoi compagni di squadra?» chiedo istintivamente e me ne pento di conseguenza. «Non è stata colpa tua, non lo è stata di nessuno. È successo e basta» aggiungo cercando di sistemare la situazione.

«Vado a controllare la pasta» dice e si alza.
Lo vedo raggiungere la pentola, girare con un mestolo e poi poggiarlo sul banco da cucina. Potrebbe tornare qui e invece resta fermo, mi dà le spalle e io mi sento di colpo terribilmente stupida.

Merda, avrei dovuto tenere la bocca chiusa.
Indugio per diversi istanti finché non mi faccio forza e mi tiro in piedi raggiungendolo. Gli fisso il profilo e non so che fare.
Chiedo scusa? Sì, probabilmente lo devo fare.
«Ho parlato troppo» dico con rammarico. Lui si volta, pianta gli occhi nei miei e mi guarda per alcuni istanti finché non si avvicina e mi tira a lui in un abbraccio talmente improvviso da mozzarmi il fiato.

«Non scusarti mai con me» ordina con una dolcezza disarmante, poggiando una mano sui miei capelli. «Non per delle cose in cui tu non c'entri niente.»

Il mio cuore prende a battere più forte.
Avvolgo le braccia intorno a lui non potendo farne a meno.
«Elijah» dico invece sputando il rospo. Nicholas rimane in silenzio. «L'uomo che si è avvicinato a me stasera. Elijah, è così che fa di nome. Ha detto delle cose su di te.»
«Per questo eri così arrabbiata?» ride lievemente.
«Non c'è niente di divertente» mi stacco leggermente per guardarlo in viso.
«E cosa ti ha detto? Sentiamo» fa con un tenue sorriso spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Tiro un profondo respiro.
«Quelle cose su tuo padre, tuo fratello che combina casini, tu che invece vuoi fingerti qualcuno che non sei perché non fai nulla per fermare la marea di reati della O'Brien Atlantic e...» deglutisco abbassando lo sguardo per qualche frazione di secondo. «Elijah è il fratello di un tuo vecchio compagno di squadra» confesso alzando le pupille di scatto.

Nicholas mi guarda silenzioso e io sento l'ansia risalire finché non agrotta la fronte stranito.
«Nessun mio vecchio compagno di squadra aveva un fratello di nome Elijah» confessa.

Non sto capendo.

«Credo tu abbia parlato con qualcuno che... fa il giornalista» sorride. Lo guardo, elaboro e poi realizzo finalmente le sue parole.

«Che? Aspetta... in che... aspetta, in che senso?» sbatto le ciglia sentendomi più cretina del solito.

«Già, proprio così» fa divertito. «Sicuramente ti avrà visto insieme a me e voleva strapparti qualche informazione per uno dei loro ridicoli articoli di gossip, non ne ho idea ma sono molto bravi a intrufolarsi in questo tipo di eventi.»
«Ma come faceva a sapere della tua ultima missione che è andata male...?»
Nicholas tira un sospiro. «I giornalisti, quando vogliono, trovano di tutto.»

«Gli avevo creduto... io gli avevo davvero creduto. Insomma il modo in cui si è posto, in cui parlava, sembrava tutto così vero, la sua storia... sembrava vera» dico incredula.

«Dovresti lasciar perdere, prendi esempio da Ethan» mi fa indicandolo. Mi giro e lo trovo ancora lì, nella stessa medesima posa.
«Ethan adesso soffre per un Ryan» replico con una smorfia.
Lui ride. «Perché, quanti Ryan ci sono?»
«Tre... o forse quattro. Ryan è un nome più comune di quanto tu possa pensare» ridacchio e cala improvvisamente il silenzio. C'è solo il rumore della pentola che bolle e nient'altro.

I miei occhi sono nei suoi che lo guardano e il mio respiro si fa lentamente più pesante.
Con ogni istante che passa le guance formicolano e non so, non ho idea come, ma mi trovo a qualche centimetro dal suo viso.
Le pupille scivolano sulle sue labbra. Dglutisco pesantemente, la mia carne vacilla con violenza tanto quanto è irregolare il battito cardiaco che sento fin dentro le tempie.

È già successo, l'ho già baciato in precedenza, è successo anche una settimana fa quando mi ha spinto nell'auto di Ethan, ma questa volta il mio cervello è completamente in cortocircuito e non ne capisco il motivo.
Forse è perché non siamo a letto, perché non c'è niente di sessuale che possa pompare l'adrenalina nelle vene. So solo che mi sento soffocare, mi manca l'aria, non respiro.

Le mie labbra sfiorano le sue e...

«Dove diavolo è la mia cena?!»

Mi stacco immediatamente, tirandomi indietro così veloce che quasi non sbatto col gomito contro il bordo del frigorifero. Col cuore in gola mi giro verso la porta del terrazzo e trovo Ethan con le braccia spalancate.

«Io soffro per amore e voi ora dovete fare queste cose? Dov'è il mio cibo? Dovrei essere coccolato e riempito di attenzioni. E tu - mi punta un dito contro - sparisci immediatamente da lì e preparami la vasca da bagno con la schiuma rosa e le paperelle!» ordina facendomi "sciò sciò" con le mani. «Sotto questa vestaglia sono completamente nudo, non mi obbligare ad aprirla» minaccia e va a lanciarsi sul divano poco più distante.

Stordita lo guardo mentre cambia canale e mette una puntata di Hannah Montana su Disney+.
A fatica torno da Nicholas. Lo guardo in silenzio e sento le guance in fiamme.
Ma che diavolo...

«I-io... io ora vado» balbetto schiarendomi la voce e mi allontano.
Lui annuisce.
Indico le scale che portano al piano superiore. «Sì... vado, vado a riempire la vasca e... t-tu fai quello che devi fare, sì, io ora vado» farnetico passandomi una mano tra i capelli mentre mi allontano lentamente.

«Torno a controllare la pasta» dice invece lui lanciando frettolosamente un'occhiata a Ethan per poi tornare su di me che gli alzo un pollice in alto e mi giro per salire le scale, ma sbatto contro il vaso di fiori e lo prendo al volo prima che cada per terra e si riduca in mille pezzi. Merda.

Lo rimetto a posto e guardo Nicholas per qualche istante, mollandogli un sorriso a labbra chiuse.
«S-sì... vado su, al bagno... tu divertiti in cucina» caccio una mezza risata probabilmente troppo stridula per poi aggrottare la fronte pensierosa. Oh, mio dio, ma cos'è stato quello? Un verso di una volpe rincretinita?

«Cioè divertiti nel senso che fai le tue cose con le mani.»

No, aspetta, così suona male.

Lui corruccia le sopracciglia, stranito.

«Non in cucina, cioè tu non fai le tue cose in cucina, no?» domando con una smorfia. «Spero di no perché sarebbe molto poco igienico e... e sì, sì ora vado...» indico le scale e scappo su senza girarmi nemmeno per una sola volta.

Oh, Dio è stato così...
I brividi mi attraversano ogni centimetro di carne.
«Imbarazzante...» mormoro a bassa voce tra me e me.
Io quel tizio l'ho visto nudo, più di una volta. Tante volte.
Tantissime.

Quindi che diavolo mi è preso?

***

Sul gradino della scalinata in pietra che porta al padiglione principale dell'università, attendo perché so che oggi c'è un esame. Il suo esame.
Il campus è ancora abbastanza desolato, l'ultima lezione finirà tra qualche minuto per cui mi godo la nicotina della sigaretta.

Le cuffie alle orecchie, la testa che si muove a ritmo di musica, a voce bassa canticchio di tanto in tanto qualche verso.

E lo vedo.
Mi passa accanto, tanto va di fretta da non avermi nemmeno riconosciuta. Scende le scale, la borsa in spalla, un libro in mano e i capelli corvini scompigliati.

In una circostanza diversa, se fossimo quelli di due anni fa, gli avrei chiesto "Dove scappi? Hai acquistato un nuovo pacco della LEGO e vuoi montarlo subito?"
Lui si sarebbe girato, mi avrebbe sorriso e risposto con una solita battutina a doppio senso... come ad esempio "Te lo lascio aprire. Sul letto è più comodo così lo montiamo insieme."

Sì, lui avrebbe detto una cosa del genere.
Due anni fa una battuta del genere mi avrebbe fatto ridere, adesso non credo proprio.

Spengo la sigaretta sotto la suola della scarpa, mi porto le dita alla bocca e fischio di getto. Sono diversi gli studenti a girarsi ma a me interessa solo uno di loro.
Lo vedo voltarsi continuando a camminare, dà un'occhiata alle sue spalle, ritorna a guardare davanti a sé finché non realizza e di ferma d'un botto.

Si gira lentamente come un animale braccati e il suo sguardo sguardo finisce su di me.
Seduta ancora sullo scalino alzo una mano a mo' di saluto, lui mi guarda ammutolito senza accennare alcun movimento. Non si aspettava la mia faccia qui, glielo si legge chiaramente.

Beh... nemmeno io ad essere onesta.

A Sacramento ho visto qualcosa, ho visto lui, la sua vera vita e poi ci ho pensato sul serio. No, non mi sento ferita da Logan Price, ma solo ridicolmente presa in giro.
Non che io fossi migliore, ho sempre avuto dubbi su ogni cosa e mi sono fatta tremila problemi, li ho creati dal niente. Ma qui non si parla di me e della mia fobia ad attaccarmi emotivamente a un'altra persona perché ho paura di essere ancora una volta presa in giro... raggirata come Logan ha saputo fare con una maestria a tratti invidiabile.

Qui si parla di lui.
Del modo in cui è ripiombato nella mia vita mollandomi sguardi, parole e speranze.

Quando sono arrivata a San Francisco volevo colpire Adrien facendo del male al suo caro amico qui presente, ma poi mi sono ricordata che io non sono una persona vendicativa, che mia madre non ha cresciuto un tale mostro, ma mia madre è morta, mio padre non c'è e io sono crollata per poi rialzarmi da sola.

Volevo fare del male a Logan Price, mi era sorta questa idea per poi abbandonare subito quando avevo capito che lui fosse una brava persona.
Un bravo ragazzo.

Non sono certa se mentiva così bene anche mentre passeggiavamo insieme per il campus universitario, quando mi insegnava ad andare sullo skateboard, ma non è importante perché chiunque sia lui adesso quella persona non ha alcun valore per me. Non più.

Mi alzo e scendo gli ultimi gradini. Mi indirizzo in sua direzione e non appena gli sono davanti gli rivolgo un sorriso.

«Sembra quasi che tu abbia visto uno spettro» ridacchio.

Logan si guarda frettolosamente in giro per poi tornare con gli occhi su di me.
«Non mi aspettavo che... è solo... è strano vederti da queste parti...» dice sforzandosi a sorridere. «Come mai sei qui?» chiede subito dopo.

Alzo le spalle. «Niente di speciale... ho solo pensato a quello che mi hai detto tempo fa» rispondo. Lui aggrotta la fronte.
«La parte in cui dovrei dare un senso alla mia vita, pensare al mio futuro... quelle robe così e ci ho pensato» gesticolo con una mano.

«Riprendi gli studi?»

Risolvo vecchie questioni rimaste in sospeso.

«No, no... sono qui per Kim e Nath, usciamo insieme per pranzo prima della festa di domani sera a casa sua. Tu? Dove stai scappando? La tua stanza è da quella parte» indico la mia sinistra con un cenno di testa.
Logan si passa una mano sul viso, non ha per niente una bella cera. Se solo non sapessi quello che so penserei che fosse malato o che lo studio gli stia rubando troppe energie.

«Oh, no... sto andando a casa.»
«Sacramento?» chiedo.
Lui annuisce.
«Non ti sei più fatto sentire. Ti ho chiamato e mandato diversi messaggi. È successo qualcosa?» azzardo guardandolo diritto negli occhi aspettando quello che so che mi dirà.

«Sì, ecco... ho avuto dei problemi e... mi dispiace, è un periodo un po' pesante, già...»

«Sempre tua sorella?» chiedo ancora. Lui aggrotta la fronte, sembra confuso, ma poi gli occhi si illuminano.

«Ah, Liz! Sì, sì. Ma non è niente di che alla fine.»

«Tu, invece? Tu come stai?»
Questa è una buona domanda, Logan. Un'ottima domanda.

«Occupata col lavoro e tutto il resto, ma oggi sono riuscita a tagliarmi un po' di tempo solo per te» che userò per vedere fino a che punto sai dirmi una marea di stronzate guardandomi diritto negli occhi.

«Per quella cena...» prende parola e rimango stupita dal fatto di aver finalmente detto una cosa vera. «Non volevo andare via in quel modo, è solo che-»

«Liz aveva bisogno di te» lo interrompo. Lui annuisce e a stento riesco a non ridere.
Mio dio... ma chi diavolo sei, Logan?

«E adesso come sta? Sono passate delle settimane. Sta bene? Se vuoi posso parlarle, andavamo molto d'accordo e-»

«No!» esclama tutto d'improvviso e se ne rende conto. «Cioè no, non è necessario» sorride lievemente. «Meglio non parlarle, sono capitate molte cose e non è necessario riportare a galla cose... sai, adesso risolte.»

«Hai detto che non è niente di che» gli ricordo. Lui aggrotta la fronte.
«Cosa?»
«Hai detto che con Liz non è niente di che» mi spiego meglio.
«Ah, sì, giusto... hai, hai ragione scusami. Sì, non è niente di grave, ma ora sta meglio quindi forse non è il caso.»

Certo. Hai proprio ragione.
Annuisco di nuovo e resto a guardarlo un po', non so nemmeno per quanti istanti, forse aspettandomi che da un momento all'altro lui finalmente deciderà di dirmi la verità e invece... niente.

Mi avvicino a lui d'un passo, quanto basta per trovarmi a qualche centimetro, quanto basta per alzare le mani e allacciarle dietro al suo collo e il mio gesto pare lasciarlo spaesato.

«Non mi hai ancora dato alcun bacio» gli faccio notare. Lui sgrana gli occhi e abbozza un sorriso.
«Sì... scusami, sono un po' con la testa da un'altra parte, non ti avevo nemmeno notata.»

Alzo le spalle. «Beh, ora puoi baciarmi, no? E magari lasci perdere Sacramento e vieni con me, ti porto a mangiare qualcosa a casa mia. Ho preso anche il gelato al cioccolato, quello che piace a te e l'ho messo nel frigo. Kim e Nath tanto le vedrò domani» dico e non mento. Quel gelato c'è, ma l'ho preso per me ed Ethan.
Logan mi guarda silenzioso e sembra pensarci.

«Intanto che decidi, puoi salutarmi come si deve, no?» sposto la mano afferrandolo per il viso e poggio le mie labbra sulle sue e lo bacio, tanto da strappargli via ogni singolo respiro così da strozzarlo qui, proprio ora, ma purtroppo non funziona.

«Mi sei mancato» dico non appena mi stacco e lui mi fissa con uno sguardo paonazzo, completamente disorientato. Si schiarisce la voce e si guarda in giro con aria preoccupata.
Forse non va bene che qualcuno lo veda abbracciato a un'altra...

«Quindi vieni a pranzo con me? Puoi rinviare i tuoi impegni. Che vuoi che sia. Puoi studiare domani... o più tardi» sdrammatizzo.
«No, ecco... ho delle cose da fare, preparami per un esame e-»
«Ormai sono qui e non ti vedo da molti giorni, andiamo a mangiare qualcosa, solo noi due e poi ti lascio studiare...» lo abbraccio a me. «Perché scappi così? Hai per caso dei figli a casa che ti aspettano?» scherzo cacciando una mezza risata e gli rubo un bacio.

Lui, immobile, pare sbiancare di getto ma poi annuisce solo.
«Va bene.»
Resto stupita. «Va bene...?»
Logan scuote la testa con un piccolo sorriso.
«Sì, va bene. Dove vuoi andare?»

Credo che il moccioso che ha a casa gli abbia fritto un po' il cervello perché è così stanco che nemmeno sa stare attento alle parole che dico.
«A casa mia» gli ricordo ridendo. «Tutto okay, Cisco?» chiedo fingendomi preoccupata.
«Uh?» mugugna stranito.
Gli rivolgo una smorfia divertita. «Hai delle occhiaie impressionanti. Dovresti dormire un po'. Che fai di notte? Ti tiene sveglio qualcuno?»

Una battuta molto sottile. Molto sottile.

«Studio fino a tardi, tutto qui» liquida la cosa immediatamente.
«Hai bisogno di un caffè» alzo le sopracciglia divertita e mi stacco da lui afferrandogli una mano. «Dai, te lo offro io» lo tiro a me verso il bar.

Lui non replica, mi segue in silenzio. Non appena entriamo, raggiungo il bancone, ordino un caffè macchiato e attendo mentre il ragazzo dall'altro lato me lo prepara subito. Il bar è ancora abbastanza spoglio, sicuramente un punto a mio favore. Tiro fuori il cellulare, scrivo a Kim che per pranzo sono occupata e lei mi risponde con "Nessun problema, ci vediamo domani <3"

Rimetto il cellulare in tasca, afferro il caffè e pago di tasca mia per poi girarmi verso Logan a cui indico un tavolo vicino.
«Non stavamo per andare a casa tua?» chiede stranito.

«Sì, ma prima ti siedi e bevi un po' di caffè» dico raggiungendo il tavolo, lui mi segue e lo vedo dare un'occhiata al campus oltre le vetrate del locale come a controllare qualcosa.
«Stai aspettando qualcuno?» chiedo. Logan si gira di scatto e scuote solo la testa.
«Beh, siediti» dico con un piccolo sorriso.

«Lo posso bere mentre raggiungiamo il parcheggio» dice frettolosamente e fa per prendere il bicchiere di cartone dalla mia mano, che allontano di scatto.
«No, siediti. Avanti, prendi posto» replico contrariata e poggio una mano sul suo petto spingendolo verso la sedia di un passo.
«Davvero, Ronnie, posso berlo di strada al parcheggio, non c'è bisogno di stare qui e-»

Aggrotto le sopracciglia ascoltando le sue parole, annuisco finché la mano dal suo petto non sale fino alla sua spalla che spingo di getto verso il basso e lui in automatico prende posto sulla sedia quasi rischiando di cadere.

«Ho detto: siediti» ordino a denti stretti iniettando le pupille nelle sue rifilandogli un'occhiata glaciale. Sento il cuore battere forte in un modo che non sentivo da molto. È tutto quello che ho tenuto dentro di me mentre ascoltavo tutte le sue puttanate. È quello.

Logan sgrana gli occhi e mi guarda con fare spaesato. Perciò tiro gli angoli della bocca in un piccolo sorriso e in tutta tranquillità gli poggio il caffè davanti, prendo posto accanto a lui, una gomito sul tavolo, le dita a reggere il viso e lo fisso in silenzio per alcuni istanti.

«Bevi» dico con un cenno di testa verso il bicchiere. Lui invece non si muove.
«Che... ma che hai?» mi domanda sul serio... confuso.
Non ci credo. Tutto questo è esilarante.

«Bevi altrimenti si fredda» rispondo.
Lui fissa il caffè, poi me e corruccia le sopracciglia.
«Non stavamo andando a casa tua?»

Rido.
Non riesco più a trattenermi e mi scappa una piccola risata bassa che lo lascia ancora più spaesato.
«Oh... Cisco. Se tu venissi a casa mia potrei farti tante di quelle cose che nemmeno immagini» come soffocarti nella mia vasca da bagno.

Probabilmente il suo pensiero sfugge a noi due e un letto, perché dall'occhiata che mi rivolge sembra proprio questo e si tranquillizza per qualche istante. Prende il suo caffè e ne beve un sorso, e io spero ci si strozzi ma sfortunatamente non accade. Che peccato.

«Quindi con Liz tutto bene?» riprendo parola. Lui poggia il caffè sul tavolo e annuisce.
«Vancouver deve essere molto bella in questo periodo dell'anno» commento pensierosa. Ed eccolo, l'esatto momento in cui il suo mondo crolla a pezzi, glielo si legge negli occhi e finalmente sento la soddisfazione salire a galla, sfiorare ogni mio terminale nervoso, provocarmi brividi di piacere.

«Suppongo che per starle accanto tu abbia preso il primo volo disponibile anche se mi sembra poco fattibile. Che hai usato? Il teletrasporto?» chiedo ridendo appena.
Logan, completamente ammutolito, mi guarda, posa gli occhi sul suo bicchiere e poi li risolleva.
«Lo hanno inventato? Strano che non lo sapessi, sai...» gesticolo teatralmente con la mano. «Lo avrei usato anche io settimana scorsa per arrivare a Sacramento senza dovermi fare quasi un'ora di macchina» aggiungo subito cercando una qualche reazione da parte sua.

«Se avessi saputo che hai un figlio, avrei portato qualcosa - sbianca con violenza - come un peluche, non so... di solito che si porta ai bambini così piccoli? Non me lo sono mai chiesta, sono sempre stata figlia unica» alzo le sopracciglia sovrappensiero cercando di trovare qualcosa che possa andare bene ma non trovo niente, non me ne intendo di bambini.

«Io... i-io ti posso spiegare, dammi, dammi solo un secondo per spiegare e so che devo chiederti scusa e-» finalmente si sente la sua voce che zittisco con un gesto di mano.

«Le tue scuse devono essere forti quanto la tua mancanza di rispetto. Fortunatamente non dovrai scomodarti tanto, non sono qui per sentirti blaterare i tuoi "mi dispiace", li ho sentiti così tanto che ormai potrei incidere un disco di platino» commento completamente indifferente. «So solo che vorrei non averti mai conosciuto.»
Sorrido con amarezza, lasciandolo di stucco.

«Sei stato ogni cosa e niente allo stesso momento. E ora non sei altro che... - lo indico con un gesto di mano e una smorfia in viso - una persona che non ho mai conosciuto veramente. Mi sono innamorata di un'idea, ma non di te. Tu...» scuoto la testa e picchietto le dita sul tavolo. «Io non ti conosco. Non ti ho mai conosciuto. Non so chi tu sia stato, né voglio conoscere chi sei adesso.»

Mi tiro in piedi e lo guardo. «Stammi bene, Logan Price, e goditi il caffè» lo saluto con un cenno di testa per poi passargli di fianco e raggiungere l'uscita.
Percorro il campus universitario fino al parcheggio, raggiungo la mia moto, salgo in sella e do un'occhiata in giro.

Tiro un profondo respiro.
Va tutto bene.

Prendo il mio cellulare, controllo i messaggi e ne trovo uno da Ethan. Aggrotto la fronte quando noto che è un video di pochi secondi.

In una felpa nera post rottura con Ryan, i capelli sfatti e la barba incolta mi sorride.
«Guarda qui, piccola streghetta!» urla e alza in aria... ma è una pistola?
Corruccio stranita le sopracciglia e spalanco gli occhi quando inizia a rotearla goffamente.
«Piu, piu, piu!» fa con enfasi mentre finge di tirare dei colpi di proiettile.

Una mano appare improvvisamente nell'inquadratura e prova a strappargliela via ma Ethan cerca di dimenarsi e impedirlo, finché non cede e rifila davanti a sé uno sguardo imbronciato iniziando a lamentarsi. Capovolge l'inquadratura sulla fotocamera posteriore del cellulare e vedo... Nicholas.

In uniforme, il parcheggio della Centrale di Polizia in sottofondo e lui che si rimette la pistola nella fibbia al fianco, poi alza lo sguardo e lo punta su Ethan.
«Che stai facendo?» chiede severo e si avvicina. Alza una mano provando a fermare la registrazione che inizia a traballare da destra e sinistra e...
Oh, Gesù, Ethan sta correndo via.
E la registrazione si interrompe bruscamente.

Rimango sbigottita a fissare l'ultimo frame del video mentre non potendo farne a meno scoppio in un breve risata. Prendo gli auricolari bluetooth, scrollo tra i contatti, premo su "chiama" e rimetto il cellulare in tasca, infilo il casco e accendo il motore della moto. Mentre squilla, metto le mani sul manubrio ed esco dal parcheggio.

«Si può sapere per quale motivo Ethan aveva una pistola in mano?» chiedo non appena risponde, prima ancora di dargli tempo per dire qualunque cosa.

«Aveva la sicura» ribatte lui come se fosse un lato positivo. «E avevi detto che gli serviva una distrazione per evitare che si ubriacasse ventiquattro ore su ventiquattro e cascasse in piscina rischiando di suicidarsi... Vero?» fa incerto alla fine tanto da farmi sorridere.

Svolto a destra prima di riaprire bocca.
«Non mi riferivo a "porta Ethan con te in stile giornata al lavoro con il papà". Ora dov'è?» ridacchio divertita.

«Ha detto di dover andare al bagno, mi sono fermato a un pub... e non posso essere suo padre, è più grande di me» replica con fare ovvio.

Oh, merda...

«Controlla il tuo distintivo» gli dico sospirando pesantemente.
«Perché?» chiede lui stranito.
«Tu fallo.»

Silenzio.
Ancora silenzio.

«Non ci credo...» lo sento mormorare d'un tratto.
«Te l'ha rubato, vero?» chiedo e mi fermo al semaforo che sfortuna vuole sia ora sul rosso

Silenzio.
Sì, l'ha fatto.

Tiro un altro sospiro. Ethan con un distintivo di Polizia può fare tante cose, tutte incredibilmente illegali.
Controllo il semaforo, poi mi guardo in giro aspettando che diventi verde e dallo specchietto retrovisore vedo una moto nera avanzare, sorpassando tutte le auto in coda dietro di me finché non si ferma al mio fianco.

Mi volto.
Guardo il guidatore. Lui spegne il motore, alza la visiera e i suoi occhi neri puntano me.
«Accosta» dice.

È per caso uno scherzo?

«Cerca il casinò più vicino, ci sono molte probabilità che Ethan sia lì. Ora devo riattaccare» riprendo parola con gli occhi iniettati in quelli dell'ultima persona che dovrebbe trovarsi qui vicino a me. Il sangue nelle vene mi ribolle a mille gradi centigradi. Serro i denti, premo il pulsante sul lato del cellulare che ho in tasca e spengo la chiamata.

Scendo dalla moto.
Metto il cavalletto.
Mi avvicino alla sua, lo guardo per tre secondi esatti per poi mollargli un calcio così forte da farlo cadere contro l'asfalto, fregandomi di tutte le persone che ci stanno guardando.

«Stammi tra i piedi ancora un'altra volta e ti sbatto in galera» sibilo avvelenata riferendomi senz'altro al suo piccolo passato segreto da corriere di droga per quel Rodney Jefferson. Risalgo in sella, guardo il semaforo e questo diventa verde.

Perfetto.
Ora devo trovare Ethan prima che usi il distintivo di Polizia per infilarsi in chissà quali stronzate.
Accelero al massimo.

***

Angolo autrice
Sì, mi piacciono di colpi di scena. Molto. 👀
E adoro Ronnie.
Ronnie mio animale guida. 😂😂

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