8 | Non mi lasciare

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CAPITOLO 8
Non mi lasciare

È la mia voce che esce ancora prima che me ne accorga. Abbasso in automatico un po' il volume della canzone.
Alzo le sopracciglia trattenendo a stento un sorriso beffardo che mi scappa anche questo. La verità è che non me ne frega un cazzo di lei, del tipo accanto a sé che l'ha ingravidata o del marmocchio dai capelli rossi che vive a casa dei Price e che Sofia, quella povera donna vedova come se non fosse già sufficiente, deve sopportare ogni sacrosanto giorno.

«Come?» chiede con quella sua vocina dolce da far schifo. Guardo Logan, lui è semplicemente ammutolito.

«Mi stai fissando» le faccio ben notare. «Vuoi una fotografia?» ridacchio strafottente.

Meredith resta a dir poco sbigottita dal mio atteggiamento. Perché mai dovrebbe?
La prima e ultima volta che ci siamo incontrate le ho solo detto che potrei spezzarle il collo in un battibaleno e lei, questa stupida irlandese o quel cazzo che è, credeva stessi scherzando.
La sola differenza adesso è che il collo glielo potrei ugualmente spezzare, ma non di certo per qualche ridicola gelosia solo perché ha un viso così antipatico da far schifo.

Per cosa dovrei provare gelosia? Per uno come Logan? Che mi ha mentito, si è ripresentato nella mia vita senza darmi niente ma pretendendo ogni cosa? Per lui?
No, ne faccio a meno detta francamente.

«Sei la ragazza del video» aggiunge poi.
Quasi non rido. La Ariel Cattolica non va solo in chiesa, ma a quanto pare sa usare anche Internet.
Alzo una mano muovendo leggermente le dita a mo' di saluto e per un solo istante mi rendo conto di aver salutato allo stesso modo di come lo fa Kieran.

«Sono Ronnie» alzo lievemente gli angoli della bocca e indico Logan con un dito. «Non gli hai parlato di me?» chiedo curiosa.
Meredith sembra avermi completamente rimossa dalla prima e ultima volta che ci siamo incontrate, tant'è che si volta proprio verso il tipo a cui cerca di infilare ogni tre per due la lingua in bocca e gli manda un'occhiata stranita.

«Meredith» la richiamo a me lasciandola stupita che sappia il suo nome. «Ci siamo già incontrate. Il Pink Ocean..? Ero una delle cameriere.»

Lei sembra cercare di ricordarselo.

«A proposito... congratulazioni» le dico. «Il matrimonio per quanto sarà? Avete già fissato una data?»
Pianto gli occhi in quelli di Logan e lui ricambia in perfetto silenzio.
Avanti, parla se ne hai il coraggio, Cisco.

E... Sì, mi sto pretendendo gioco di entrambi e mi piace da morire. Nicholas aveva ragione infondo: mi piace essere cattiva.

Meredith sorride nervosamente.
«Oh... noi... noi non, ecco, non abbiamo ancora-»
«Logan non avrebbe potuto trovare di meglio, state veramente bene insieme» la interrompo bruscamente rifilandole un piccolo sorriso.

Lei sembra arrossire o qualcosa del genere. Mio dio, ora chiaramente sembra la Ronnie idiota di due anni fa. Lei avrebbe avuto la stessa reazione. Ecco cosa ci ha trovato Logan in Meredith, una sorta di mio clone.
Il piccolo angelo sensibile, da proteggere, che si imbarazzava facilmente.

«Davvero?» sorride lei stupita. Guardo di sfuggita Logan che pare per niente convinto della cosa.

Annuisco.
«Ma certo! Poi avete un figlio... sono certa che tu sei la sua anima gemella, insomma... sei bellissima!» esclamo indicandola con una mano per poi spalancare gli occhi. «Oh! Scusa! Mi è uscito senza volerlo» fingo una risatina. «Ma hai dei bellissimi capelli, davvero... sono veramente belli. Sembrano quelli di Ariel. Conosci la Sirenetta? Ecco, proprio così!» aggiungo con enfasi e mi godo ogni singolo fottutissimo istante della reazione di Logan che vorrebbe intervenire ma se ne sta in silenzio.

Meredith in automatico se li tocca nervosa e abbassa il viso per un complimento... così stupido. Vomitevole.

«Io... grazie! Sei molto gentile. È molto gentile, vero Cisco?» si volta verso Logan indicandomi. Cisco.
Solo la sua famiglia lo chiama così. E io.

Logan, con una mano nella tasca del pantaloni annuisce.
«Molto» ripete guardandomi e alza lievemente gli angoli della bocca.

«Sai, non l'avrei mai detto» dice Meredith tornando con lo sguardo su di me.
Alzo un sopracciglio.
«Che fossi così» mi indica in imbarazzo. «Ho visto quel video e sembravi...»
Attendo in silenzio che continui.
«Credo un po' troppo arrabbiata» ride lievemente. «C'è che dice che quella era la sede di una testata giornalistica di gossip, una cosa del genere.»

Sorrido. «Hanno scritto cose che non dovevano» dico e mi alzo in piedi. «Su di me e il mio ragazzo» aggiungo e do in automatico un'occhiata a Logan che sembra preso di sprovvista. Corruccia lievemente le sopracciglia, probabilmente domandandosi di cosa io stia parlando.

«Ronnie quando arriva il tuo Nicholas? Dobbiamo spostare un'altra scatola ma è più pesante di tutte le altre» una voce mi distrae l'attenzione. Mi giro e vedo Kim sull'uscio della porta. Kim che ora ha gli occhi davanti a sé. Seguo il suo sguardo e realizzo che sta fissando Meredith.

«Fra poco» rispondo tornando da lei che abbassa le pupille su di me e annuisce.
«Vieni» dice poi con uno strano tono di voce, pare improvvisamente incazzata ma non ne capisco il motivo. Mi limito solo a raggiungerla, ignorando completamente l'esistenza sia della rossa che del padre di suo figlio.

Non appena dentro, saliamo le scale che portano al terzo piano.
«Che puttana» sibila tutto d'un tratto. Aggrotto d'improvviso la fronte e mi volto. Ha la mascella serrata a mille, una smorfia di repulsione stampata in viso.

«La donna di Dio» aggiunge poi guardandomi e ispira profondamente.
«Ma chi? Meredith?» rido non potendo evitarlo. Kim però non sembra affatto divertita.

«Ti prego... non nominarla, altrimenti mi sale il sangue nel cervello» replica scuotendo la testa.
«Non ti sta simpatica? Hai visto che capelli da Ariel che ha?» scherzo mentre raggiungiamo il pianerottolo del secondo piano.

Kim si ferma, dà un'occhiata alle scale che portano al terzo e pare stia controllando che non ci sia qualcuno ad ascoltarci.
«Nath ha già avuto tanti problemi con la sua famiglia perché non è etero e poi si è aggiunta anche quella troietta tutta casa e chiesa, devota a Dio, che ha provato a farle il lavaggio della mente. Finché non le ho messo le mani in quei merdosi capelli rossi e così finalmente ha smesso con le sue puttanate sul peccato, l'inferno e che Dio non approva l'amore tra due donne, perché Dio ha creato l'uomo e la donna, e solo questi possono amarsi, fare sesso e sfornare marmocchi» sibila scimmiottando alla fine con un rancore così prepotente che credo di non averle mai visto.
La fisso ammutolita, confusa e stupita per il modo in cui sta parlando.

Kim ha sempre avuto un radar o qualcosa del genere per le stronze, è successo con Lorelai che a me stava sulle palle perché gentile da fare schifo e poi si è rivelata una mezza matta, adesso invece scopro che nemmeno a lei piace Ariel.
«Che mi sono persa in tutto questo tempo?» chiedo sul serio curiosa.

Kim chiude un attimo gli occhi ispirando profondamente.

«Solo che Meredith la puttana di Dio - mi scappa inevitabilmente un cenno di risata che cerco di controllare - ha provato a curare Nath - fa le virgolette con le dita - fortuna che ci sono stata io nei paraggi, ma se con lei ha fallito il grande piano di "allontanare il demonio che la tentava al peccato carnale", Yuri invece se l'è preso, ha avvinghiato i suoi tentacoli e l'ha trascinato dalla parte della Luce

Aspetta... che cosa?

«Yuri?» chiedo spaesata. Ricordo di Duncan che mi aveva rivelato che lui e Yuri si erano lasciati ma non mi aveva raccontato come, anzi è dileguato rapidamente.
Kim si porta sconsolata i capelli dietro le orecchie.

«La tua Ariel» ripete per niente divertita, «ha curato l'omosessualità di Yuri con due confessioni, una manciata di preghiere e l'acqua Santa di Cristo. Ecco perché lui e Duncan si sono lasciati mentre Logan non ha fatto niente. Avrebbe dovuto... che cavolo ne so?! Mollare un ceffone a quella puttana ma no! Lui ci ha fatto un figlio e ora quella sorta di Kraken vive a casa sua!»

Ride alla fine e probabilmente non è perché sia divertita. Non c'è niente di divertente.
E sono... senza parole. Non so come ribattere, non credo di doverlo fare ma forse stare solo in silenzio.

Kim mi guarda prima di avvicinarsi e poggiare le mani sulle mie braccia.

«Se quella Ariel proverà anche solo un'altra volta ad avvicinarsi alla mia Nathalie, giuro sulla mia famiglia che la distruggerò» dice con una voce talmente bassa e glaciale da lasciarmi di sasso. «La ridurrò in mille briciole e la butterò sui fondali marini. Nessuno tocca Nathalie, men che meno la puttana cattolica di Logan Price.»

«Perché mi stai dicendo questo?» chiedo con le sopracciglia corrucciate.
«Pensavo fossimo amici» risponde nettamente più pacata. «Ma lui invece di intervenire, si è fatto i cavoli suoi. Preferiva...» caccia una piccola risata e si allontana di un passo. «... andare in giro con la sua moto, come se non avesse delle dei doveri verso i suoi amici o verso Yuri. Lui andava... che diavolo ne so... in giro come quel posto che per un periodo frequentava spesso, come si chiamava...» aggrotta la fronte di colpo schioccando le dita nel tentativo di ricordarselo.

I suoi occhi occhi si illuminano poi.
«Devonshire!»

Aspetta... che cosa?
Un brivido mi attraversa con prepotenza la colonna vertebrale.

«Ecco come si chiamava! Devonshire. Che cavolo ci facesse là non l'ho mai saputo. Magari ha lasciato incinta un'altra troietta» ride scuotendo la testa ma io non rido.
Per niente.

«Devonshire» ripeto con le orecchie che mi fischiano di getto. Deglutisco.

«Sì, proprio così» commenta e inizia a salire la rampa di scale fino al terzo piano mentre i miei piedi invece non si muovono.

Devonshire.
Dove papà ha portato i cavalli del nostro Ranch.

Improvvisamente mi ricordo qualcosa. Sale a galla nella testa da lasciarmi senza fiato.
Lui, io, la barca. Il nostro incontro. Quando mi ha parlato di quella specie di delfini rosa, poi mi ha chiesto di ballare e io ho accettato.

Sul suo cellulare c'era una foto impostata come sfondo. Lui vicino a un cavallo bianco.
Al Ranch i nostri cavalli erano tutti marroni, neri o con alcune piccole tracce di bianco, ma c'era uno solo che il bianco gli ricopriva tutto il manto.
Light.
Il cavallo di mia madre.

Io lo ammazzo quel figlio di puttana di Logan Price.

«Che fai lì?» la voce di Kim mi risveglia di getto. Alzo lo sguardo e la trovo a guardarmi stranita.
«Avanti, vediamo se riusciamo a spostare quella scatola senza Nicholas, magari tu ce la fai, insomma... dopo quello che hai combinato alla Untold Sparks non mi stupirebbe. Sapevo sapessi fare a cazzotti, ma quello? Quello, cara mia, è stato incredibile» ride scuotendo la testa.

Mi riprendo di getto e la raggiungo sulle scale tenendole il passo.
«Ancora non mi hai detto che ti hanno fatto di male quelli della Untold Sparks. Non si occupano di gossip o sbaglio? E poi, che rimanga tra noi, la loro rivista fa schifo. Cercano di racimolare qualche grammo di attenzione con roba insignificante che non frega a nessuno» schiocca la lingua contro il palato disgustata.
Ora si spiega come mai quei ragazzini al Pink Ocean mi hanno riconosciuta e come mai Kim non sa della mia presenza alla festa di Tyler.

«Nicholas è il fratello di Kieran.»
Mi esce. Sì, perché prima o poi Kim lo scoprirebbe ugualmente. Sto per fare andare Nick alla sua villa, la stessa in cui c'è l'avvocato di famiglia degli O'Brien, nonché padre di Kim.
Quindi meglio ora che dopo.

Lei quasi non inciampa nell'ultimo gradino prima del pianerottolo. Si afferra al corrimano e quando si stabilizza si volta. Ad occhi sgranati mi fissa. Boccheggia più e più volte, cerca di trovare le parole adeguate ma ci ripensa e le rimanda indietro.

«Sono andata lì perché hanno scritto un articolo con la mia faccia e quella di Nick, poi hanno scoperto il posto dove lavoro e hanno mandato un ragazzino a farmi pedinare forse per scoprire qualcosa in più sulla mia vita privata, non ne ho idea. Ho minacciato il redattore, Elijah Minnick, e me ne sono andata, ma non credevo che qualcuno stesse filmando il tutto» spiego rapidamente. «E non sapevo nemmeno che Nick fosse un O'Brien, quando l'ho conosciuto era solo un soldato imbecille che mi infastidiva... e mi piaceva, sì, mi piaceva molto, okay? Ma era un imbecille, solo che adesso è perfetto e mi piace da morire, lui è meraviglioso e non voglio che gli altri ficchino il naso nella sua vita o nella mia, io voglio tutto così com'è perché stiamo bene e... e lui è meraviglioso, è bellissimo, e non faccio sesso da non so quanti giorni perché gli ho regalato un maglione e lui non vuole indossarlo quindi non vuole...» mi fermo improvvisamente aggrottando pe sopracciglia dinanzi all'espressione sbigottita di Kim.

A bocca socchiusa, sbatte le ciglia lentamente, mi fissa e sembra come ipnotizzata.
«Che c'è?» chiedo quindi.

Lei, in tutta risposta, scoppia in una risata. Una strana e a tratti isterica, da pazza omicida, risata.
La guardo spaesata.

«Oh... mio Dio! Amo la tua versione non più vergine! Grazie» mi afferra per le braccia scuotendomi con forza. «Grazie di non essere più vergine. Fanculo il tuo anello di castità, fanculo tutto! Io ti amo follemente! E... aspetta» fa d'un tratto fermandosi. «È stato Nicholas a toglierti la verginità?»

Resto in silenzio guardandola male.
Lei invece ride di nuovo e mi scuote con poi forza.
Poi si ferma improvvisamente con un'espressione pensierosa stampata in viso.

«Ecco perché aveva quel viso così famigliare...» mormora. «E perché faccia di cognome Reed. È il cognome della Duchessa... Sì, ha senso...» borbotta tra sé e sé. «Non l'avevo mai visto, sai? Lui. Io sono cresciuta con quel idiota di suo fratello, ma Nicholas? Mi ero anche dimenticata della sua esistenza se devo essere sincera. Sarà venuto qui a San Francisco probabilmente una sola volta, poi è ripartito per il Medio Oriente e da quel che so da Kieran, ogni volta che si lamentava, era che viaggiava da Washington a Sidney ma non-»

Rimango confusa.
«La... cosa?» rido istintivamente guardandola con la fronte aggrottata tanto da interromperla.

«La cosa, cosa?» sbatte lei le ciglia più confusa di me.
«Duchessa» dico rincretinita.

Kim corruccia le sopracciglia e sembra sconvolta. «Aspetta... tu non sai veramente niente sugli O'Brien?»
Il mio silenzio la fa scoppiare in una risata stranissima. Il punto è che non ho detto niente di divertente.
Molla le mani dalle mie braccia, si passa una sul viso e scuote la testa.

«Tesoro, ma almeno sai con chi stai insieme? Sai cos'è il tuo ragazzo?» mi fa d'un tratto seria, nonostante cerchi di riprendere fiato.

Non ci penso molto. «Un... ex Marine? Ora fa il poliziott-»
«Sì, sì, la leggenda del primogenito ribelle ma non è questo» mi ferma sventolandomi una mano davanti al viso tanto da farmi zittire. «Io parlo di chi sono realmente gli O'Brien.»

«Un impero aziendale?» tengo di nuovo. Lei fa una smorfia divertita.
«Tu non sai un bel niente...» scuote la testa incredula davanti la mia risposta.

Non sto capendo. Chi diavolo dovrebbero essere questi cavolo di O'Brien? Oltre ad aver tanti soldi ovviamente.
Cosa non mi ha detto Nicholas sulla sua famiglia? Lui è sempre stato sincero con me quindi non credo proprio che mi abbia mentito. Non può avermi mentito.

No, no... Lui non è Logan, lui non lo farebbe mai. Giusto?

Sto per farle la tanto attesa domanda così da capire la situazione ma il cellulare che mi squilla mi blocca. Sospiro, do un'occhiata allo schermo e leggo nientemeno che il nome di Nicholas, quindi rispondo.

«Ehi, dimm-» non riesco a finire che mi interrompe, partendo in quarta tanto da travolgermi come un fiume in piena.
«So che ti avevo detto di esserci, ma c'è stata una sparatoria e alcuni agenti sono rimasti feriti, stiamo aspettando i soccorsi e non posso venire a darti quel passaggio. Puoi chiedere a Ethan? Dovrebbe essere libero a quest'ora, altrimenti arrivo ugualmente ma solo tra una ventina di minuti o forse... aspetta... aspetta un secondo...»

Silenzio.
Aggrotto la fronte e allontano il cellulare dall'orecchio. La chiamata è ancora in corso.
«Nicholas?» lo richiamo e nemmeno il tempo di finire che si sente qualcosa in sottofondo.

Il sangue mi si gela tutto di colpo nella vene, i polmoni mi si stringono.
Afferro d'istinto il corrimano della scala.

«Nicholas...?»
Mi manca il fiato a tal punto da sentire la nausea salirmi su per la gola. Sbatto le ciglia cercando di rimandarla indietro con forza, ma ogni centimetro di carne mi rabbrividisce copiosamente, va in fiamme, mi sento andare in iperventilazione.
«Nick... stai bene? C-come... Nick? Nicholas, ci sei? Mi senti?» chiedo.

Il fuoco si apre di nuovo. Altri rumori di proiettili.

Sono... sono degli spari. Sono pistole.
Sento lo sguardo di Kim addosso che mi fissa silenzioso cercando di capire quello che sta succedendo.

«Nicholas?!» lo richiamo al cellulare con la voce che mi si incrina di colpo, mi si spezza.

No, no, no.
Non sta succedendo. Non proprio ora.
No. Questo non è reale, non sta succedendo, non è successo, non...

Respira. Respira.
Sì, sto respirando.

«Nick?! Rispondi! Nicholas!» urlo in attesa che mi dia qualche segno di vita. «Cazzo! Nick! Rispondi, maledizione!» imploro con la gola in fiamme.

Mi asciugo frettolosamente il viso e corro giù per le scale, ignorando tutto: Kim che mi urla dietro chiedendomi cosa stia succedendo, che cerca di fermarmi per capire la situazione.

Non c'è niente da capire.

Corro a perdifiato mentre la chiamata si interrompe e rapidamente tra i contatti cerco il numero di Tyler. Metto il cellulare accanto all'orecchio, passo accanto a Logan e Meredith quasi rischiando di inciampare nel prato del campus. Mi cade qualcosa, torno indietro. La mia borsa.

La raccolgo e nel frattempo Tyler risponde.

Respira. Respira, Ronnie.

«Dove cazzo è Nick?!» gli sbraito contro senza aspettare minimamente una risposta o senza rispettare qualche fottuta esistenza di regole e costumi o tutto quello che riguarda le buone maniere. Al diavolo tutto.

Non respiro.
Poggio una mano sul petto. Le lacrime scendono copiose sul mio viso. Il corpo mi trema fino alle più profonde delle viscere.

"Ci vediamo dopo", le sue ultime parole. Gli ho tirato su la zip della giacca, lui ha sorriso e poi mi ha detto "Ci vediamo dopo" e mi ha baciata.

«Dov'è Nicholas?! Tyler! Rispondi!» gli chiedo rimettendomi in piedi. Mi guardo indietro d'istinto, Logan e la rossa mi stanno fissando confusi, io vado invece diritto spedita verso l'uscita, scendo in marciapiede, cerco di fermare un qualsiasi taxi non sapendo nemmeno dove diavolo io debba andare.

Ospedale.
Sì, se è successo qualcosa è lì che dovrebbe essere. Sì.

«Veronica...?» sento e rimango immobilizzata. «Che sta succedendo? Non sono di turno oggi. Perché mi chiedi di Nick? È a lavoro, dovrebbe aver già finito una decina di minuti fa.»

Non respiro.
La mano sul petto a controllare il battito del mio cuore.
Non respiro.

«Ronnie!»
Kim.

Mi volto verso di lei. Mi corre incontro.
Le orecchie fischiano con forza, sono ovattate. Vedo la sua bocca muoversi, le sue mani sulle mie braccia, ma tutto è silenzioso. E la nausea continua a salire, la mia mano sul petto, io che non respiro, che cerco di farlo ma non respiro.

"Ci vediamo dopo."

Nicholas.
Lui fa il poliziotto di pattuglia. Lui sequestra spinelli e cazzate del genere o sgrida i ragazzini che vanno in giro sulle bici senza casco. Lui non prende parte alle sparatorie, perché lui... lui non può.
E se lui non può è perché va nel panico.
Se lui va nel panico... se non riesce a difendersi, se...
Non respiro.

Vedo Kim afferrare il mio cellulare, gli dà un'occhiata, se lo porta all'orecchio e la sua bocca continua a muoversi. Dice qualcosa, so che lo sta facendo.

Non respiro.

*

«Scusami un secondo...»
Mi giro lentamente. Maledizione.
Punto gli occhi nei suoi e attendo che parli questa volta però più rapidamente perché mi stanno per cascare le ovaie per terra a fra non molto.
«Dimmi pure.»

«Volevo chiederti scusa per poco prima.»
Aggrotto istintivamente la fronte, presa di sprovvista. «Non intendevo fissarti in quel modo e sembrare inappropriato, solo che... è strano trovarmi qui, di nuovo tra le persone... in un locale.»
Gesticola con fare nervoso e mi rivolge un piccolo sorriso.

Stranita dal suo atteggiamento mi ritrovo ad alzare un sopracciglio.
«Perché, dove hai vissuto fino ad adesso, in cima all'Himalaya replico.
Cazzo.
Me ne rendo conto troppo tardi dell'acidità che mi è uscita insieme alla mia battuta.
Lui resta stupito dalla mia risposta.
«In un certo senso... ma senza la neve» risponde nonostante tutto.

Oh, menomale, altrimenti per me sarebbero stati dei grandissimi problemi se avesse deciso di alzarsi e lamentarsi col mio capo che al momento non c'è, fortunatamente.
Il punto è che sono molto brava nel mio lavoro ma non stasera, e adesso sono impegnata a parlare con uno che probabilmente vuole ammazzarmi e mangiarmi il cuore. Non che mi dispiacerebbe.

«Faceva molto caldo, per non parlare delle tempeste di sabbia...» lo sento aggiungere muovendo la testa con una smorfia divertita in faccia.
«Le tempeste di sabbia» ripeto io sbattendo lentamente le palpebre, non avendo la più pallida idea di che stia blaterando.
Lui annuisce.
«Quindi... ricapitolando» prendo di nuovo parola io. «Sei un eremita che si rifugia in una qualche grotta su una montagna dove ci sono le tempeste di sabbia.»
Rimetto in ordine ogni informazione picchiettando la penna sul blocco note a ritmo.
«Ti sei fatto un giro ultrasonico su Marte? Oppure sei uno di quei complottisti che pensano che la Terra sia piatta e che Bill Gates controlla le nostre menti con dei chip sottopelle che inserisce segretamente nei vaccini?» chiedo veramente curiosa di sapere se è solo pazzo o se è un pazzo che mangia animali selvatici e che fa i balletti subacquei con i cuccioli degli alligatori nelle lagune della Florida.

Lui mi guarda in silenzio per svariati istanti per poi coprirsi con una mano la bocca e scoppiare a ridere.

«Cosa?» chiede cercando di darsi un contegno immediatamente.

«Non sei un complottista?» inarco un sopracciglio guardandolo meglio.

Scuote la testa.
Gli indico gli scarponi con la penna. «E allora perché indossi quelle scarpe? Pare che tu ti stia preparando per una imminente apocalisse zombie» osservo.
In tutta risposta lui ride ancora lasciandomi abbastanza perplessa.
«Ti giuro che non sono un complottista» fa sorridente. «E indosso queste scarpe perché al momento non ho nient'altro.»

Mi porto le braccia conserte.
«Stai scappando dalla polizia?» chiedo ancora facendogli una lunga analisi. Potrebbe, insomma, ha dei vestiti molto anonimi. Niente stampe, niente simboli di marchi commerciali e a livello di fisico è messo bene. Magari è un evaso di prigione e ha rubato i vestiti ad una guardia.
Lui, alla mia ennesima domanda, rimane di stucco.
«Aspetta... che?»
«O vuoi fare una rapina? La cassa al momento è vuota, se vuoi fare una rapina ti conviene aspettare un altro po' e magari non puntarmi la pistola alla fronte perché mi incazzo facilmente e te la afferrerei per poi spaccarti la faccia. Per il resto, puoi anche fare due tiri di proiettile per fare scena, solo non colpire le vetrate, costano parecchio e la titolare ha appena avuto una figlia quindi sai come sono... le spese e tutto il resto» spiego indicando con la penna la vetrata accanto.

Lui mi guarda intontito, sembra stia ancora cercando di elaborare le mie parole.
«Non ho nient'altro perché sono qui per le nozze di un mio amico e non voglio fare alcuna rapina» dice facendomi inevitabilmente aggrottare la fronte.
Mi allontano di un passo, poggio una mano sotto il mento e gli do un'altra occhiata dalla testa ai piedi.
«Sei sicuro che sia questo l'outfit più adeguato per un matrimonio? Non per rovinare il tuo entusiasmo, ma hai tutto l'aspetto di una guardia carceraria che lavora allo sportello delle visite dei detenuti.»

Lui solleva le sopracciglia e ride di nuovo. Afferra la bottiglia, toglie il tappo e ne beve un sorso sotto i miei occhi che finiscono sui sui bicipiti che si contraggono in automatico.
«Sei sempre così?» chiede indicandomi con un cenno di testa mentre rimette a posto il tappo.
Inclino di poco la testa.
«Così come?»
Lui mi guarda attentamente prima di riaprire bocca. «Schietta.»
«E tu vesti sempre le magliette così attillate?» chiedo di rimando. «Non ti fa caldo?» domando stranita.
Scuote la testa con un piccolo sorriso che pare di soddisfazione.
«Sono abituato alle alte temperature.»
«Perché vivi in una base anti bombardamento recintata con tanto di filo spinato nel Nevada?» replico alzando un angolo della bocca, prendendolo un po' per il culo.

Lui mi ricambia il sorriso.
«No, perché sono un Marine che ha vissuto negli ultimi cinque anni prevalentemente in Afganistan.»

Il sorriso mi muore lentamente sulle labbra, resto a fissarlo in silenzio per qualche istante.
Sì, adesso tutto ha più senso...

Gli indico il viso. «Dovresti iniziare a usare un po' di crema solare» gli consiglio riferendomi al suo setto nasale un po' scottato dal sole.
«Sei un eroe patriottico, quindi... Che ci fa un soldato in un locale come il Pink Ocean dove serviamo milkshake?» rido lievemente a questa assurda situazione.
Lui alza le spalle.
«Sarei dovuto essere ad un addio al celibato...»
«E perché non sei lì?»
«Non credo di saper più stare tra le persone» risponde con una sincerità disarmante. Le sue parole fanno leva su quello che sento anche io da tempo. L'unico momento in cui sono immersa nella gente è perché devo lavorare, per il resto preferisco starmene per conto mio.

Corruccio le sopracciglia, faccio per replicare ma Ethan mi chiama per servire una ordinazione, quindi mi allontano dal tavolo, prendo il vassoio e mentre poggio le bevande e i vari drink al tavolo dove ci sono un paio di ragazzi e passo affianco al tizio dell'Afghanistan, ma poi aggrotto la fronte e mi giro verso di lui. Lo trovo a giocherellare assorto con l'etichetta della bottiglietta.
Lui solleva lo sguardo e mi guarda.

«Posso sapere il tuo nome?»
Lo dice leggermente troppo ad alta voce attirando un po' di occhi su noi due. Inclino di poco la testa.
Torno al suo tavolo col vassoio tra le mani.
«E perché?» chiedo per niente convinta che questa sia una cosa buona da fare.

«Vorrei sapere chi è la prima persona con cui ho scambiato qualche parola da quando sono qui.»
Dice con un'aria talmente seria che resto incredula.
Caccio inevitabilmente una mezza risata.
«Mentre ti dico il mio nome pretendi anche un "Sì, Signore!" e un saluto militare?» ridacchio sbattendo teatralmente le ciglia visto il suo modo di porsi. Ma chi diavolo si crede di essere?

"Vorrebbe sapere", parole sue, come se qui fossimo in un campo da guerra e io fossi un suo sottoposto. Ma che andasse pure a farsi fottere.

Ho sbagliato a chiedere gli straordinari a Denise, sarei dovuta rimanere nella mia stanza al campus a bere birra e fumare due spinelli. Cazzo, ho bisogno di una breve pausa, fumare una sigaretta e maledire la mia vita.

Lo vedo porgermi d'un tratto la mano che fisso accigliata.
«Sono Nicholas, ma per gli amici solo Nick» dice. Col vassoio tra le mani sopra il grembiule resto ferma.
«Te l'ho forse chiesto?»
Nick ritira la mano e la poggia sul tavolo.
«A che ora stacchi?»
Quasi non rido.
«Prego?» sollevo le sopracciglia stupita dalla sua improvvisa nonchalance.
«Non si fa così?» chiede. Lo guardo confusa.
«Così, cosa?»
«Chiedere a qualcuno di uscire insieme.»

Questa volta rido sul serio. Mi porto una mano sul viso e lo guardo divertita da tutto questo.
«Senti, Nick, non voglio uscire con te e non ti dirò nemmeno il mio nome. Perciò se non vuoi ordinare altro, devi andartene perché occupi un tavolo inutilmente, regole del locale non mie...» mi chino leggermente verso il suo viso. «perciò prendi il tuo culo da soldato con i cinque anni in Afganistan, la tua Ak-47 ed esci di qui perché nel caso non lo sapessi non puoi venire qui dentro e rimorchiare una dipendente, è contro il regolamento» termino rifilandogli un sorrisetto beffardo e mi tiro su.

«Un M4» ribatte.
Alzo un sopracciglio.
«Il mio è un M4, caricatore da trenta colpi, cartucce M855» spiega tirandosi in piedi e piazzandosi davanti a me. «Calibro e munizioni 5,56mm per 45mm con calcio telescopico e poggia spalla curvo» termina.
Con le braccia conserte lo fisso, sollevando il mento per guardarlo in viso.
Cazzo, ma quanto è alto?
Da seduto non lo pareva così tanto.

Ficca le mani nelle tasche dei suoi pantaloni mimetici e si china leggermente verso il mio viso.
«E voglio tanto capire come una ragazza così bassa in una possibile rapina potrebbe rubarmi la pistola e spaccarmi la faccia» fa con aria pensierosa, fissandomi negli occhi.
Poi si tira indietro, fa uscire il portafoglio, tura fuori una banconota da ben venti dollari e la poggia sul tavolo.
«Sono troppi» gli faccio ben notare. Lui mi manda un'ultima occhiata prima di girare le spalle.
«Tieni la mancia» sorride nell'angolo della bocca, si avvicina e allunga una mano verso di me, afferra la mia staccandola dal petto, la alza e ci deposita un bacio sul dorso lasciandomi... di stucco.
«Ci vediamo e magari la prossima volta mi dici anche il tuo nome» dice sicuro di sé e se ne va.

*

«Ronnie, guardami. Ronnie... ehi? Ehi, guardami» Kim mi afferra il viso. Mi sblocco d'improvviso quando mi schiocca le dita davanti agli occhi. Sbatto le ciglia, la guardo, lei mi fissa in silenzio per alcuni istanti.

«Voltati» mi dice con un piccolo sorriso.
Aggrotto la fronte, stordita.
Non lo so da quando tempo sono con le ginocchia sull'erba del campus, Kim e Nath accanto a me che cercano di farmi riprendere, che mi parlando, mi dicono cose che le mie orecchie non assimilano per niente.
«Voltati» ripete con un cenno di testa.
Sbatto le palpebre ancora e a fatica lo faccio e... mi manca il fiato per non so quanto con esattezza.

Gli occhi mi pizzicano, si riempiono di lacrime e più lo fisso più il mondo rallenta. Tremante mi alzo in piedi e ci rimango per altri secondi.
È lui a venire da me. È lui a fermarsi a meno di mezzo metro. Sempre lui a poggiare le mani sul mio viso, alzarlo verso il suo.

Ho la vista talmente annebbiata dalle lacrime che mi viene difficile guardarlo con lucidità.
«Ciao» mi rivolge un tenue sorriso e io finalmente riprendo consapevolezza del mio corpo. Mi avvicino ancora, avvolgo lentamente le braccia intorno al suo torso, poggio la testa sul suo petto, sulla sua maledetta divisa da poliziotto che adesso odio più di qualsiasi altra cosa al mondo, e lo stringo a me più che non posso.

«Non fa niente se non vuoi il mio maglione. Io volevo solo che ti tenesse caldo e... se... se ti prendo delle maglie normali senza renne o... o qualunque altra cosa stupida sopra, tu le vestirai? V-voglio solo che tu stia al caldo p-perché tu devi stare al... al caldo e... e non fa niente, n-non mi offendo, i-io...» farnetico cercando di trovare un senso logico a quello che dico. I brividi sono troppi, il mio respiro è pesante e le lacrime altrettanto. Scoppio a piangere un istante dopo e nascondo di più il viso contro il suo petto, lo stringo a me quasi a stritolarlo, a fondermi al suo corpo e diventare un tutt'uno e lui ricambia.
E quando ricambia il mio cuore si scioglie.

«Va tutto bene, Veronica...» sussurra accarezzandomi dolcemente i capelli. «Va tutto bene.»

Tiro su col naso e mi aggrappo ancora di più a lui, che mi lascia un bacio sulla testa e mi calma l'agitazione a poco a poco.

«Non mi lasciare» biascico.
Sfido ogni barriera del mio orgoglio personale senza alcun indugio, nessuna esitazione. Abbasso ogni muro difensivo che mi sono creata intorno, l'ultimo, lo faccio crollare in mille pezzi perché non devo proteggermi da niente, non da lui.
«Non farlo, altrimenti giuro che ti faccio resuscitare sono per strozzarti» minaccio finalmente più calma. Lo sento, nonostante tutto, ridere flebilmente.
Ed è allora che mi stacco un po' quanto a guardarlo. Lui abbassa lo sguardo su di me e io lo ammiro silenziosamente.

I suoi occhi azzurri. I suoi bellissimi occhi azzurri e quella piccola chiazza marrone che gli dipinge l'iride destra.

«Te l'ho detto che avrei fatto un po' di ritardo» dice semplicemente come se fosse la cosa più intelligente da fare in questo momento. «Sarei venuto, no? Eccomi qui» sorride contagiandomi in automatico e riappoggio il viso sul suo petto.

«Mi hai messo inchiostro di penna sulle chiavi della moto» mormoro.
«L'ho fatto» replica tutto soddisfatto.
«Che stronzo» commento con un piccolo sorriso spiaccicato sulle labbra.

Nicholas mi stringe a lui così forte da farmi mancare a tratti l'aria, mi abbraccia sollevandomi tanto che le mie scarpe si staccano dal prato del campus. Rido istintivamente.
«Vuoi ancora che accompagni te e le tue amiche?» chiede portandomi con le gambe intorno ai suoi fianchi, le mie braccia invece allacciate dietro il suo collo.
Annuisco guardandolo. Lui strofina il naso al mio prima di rubarmi un bacio che mi fa sorridere come di conseguenza.

«È andato tutto bene...? Voglio dire la... la sparatoria. Tu sei stato bene? Sei...» provo a chiedere preoccupata. «Hai avuto uno di quei momenti? Ti sei sentito male?»
Deglutisco e attendo una risposta. Nicholas abbassa per un istante gli occhi prima di riporli nei miei.

«Non è successo niente» confessa e pare stupito dalla cosa, più di quanto non lo sia io. «Erano solo dei ragazzini che volevano fingersi degli adulti. Due colleghi sono stati feriti, i medici dicono che sono stabili. Credevamo di aver fermato tutti, ma uno è apparso dal nulla e... ha provato a sparare alla macchina di pattuglia dove avevamo infilato uno dei ragazzi. Forse si trattava di vendetta, non ne ho idea, ora sono alla Centrale» spiega tranquillo.
«E tu?» chiedo invece.
Lui prende un profondo respiro e abbozza un sorriso.
«Non è successo... niente.» Ripete e sembra quasi esaltato, elettrizzato come non mai. «Non lo so perché. Doveva succedere ma non è successo. Ho solo pensato "ora faccio il mio lavoro e poi vado da Veronica perché ha bisogno di me".»

Il cuore mi trasalisce con forza nel petto.

«"E se non vado quella mi ammazza prima che lo facciano questi ragazzini"» aggiunge teatralmente. Lo guardo male, ma per poco perché mi scappa un cenno di risata che blocco mordendo un labbro.
«Forse sono di nuovo pronto per fare il mio lavoro» dice d'improvviso felice.
Aggrotto la fronte.
«Non vuoi più essere un agente di pattuglia? Vuoi... diventare un sergente come Tyler?» chiedo stranita mentre scendo e mi rimetto in piedi davanti a lui.

Nicholas esita per diversi minuti, il che è insolito.
«Vorrei tornare sul campo ora che so che posso farlo.»
Corruccio la fronte con una smorfia confusa. «Vuoi...» scuoto la testa non capendo quindi aspetto che sia lui a continuare.

«Tyler diceva che servono nuovi operatori per una missione il prossimo mese a Falluja. Un nuovo ambiente potrebbe essere il punto di svolta. Ci sono stato solo una volta tanti anni fa, ma credo che sia proprio quello che mi serve» sorride sicuro di sé.

Che cosa?
Resto immobile, in silenzio a guardarlo non sapendo come e se ribattere. So solo che il mio cuore, ora che era finalmente in pace perché certo che Nicholas fosse al sicuro, vivo e senza il minimo graffio, crolla a pezzi e mi finisce nello stomaco con una violenza tale da togliermi il fiato.

Lui, invece, è talmente sereno da mettermi ancora più in soggezione. Glielo si legge nei suoi occhi che è fortemente convinto della sua scelta.

«Iraq...» mi esce solo dalla bocca.
Lui annuisce, sorridendo entusiasta.
«E...» deglutisco pesantemente passando la lingua sul labbro. «E per quanto staresti via?» chiedo col battito cardiaco che rimbomba contro la cassa toracica.

«Non ho chiesto, ma molto sicuramente un paio di mesi» risponde per poi spostare gli occhi alle mie spalle. «Andiamo? Vi aiuto a prendere quello che c'è da spostare e lo porto in macchina» mi dice lasciandomi ancora più spaesata.
Mi bacia, afferra la mia mano e raggiungiamo Kim e Nath a qualche decina di passi da noi che stanno dicendo qualcosa tra di loro.

I miei occhi scivolano invece in basso, sulle nostre mani e mi sento soffocare.
Credevo di averlo perso in una piccola sparatoria fatta da un paio di ragazzi idioti che giocano con le pistole... e lui ora vuole tornare in zona di guerra.

Ma che...

«Tutto bene?» mi sento chiedere, quindi alzo il viso verso il suo.
Annuisco. Lui sorride lievemente e saluta le ragazze mentre la mia mente si disconnette del tutto questa volta.

No. Non va niente bene.

***

A

ngolo autrice

Mhm sì beh che dire.
Un capitolo molto greve da ogni punto di vista hahaha
A partire da Ronnie con Meredith per finire con Nick che prende e torna a fare il soldato.

Beh. Non so XD

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