40 | Una settimana

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CAPITOLO 40
Una settimana

È lunedì e le lezioni sono appena finite, quindi con la borsa in spalla mi dirigo verso il parcheggio canticchiando a bassa voce con le cuffie nelle orecchie. Devo dare un ultimo esame e poi potrò godermi almeno il mese di agosto.
Sono di buon umore, qualcosa che mi mancava da tempo, troppo tempo. Ho passato il weekend con Nicholas tra il profumo del suo caffè, della sua cucina e l'odore della sua pelle che si fondeva alla mia tra le lenzuola del nostro letto.
Il monolocale non c'è più. Ormai non ha più senso per me andare lì, non se questo significa stare lontano da lui perciò l'ho dato via. Nick e io conviviamo ufficialmente e questa cosa mi rende felice da morire.

Forse può sembrare frettoloso, andare a convivere, ma è successo e basta e ormai quel appartamento è mio quanto è suo. È nostro, e mi piace da matti come suonano queste due parole insieme.

Nel parcheggio, monto in sella e faccio per infilare il casco quando una macchina mi si avvicina e anziché passare avanti e uscire in strada si ferma proprio di lato.
Resto confusa per certi versi perché non la riconosco minimamente. Nera lucida, vetri oscurati. Una berlina. Il finestrino posteriore si abbassa lentamente e il sangue mi si gela nelle vene alla vista di chi siede dentro.

Tutto il mio buon umore svanisce in uno schiocco di dita, diventa semplice polvere.

«Sali.»

Una sola parola, un ordine e un tono che non ammette repliche. Questa volta non ci sono falsi convenevoli, niente chiacchiere di presentazione.
«Vado di fretta» replico cercando di tenere la mia voce ferma e quanto più stabile possibile.
I suoi occhi azzurri, grigi, mi scavano fin dentro le budella e l'ombra di un sorriso innaturale si pianta sulle sue labbra.

«Ho detto: sali

Respiro a fondo, caccio fuori l'aria e do un'occhiata frettolosa in giro. Nel parcheggio ci sono alcune persone, ma nessun viso che conosco e che possa venirmi in soccorso per sfuggire, almeno questa volta, dalle grinfie di Benedict O'Brien.

Accetto il mio destino. Perciò lascio il casco, lo rimetto al suo posto e in silenzio faccio il giro dall'altro lato dell'auto, apro lo sportello, mi infilo dentro e il profumo costoso di Benedict si infila nel mio naso. Gli occhi cadono per un istante sul suo autista vestito chiaramente in costume rigorosamente nero.
Tiro un profondo respiro e apro bocca.

«Cosa vuoi da me?» chiedo voltandomi a sinistra.
Benedict fa segno all'autista di uscire dal parcheggio.
«Pranzare e parlare un po'» risponde tirando gli angoli della bocca lievemente in su.

Meraviglioso.

«Possiamo passare direttamente alla seconda parte?» chiedo cortesemente cercando di essere quanto più a mio agio possibile o quantomeno fingermi tale, perciò abbasso un po' il mio finestrino. Qui dentro si respira veramente male, il suo profumo quasi mi toglie il fiato per quanto è prepotente come lo è d'altronde la sua semplice presenza.

Questa volta fasciato da uno smoking nero con camicia bianca, l'orologio al polso che sbuca da sotto la manica della giacca, si volta un po' verso di me, quanto basta per guardarmi di striscio.
«Pranziamo» dice glaciale e torna in silenzio.
Mi limito a fare lo stesso deglutendo a fatica. Il mio cuore batte frenetico contro la cassa toracica, quasi andando in fibrillazione.

Arriviamo a un ristorante abbastanza fuori città che si affaccia sulla costa. Tutto intorno un immenso sprazzo di erba verde estremamente curata con cespugli e qualche albero di palma. Senza dire una sola parola lo seguo finché non ci sediamo a un tavolo in una immensa sala bianca, elegante e pulita, completamente illuminata dalle ampie vetrate che regalano una vista a dir poco imponente su un vasto campo da golf dove più in fondo ci sono un sacco di alberi.
Credo che siamo al secondo piano della struttura data la chiara visuale sul prato verde.

Prima di entrare ho visto una insegna ovale con su scritto in blu "Sapphire United Club" e l'arredamento, il personale che vedo muoversi tra i tavoli occupati da persone vestite di tutto spicco, immagino sia un tipico ritrovo per ricchi con la puzza sotto il naso.
L'unico Club in cui sono mai stata era quello di equitazione a Dallas, solo perché avevo vinto alcune coccarde a delle gare junior di cavalli e il mio manager, tra parentesi mio zio, era riuscito a farmici entrare ma non era nemmeno lontanamente simile a questo posto che sembra rubato direttamente da un angolo del paradiso.

Benedict intanto ordina per entrambi senza nemmeno chiedere le mie preferenze oppure darmi la possibilità di guardare nel menù che non vedo da nessuna parte. Probabilmente questo posto ha una cucina talmente ben attrezzata e raffinata che il menù nemmeno esiste.
Quando il cameriere va via, lui pone i suoi occhi glaciali nei miei.
Mi analizza per alcuni buoni secondi per poi attendere in perfetto silenzio che ci versino due calici di vino bianco, dopodiché se lo porta alla bocca, ne assaggia un po' e mi regala un sorriso talmente cortese quanto falso.

«Dov'è Nicholas?» chiede e una folata di gelo mi investe fin dentro le ossa.
Mi passo la lingua sul labbro inferiore perennemente screpolato.
«Non gli ho mica messo un GPS addosso» replico tranquilla mentre il cuore mi batte con forti affondi che quasi non rischia di farmi morire con un arresto cardiaco da un momento all'altro.

Benedict si abbandona in un tenue cenno di risata che pare uscire direttamente dalle fauci dell'inferno.
Beve un altro sorso di vino e mi ci indica.
«Hai passato un buon weekend, mia cara?» chiede d'un tratto.
Non rispondo.

«Anche io» aggiunge e si passa una mano sul ciuffo di capelli aggiustandolo con una piega a dir poco perfetta. «L'ho trascorso in una suite niente male con vista sul Tamigi. Sei mai stata a Londra?»

Dove cazzo vuole arrivare?

Ispiro profondamente. «No.»

Benedict fa un'espressione delusa.
«Gli inglesi... che popolo squisito. Così eleganti, cortesi e con quel loro accento talmente raffinato. Nonostante le mie origini siano britanniche, il loro accento non l'ho ereditato e un po' mi dispiace, infondo ho sangue nobile nelle vene eppure mi è stato rinnegato il mio titolo per le cattive scelte di mio padre.»

Corruccio la fronte confusa dal suo strano monologo. Benedict sembra cogliere l'occasione per continuare.
«Mio figlio non te l'ha detto?»
Lo fisso perplessa.
«Suo nonno era un principe.»

Come ha appena detto?
Improvvisamente le parole di Nicholas nella sera della vigilia di Natale mi tornano in mente con violenza. Il momento che l'avevo preso in giro sulla sua inesistente carriera da possibile attore e lui aveva risposto che sarebbe stato visto di cattivo occhio. Mi aveva detto di essere un principe, io ho riso. Credevo stesse scherzando e sinceramente sarebbe stato davvero assurdo, quindi non gli ho prestato la benché minima attenzione, anzi l'ho eliminato semplicemente dalla testa.

Ma chi diavolo sono gli O'Brien?

La mia faccia deve parlare per me perché lui sorride con amarezza.

«Se solo mio padre non avesse deciso di rivoltarsi contro la Corona ora avrei un Ducato che governerei e sarei invitato a Buckingham Palace, farei parte della famiglia reale e mio figlio mi avrebbe reso fiero sposando una donna del suo rango, mettendo su famiglia, invece che...» si ferma mollandogli un'occhiata che pare un'analisi a raggi x, tanto insistente che mi fa sentire nuda a momenti.
Ripone di getto gli occhi nei miei.

«... giocare con una ragazza di campagna di Wichita Falls» conclude con uno schermo tale da farmi ribollire il sangue nelle vene.

«Il mio caro e defunto padre mi ha rinnegato una vita di alto pregio. Mi ha lasciato la O'Brien Atlantic, il suo lavoro di una vita, e poi accanto al capezzale mi ha fatto così» gesticola minando "avvicinati", «"Sei stato la mia più grande delusione", disse.»

Mi stringo inevitabilmente nelle spalle dando un'occhiata in giro. Scorgo il cameriere. Si avvicina, posa due piatti davanti a noi, ci augura buon appetito con tanto di inchino e se ne va.
Benedict poggia gli occhi sul suo foie gras di anatra e pere glassate al vino.
«Sai perché?» sfila il tovagliolo il cotone bianco e se lo pone sulle cosce.

Ispiro. «No.»

Certo che non lo so. Non spreco di certo il mio tempo a informarmi sulla sua stramaledetta vita da povero riccone del cazzo che ha un cattivo rapporto col fantasma del proprio padre.

Benedict mi guarda.
«Da figlio a figlia disconosciuti, speravo avessi una risposta che io non ho. In fondo tuo padre non è stato poi così diverso dal mio...»

Silenzio.

«Non devi temermi» dice con l'ombra di un sorriso. «Io non sono un uomo cattivo, Veronica... ma faccio cose cattive se devo.»

Un brivido gelido mi scende dalla cervicale e mi attraversa tutta la spina dorsale.
Lui impugna forchetta e coltello, taglia un pezzettino di foie gras, un po' di pera e le infila in bocca per poi farmi segno col coltello di mangiare.

Indugio. Do un'occhiata al mio piatto, lo stesso che lui sta degustando lentamente e quasi con fastidio. Prendo la forchetta. Taglio un po' di pera e la porto in bocca.

«Dov'è Nicholas?»

Alzo di scatto lo sguardo e incontro il suo che freddo mi analizza in attesa di una risposta.
«So che è qui, che è tornato per te» abbozza un tenue sorriso. «Gli hai parlato?»

Tiro un forte respiro. «Di cosa?»
«Di dove ha nascosto quella chiave, mi pare ovvio.»
Ovviamente.
«Non ancora.»
Lui annuisce e beve un sorso di vino.
«Stai prendendo tempo?»

La sua domanda mi mette allo sbaraglio.

«Perché dovrei?»
Benedict inclina lievemente la testa.
«Non mi rispondere con un'altra domanda» ordina e poi mi fa un cenno di testa al mio piatto. «Mangia.»

Fantastico, il mio suocero fantoccio mi ordina anche di mangiare, non gli basta minacciarmi di sbattermi in galera.

«O forse stai aspettando di tornare a casa e pranzare con quello che ti cucinerà mio figlio?»

Un sorriso si pianta sulle mie labbra, uno nervoso, di rabbia repressa. Mi dà fastidio che parli di Nick come "suo figlio" quando lui non ha mai saputo comportarsi da padre. Si lamenta del suo e nel frattempo nello stesso ruolo fa ugualmente schifo, forse anche di più.

«Conosco bene il piccolo talento di Nicholas, ha preso da sua madre. Moira amava cucinare. Ricordo ancora adesso il suo ultimo piatto... il profumo del basilico su quelle sue lasagne vegane...» mormora con aria quasi malinconica che trovo inconsueta in un uomo come lui.
«Hai una settimana. Trova quella chiave, vai in Svizzera e portami i documenti altrimenti io sarò costretto a fare una cosa molto cattiva» si sblocca d'improvviso e ficca un pezzetto di foie gras in bocca mentre il mio cuore scalcia con brutalità. Serro i denti al massimo ricacciando indietro il terrore che si infila nelle mie vene.

«Ora però...» riprende parola e alza il calice di vino. «Parlami un po' di questa intrigante crociata segreta che hai messo su con mio figlio Kieran» beve un sorso di vino con un'aria talmente divertita che mi gela ogni singolo neurone.
Il mio stupore deve essere evidente perché lui sorride quasi con compassione.
«Davvero credevi che non l'avrei scoperto? Evidentemente non ti è ancora ben chiaro chi sia io.»

Non rispondo. La lingua mi si è attorcigliata in bocca.

«Kieran... Come hai solo potuto pensare di poter fare affidamento su uno come lui? Ti credevo più intelligente, dopotutto sei una ragazza che nella vita se l'è cavata principalmente da sola, soprattutto dopo quello che è successo a tua madre — il mio respiro si fa di colpo pesante — che situazione tragica, a proposito. Una perdita che ti avrà sconvolto la vita, dico bene? Avevi... quanti? Quattordici anni?»

Abbasso gli occhi sul mio piatto. Il diaframma mi fa su e giù. Deglutisco lentamente.

«E poi tuo padre si è dimenticato della sua unica bambina, ti ha abbandonata e si è ricreato una nuova vita con una nuova donna... la migliore amica di tua madre» schiocca la lingua contro il palato. «Deve essere stato un colpo duro per te. Ti sarai sentita tradita...»

I miei occhi bruciano con violenza. Faccio ciondolare debolmente la mascella cercando di contenere qualunque cosa lui sia riuscito a scatenare dentro di me. Il risentimento, ecco cos'è. Qualcosa con cui credevo di aver fatto ormai pace, di aver accettato quello che è successo nella mia famiglia ma Benedict in un modo che non concepisco l'ha riportato a galla e mi sta macinando le budella.

«Mio figlio Kieran sta cercando di spodestarmi, ma questo lo sapevi già e come te... anche io mi sono sentito tradito. Sai, mia cara Veronica... di rado mi apro così a qualcuno. Hai solo avuto la sfortuna di incontrare Nicholas, per il resto potrei anche ammettere che provo una certa simpatia nei tuoi confronti. Mi ricordi la madre di Nicholas. Moira era una donna che non si lasciava calpestare con facilità, era testarda, un carattere tagliente, lo stesso che mi ha ammaliato. Lei era tutto ciò che io avrei desiderato essere, tirava solo il meglio di me. Era dolce... — sorride con tristezza, quasi ripercorrendo i suoi ricordi — e bella in ogni suo gesto e parola... ed era vendicativa» confessa lasciandomi spaesata, non solo per l'aggettivo affibbiato alla sua ex moglie ma soprattutto per i suoi strani complimenti nei miei confronti.

Quindi mi sbagliavo. La madre di Nicholas non è poi così tanto diversa dagli altri componenti della famiglia O'Brien. Ma ce n'è uno integro di mente?

«Ti ha messo del veleno nelle sue ultime lasagne vegane?» chiedo con un sorrisetto a labbra chiuse.
Lui, sorprendentemente, ride.
Che gran pezzo di merda.
E il gran pezzo di merda qui davanti ha la stessa risata di Nick.

Dio, mi sta salendo la nausea.

«Tu, invece? Sei vendicativa?» alza le sopracciglia curioso.

Me ne sto in silenzio.
Benedict tira un profondo respiro e sorride.
«Certo che lo sei... Hai ucciso Marianne» cantilena divertito prima di tornare a mangiare.

«È stato un incidente» dico in tono piatto.
«Un incidente significa spingere qualcuno che sbatte maldestramente da qualche parte. Tu l'hai picchiata. L'hai martellata di colpi. Tu... le hai devastato il cranio» dice masticando tranquillamente come se niente fosse.

«Questo non è un incidente, ma la conseguenza delle azioni di una persona senza controllo, che non sa gestirsi e porsi dei limiti. Mi domando come l'avrebbe presa tua madre... scoprire che hai ucciso qualcuno. Ti avrebbe coperta anche lei? Avrebbe insabbiato ogni cosa? O forse sarebbe rimasta talmente atterrita da ritenerti il suo più grande fallimento

La vista mi si annebbia di getto dalle lacrime. Gli occhi bruciano quasi a prendere fuoco per lo sforzo immane con cui le tengo a bada mentre il cuore mi si stringe sempre di più in una morsa brutale che consuma l'aria nei miei polmoni. Serro i denti al massimo quasi a spaccare entrambe le arcate.

«Debora... lei sì che sarebbe inorridita. Chissà cosa direbbe la gente del suo piccolo paesino nel sud dell'Italia... "La sua unica nipote che uccide senza rimorso".»

Sbianco pericolosamente nello sentire il nome di mia nonna.

«È carina la sua casa. Due piani, tante stanze vuote... uno spreco di spazio e ogni martedì mattino c'è un piccolo mercatino non poco distante dalla sua residenza. Lei compra sempre una sola cosa: mele. Mi domando cosa se ne faccia di così tante mele, dopotutto vive da sola. Quella casa ha tante scale, basta poco per scivolare e finire male soprattutto per una donna della sua età.»

Non respiro. Non riesco... io non riesco a respirare nonostante l'ampia sala da pranzo del Club, non c'è abbastanza ossigeno. Mi sento soffocare.

«Perché mi stai facendo questo?»
La voce mi esce ferma, controllata non allo stesso modo si direbbe delle emozioni che mi vorticano intorno all'anima e me l'ha condannano al girone infernale più violento che esista.
Vuole quei suoi fottutissimi documenti. È per questo che mi ha portata qui, per ricordarmi la missione che mi ha assegnato. Per bacchettare le mie mani perché ho osato fregarlo insieme a Kieran, ma questo, tutto questo, io non lo merito affatto. Perché mi sta flagellando con mia madre? Perché sa tutte quelle cose su mia nonna? Cosa significano le sue ultime parole? È una minaccia. È una fottutissima e dannatissima minaccia.
Lo guardo in viso, nonostante ci veda di merda per via delle lacrime che sono ben consapevole lui possa vedere raccolte nelle mie palpebre inferiori.

Benedict indugia questa volta. Mi osserva, mi analizza come un predatore che si gusta aver messo allo sbaraglio la sua preda, averle tolto ogni via di fuga, e sta fissando il terrore nei suoi occhi consapevole che non potrà mai scappare, che è la sua fine.

«Hai provato a fregarmi» dice semplicemente alzando le sopracciglia con fare ovvio. «Rifallo e farò riesumare la bara di tua madre e la spedirò sulla porta di casa di tua nonna Debora. Dici che alla sua vista il cuore potrebbe cederle?» fa con finta aria pensierosa e mette la forchetta un bocca. Mastica. «Sì... è possibile.»

Una lacrima scivola, scappa via e mi scava con ferocia la guancia quasi raschiando via la pelle e affondando nella carne.
Abbasso gli occhi sul mio piatto ancora intatto, crollando nel silenzio senza più alcun coraggio di replicare.

«Se preferisci, ora puoi pure andare e pranzare con mio figlio» annuncia con aria solenne. Ripongo lo sguardo su di lui. Infila un pezzo di foie gras in bocca e mi fa cenno di alzarmi.
«Non voglio trattenerti oltre, dopotutto sarai impegnata nei prossimi sette giorni e se ti ci impegni abbastanza potresti sfruttare la mezza giornata rimanente a tuo favore.»

Senza stare un altro secondo qui seduta, mi tiro in piedi, prendo la mia borsa e la metto in spalla. Asciugo frettolosamente il viso con la mano e mi giro pronta per andare.

«Veronica!»

Fermo il passo.
Lo guardo mentre sfila il suo portafoglio, tira fuori una carta di credito dorata e la spinge con un dito sul tavolo in mia direzione.
«Per il viaggio, l'hotel e tutto ciò di cui avrai bisogno. Non badare a spese. Se preferisci, comprati anche qualcosa di carino, offro io. Non vorrei che facessi una brutta impressione in Svizzera con quei... stracci che indossi» mi rifila un'occhiata dalla testa ai piedi.

Guardo lui e poi la carta, non mi muovo per parecchi istanti finché alla fine torno indietro, la afferro e me la do letteralmente a gambe levate quasi rischiando di investire un cameriere.
Non appena fuori, sul sentiero in ciottoli bianchi che attraversa l'immenso prato del Club e che porta a una sorta di zona pedonale oltre cui le macchine sfrecciano, scoppio a piangere.
Talmente tanto e con una tale violenza che mi manca il respiro. Mi si raschiano le vie aeree, sento i miei polmoni andare in fiamme e le gambe quasi cedermi e cadere a terra.
Mi porto una mano alla bocca cercando di contenere i singhiozzi spezzati e di attutire gli altri suoni. I miei occhi bagnano il viso come un fiume in piena.
A passi lenti e disorientati mi allontano dal Club. Raggiungo il marciapiede, mi guardo a destra e poi a sinistra cercando di ricordarmi per dove l'auto è passata. Ricordare il tragitto per casa, anzi no, per l'università dove ho lasciato la mia moto. Ma tutto mi viene difficile. Pensare, camminare, ragionare, perfino respirare.

Alla fine prendo posto su una panchina di una stazione di bus e provo a darmi una calmata. In mano ho ancora la carta di credito di quell'uomo. La guardo mentre le lacrime ormai si sono seccate. Me la rigiro tra le dita, tiro un profondo respiro e la infilo nella cover del mio cellulare.

Ho una settimana.
Solo una settimana e se non gli porto i documenti lunedì prossimo mi troverò con la polizia sotto casa, in manette e lanciata in un'auto della pattuglia.

***

Torno all'appartamento alle tre e mezza. Quando entro mi sento svuotata da tutte le energie, tanto che quasi non ho la forza di attraversare il piccolo corridoio e incrociare lo sguardo di Nicholas. Sono sempre stata pessima a mentire, con le persone che non mi conoscono bene riesco a farcela, ma con quelle come Nick... come faccio?

Faccio alcuni passi, raggiungo il soggiorno e mi volto a sinistra verso la cucina.
Nicholas non è lì. L'orario di pranzo è passato da un po'. Quindi do un'occhiata alla stanza da letto che trovo vuota. L'unica opzione che mi rimane è il bagno.
Tiro un forte respiro e vado verso il tavolo da pranzo. Su di esso c'è un piatto coperto da un altro, mi avvicino e trovo un post-it attaccato.

"Sono da Tyler. Buon appetito."

Mi scappa un tenue sorriso. Prendo posto sulla sedia, scoperchio il piatto e ci trovo dentro della carne e alcuni legumi saltati in padella.
Ho lo stomaco chiuso, perfino qualcosa cucinato dalle sue mani non riesce a tirarmi su di morale. Le lacrime si sono esaurite, quindi mi alzo e vado nel dormitorio.
Mi siedo sul bordo del materasso, lo sguardo si posa sul cassetto del comodino e ci resta per parecchi istanti finché non lo tiro e dentro vedo la pistola.
La afferro tra le mani, la analizzo in silenzio mentre i polpastrelli strisciando sulla canna fino al foro di uscita e la mia testa viaggia verso scenari immaginari poco piacevoli per Benedict O'Brien. Ma so che lui resta intoccabile. Mi domando... e se fosse stato una persona qualunque? Mi sarei alzata con questa pistola e gli avrei fatto visita? Ho un tale coraggio? Un tale sangue freddo?

Marianne è solo una conseguenza di un impeto di rabbia di una ragazzina che aveva perso la madre. Sono ancora quella ragazzina?

Forse se Nicholas non si fosse rifatto vivo e fosse rimasto nascosto in Australia, adesso non sarei in questa situazione e Benedict, non avendo modo di sfruttare la mia sfortuna di aver incontrato suo figlio, non mi minaccerebbe.

Mi lascio cadere di spalle contro il letto a fissare il soffitto bianco.
Una settimana.

Cosa posso fare? Manipolare Nicholas così come suo padre mi ha consigliato? Oppure ubriacarlo per strappargli le informazioni? E se dopo la sbornia ricordasse le mie parole? Il pensiero sfugge a Kieran.
Droga. Non una qualsiasi, ma della fottutissima droga dello stupro.
Qualunque opzione sceglierò devo farlo in fretta.

Non era così che immaginavo avrei passato il tempo dopo che Nicholas sarebbe tornato da me. Quando ci siamo salutati sulla base della aeronautica militare sei mesi fa io intendevo passare poi la nostra storia insieme. Andare in Australia, vivere tanti piccoli momenti solo noi due...

Benedict aveva ragione? Sono stata sfortunata a incontrare Nick al Pink Ocean? Tra tutte le cose che mi sono capitate, credevo che Nicholas fosse finalmente una benedizione, che la mia sfortuna fosse finita nell'esatto momento in cui lui si è seduto a quel tavolo e ha chiesto solo una bottiglietta d'acqua.
Forse Maeve non ha sbagliato, a mollarlo quando ha scoperto chi fosse realmente, di chi fosse figlio. Si è salvata giusto in tempo.

Mi viene quasi a scoppiare in una risata isterica se ripenso a quella cena che avevo organizzato a quattro con Nicholas, Logan e quella Gwen. Quando ho preso posto al tavolo ho guardato Nick e ho pensato "lui sarà la mia rovina" e forse non mi sono affatto sbagliata.
Ma è ormai tardi. Non posso prendere una macchina del tempo e tornare indietro a quando potevo ancora scappare e non finire in questo... inferno.

Benedict ha minacciato me, mio padre e ora una povera donna che ha già perso abbastanza: sua figlia, la sua unica figlia. E io sono impotente. Non posso fare niente perché lui è un uomo fottutamente spaventoso. Ne ho visti uomini simili a lui, ma nessuno è mai stato così.
C'era il padre di Adrien, violento, alcolizzato, alzava di continuo le mani su Amanda.
Benedict non usa la violenza, lui si limita alle parole e queste affiancate al suo portamento gelido e composto dà i cazzo di brividi.

Io rivoglio la mia vecchia vita: cameriera al Pink Ocean che di sabato sera va a bere drink analcolici con Ethan mentre la domenica la passa metà per mare in barca a fingere di pescare e il restante a mangiare pizza e guardare Game of Thrones. Voglio la mia vecchia vita indietro. Quando l'unica mia preoccupazione era ricordarmi di sfamare Pipistrello sulla porta sul retro del Pink Ocean.

Mi alzo dal letto, rimetto la pistola nel cassetto ed esco dall'appartamento senza aspettare Nicholas. Vado al negozio aperto ventiquattrore, entro dentro, prendo una bottiglia di vino e ritorno alla cassa. Il ragazzo biondo che sta dietro mi vede, mi riconosce e mi fa uno strano sconto prima di pagare.
Non presto attenzione, solo dopo ricordo che l'ultima volta gli ho letteralmente salvato la vita quasi facendo ammazzare me stessa.

Quando alle nove e mezza rientro da lavoro Nicholas è in cucina. Lo fisso in silenzio per buoni istanti da lontano senza emettere un solo rumore. Lui tanto è assorto in quello che sta facendo da non rendersi nemmeno conto della mia presenza.
Lo analizzo e davvero cerco di trovare una risposta ragionevole... Come può essere figlio di quell'uomo?

Nicholas alza gli occhi dal suo tagliere per prendere qualcosa nella dispensa alle sue spalle, mi nota e si ferma. I suoi occhi eterocromi finiscono nei miei, e il pavimento mi scompare da sotto i piedi.
Lo guardo attentamente, del tutto assorta, ammutolita. I suoi capelli scompigliati che dovrebbe tagliare, la mascella dolcemente accentuata, labbra piene nei punti giusti, le stesse che si spiegano in un piccolo sorriso alla mia vista e il mio cuore viene rapito come di conseguenza.
È tutto suo padre. La sua versione giovane sputata. Gli occhi un po' diversi, i capelli più chiari rispetto a quelli neri di Benedict, ma lui è letteralmente suo padre. Ed è fottutamente inquietante.

«Buonasera» mi saluta.
Ammiro per un altro paio di secondi la camicia bianca che gli fascia il torso, poi lo sguardo sale in su, sul suo collo marchiato da quanto gli è capitato in Iraq, e poi il suo viso, la cicatrice e tutti gli altri segni che gli punteggiano la mascella.

Tu sei la mia rovina e nemmeno lo sai.

«Buonasera» mi apro in un debole sorriso, stanco in ogni senso possibile. Sono sfinita sia fisicamente che mentalmente. Voglio solo mangiare e andare a letto. Voglio chiudere occhio, disconnettermi per un bel po' di ore dalla realtà tra le sue braccia, nel suo profumo e in quello del nostro letto.
Mi avvicino, giro l'angolo dell'isola e gli vado dietro le spalle. Senza aggiungere una sola parola lo circondo con le braccia poggiando la guancia contro la sua schiena.

«Giornata pesante?»

«Mhm, mhm» mi limito solo a mugugnare.

«Non sei tornata per pranzo.»

«Sono stata trattenuta» da tuo padre.

«È tutto okay?» chiede preoccupato.

«Sì», no, invece. Non è nulla okay, ma ora che sei qui forse sto un po' meglio.

«Ho visto che hai preso il mio vino preferito» dice e probabilmente sta sorridendo considerato il tono di voce.

«Stasera voglio farti ubriacare» scherzo.
Non stasera, ma domani sì.

Nicholas ride lievemente.
«La tua bellezza mi ha già ubriacato a sufficienza.»

Ovviamente non poteva astenersi dal farmi un complimento quando meno sarebbe il caso.
Sorrido un po' ad occhi chiusi mentre continuo ad abbracciarlo a me.
«Mi dispiace» confesso d'un tratto col cuore in gola. Le mie mani si infilano nella fibbia della cintura, tirano fuori un lembo della camicia e scivolano sotto, a contatto con i suoi addominali.
Silenzio.
«E per cosa?» chiede confuso cacciando un mezzo sbuffo di risata.

«Per quello che ti farò» ammetto.

Lui si gira e in automatico apro gli occhi. Mi alza il mento con una mano.
«Non dispiacerti. Puoi farmi tutto quello che vuoi» dice con un sorrisetto equivoco per poi baciarmi.

No, Nick, io non stavo parlando di quello ma non posso dirti a cosa mi stessi realmente riferendo perché se lo facessi, tu andresti da tuo padre, scateneresti il caos e lui per ripicca farebbe affondare me e le persone che ha citato tra le sue minacce. E tu potresti essere preso di mira dagli amici di tuo padre come hai rischiato l'ultima volta.

«Ora aiutami con i pomodorini. Devi tagliarli a metà» mi bacia un'altra volta e in tutta risposta annuisco con un flebile sorriso. Lo guardo poi perdendomi nell'azzurro dei suoi occhi.

Non sono stata sfortunata ad incontrarti, sei solo finito nella famiglia sbagliata.

Le mie mani sono ancora sotto la sua camicia e salgono sulle sue spalle, gliele ispeziono mentre mi stringo al suo torso che ricambia.
«Sei la cosa migliore che potesse accadermi» sussurro col viso schiacciato sul suo petto.
«Anche tu, tesoro» dice e il mio cuore batte piano accanto al suo. «Ma le tue mani restano comunque fredde» aggiunge subito dopo strappandomi un cenno di risata che lo contagia. Come di conseguenza le muovo su tutta la sua schiena e lui rabbrividisce ridendo e cercando di farmi smettere.

***

Nel cuore della notte sguscio silenziosamente via dall'appartamento. Prendo la borsa con il Blaser K95 dalla cantina di Ethan, la metto in spalla e sfreccio lontano. Mi allontano abbastanza dal centro abitato, raggiungendo una piccola baita in legno ad almeno trecento chilometri fuori da San Francisco.

Scendo. Monto il fucile, lo carico. Il visore ottico notturno a visione termica è un altro paio di maniche, l'eccellenza per un'arma del genere.
Con una torcia seguo alcune tracce, rispolverando i ricordi con papà e mio zio alle battute di caccia, e cammino. Trovo una postazione con una buona visuale per poi mi accovaccio di pancia sulla roccia che frana verso il basso.

Tolgo la sicura, avvicino l'occhio alla lente e attendo in silenzio, completamente immersa nella flora alle due e mezza di notte.
Ispiro, punto la canna del fucile, la muovo leggermente verso destra e attendo per una buona manciata di minuti. Quando arriva il momento giusto ispiro a fondo, premo il grilletto e in concomitanza rilascio anche l'aria nei polmoni. Lo sparo squarcia il silenzio e l'eco torna indietro insieme all'odore da polvere di sparo.
Controllo nel visore e ciò che vedo è immobile accasciato a terra a un centinaio di metri di distanza in basso rispetto a dove mi trovo.
Il colpo è andato a segno e quasi rimango stupita da me stessa. Evidentemente l'unica cosa buona che ho ereditato dalla famiglia di mio padre è la buona mira che non ho perso.

Quello che mi servirà se con la cassetta portavalori dovesse andarmi di merda.
Benedict ha detto di non provare mai più a fregarlo, ma non ha detto di non ficcargli una pallottola diritto nel cuore.

Le scale. Sorrido lievemente con rabbia e rancore. Le scale possono essere scivolose, mia nonna potrebbe cadere per puro incidente. Anche la mia mano potrebbe cadere, sul grilletto di questo fucile. Mal che vada andrò in prigione e all'inferno, ma almeno mi vanterò di aver ammazzato quel gran figlio di puttana.

"Tu, invece? Sei vendicativa?"
La sua domanda.

Rientro dentro l'appartamento prima delle cinque e mezza, il solito orario intorno a cui si sveglia Nicholas.
Nel buio, mi tolgo in silenzio le scarpe all'entrata, sfilo i pantaloni, i calzini e la felpa. In punta di piedi vado nella stanza da letto, poggio i vestiti sulla poltroncina e lentamente tiro su la coperta e mi infilo a letto.
Do uno sguardo alla mia sinistra dove lui sta ancora dormendo. È di fianco e nel poco di luce che arriva dalla finestra gli vedo le spalle nude.

Trattengo un sospiro, mi avvicino a lui, tiro un altro po' la coperta sul suo corpo e lo abbraccio con delicatezza poggiando il viso contro sulla sua schiena dove gli poso un piccolo bacio. Mi abbandono al buon odore, mi ci inebrio ad occhi chiusi, strofinando un po' il mio naso contro la sua pelle.

Dopo una decina di minuti la sveglia sul suo comodino suona, ed io rimango immobile attaccata a lui fingendo di dormire. Lo sento muoversi, spegnerla e poi rimanere fermo per un paio di istanti. Di solito è l'orario in cui esce per fare il solito jogging mattutino prima di rientrare e preparare la colazione.

Si china su di me, mi lascia un bacio tra i capelli e mi copre un altro po' con la coperta. Il materasso si abbassa un po' per poi sentirlo risollevarsi. È sceso dal letto.
Nemmeno lo sento quando si veste e si prepara per uscire, nella stanza arriva solo il piccolo suono della porta d'ingresso che si apre e poi si chiude.
Ed è nello stesso identico istante che apro gli occhi. Do uno sguardo sulla cucina che si vede dalla porta aperta e mi tiro in piedi raggiungendo il telefono che ho lasciato nei pantaloni sulla poltroncina.

Scorro tra i contatti finché non trovo "Figlio di puttana" e mai nome fu più azzeccato. Nel caso di Kieran la puttana non è sua madre, ma suo padre.
Pigio su "chiama" e attacco il cellulare all'orecchio.
Squilla un paio di volte e quando più credevo che non avrebbe risposto, un rumore dall'altro capo del filo mi stupisce.

«Che c'è?» mugugna con la voce impastata dal sonno.
«Sei stato tu a dirglielo?» chiedo di getto.
Lui sprofonda nel silenzio per diversi istanti.
«Che?» sbuffa rumorosamente.
«Tuo padre sa che noi due abbiamo parlato» lo informo.

Altro silenzio.

Poi tutto d'un tratto lo sento ridere sommessamente tanto da lasciarmi confusa.
«Sei fottuta» cantilena divertito ma io non lo sono affatto. Dall'altro capo della chiamata si sentono altri rumori.

«Credo mi stia facendo pedinare. Aveva detto di averlo già fatto.»

«Va bene... me ne occupo io» dice.
Corruccio la fronte.

«Mio padre ha solo una persona che ingaggia per queste cose. La trovo, la minaccio di dargli fuoco alla casa e tutte quelle altre stronzate e... sì, me la vedo io» conclude con la voce impastata.

Quella a rimanere in silenzio ora sono io.
«Voi O'Brien sapete far anche altro oltre che minacciare a destra e manca?» chiedo dopo un po' con una punta di disgusto.

Kieran ride lievemente.
«Giocare a golf e fondamentalmente comprare tante cose inutili ma di lusso che teniamo in garage finché non ci ricordiamo di averle.»

Oh, emozionante...

«Da qualche parte dovrei avere anche uno di quei affari che vanno sott'acqua...»

Inarco un sopracciglio. «Un sottomarino?»

Lui ride. «Ah, ecco come si chiama! Sì...»

«Non ti ricordi dove hai parcheggiato un cazzo di sottomarino?» chiedo credendoci a stento.
«I sottomarini mica posso metterli in garage... non so, sarà da qualche parte nel mondo. Forse a Dubai.»

Inevitabilmente faccio una smorfia.
«E a che diavolo ti serve un sottomarino?»

Silenzio. Forse ci starà pensando su cercando di ricordarselo.

«Volevo vedere il Titanic... il transatlantico, quello del film con Leonardo Di Caprio, dicono che di là girano i fantasmi e volevo vederli» risponde con fare tranquillo come se fosse una cosa di tutti i giorni che ogni persona normale fa nella sua solita routine quotidiana.

«E li hai visti?»

«Uhm

«I cazzo di fantasmi. C'erano i fantasmi là sotto?» chiedo mio malgrado curiosa. Kieran mugugna qualcosa.

«Ah, non lo so, ero troppo preso dal fare sesso con la primogenita di Victor Bowman.»

Ma che...

«Chi?»

«Quello che investe nei progetti della NASA per la ricerca su Marte.»

Ma di chi diavolo sta parlando? Decido di lasciar perdere.

«Non potevi noleggiarlo?»

«Cosa?»

«Il sottomarino, idiota» sibilo esaperata.

«Quello lo fanno i poveri come te.»

Mi astengo dal mandarlo al diavolo.

«Benedict sa che Nicholas è qui.»

«Certo che lo sa, gliel'ho detto io.»

Quasi non sbianco.
«Che cazzo hai fatto?!» strillo a bassa voce.

«Atto di fede» risponde invece lui calmo.
Rimango confusa come di conseguenza.

«Non è la prima volta che uno dei suoi figli vuole distruggerlo. Qualcuno ci ha visto insieme, quindi per avere la sua fiducia gli ho detto di Nick e anche di averti dato un passaggio fino in Australia. Deve pensare che sono dalla sua parte. Mio padre è un po' dispotico... quindi se gli racconto la verità lui starà calmo e non se la prenderà con me-»

«E me lo dici solo adesso?! Ma che cazzo hai in quella testa di merda?! Sei un grandissimo pezzo di merda, fottuto e schifoso verme del caz-» sibilo a denti stretti con la rabbia a divorarmi dall'interno.

«Ovvio che lo sono» mi interrompe con aria soddisfatta. «E ora faccio questo.»

Non mi dà modo per replicare perché mi riattacca in faccia.
Rimango sbigottita, con i nervi a fior di pelle, incredula dinanzi il suo atteggiamento del cazzo da grande bastardo di merda, figlio di una tr-
Mi arriva una chiamata. Guardo lo schermo del cellulare e leggo "Figlio di puttana."

Sbatto le ciglia, imbambolata.
«Sei un-» mi avvento su di lui verbalmente non appena premo il pulsante verde, ma Kieran mi interrompe.
«Non mi devi urlare contro.»

Accigliata, mi sale l'istinto di spaccare il cellulare tra le dita perché non posso spaccare a lui la faccia.
«Mi sono svegliata poco fa, tu mi hai svegliato, è già tanto che ti parli a quest'ora. Apprezzalo.»

«Fatti esplodere dentro una centrale nucleare» replico senza pensarci più di tanto.
Kieran sospira.
«Le centrali nucleari non esplodono, non sono mica ordigni esplosivi e il disastro a Chernobyl nel '86 è successo perché hanno giocato col sistema di raffreddamento del reattore 4 per verificare se in caso di carenze di energia per via di possibili attacchi nemici la centrale potesse ugualmente funzionare in maniera del tutto autonoma.»

Il suo monologo mi manda in cortocircuito i neuroni per diversi istanti.
«Sono ricco ma ho frequentato anche io l'università e ho una laurea in ingegneria. Boom, stronza!» esclama con enfasi mimando un effetto sonoro.
Cazzo, ma ce n'è uno normale nella fottuta famiglia degli O'Brien?
Ah, no, dimenticavo.

«E sono talmente verme da aver fatto parlare mio padre chiedendogli di quella cassetta portavalori. Ora la pianti di fare la pazza alle...» si ferma per un istante. «Cinque e tredici di mattino? Non per essere maleducato, non mi dispiacerebbe affatto con te, ma ho un po' le palle girate e frantumate e tu mi stai frantumando anche il cranio... Cazzo, ma come fa Nick a sopportarti? Ti tappa la bocca per tipo... tre quarti delle vostre conversazioni? E di cosa parlate esattamente quando non scopate? Tecniche di squartamento?»

Sbatto teatralmente le palpebre anche se ben consapevole che non mi possa affatto vedere.

«Tu sai cosa c'è dentro a quella cassetta?» chiedo calmandomi in un battibaleno tanto che perfino io resto sorpresa da me stessa.
«Non nello specifico, il mio vecchio non si fida del mio cervello da drogato, però mi ha detto una cosa molto interessante...»

Ispiro profondamente aspettando quello che pare voglia rendere un momento di puro suspense.
«"È dalle ceneri che si ricostruisce."»

«E che dovrebbe significare oltre che pare la frase di un pazzo?» ironizzo seccata.

«Mio padre è pazzo — ride come un completo deficiente — non l'hai ancora visto con le sue piante di merda, sembra le abbia partorite dal suo cazzo...» schiocca la lingua contro il palato abbastanza schifato. Il pensiero mi sfugge al nostro primo incontro nell'appartamento di Nick e il modo in cui sembrava amareggiato nel vedere le piante che ho lasciato morire, per non parlare del suo consiglio sulla bacinella d'acqua e i teli di plastica.

«E disprezzava mio nonno, il quale non ha nemmeno una lapide. Lo sapevi? Nel suo testamento ha chiesto che fosse cremato e indovina dove si trova la sua urna?» chiede tutto divertito.
Rimango in attesa che si risponda da solo.

«Una casa di riposo ai confini di Los Angeles, una associazione benefica che ha costruito in nome di mia nonna, Annabelle, lei era ossessionata con l'aiutare la gente povera come te — mi trattengo dal mandarlo a farsi fottere — che non riceveva le cure necessarie. La gestione poi è stata affidata a una persona e questo ha due figli, una professoressa di liceo e un figlio minore... quello lavora a una banca in Svizzera e si occupa di... rullo di tamburi... Custode alla stanza delle cassette portavalori!»

Kieran O'Brien è un grande imbecille, ma questa volta, anche se è dura da ammettere, resto stupita dai suoi neuroni che a quanto pare non sono tutti sciolti come invece pensavo.

«Ora arriva la parte bella. Senti qua» aggiunge tutto elettrizzato. «Il tizio ha fatto da testimone durante la stesura del testamento. Questo significa che qualunque cosa ci sia in quella cassetta ha a che fare con l'eredità che mio nonno ha lasciato. La O'Brien Atlantic è di mio padre, ha la maggioranza delle quote azionarie, le altre appartengono ai suoi soci e alcune sono rimaste a Nick. Il punto è: se mio padre ha già quasi il potere assoluto dell'azienda, cosa ci sarà mai di tanto più grande all'azienda stessa che mio nonno non gli ha voluto lasciare? Cosa sono quelle famose clausole contrattuali? E se valgono tanto perché Nick non le ha usate contro nostro padre? Forse perché qualcosa glielo impedisce e questo vuol dire...»

«... Un patto di riservatezza?» sparo la prima cosa che mi salta per la testa.

«E io che ne so? Mica sono un detective» fa con un cenno di risata. «Ma è interessante la tua ipotesi... Brava cucciola di sangue sbirro» mi complimenta provocandomi una smorfia. Mi mancano solo due pacche sulla testa tanto per completare il quadro.
«Fossi al tuo posto inizierei a domandarmi perché mai Nick possa aver firmato una cosa del genere. Se hai c'entrato il punto, il mio fratellone ha un gran bel segreto, uff... mi sembra quasi di sognare...» ridacchia cacciando uno strano gemito che mi fa sanguinare l'orecchio tanto lo trovo volgare ai limiti del sopportabile.

Istintivamente raggiungo l'uscio della stanza da letto, mi giro a sinistra verso l'uscita dall'appartamento e resto a fissare la porta col telefono ancora attaccato all'orecchio.
Gli avevo chiesto, a quel appuntamento, se avesse dei segreti e lui mi ha raccontato diverse cose, evidentemente non tutte. No, qualcosa se l'è tenuto per se stesso.
Dovrei sentirmi tradita, ma  non posso permettermi di esserlo, dopotutto anche io ho tenuto qualcosa per me. Marianne. E anche che Logan è quel Francisco che tempo fa lui stava cercando con l'intenzione di fargli molto male.

«Ora torno a dormire, non vorrei trovarmi con le occhiaie per colpa tua. Non mi donano per niente...»
La voce di Kieran mi risveglia dai miei pensieri. Non aggiungo altro e quindi lui riattacca.
Se Nicholas ha davvero qualcosa che potrebbe usare contro suo padre ma non può usarla, questo vuol dire che io invece potrò eccome. O perlomeno lo spero. Benedict vuole quei documenti, forse perché come in ogni accordo di riservatezza c'è una data di scadenza e probabilmente quella data si sta avvicinando e se così fosse... Benedict si sente minacciato, ecco il perché di tutto.

Tiro un profondo respiro, mi rigiro il telefono tra le mani e il cuore quasi non mi sobbalza nel petto quando la porta d'ingresso si apre.
Cazzo...

Sbarro gli occhi e come d'istinto indietreggio rapida come una scheggia nella stanza da letto.
Lui non dovrebbe tornare così presto, il giro che di solito fa quando va a jogging dura almeno una ventina di minuti.
Lo sento occupato a chiudere la porta e probabilmente togliere le scarpe, quindi in un batter d'occhio torno a letto, mi infilo sotto la coperta e chiudo gli occhi.

Si sentono dei flebili passi, la porta del bagno si apre e dopo un po' c'è lo scrosciare dell'acqua. Si sta per fare la doccia.
Perché è tornato così presto? Magari gli sarà passata la voglia di correre anche se è fissato con quel suo rituale di allenamento e alimentazione.

Mi alzo, sguscio via dalla coperta e in punta di piede do un'occhiata a destra. La porta del bagno è socchiusa e da dentro arriva l'illuminazione della lampadina. Giro il viso a sinistra e mi rendo conto di un dettaglio a cui non avevo badato prima granché attenzione, ero troppo presa dalle parole di Kieran. Le mie chiavi non sono più nello stesso posto sul mobiletto accanto l'entrata. Ma sono spostate nella ciotola decorativa di vetro dove lui ha sempre il vizio di mettere le sue.

Sono le chiavi dove ho quella della moto, del mio monolocale, del Pink Ocean e il duplicato di casa di Ethan, ma non ho mai messo quella dell'appartamento, l'ho sempre tenuta separata e quando Nicholas è tornato gli ho ridato la chiave e lui mi ha detto che avrebbe fatto una copia per poterla tenere con me.
Ha preso le mie chiavi. Perché?

Il getto d'acqua si ferma e i miei ragionamenti si fermato bruscamente. Mi volto verso la porta del bagno, resto ferma questa volta e con solo un asciugamano in vita lo vedo uscire fuori. Mi vede, si blocca a guardarmi per lunghi istanti finché nella poca penombra dell'appartamento si apre in un piccolo sorriso.

«Ti ho svegliata?» chiede quasi pentito e si avvicina. I capelli sono umidi e scompigliati.
«Ultimamente ho il sonno un po' leggero» dico solo. Lui poggia una mano sul mio viso e posa un bacio sulle mie labbra.
«Scusami» sussurra accanto la mia bocca. «Torni a dormire?»
Scuoto la testa. «No, credo che mi metterò al computer, ho alcune cose da sbrigare per l'università.»

Lui annuisce.
«Ti preparo il caffè?»
Mi apro in un piccolo sorriso. «Sarebbe magnifico.»

Nicholas mi lascia un altro bacio e ancora gocciolante va in direzione della cucina. Inevitabilmente resto con gli occhi attaccati sulle sue spalle larghe, scendono sul fondoschiena e finiscono sul asciugamano.

«Sei andato a fare jogging?» chiedo dopo aver recuperato un paio di pantaloncini dall'armadio. Li infilo e vado verso il divano.
«Mhm, mhm» mugugna mentre lo vedo trafficare con la macchinetta del caffè. Sfilo il PC dalla borsa e raggiungo il tavolo.
«Hai fatto il solito giro?» chiedo ancora mentre mi siedo e lo accendo. Mentre pigio sulla tastiera la password con la coda dell'occhio scorgo Nicholas fermarsi d'improvviso.

«Quasi» risponde e riprende a fare le sue cose. Assottiglio gli occhi, li sposto del tutto in sua direzione.
Lui si gira, si poggia di spalle al bancone e porta le braccia conserte.

«C'era una borsa là» indica la zona dall'altro capo del soggiorno, accanto le tende.
«C'erano dei vestiti? Volevo fare la lavatrice ma non la vedo più.»

Restiamo a fissarci in silenzio per qualche secondo.

«Sì, c'erano dei vestiti» tiro su un sorriso a labbra chiuse e abbasso lo sguardo sul portatile.
C'era anche un fucile da caccia, quello che ho trovato nella nella tua casa in mezzo alla foresta.

«L'ho svuotata quando dormivi. Erano puliti quindi li ho messi nell'armadio.»

Lui mi dà una lunga occhiata.
«Ti sei svegliata di notte e hai messo a posto i vestiti?» chiede stupito.

«Sono andata al bagno, l'ho vista e mi son detta di farlo prima di rimandare oltre. Stava lì da diversi giorni. Sai come sono... mi dimentico sempre le cose e alla fine le rimando di continuo...» sdrammatizzo con un mezzo sorriso e apro un documento di testo al computer. La luce bianca quasi non mi acceca.

«Hai preso le mie chiavi?» chiedo distrattamente mentre digito qualcosa sulla tastiera. Alzo il viso. «Ho visto che sono state spostate» mi spiego meglio. Nicholas si gira, prende una tazza e versa il caffè pronto.
«Era buio e pensavo ci fosse anche quella di casa. Solo dopo mi sono ricordato che me l'avevi ridata e che non era nel tuo mazzo.»

«Hai perso il talento della tua buona memoria?» ridacchio divertita.
Lui accenna uno sbuffo di risata mentre mette del latte nella tazza e due zollette di zucchero.
«Mi devo riabituare a diverse cose.»

Non so perché ma ci credo ben poco, soprattutto col fatto che è sempre stato abituato a viaggiare, ma preferisco restare in silenzio. Ha preso le mie chiavi, è uscito e senza completare il solito giro di jogging. Perché è tornato così presto?

***

Angolo autrice

Allora... Mi dispiace ma il personaggio di Benedict mi piace da morire.
Scusate XD so che è un pazzo, ma è veramente affascinante.

Detto ciò: sto iniziando a simpatizzare Kieran. È molto scemo, ma non così tanto scemo. E poi fa ridere vabbè XD

Ultima cosa: Nicholas che stai combinando?

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