39 | Un druido

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CAPITOLO 39
Un druido


Col cartone del caffè tra le mani ancora caldo, e seduta in prua alla barca guardo il cielo rosa e i primi raggi di sole che tinteggiano le onde dell'oceano ancora piatto facendole brillare.
Qualcuno prende posto alle mie spalle, le sue braccia mi avvolgono e mi stringono al suo petto.

«È sabato» dice accanto la mia testa. Un tenue sorriso mi si forma sulle labbra e mi lascio cullare dal suo calore chiudendo gli occhi. Lui china il viso, sposta un po' il cappuccio della mia felpa e posa un bacio tra i miei capelli.
«Ethan ti ama così tanto da essersi assentato al turno mattiniero al Pink Ocean solo per te» dico divertita strappandogli un piccolo cenno di risata.
«Ho conquistato il tuo cuore e anche quello del tuo miglior amico. Mi sento l'uomo più fortunato al mondo» ridacchia facendomi sorridere inevitabilmente.

«No, tu gli hai detto di saper pescare e lui cerca di farlo da anni ma ogni volta quando ci prova finisce con l'amo da pesca infilzato nel culo. L'ultima volta ha lanciato in acqua anche la canna. Sono andata a recuperarla a nuoto» dico facendolo ridere. «Non dovevi metterti a pescare?» chiedo.

«Ethan ha portato una sogliola surgelata da usare come esca. Sta cercando di scongelarlo con l'accendino e si è bruciato già due dita. Credo voglia catturare uno squalo.»

«Beh, meglio di niente. No?»

«Forse useremo le tue patatine all'jalapeno come esca...» mormora sovrappensiero strappandomi un risolino.
«Lascia in pace le mie patatine.»

Lui mi stringe di più a sé.

«Sì, forse è meglio. Sono così piccanti che se le lanciassi in acqua morirebbero tutti i pesci in meno di tre secondi. Quelle patatine potrebbero essere usate come arma biologica per distruggere un intero ecosistema.»

«Nick, fottiti» dico cercando di essere seria ma invece fallisco perciò gli mollo uno schiaffetto sulla mano e lui caccia un finto lamento.

«Una piccola terrorista dell'ecosistema... Sei pericolosa...» cita in un mormorio con un tono talmente basso al mio orecchio da farmi andare a fuoco le guance.
«La smetti?»
«Lavori davvero per la Yakuza o fai parte di una fratellanza russa a stampo mafioso?» continua nonostante tutto. Mi trattengo dal ridere mentre lui sghignazza come un imbecille, mi tira di lato e così facendo il mio viso finisce davanti al suo.
«Settimana prossima ho il mio colloquio per le forze speciali» svela.

Non perde tempo evidentemente, forse perché non gli piace starsene con le mani in mano senza fare niente di produttivo. Immagino che questa settimana, per quanto sia stata bella passarla insieme, per lui sia risultata difficile. Per Nicholas il lavoro è un punto fondamentale della sua vita, è uno stacanovista, mentre io tendo a procrastinare un sacco.

«Se dovesse andare tutto bene, metto il passamontagna e ti vengo a rapire all'università» dice poi.

«Non ti permettere. Se uno della SWAT mi entra in aula farai pensare a tutti che sono una criminale» ribatto seria questa volta.

«Oh... ma tu lo sei» sussurra facendomi sorridere nonostante tutto. Mi afferra e mi molla un bacio fortissimo sulla bocca tanto da spingere la mia testa all'indietro. Rido inevitabilmente contro le sue labbra.

«Lo sai che se ti giri e tiri un po' giù i pantaloni posso-»
Sbarro gli occhi premendogli subito la mano sulla bocca.
«No» scuoto la testa e lo guardo male.
Nicholas in tutta risposta mi fa scivolare di spalle contro la barca e si mette su di me.
«Togliti subito» dico a bassa voce iniziando a scaldarmi. Do un'occhiata rapida a destra e vedo in lontananza Ethan chinato sulle ginocchia con l'accendino in una mano e il pesce nell'altra mentre lo regge per la coda e prova a farlo sciogliere.

«Dopo, quando farà più caldo, vuoi fare un po' di sesso in acqua?»
La sua voce talmente profonda e vibrante mi percuote come una scarica elettrica ogni centimetro di carne raggiungendo le mie parti intime che pulsano come di conseguenza.
Sulle labbra ha un sorrisetto talmente stupido quanto peccaminoso a livelli che non saprei nemmeno definire.

«Faccio a meno dell'acqua salata nella mia vagina, grazie» replico contrariata.
Lui fa una smorfia pensierosa.
«L'acqua può entrare dentro?»

Cerco davvero di non ridere ma è abbastanza difficile se mi guarda con quell'aria ingenua.
«Sì, Nick. Entra dentro e lo fa anche il sale. Non mi beccherò una infiammazione per colpa tua. Ora levati.»

Nicholas Bailey Reed che non sa proprio arrendersi a niente, trova una soluzione in men che non si dica.
«Posso leccarti» spara.

Resto a guardarlo con sgomento. Non tanto per quello che ha detto ma per come l'ha detto.
«So tenere il respiro sott'acqua molto a lungo e-»

«Per questo ti ho strangolato quattro volta senza riuscire ad ucciderti?»

Lui sorride di sbieco. «Scendi sott'acqua con me e ti faccio vedere quanto sono bravo. Il mio record è di due minuti e mezzo, ma con te rischio e cercherò di arrivare a tre.»

Mio dio, è proprio scemo.

«Smettila subito di parlare» ordino mordendomi un labbro per contenere le risate e gli tappo di nuovo la bocca. Lui, invece, affila lo sguardo in un modo troppo pericoloso.

«Oggi non succederà niente. Io tornerò a dormire mentre tu andrai da Ethan. Aiutalo con quel pesce prima che si bruci tutte le dita» lo supplico alla fine perché c'è davvero il gran rischio che Ethan arrivi al pronto soccorso con ustioni di terzo grado.

Nicholas toglie via la mia mano e riapre bocca.
«Dopo?» chiede.
Alzo un sopracciglio.
«Dopo quando ti sarai svegliata? Lo facciamo un bagno molto sexy sui fondali marini?»
Sorrido esasperata poggiandomi una mano sugli occhi.
«Bagno molto sexy» ripeto cercando di non ridere e tolgo la mano. «Ma dici senza vestiti?»
Lui scuote la testa.
«Una volta in Australia facendo il bagno nudo sono stato morso da un pesce, ma non ridere, perché è stato molt-»

La mia risata invece lo ferma di getto. Sbatte teatralmente le ciglia.
«Smettila» ordina e pian piano sul suo viso si dipinge un sorriso. Rimanda indietro una chiara risatina da idiota.
«Ti ha morso davanti, dietro o sotto?» chiedo curiosa.

Nicholas si morde un labbro cercando di restare serio. Esita, sposta gli occhi altrove e poi si schiarisce la voce.
«Davanti» dice tutto d'un fiato con nonchalance.
Tiro le labbra in una linea diritta. Lo guardo per alcuni secondi e poi scoppio a ridere.
«Hai appena perso un'occasione irripetibile» sbuffa fintamente offeso e si tira su mentre io rimango stesa di spalle contro la barca.
«E userò tutte le tue patatine» dice poi con un sorrisetto malefico stampato in faccia.

Spalanco gli occhi.
«Tu non lo faresti mai» mi metto subito in sedere.
«Oh, sì... guardami mentre lo faccio eccome» va verso il mio zaino accanto e tira fuori il pacchetto.
Scatto in piedi in men che non si dica e faccio per strapparglielo dalle mani ma lui lo alza in alto.
«Nicholas!» sibilo cercando di saltellare. «Non ti permettere! Ho solo quello con me! È il mio pacco di patatine! Ridammelo subito o divido le acque come Maometto e ti faccio inghiottire dal fottuto oceano!» esclamo incazzata e mi arrampico su di lui quando saltellare non mi porta alcun risultato. È già troppo alto, poi col braccio sollevato supera probabilmente i due metri e qualcosa e mi fa rabbia ora, lui con la sua altezza insopportabile.

«Mosè. Era Mosè» mi corregge. «Dovresti ripassare teologia. Se vuoi ti do lezioni gratis se metti l'abito da suora e ti pieghi ai miei piedi.»

Rimango di stucco.

«Ridammi le patatine!» sibilo ignorando la sua proposta veramente volgare.

Spreco così non so quanti secondi della mia vita e dignità a cercare di recuperarle quando mi fermo di getto. Con la coda dell'occhio scorgo qualcosa. Punto gli occhi su Ethan, Nicholas fa lo stesso e insieme lo guardiamo sbigottiti. Il pesce è gettato su un foglio di carta stagnola, infuocato, mentre Ethan spruzza altra soluzione infiammabile. Si sente osservato, solleva lo sguardo e sorride indicando il pesce.

«Ho trovato una soluzione!» esclama tutto entusiasta.

Mi volto verso Nicholas, lui fa lo stesso e ci fissiamo in silenzio per alcuni secondi intontiti, il necessario per mollargli un calcio al ginocchio. Lui caccia un gemito, si china un po' e io ne approfitto per riprendere le mie patatine.
«Sono mie» dico con un sorriso soddisfatto.

Lui mi guarda incredulo, poi mi afferra e mi lancia in acqua.

Cazzo.

Quando risalgo a bordo, lo schiaffeggio e lui se ne va da Ethan ridacchiando come un deficiente. Scuoto la testa con dissenso. Mi tolgo i vestiti e indosso una felpa dal mio zaino, per poi prendere il cellulare per ammazzare un po' il tempo. Nella barra delle notifiche leggo due messaggi. Clicco su di loro e noto la data che risale a ieri sera, ore dieci e mezza. Dopo essere rientrata da lavoro ho semplicemente spento il cellulare prestando attenzione solo a Nick con cui ho cenato, fatto la doccia, l'amore e infine guardato insieme Masterchef Canada finché non ci siamo addormentati con PC sul letto, ovviamente con sottofondo i commenti infiniti di Nick su quello che i concorrenti preparavano. Non la smetteva di dire "Mettici il sale. Accendi quel forno. Quella sarebbe una brunoise?" oppure "Ma cosa sta facendo?" con tanto di indignazione quando vedeva qualcuno buttare della roba in un frullatore e preparare la salsa. Ad un certo punto mi è salito l'impulso di strozzarlo fino a farlo svenire.

"Hai trovato quella chiave?"

Leggo il primo messaggio.

"Dati da fare."  Cita il secondo.

Mittente: Figlio di puttana. Kieran.

Do un'occhiata a Nicholas che sta aiutando Ethan mentre si dicono qualcosa e lui ride. E... Dio... è bellissimo quando ride in quel modo così spontaneo.

Riporto l'attenzione sul cellulare. Cancello i messaggi, blocco lo schermo e chiudo gli occhi stendendomi di spalle sulla barca. Per oggi non voglio pensare a Benedict O'Brien. Voglio godermi la giornata, a quel pazzo ci penserò domani magari o forse dopodomani.

***

«Devo proprio?» chiedo per niente convinta.
È passata un'altra settimana. È sabato e dopo il nostro solito sorgere del sole, siamo finiti in spiaggia a qualche metro dal Pink Ocean dopo che Nick ha dato una mano d'aiuto a Ethan con alcune casse di rifornimento per il locale.

Invece di tornare all'appartamento dove io mi sarei ficcata a letto tornando a dormire e aspettare mezzogiorno per fare colazione, Nicholas mi ha trascinata a forza in spiaggia dicendo che fosse una bella giornata per fare due passi.
I due passi però si sono trasformati in una strana sfida che per quanto competitiva possa essere come persona non mi va per niente di affrontare. Nicholas non è della stessa opinione. Si è levato la felpa, rimanendo in una maglietta nera che gli sta aderente nonostante sia della sua taglia, e in un paio di bermuda scuri mi indica un posto in lontananza.

«Fino a lì» dice.
Corruccio la fronte.
«Lì dove?»
Lui mi fa segno di aspettare e lo vedo allontanarsi in una corsetta che i miei neuroni percepiscono a rallentatore. Si ferma a un centinaio di metri e con la scarpa da ginnastica tira una linea di traguardo sulla sabbia per la gara di corsa.
So che lo sta facendo solo per farmi fare un po' di esercizio fisico sfruttando la carta "non puoi vincere contro di me perché poltrisci e mangi cibo spazzatura" e sa che nonostante non mi vada per niente di correre, non a quest'ora e soprattutto non se non ne va della mia vita, io farò comunque questa gara per vincerla e fargli vedere il mio meraviglioso dito medio.

Indica la riga che ha tirato.

«Io non la vedo!» gli urlo da lontano per farmi sentire.
«È qui!» risponde di rimando. «La vedrai quando ci arriverai!»
«Togliti la maglietta e usala come segnaposto!» gli urlo con un sorrisetto.

Nicholas però rimane in silenzio quando due ragazze gli passano affianco andando verso la riva con un asciugamano in mano e una borsa da spiaggia. Quella bionda va dietro alla mora, molla un'occhiata a Nick e d'improvviso inciampa nella sabbia e per poco non cade. Raggiunge frettolosamente la sua amica, la affianca dicendole qualcosa e quella si gira con un sorriso confuso sulle labbra. Il suo sguardo cade su Nicholas e qualcosa nel suo viso cambia tanto da farla smettere gradualmente di sorridere. Torna dalla bionda e le sussurra all'orecchio.
Resto a fissarle da lontano, dal momento in cui raggiungono la riva finché non stendono i teli sulla sabbia e si mettono sopra. Solo dopo, quando vedo Nicholas a un paio di metri da me, distolgo lo sguardo.

«Dai tu il via o lo faccio io? Aspetta... aspetta, fammi controllare i lacci» dico non appena mi è vicino e do un'occhiata fugace alle mie scarpe. Mi chino e li stringo di più. Non vorrei perdere solo perché non so allacciarmi le scarpe come una persona normale.

«Bene! Sono pronta!» esclamo battendo le mani elettrizzata. Tutto il mio entusiasmo svanisce quando lo vedo raccogliere la sua felpa da terra, scuoterla per togliere via la sabbia e infilarsela.
«Hai freddo?» chiedo stranita. Era lui quello che proprio poco fa mi diceva di levarmi la felpa a zip che indosso perché sta iniziando a fare caldo, dopotutto agosto è alle porte.

«Andiamo via» dice tirando su il cappuccio. Il tono gli esce basso, indecifrabile. Lo guardo confusa. Non mi dà tempo per replicare perché afferra la mia mano e incomincia a incamminarsi lontano. Solo alcuni passi, perché mi fermo io.

«Che succede?» gli chiedo quindi. Poco fa non vedeva l'ora di fare quella piccola gara, tanto che mi ha rotto le palle per diversi minuti e solo per convincermi. Non è da lui abbandonare così rapidamente, lui quando inizia qualcosa lo deve portare a termine. È fatto così.

«Andiamo solo via» risponde con un filo di voce, sembra a tratti irritato. Mi tira per la mano cercando di farmi riprendere il passo ma non ci riesce perché mi rifiuto di seguirlo.
«Nick, ma che ti prende?» chiedo ancora sperando in una sua risposta questa volta.
Lui tira un profondo respiro e dà un'occhiata all'uscita dalla spiaggia. Ha i lineamenti tesi.
«Non è niente, voglio solo andare via da qui.»

Lo sguardo che mi rivolge, ricolmo di sconforto, insieme a quella sua supplica mi lasciano spaesata. Alzo le mani per abbassargli il cappuccio ma lui si scosta come una freccia.
Per caso i miei occhi scivolano in fondo alla riva dove ci sono le due ragazze che chiacchierano sui loro asciugamani, poi tornano su Nick e quando realizzo quello che è appena successo il mio cuore è percorsa da una violenta fitta di dolore.

«Nicholas...» lo chiamo a me avvicinandomi. Le mie mani si posano sul suo viso e lui abbassa gli occhi quasi vergognandosi di quello che gli sta succedendo. È un soldato, è vero, ma in fondo resta una persona e che voglia ammetterlo o meno il suo nuovo aspetto lo fa soffrire. L'ha fatto soffrire, tanto che per mesi non è riuscito ad avvicinarsi a me temendo la mia reazione.

Mi alzo sulle punte dei piedi posando un bacio sulla sua guancia, la stessa che è attraversata dalla cicatrice.
Solo allora lui solleva gli occhi.
«Forse Maeve non si sbagliava...» mormora e stacca via le mie mani.
Ferma, lo guardo mentre va via senza guardarsi alle spalle, e pian piano il mio cuore va a pezzi. Non per come mi abbia lasciata qui, ma per come si stia sentendo lui ora. Non dovrebbe. Lui non dovrebbe sentirsi così, non c'è niente di sbagliato o terribile nel suo aspetto. Non ha niente che non vada.

Tiro un profondo respiro e alla fine mi incammino verso le poche scale in pietra che portano sul piazzale pedonale che corre lungo tutto il tratto della striscia di spiaggia.
Lo trovo poco più infondo. Appoggiato al muretto, che lo separa dalla sabbia. Sta guardando l'oceano.
Mi avvicino silenziosamente e mi metto accanto a lui, passando così diversi lunghi istanti senza dirci una parola. Tutto quello che potevo dirgli per confortarlo l'ho fatto due settimane fa quando l'ho rivisto. Non credo che il mio parere possa essere universale e in fin dei conti non posso biasimarlo se non gli è sufficiente per sentirsi meglio con se stesso.

Quando quella Gwen che gli avevo rifilato tempo fa l'aveva visto seduto accanto a me, si era imbambolata. Le due ragazze invece in spiaggia che gli sono passate accanto hanno avuto una reazione ben diversa. Vorrei tanto tornare indietro e spaccare la faccia ad entrambe, per poi rendermi conto che è una cosa stupida da fare. Sono solo incazzata e mortificata... e impotente.
Non posso fare niente. Mi dà fastidio non poter fare niente per risolvere questa situazione.

Non sono mai stata brava a consolare le persone. Cioè, se vedo qualcuno in lacrime il primo pensiero è "vuoi qualcosa da mangiare?". Di solito uso le parole, cerco una scappatoia per far finire il momento quanto il più rapidamente possibile. Nelle situazioni difficile io uso le mani. Qualcuno ti ha dato fastidio? Bene, vado e gli spezzo il collo. Fine della storia. Altrimenti ti prendo, ti metto a letto e ti porto del cibo.

Quindi con lui che devo fare?

Portargli un pacco di patatine? Non le mangia, non lo farebbe nemmeno sotto tortura: troppi grassi saturi. Come si consola quindi un marine veterano che odia le patatine che in una circostanza differente gli avrei ficcato in bocca a forza dicendogli "mangia, così ti sale la serotonina"?

Il tempo intanto passa e io non trovo alcuna soluzione. Me ne sto in silenzio spremendomi le meningi nel tentativo di trovare qualcosa che non arriva. Il mio cervello è completamente spento, pecco di idee.
Dall'oceano inizia ad arrivare un po' di vento che mi scompiglia i capelli, quindi tiro su il cappuccio della felpa e il mio piccolo movimento fa voltare un po' Nick che abbassa lo sguardo su di me mentre cerco di tirare su la zip della felpa che il vento mi gonfia e mi tira all'indietro.
Cazzo. Sospiro e lascio perdere. Prendo i due lembi, li fermo con le braccia che metto conserte e guardo le onde in lontananza che si riversano sulla spiaggia dove più a destra ci sono quelle due ragazze.

Si alzano, si spostano più verso l'interno della spiaggia per evitare l'acqua e poi si danno un bacio sulle labbra scattandosi una selfie. Quindi sono una coppia, non amiche... Per un attimo il pensiero mi sfugge a Kim e Nath. Fra poco entrambe completeranno il loro percorso di studi e andranno via mentre io rimarrò al college da sola.
Do uno sguardo a sinistra notando un piccolo bar che si affaccia sulla spiaggia. Controllo il mio cellulare, noto che per fortuna ho qualche dollaro nella cover che mi porto dietro per le urgenze e mi allontano. Raggiungo il bancone del bar, ordino una cosa e poi torno frettolosamente indietro da Nick che non si è mosso di un millimetro. Gli poggio sul muretto, sotto lo sguardo, il bicchiere di granita alla fragola che guarda per poi puntare gli occhi su di me.

«Dicevi che qui fanno ottime granite» dico tornando poi nel mio mutismo.

Nicholas non dice nulla e né tocca il bicchiere. E io mi sento veramente stupida. Cazzo, ma che mi è saltato in testa?
Nel frattempo tiro i maledetti lembi di felpa e torno a braccia conserte. Il cuore mi trasalisce nel petto quando lui d'un tratto si gira, trafuga in silenzio con la mia zip che si era incastrata nel tessuto e poi la tira su obbligandomi a sciogliere le braccia.
Alzo il viso come di conseguenza e i miei occhi si scontrano con quelli suoi che trovo solo molto... tristi.
Eppure mi afferra attirandomi in un abbraccio che ricambio senza esitazione. A suo contatto, lo sento tirare un profondo respiro e stritolarmi tra le braccia. Mi solleva e in un solo gesto mi fa sedere sul muretto, accanto la granita.

«Va tutto bene?» tento andandoci coi piedi di piombo.

«Non ero il tipo che andava dietro le ragazze» risponde però lasciandomi perplessa. Nicholas sposta un istante gli occhi alle mie spalle sulle onde. Poi mi guarda.
«Quando ci siamo incontrati, hai detto che da adolescente ero il tipo che sfoggiava il suo fascino da cattivo ragazzo» cita con enfasi. «Non lo ero, mai stato...» scuote la testa e sospira. «Io ero quello... un po' strano.»

Lo guardo non capendo il punto che vuole c'entrare. Per quanto la sua confessione mi lasci stupita, preferisco non dire niente.

«Non parlavo tanto, preferivo starmene per conto mio a leggere un libro e mi isolavo tanto che andavo fuori dal collegio in mezzo ai boschi. Mi sedevo ai piedi di un albero e leggevo, mentre gli altri ragazzi se la svignavano di nascosto alle feste» tira un po' gli angoli della bocca in su per poi tornare in un'espressione pensierosa.
«Non mi sono mai integrato in un gruppo. Alla fine sono diventato quello strano e ogni volta che giravo da solo per il collegio tutti mi guardavano e bisbigliavano

Dice con un mezzo sorriso che sa di pura amarezza e il mio cuore si stringe in una morsa dolorosa. Ricordo inevitabilmente la festa di promozione di Tyler, quando mi disse "sono abituato ai bisbigli". Immaginavo stesse parlando della cattiva reputazione di suo padre che ricade in automatico anche su di lui, macchiandogli il nome e la carriera, ma non pensavo a questo. Non lo avrei mai potuto pensare. Lui è sempre stato il tipo di persona sicura di sé, determinata, sembrava quasi che niente potesse scalfirlo e ora scopro che la sua infanzia non è stata solo mare, pescherecci, un via e vai tra Richmond e Australia, da sua madre.

«Poi è successo quel fatto a quindici anni e mio padre mi ha chiuso in una clinica psichiatrica» aggiunge rispolverando le parole che Kieran mi disse nella suite di Carter, sul bordo piscina.
«Quando sono tornato al collegio tutti sapevano ogni cosa. La notizia è andata ovunque e...»

Rimango abbastanza intontita.

«... c'era questa donna, una dottoressa di Medici Senza Frontiere. Uno di quei uomini... l'aveva afferrata. Voleva farle quello che non dovrebbe mai essere fatto a una donna.»
Pausa. «Avevo un portachiavi... È successo tutto troppo rapidamente. Lei gridava e poi ha smesso. Lui era a terra. C'era sangue ovunque, sulla mia maglietta, sul mio portachiavi. Se ero già abbastanza strano, immagina dopo...» dice e si passa la lingua sul labbro inferiore.

«L'hai salvata» gli faccio ben notare, parlando della dottoressa.
Nicholas resta in silenzio. È consapevole di aver fatto ciò che andava fatto, ma credo che questo gli abbia costato troppo. Era un ragazzino.
«Sei un sopravvissuto, Nick, e lo è anche quella donna. Tu hai impedito che le accadesse qualcosa che l'avrebbe segnata a vita» gli afferro il viso tra le mani. Lui alza un po' gli occhi nei miei e li trovo brillare eppure nessuna lacrima gli scende.
Poggia le sue mani sulle mie e chiude gli occhi attaccando il viso contro la mia felpa. Istintivamente lo stringo al mio petto mentre il vento sferza la mia schiena. Calo il mento sulla sua testa coperta dal cappuccio e lui rimane semplicemente attaccato a me in un modo talmente indifeso da farmi pungere gli occhi.

Nick dell'Afghanistan in fin dei conti è solo un uomo. Non è indistruttibile.

Ricordo quando mi raccontò di quel attentato in mare, evidentemente mi ha detto solo una parte. Non si fidava ancora a sufficienza per svelarmi che in quella nave mercantile lui aveva tolto la vita a una persona. Una persona malvagia, certo ma pur sempre una persona.

Il suo passato può tenerlo nascosto alla gente, ma il suo aspetto no. Esso parla per sé e oggi l'ha fatto a quelle due ragazze e lui si è sentito esattamente come il Nicholas adolescente che torna al collegio e tutti lo guardano in modo sospetto, come se potesse tutto d'un tratto diventare un pericolo per sé stesso e per gli altri.
Tra le mie braccia ora non è più un uomo di ventinove anni. È tornato un quindicenne, quel quindicenne. Spaventato, isolato, lasciato ai margini, con una famiglia anaffettiva, zero legami, nessuna amicizia e un esasperante bisogno di trovare qualcuno che possa accettarlo proprio così com'è.

Solo adesso capisco quella parte dolce di lui a cui si abbandona ogni volta che gli faccio un semplice complimento. Il suo imbarazzo, la timidezza che quasi è innaturale nella sua personalità forte e rigida. Nicholas non è stato abituato a questo, non da piccolo, come quella volta che mi aveva invitata a cena la prima volta. Chi invita una perfetta sconosciuta a casa sua e le cucina anche con tanto di candele posizionate in centro tavola? Avrei dovuto capirlo sin da subito ma ero troppo cieca per arrivarci. Mi ero lasciata abbagliare dalle apparenze. Che stupida.

«Vuoi fare ancora quella gara?» chiedo dopo svariati secondi passati solo nel rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia.

«O hai troppa paura di perdere?»

Nicholas batte teatralmente le ciglia.
«Paura di cosa? Le tue scarpe sempre slacciate? Certo, potresti inciampare e slogarti una caviglia» replica al che lo spingo via fintamente offesa, e lui ride un po' prima di saltare sul muretto e sedersi accanto a me. Prendo il bicchiere con la granita, ne raccolgo un po' sul fondo della cannuccia e gliela porto in bocca strappandogli un tenue sorriso che mi scalda inevitabilmente il cuore.

Prendo un po' di granita, la assaggio e gli passo il bicchiere.

«Non mangi la Nutella ma ti piace il ghiaccio con i coloranti artificiali...» commento stranita da questa sua incoerenza.
«In Afghanistan faceva caldo e non c'era molto con cui rinfrescarsi.»

Sorrido con una smorfia divertita. «Avevate una macchina delle granite?» chiedo provando davvero a non ridere.
Lui mi guarda mordicchiando la cannuccia.
«Alex» dice e fa una piccola pausa fissando l'oceano con aria malinconica. «Aveva il cattivo vizio di ficcarsi nei guai acquistando cose dalla gente del posto. L'ultima volta lui... aveva preso un anello.»

D'improvviso mi ricordo di quel filmato, quello nel CD che ho trovato nel suo appartamento tanto tempo fa.

«Dicesti che fosse falso» mormoro. Lui si volta. «Il diamante» mi spiego e capisce di cosa sta parlando.

«Magari mi sarò sbagliato. Chi lo sa...» tira un sospiro con un debole sorriso. Già, non lo sapremo mai. Alex è morto e con cui probabilmente si è disperso anche l'anello.

«Alla fine non importava, no?» gli dico. Si volta.

«Se fosse o meno vero, ad essere importante restava il gesto» mi spiego meglio e gli occhi cadono sulle mie mani, in special modo sull'anulare sinistro. «E chi lo fa» termino osservandolo. Sto parlando di lui adesso. Lui e il suo regalo per il mio compleanno. Era in Iraq eppure mi ha fatto un regalo. E' incredibile. Gli stampo d'improvviso un bacio fortissimo sulla guancia che lo fa ridere. È tornato di buon umore e a me questo basta.

«Perciò eri davvero timido?» scherzo cercando di sdrammatizzare citando la mia battuta quando ho provato a presentargli Gwen per quel appuntamento a quattro andato veramente male.

Lui corruccia la sopracciglia. «No» risponde con una smorfia divertita.

«No?» ripeto confusa.

Scuote la testa e inizia a giocherellare con la cannuccia nel suo bicchiere.
«Ero solo... selettivo, immagino.»

«Un druido» ridacchio. Lui aggrotta la fronte. «Andavi a leggere in mezzo ai boschi. Facevi anche gli incantesimi?»

Nicholas mi guarda male mollandomi una spallata giocosa. Poi mi afferra con un braccio e mi porta di piedi sul muretto, tenendomi stretta al suo petto mentre trafuga nelle tasche e tira fuori il cellulare che porta sulla mia pancia continuando a tenermi abbracciata.

«Che fai?» chiedo curiosa. Lo vedo digitare qualcosa sulla barra di ricerca del browser, sembra il nome di qualcosa. Apre un sito web e va nella sezione annuari.
«Voglio farti vedere una cosa.»
Clicca su una finestra, pigia sull'anno 2013 e appaiono una serie di fotografie di studenti, tutti giovani e in giacca e cravatta con lo stemma dorato di una scuola cucito sul petto. Scorre in basso in ordine alfabetico finché non raggiunge la lettera O.
Corruccio le sopracciglia assottigliando gli occhi, stupita. Osservo a fondo la fotografia e quasi non rido.
«Tu eri questo?» chiedo credendoci a stento, eppure è così. Sotto in didascalia c'è scritto Nicholas Bailey O'Brien, evidentemente era prima che cambiasse cognome e prendesse quello della madre.

«Ma... Eri un ragazzo emo?» chiedo analizzando meglio lo scatto.
Gli occhi sono gli stessi, i lineamenti invece cambiano. Più giovani, meno calcati, e soprattutto niente barba. I capelli invece corti sulla nuca, le ciocche frontali di media lunghezza che ricadono lungo le tempie un po' scompigliate, il viso è pallido e fasciato in quella divisa scolastica...
«Sembravi un vampiro...»

Nicholas in tutta risposta mi molla un morso sulla spalla che mi fa ridere.

«Quantomeno Ethan ha azzeccato sul fatto che sei una creatura della notte» dico ingrandendo la fotografia sul display del cellulare.

«Probabilmente avevi la fila di ragazze, anche se tu le ignoravi perché scappavi tra i boschi» ridacchio con fare teatrale strappandogli un piccolo cenno di risata.

«No» fa con una smorfia divertita.
«Non collezionavi le ragazze col tuo charme?» chiedo confusa. Insomma, oltre che leggere e pescare in Australia, che altro faceva?
«Non ho uno charme» scimmiotta completamente contrariato, come se il solo pensiero lo mettesse a disagio. «E non collezionavo ragazze, non sono mica francobolli. Ho perso la verginità che avevo quasi vent'anni quindi-»
«Cosa?» la mia risposta parte senza attendere nemmeno che finisca di parlare. Mi stacco dal suo petto e lo guardo scioccata.

Nick abbassa gli occhi sul cellulare con un tenue sorriso imbarazzato sulle labbra.

«Non stai scherzando?» chiedo quindi spaesata mentre rimette in tasca il cellulare.

«Do l'impressione di uno che ha avuto tante donne?» ride debolmente. I suoi occhi eterocromi finiscono nei miei e io mi ammutolisco per parecchi istanti.

«"Oh, sì, Veronica, vieni a cena da me così potrai sentire il mio pene anche senza i pantaloni"

Lui solleva gli angoli della bocca.
«Mi piacevi e volevo che fosse chiaro. Se qualcosa mi piace, lo voglio. Semplice.»

Le sue parole mi fanno formicolare inevitabilmente le guance.
«Avevi detto di aver avuto delle relazioni» gli ricordo.
«Un paio.»
«E questo che significa?»
«Significa due.»
Corruccio le sopracciglia.
«Due.»
Nicholas sorride annuendo. «Due.»
Probabilmente la mia faccia parla per me perché lui ride davanti il mio sgomento.
«E le tue avventure di una notte?» la sparo lì con fare teatrale e misterioso. Insomma, sono curiosa. Lui non mi ha mai parlato di questa parte della sua vita. Se so di Maeve è solo perché me l'ha detto suo fratello, ma per il resto non sapevo nemmeno che da ragazzo fosse un eremita che si nascondeva tra le foreste a leggere libri e né tantomeno che avesse avuto solo due relazioni.

«Le mie cosa?» chiede.
Alzo le sopracciglia. «Sesso. Solo sesso. Tu lo infili, lo togli e poi dici loro "Raccogliete la vostra roba e fuori da casa mia"» dico con enfasi.
Nick corruccia la fronte.
«Perché loro
«Perché magari è un ménage a trois...?» rispondo con fare ovvio e lui si morde un labbro contenendo le risate. Cosa c'è di così divertente?

«Non ho mai fatto una cosa del genere.»

Lo guardo con aria indagatrice.

«Io mi faccio toccare solo da chi frequento e solo se voglio una cosa seria.»

Sta scherzando, vero?

«Tu non hai avuto avventure di una notte?»

Nicholas ride. «Le uniche avventure di una notte sono state in Afghanistan quando dovevamo andare a soccorrere dei soldati feriti e bloccati in zona dei ribelli.»

«Sei così... monogamo» commento con aria perplessa. Ho sempre pensato che avesse avuto diverse, troppe donne. Alla fin dei conti ha pur sempre un'età e dal suo atteggiamento spavaldo credevo che tutto fosse dato dalla sua esperienza con l'altro sesso e invece... no. Quante sono le cose che ancora non so di lui?

«Non mi piace perdere tempo.»

«Fare sesso occasionale è perdere tempo?»

«Sì.»

La sua risposta mi lascia basita.

«Frequento una donna solo se voglio qualcosa a lungo termine.»

Riduco gli occhi in due fessure. «Ma se all'inizio abbiamo solo fatto sesso.»

Sulle sue labbra spunta un sorrisetto.
«Davvero?» chiede in tono di sfida e il mio cuore scalcia mandando in fiamme le mie guance.
«Sì» rispondo seria o perlomeno ci provo, ma credo di mentire. A volte durante il sesso lui rallentava e sentivo solo i suoi baci sulla mia pelle, e mi bastava. Mi bastava eccome. Merda.

«Smettila di guardarmi così» lo spingo via facendolo ridere.

«Così come?» fa il finto tonto.

«Come se avessi tutte le risposte del mondo» sbuffo e gli rubo la granita perché ora non se la merita più.

«Lo sapevi che senza fare sesso occasionale si può vivere lo stesso?» chiede tutto d'un tratto con una tale aria filosofeggiante da lasciarmi intontita.

«Credevo fossi un ragazzo cattivo come nei libri erotici...» mormoro sovrappensiero facendolo ridere.

«Meglio che tu non veda mai la mia parte veramente cattiva» replica con uno strano tono di voce e scende dal muretto, mi afferra tra le braccia come una principessa e mi dà un bacio sulle labbra.

«Ragazzo emo. Ti prenderò in giro fino alla morte» sogghigno malefica beccandomi uno sguardo storto fa parte sua e caccio un gridolino quando mi carica sulla spalla e finisco a testa in giù.

Oh, maddai!

«Dove stai andando?» chiedo.
«Stiamo» mi corregge, ovviamente non può astenersi. «Andiamo a fare colazione perché stai iniziando a trasformarti in una vera streghetta, proprio come ti chiama Ethan.»

Rimango sbigottita.
«Ethan mi ama e il termine streghetta è stato coniato solo perché sfamo Pipistrello.»
«Il gatto nero che ora vive sotto l'appartamento e più di una volta mi ha morso la gamba?»

Cosa?

«Pipistrello non morde se non gli vengono rotte le palle. Gli hai rotto le palle?» chiedo quindi accigliata.
«Ti rendi conto che Pipistrello è una femmina in realtà, vero?»

Aggrotto la fronte. «Cosa?»

Sento Nicholas ridere.
«E ti segue ovunque vai. Almeno tre volte a settimana si nascondeva sotto la mia macchina e mi mordeva. Ha dei problemi il tuo gatto.»

Faccio una smorfia. «Pipistrello non è il mio gatto. È uno spirito libero.»

«Se ricomincia a mordermi gli sparo con la tua pistola.»
Riduco gli occhi in due fessure, corrucciando le sopracciglia. Non dovrei, ma scoppio a ridere di faccia alla sua schiena, contagiando anche Nick.
Povero Pipistrello.

Nicholas alla fine mi mette giù e mi trovo a qualche passo dall'entrata al Pink Ocean.
«Eccolo» mi dice indicandomi un punto dall'altro capo della strada dove lungo il marciapiede ci sono due auto parcheggiate in fila. Pipistrello salta giù da un albero, cade sul cofano della macchina grigia, si siede e ci fissa con i suoi occhi verdi che spiccano sul pelo interamente nero.

«Vuoi vedere una cosa bella?» gli chiedo con un sorrisetto. Tiro su le dita, ficco pollice e indice in bocca e caccio talmente stridulo che lui strizza gli occhi e mi molla una strana occhiata.
Perché ha quella faccia? Insomma, come credeva che al ranch chiamavo i cavalli?

Pipistrello in automatico scatta in piedi, mi guarda, controlla lo stato del traffico e attraversa rapidamente come una biscia la strada fin quando non si ferma davanti a me. Nicholas, invece, si allontana di getto di due passi. Trattengo a stento una risata.
Che esagerato... non gli fa niente.
Mollo dei colpetti sulla coscia e in men che non si dica il gatto con uno slancio mi salta su appendendosi al miei vestiti, raggiunge le mie spalle. Guardo Nick sorridendo.

«Forse è un altro gatto a morderti. Pipistrello non lo farebbe mai, guardalo» dico semplicemente mentre fa le fusa vicino il mio viso e poi scende sulla mia felpa e lo raccolgo tra le braccia dove lui si accoccola.
Nicholas lo guarda per niente convinto e preferisce stare lontano. Mi avvicino quindi io. Gli afferro la mano e la porto vicino al gatto che la annusa, la ispeziona per alcuni istanti finché non tira su la testa e la strofina contro le sue dita.

«Vedi?»

Nicholas, stranito, mi ricambia lo sguardo e poi lascia calare un po' di più la mano fino ad accarezzare il gatto.
«Ti mordeva quando avevi la divisa da poliziotto addosso?» chiedo. Lui mi molla un'occhiata.
«Odia i poliziotti» confesso mordendomi un labbro per non ridere.
«Un gatto che odia i poliziotti...»
Annuisco. «Una volta un poliziotto aveva il cane con sé, è scappato e l'ha rincorso distruggendogli una zampa. L'ho portato dal veterinario e poi Pipistrello ha trovato la sua casa qui con me» sorrido e prendo posto sul bordo del marciapiede. «I gatti sono molto intelligenti. A differenza dei cani, sanno essere egoisti, freddi e distaccati ma quando qualcuno li sfama e cede loro fiducia e amore, il loro cuore semplicemente si scioglie e tu puoi vederlo chiaramente» spiego alzando il viso verso di lui che mi sta fissando dall'alto.

«Ti basta solo guardarli negli occhi» aggiungo con un piccolo sorriso guardando come di conseguenza quelli verdi di Pipistrello.
Nick prende posto accanto a me.
«Lui non l'ha cercata una casa, è finito qui. Ma poi gli è piaciuto, capisci? E sì, forse ti ha morso ma solo perché si è sentito minacciato. È un bravo gatto. Non gli sparare» gli chiedo alla fine con un mezzo sorriso cercando di non ridere e gli passo il gatto mettendoglielo in grembo.
«Sei un tipo più da cani, tu. Vero?» domando, ricordando bene il suo che purtroppo ha perso in Afghanistan.

Nicholas mi guarda e poi pone i suoi occhi sul felino.
«Powder è finito con me per caso» risponde quasi leggendomi nel pensiero. «Aveva solo tre mesi, era stato assegnato a un ragazzo del plotone. Doveva occuparsene, poi sono successe brutte cose e... me lo sono ritrovato tra i piedi» sorride debolmente mentre accarezza il gatto. «Era fastidioso. Distruggeva tutte le mie cose. Mi seguiva ovunque andassi e per farlo smettere chiudevo la porta. Lui si metteva fuori e ululava tutta la notte. Il mio superiore ad un certo punto mi disse "Reed, dì al tuo cane di chiudere la bocca o lo lancio in mezzo ai talebani"» caccia un piccolo cenno di risata alzando gli occhi nei miei. «Quindi gli ho insegnato a tenere la bocca chiusa» dice con fare ovvio.
«E poi gli ho insegnato anche altro... Il cane che non faceva dormire nessuno in poco tempo è diventato quello che percepiva il pericolo a chilometri di distanza... E' stato un buon compagno di squadra, fedele fino all'ultimo...»

La sua voce si sfuma. Mi guarda poi e la mia mano scivola sulla sua. Gliela accarezzo dolcemente fino a far intrecciare le nostre dita, per posare la testa sulla sua spalla.

«Perché proprio Powder? Tra tutti i nomi... insomma, è un po' strano» gli faccio ben notare. Perché chiamare un cane "polvere"?

«E' riuscito a intrufolarsi nel magazzino delle prove dell'unità degli investigatori speciali che si occupavano con gli arresti militari, e ha rotto parecchi panetti di cocaina» ride.

Mi stacco guardandolo incredula.

«L'ho trovato tutto ricoperto di bianco, sembrava uscito da uno spot pubblicitario di ammorbidenti.»

«E non è andato in overdose?» chiedo. Lui cerca di darsi un contegno, scuote la testa mordendosi un labbro.

«Era immune, proprio come i tuoi supereroi preferiti» mi ruba un bacio mentre una macchina ci passa davanti, parcheggia di lato mentre Nick e io continuiamo ad accarezzare Pipistrello che non ha voglia per niente di andare via, non quando ricevere il doppio delle attenzioni giornaliere.

Uno sportello si apre per poi chiudersi.

«Andiamo a fare colazione?»
Annuisco con un tenue sorriso. Nick mi stampa un piccolo bacio sulla punta del naso che mi strappa una risatina e si alza, tirandomi su.
«Vediamo se ci sono quei muffin al cioccolato che ti piacciono tanto» mormora sovrappensiero a un soffio dal mio viso.
«Non ti permettere» gli faccio seria.
«Cosa ho fatto?» ride.
«Cosa farai» lo correggo. «Fai sempre così. Mi prendi qualcosa di buono e poi mi rubi lentamente pezzo per pezzo perché ti senti in colpa a prendertene uno intero per via della tua assurda dieta di uova crude — faccio una smorfia schifata al solo ricordo di quello che si ingurgita — e frullati proteici.»

Nicholas in tutta risposta mi molla un morso sulla guancia che mi fa cacciare un gridolino e lo schiaffeggio, o quantomeno cerco di farlo ma mi abbraccia bloccandomi e sghignazzando come un idiota.
«Ti prendi il tuo muffin al cioccolato e lasci in pace il mio» gli ordino chiaro e tondo.
«No» risponde e mi spinge verso l'entrata del Pink Ocean. Che stronzo.
Tira la porta e la prima persona che ci appare è Ethan dietro il bancone del bar occupato a lavare alcuni bicchieri.

Quando ci nota rimane visibilmente stupito.
Mi avvicino con dei piccoli saltelli.
«Peter ha portato i muffin, quelli buoni?» chiedo davanti al bancone del bar, chiedendo del nostro fornitore che porta i cornetti e tutto il resto dalla pasticceria a qualche chilometro di distanza dal Pink Ocean. Poggio la mani sulla superficie di marmo e do un'occhiata alla teca di vetro.

«Mhm, mhm» mugugna Ethan spostandosi a destra. Ne prende uno col tovagliolo rosa e lo poggia sul bancone.
«Due. Uno anche per lui» indico Nicholas al mio fianco.
«No, per me no» replico contrariato.
Lo guardo di traverso.
«Te lo ficco in gola quel muffin. Lo prendi così non tocchi il mio e se non lo finisci mi dai quello che rimane, ora fa' silenzio» lo zittisco e riporto l'attenzione su Ethan.
«Stasera lavori?» gli chiedo. A volte quando ha del tempo libero tiene aperto sia il sabato che la domenica sera.
«Stasera ho un appuntamento con un bel ragazzo, vado a divertirmi con vino del vino costoso, un tagliere di formaggi e tanto sesso» rivela con un sorrisetto beffardo mentre prende un altro muffin.
«Il solito?» chiede andando verso la macchina del caffè. Annuisco. Faccio per aprire bocca e dire anche quello che prende Nick ma lui mi precede.

«Doppio espresso macchiato con una bustina di zucchero, sì, lo so.»

Quindi attendo mentre si dà da fare e racconta quello che ha in programma. Intanto prendo un pezzetto di muffin, mi giro, poggiandomi di spalle contro il bancone e lo infilo in bocca a Nick. Lui alza gli angoli della bocca compiaciuto per aver vinto, di nuovo.

«Mi fai pena» dico in mia discolpa. «Rubi come un ladro le cose buonissime che mi mangio.»
«I cetriolini sott'aceto con la maionese non è una cosa buonissima» replica ridendo. Lo guardo male. Prendo il mio muffin e gli do le spalle offesa.
Lui come un vero ladro me lo ruba dalle mani. Provo a fermarlo ma non ci riesco finché non gli dà un morso lasciandomi basita.

«Stanotte morirai nel sonno dopo che ti avrò soffocato con un cuscino» gli faccio ben notare e me lo riprendo mentre lui mastica e manda giù, poi mi afferra il viso con entrambe le mani e mi molla bacio che mi spinge di spalle contro il bancone del bar.
Il sapore di cioccolato si infila rapidamente nella mia bocca.
«Quella che si soffoca con i cuscini sei tu, quando ti piego a novanta sul letto e ti lego le mani dietro la schien-»
Sbarro gli occhi e in men che non si dica gli tappo la bocca rossa un viso sperando che Ethan non abbia sentito niente.

Nicholas mi lancia un'occhiata pregna di fuoco e mille fiamme di pura tentazione umana, proibita, infernale che mi fa formicolare le guance per l'imbarazzo, e mi afferra la mano spostandolo via.
«"No, Nick, aspetta, non respiro"» scimmiotta divertito.
Sbianco talmente tanto che gli mollo una sberla sul braccio.
«Sei uno stronzo» gli sibilo contro con le guance che mi prudono ormai per la vergogna.
«No, sono solo fottutamente irreale» replica citando un paio di vecchie mie parole per cui si becca un'occhiata di traverso.

«Non ti sopporto quando fai così» sbuffo esasperata e mi faccio per girarmi ma lui mi blocca spingendomi ancora di più di spalle contro il bancone, tanto da spiaccicarmi addosso a momenti come una frittata.
«Quando faccio cosa?» sussurra sulle mie labbra. «Mi hai fatto dei complimenti, no? Te ne ho solo ricordato uno.»

Sbatto teatralmente le ciglia.
«Perché non attivi la tua skin da druido vampiro e ti fai un giro?» chiedo pertanto.
Lui ride.
«E dove? Non ci sono boschi, siamo sulla costa.»
Sbuffo infastidita e nello stesso istante caccia fuori la sua carta di credito per pagare e io cerco di fermarlo.
«No, faccio io, posso pagarmi da sola le mie cose.»
«Mhm, mhm» mi ignora alla stragrande e lo guardo male.
«Abito già a casa tua, e dobbiamo ancora parlare di questa cosa, tipo le varie spese e l'affitto e...»
«Tu abiti a casa mia da quando ti conosco. Solo adesso ti sei ricordata delle spese?»

Si becca una seconda occhiataccia.
«Io non mi faccio mantenere da te, ho i miei soldi e posso benissimo-»

Le sue labbra sulle mie mi bloccano di getto.
«Certo che puoi ma io rifiuto gentilmente la tua proposta, ti pago la colazione... e ora reggi questo» mi mette nelle mani il cartone con i due caffè e sopra anche la bustina in carta con i due muffin. Trasalisco per lo spavento quando mi afferra in braccio.

«Ma che pensi di fare?» mi impunto davvero incazzata. Io gli stavo parlando di una cosa molto seria. Sono sempre stata indipendente, non finirò proprio adesso come quella che frequenta il figlio di un multimilionario e si fa mantenere. Non funziona così, cazzo.
«Ti porto in macchina così mangi e ti togli quella faccia da sterminatrice di mondi» e prende a incamminarsi verso la porta.
«Posso andare a piedi fino alla macchina» gli faccio ben notare scocciata.
Lui si ferma davanti la porta, sorprendentemente riesce ad aprirla e poi la spalanca con un piede.
«Hai le scarpe slacciate.»

Come di conseguenza do un'occhiata ai piedi e... Ah, merda, ha ragione.
«Che palle...» mormoro. Nicholas ride.
«Che melodrammatica» replica lui divertito.

Sospiro imbronciata e proprio nello stesso istante alzo una mano e la allungo verso la porta chiudendola in modo tale da non farla sbattere troppo forte, dopotutto qui ci lavoro ed è come una seconda casa per me. I miei occhi attraversano il vetro e si fermano su una persona.

Logan, col grembiule piegato in due intorno la vita, è davanti la porta del camerino. Non appena il suo sguardo incrocia il mio, lui distoglie immediatamente il suo. Va' verso il bancone del bar e prende il blocco note.

Solo dopo mi rendo conto che la macchina di poco che aveva parcheggiato era quella di Elizabeth che ormai lui usa più spesso della moto. Una forte pressione cala tutto d'un tratto sul mio petto quasi a mozzarmi il respiro.
È qualcosa simile al rancore e alla malinconia. Qualcosa che mi mette a soqquadro le budella, consapevole che lui mi abbia vista insieme a Nick. Nemmeno so quanto abbia visto di noi. Improvvisamente mi torna in mente lui e Meredith quando sono entrati per la prima volta al Pink Ocean. Abbracciati, felici, innamorati.

E realizzo che le parti si sono invertite.

Quella brutta sensazione, il peso che sento soffocarmi ben presto si annulla, sparisce come se non fosse mai esistito non appena sposto lo sguardo su Nick, incrociando il suo e mi rivolge un piccolo sorriso a labbra chiuse riprendendo a camminare.

Le parti sono invertite, con la sola differenza che io non sono entrata nel Pink Ocean per far ingelosire nessuno.
«Che c'è?» mi chiede Nick. Probabilmente lo sto fissando come una psicopatica.

«Ti amo.»

È tutto quello che ho da dire.
Lui cerca di non ridere. «Quindi stanotte non mi soffocherai più nel sonno?» ridacchia strappandomi un sorriso.

«Forse no.»

***

ANGOLO AUTRICE

Insomma, un capitolo un po' così perché ci stava.

Molto cute la storia di Powder, povero piccolo... vabbe piango male.

Comunque ci tengo ad avvisare che riprendo con la pubblicazione dei capitoli. Scusate per l'assenza ma ho avuto da fare. In effetti i capitoli sono pronti ma vanno revisionati per correggere incongruenze et similia, ma soprattutto gli errori del mio correttore automatico. Triste lo so.

Comunque: godo. Logan beccati questa.

Sei stato veramente un coglione sotto ogni punto di vista. Bah.

Nick invece mi ha intenerita molto con la sua storia per non parlare della parte in cui parla delle sue relazioni e di come è fatto. Vabbe top colpo di scena sotto questo punto di vista, credevo che fosse un distruttore di vagine ma in realtà no. Le apparenze ingannano, grazie Ronnie per farcelo capire. Ti adoro.

A proposito, domandina: come vi sembrano le nuove copertine della saga?

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