Danza Acida: Atto 1

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Nadia espirò lo sbuffo di fumo dal becco e fissò la sigaretta che teneva tra le dita con malinconia. Cercò di rilassare i muscoli, che sentiva vibrare armonicamente sotto la pelle, e di espellere tutto il nervosismo mediante la mistura di tabacco e catrame che le saturava i polmoni. Nella sua mente fece capolino il ricordo della sera precedente e lei cercò di scacciarlo, di non comporre con i tendini del viso l'espressione che il cervello le consigliava di imprimere. Si strofinò la ruvida mano sulla schiena, quasi come se quel gesto potesse accontentare la fame insaziabile di rimorsi della sua mente, e sospirò profondamente, continuando a fissare la sigaretta. Forse per eclissare il molesto ricordo bastava concentrarsi su quell'arancione sporco, osservarlo con la vacuità mentale dei monaci tibetani in meditazione nella speranza che la sua mente potesse distrarsi e oscurare l'insipido orgasmo della sera precedente.
«Fanculo» sussurrò dentro di sé, quindi gettò sul finto parquet la sigaretta con rabbia. Non fece tempo a calpestarla con il nero piede palmato che una scarpetta da ballo la precedette nell'atto.
Nadia alzò la testa e vide davanti a lei il viso di Melissa, tondo e fanciullesco. Le sorrideva di un sorriso genuino e spensierato ma sbiadito da una sorta di materno rimprovero.
«Chi è che ti ha truccata oggi? Stai benissimo» mormorò la ragazza. Si allontanò di qualche centimetro, forse perché ancora intimidita dall'aspetto del cigno.
«Mi ha truccato David. Come sempre» Nadia spostò rapidamente lo sguardo dal mozzicone appena spento agli occhi da cerbiatta della ragazza. In effetti, in balìa del buonumore per l'amplesso della sera precedente, quel gracile ometto le aveva riferito che quella mattina avrebbe "sperimentato". Come se dipingere un paio di cerchi colorati attorno agli occhi e sulle ciglia fosse chissà quale geniale arte. Ma lei lo aveva lasciato fare, contento com'era nell'appiccare col pennellino sgargianti colori sul suo volto delicato. In ogni caso era una pessima idea sperimentare trucchi su di lei. Ben sapeva quanto costassero una fortuna i trucchi per piume.
«Non sei eccitata?» continuò la ragazza, dondolando il busto sulle gambe da danzatrice. Era difficile non guardarle le pupille, con quegli occhi enormi che si ritrovava. Il trucco che le avevano steso sul volto le risaltava ancora di più, in un contrasto di colori freddo ma bellissimo. Il nuovo regista aveva richiesto di utilizzare esclusivamente il verde ed il blu per il trucco, nonché nastri appariscenti per raccogliere i capelli.
«A dir la verità, mi sento piuttosto stanca.» rispose Nadia, carezzandosi il braccio con la mano «Non muoio dalla voglia di conoscerlo, credimi. Puzza di accademia delle belle arti e di tempi dispari, dicono perfino che si pettini come Wes Anderson»
Melissa inspirò profondamente e abbassò il capo, mantenendo il contatto visivo con la compagna.
«Avanti! Era ora che arrivasse un regista almeno un pochino famoso qui da noi. Mi sono stufata ormai di fare balletti vecchi di due secoli» disse infine, mordendosi il labbro con il capo chinato.
Nadia scosse le spalle, continuando a passare la secca mano sul braccio scoperto «Ormai non faccio più caso a queste cose» rispose, abbozzando un triste sorriso «Ma va a prepararti, tesoro, su. David ci presenta tra dieci minuti»
La ragazza continuò a sorridere, quindi si voltò e si allontanò dal terrazzo camminando in modo naturale. Nadia gettò un'ultima occhiata al paesaggio industriale che circondava il teatro, reso ancor più plumbeo dal cielo appesantito dall'inquinamento. Il sole era quasi soffocato dallo smog, che aleggiava come grigia nebbia sotto il terrazzo, vaporoso e lercio. Si voltò quindi per tornare nello spogliatoio femminile. Come al solito, in mezzo a tutte le ragazze della compagnia, lei era ancora l'unico cigno, e nessuna delle altre dimostrava reazioni accoglienti o cordiali. La sincronia che le univa sul palco, facendole muovere come un singolo e connesso organismo, si sfaldava negli spogliatoi tramutandosi in una freddezza non dissimile da quella che si poteva trovare tra le operaie di un call center. Nadia si sistemò i nastri intorno alle caviglie, controllò che il trucco sulle piume fosse perfetto, e sprimacciò il vestito che puzzava di plastica. Di lì a poco il nuovo regista si sarebbe riempito gli occhi della fisicità delle ballerine e lei era già pronta a ricevere come un pugno il suo beota sguardo di ammirazione. Se le ballerine si abituavano al suo aspetto fisico in poco tempo, i registi e i maestri ci mettevano sempre molto di più. Per diverso tempo dimostravano imbarazzo al solo rivolgerle la parola o distoglievano lo sguardo non appena lei si accorgeva di essere fissata. Ma era meglio così. In questo modo lei appariva come una figura da rispettare, quasi da temere, intrisa di professionalità e leggiadria indiscutibili.
La faccia piatta di David fece timidamente capolino da dietro la porta «Ok, ragazze. È arrivato» sussurrò col suo classico accento svizzero che sempre la innervosiva. Tutte si voltarono verso di lui e ogni bisbiglio ammutolì.
«Eleganti, mi raccomando. Vi voglio eleganti. Salite sul palco con gentilezza» mormorò il maestro, guardando Nadia negli occhi annoiati.
Tra fremiti di eccitazione e tremolii sottocutanei, le ragazze pian piano cominciarono ad uscire dallo spogliatoio guidate dalle rudi mani di David.
«Piano. Piano. Come gazzelle» insistette, accompagnando le delicate spine dorsali delle ballerine con le mani «Tu in fondo, eh!» disse poi, rivolto a Nadia.
La donna non rispose, limitandosi a seguire l'ultima delle ragazze che stava uscendo. David le accarezzò le piume della schiena con più grazia rispetto alle spinte che stava affibbiando alle altre ballerine «Sii naturale» sussurrò mentre lei proseguiva. Nadia sorrise quando notò la meticolosa delicatezza che le ragazzine davanti a lei mettevano in ogni passo. Come se anche la camminata fuori dagli spogliatoi fosse un complesso passo di danza da limare e perfezionare. Lei aveva un dono naturale che nessun'altra aveva, eppure ogni volta che sentiva una di quelle ragazzine sostenere che lei non facesse nulla per risultare così aggraziata e leggiadra le ribolliva il sangue nelle vene. Come se non avesse speso la gran parte della propria vita ad affinare un dono che aveva ricevuto. Come se a lei bastasse camminare come avrebbe camminato entrando in un bar per danzare a livello professionale.
La fila di eccitate ragazze salì sul palco, distendendo la gamba per oltrepassare il gradino con grazia. Si disposero tutte in un'imbarazzata fila davanti alla platea vuota, come timidi soldati di fronte ad un plotone d'esecuzione. Nadia attraversò la soglia che dal corridoio portava al palco, e subito rivolse lo sguardo alle poltrone del pubblico. John Boyle troneggiava lì, le gambe incrociate e lo sguardo concentrato e accigliato: quello sguardo che gli uomini dipingono in faccia quando vogliono mostrare che non hanno tempo per nessuno. Non appena la vide entrare, tuttavia, lo sguardo del regista mutò e ogni senso di impazienza svanì dai suoi occhi. Lei si lasciò squadrare, camminando verso il centro del palco, e lo esaminò a sua volta. Il suo volto era angolare, riflesso di quell'imperscrutabile severità che non sfiora l'arcigno, e la sua postura comunicava sicurezza. I capelli erano lisci e ordinati, non fastidiosamente ricci come quelli di David, ed era vestito con indumenti a metà tra l'ordinario e l'elegante, al limite del kitsch. L'uomo la seguì con lo sguardo man mano che ella si spostava e restò ad ammirarla anche quando arrivò al centro del palco. Ammiccò quindi lievemente, increspando le pieghe della fronte.
Quando la silenziosa marcia delle ballerine terminò, John Boyle si alzò finalmente in piedi.
«Ecco il nostro cigno» mormorò ad alta voce. Lei continuò a sostenere il suo sguardo ammaliato e deformò il lungo collo piumato con una deglutizione.
«È una delle nostre ballerine migliori. Alcuni vengono addirittura dall'America per vedere una sua performance dal vivo» lo interruppe David, sbucato da dietro le quinte con in mano il suo inseparabile bloc-notes. Il regista si voltò verso di lui, distogliendo lo sguardo dalle piume candide di Nadia.
«Lo so bene chi è. Sono qui prevalentemente per lei» rispose.
«Sono lusingata» lo interruppe Nadia, cercando di soffocare nella gola il disprezzo che iniziava a gorgogliarle nelle viscere. Quelle movenze e quelle parole erano un pessimo inizio. Provò a calmarsi e a distendere i nervi. Dopotutto l'unica relazione che avrebbe avuto con quell'uomo sarebbe stata professionale. Almeno così sperava.
«Non basta solo una danzatrice per lo spettacolo che abbiamo in mente, però. Questo ve lo posso assicurare» rispose sorridendo il regista. Si schiarì la gola, s'infilò le mani in tasca e cominciò a camminare da una parte all'altra della platea.
«Per chi ancora non mi conoscesse sono John Boyle» incominciò, fissando negli occhi le ragazze una ad una «Dirigo spettacoli e coreografie in tutta l'Europa. Tra le mie opere più importanti posso citare la famosa trasposizione di Pasto Nudo a Parigi, la Pioggia di Ceneri musicata da Jonny Greenwood, Disceso è il Sipario, il Patibolo di Orendano e la rappresentazione avant-garde in chiave urbana dei Fleurs du Mal musicata dai maestri Colin Stetson e John Zorn, nonché altre coreografie minori di poco rilievo. Sono qui con la vostra compagnia di danza perché ho in mente un progetto altrettanto ambizioso, una tappa della mia carriera in cui ho deciso di abbandonare la rigida formalità di un'esibizione preparata seguendo la mia proverbiale meticolosità per abbracciare invece il tema della spontaneità, della trasformazione di genuine emozioni nella danza rimuovendo ogni sentore di simulazione. Potete chiamarlo un tentativo di ritorno all'arte naïf. Perciò vi chiedo oggi di dimenticare tutti i bei termini francesi che usate nei vostri balletti classici ogni giorno. Vi chiedo di dimenticare i Battement Dégagé, i Tour En l'Air, e i Rond de Jambe, perché in questi giorni rivoluzioneremo la danza. Ho abbandonato ogni metodo convenzionale nella danza anche nello scrivere l'opera, e voglio che ognuna di voi riceva una copia della sceneggiatura. Dimenticatevi tutto quello che avete imparato e leggetela. Dentro ho inserito poetismi, trame, ispirazioni, ma senza apporre alcun dettaglio in merito ai passi di danza. Siete voi che, leggendola, dovete ispirarvi, saturarvi del personaggio e assorbirlo finché il personaggio non si esprimerà da sé durante le prove. Vi voglio vedere inebriate dell'esotismo della sceneggiatura. Voi non sarete più le danzatrici che eseguono l'opera. Voi sarete l'opera. Domani faremo delle prove, e voglio che leggiate questi fogli e li rileggiate finché non li sentirete parte di voi. Dovete fondervi con l'opera, e non vi chiedo di elaborare una danza unitaria a partire da degli appunti. Dovete lasciar fluire l'opera nel vostro corpo, e danzare naturalmente, senza restrizioni o limiti teorici. Prendete questi fogli. Domani assegneremo i ruoli»
Nadia cercò di non scoppiare a ridere mentre fissava il gracile ometto sputare retorica da tutti i pori con tale entusiasmo. Un milione di affascinanti giri di parole per chiedere a loro di fare un'improvvisazione. Gettò un'occhiata in cagnesco a David, rimproverandolo per aver chiamato quel figuro, "l'esclusivo regista che la critica elogia tanto". Altro che genio. Aveva chiamato un pagliaccio per insegnarle con ampi giri di parole come esibirsi in uno spettacolo improvvisato. Chissà da quale culla era sbucato fuori, con la camicia indosso, invaso di se stesso e della sua credulona, presunta "genialità".
Le due segretarie salirono goffamente sul palco, traballando sui tacchi a spillo, e iniziarono a consegnare un plico di fogli stampati a ognuna delle ballerine. Nadia fu l'ultima a ricevere i fogli, essendo in fondo al palco, e la segretaria sussultò quando afferrò la carta con le mani ruvide. "Danza Acida" esibiva il copione come titolo cubitale, seguito dalla banale immagine di un ballerino in mezzo a quello che sembrava un Tour en l'Air.
«Ci vediamo domani mattina. Stupitemi»
Appena rialzò lo sguardo sulla tronfia figura del regista, Nadia vide che l'uomo si era inchinato verso il palco e ora si accingeva ad uscire dal teatro seguito dalle imbarazzate segretarie.
«Ok, ragazze. Rientriamo» mormorò David, spingendo piano la schiena della prima ragazza con il bloc notes. Scossa da un misto tra ilarità e nervosismo, la fila cominciò a rientrare nei camerini, sempre con la consueta eleganza. Quando Nadia fu davanti alla porta, tuttavia, David la fermò con goffa delicatezza.
«Resta qui» disse l'uomo, avvicinando il proprio viso al becco della donna. Lei acconsentì silenziosamente e senza indugi.
«So cos'hai pensato. Ho visto l'espressione che hai fatto» le intimò lui, non appena ebbe constatato che l'ultima ragazza era ormai ad una discreta distanza «lo so che può sembrare strano a primo impatto, ma se è così famoso e apprezzato nei circoli europei un motivo ci sarà»
Nadia sbuffò, poi sorrise per la preoccupazione dell'uomo «È solo un'altra persona con cui devo lavorare. Che sarà mai improvvisare sul palco? L'importante è che porti tanta gente a vedere lo spettacolo. Sono una ballerina professionista da parecchio, per me questo è un lavoro. Però la prossima volta cerca di portare qualcuno di normale» rispose, sistemandosi l'abito che le stringeva sulla coda.
«Non c'è problema, quindi? Non è stato così terribile?» David ricambiò il sorriso goffamente «In ogni caso, se ti tormenta troppo, basta che me lo dici»
«Non andrà male, tranquillo. Stasera penserò a come accontentarlo»
David arricciò le labbra, aspettandosi un bacio, e Nadia lo accontentò sfiorandole con il becco.
«A domani, allora» l'uomo si allontanò lungo il corridoio che portava alla segreteria, probabilmente per occuparsi di qualche scartoffia relativa al cambio di regista. Nadia sospirò. Sarebbe stata una notte lunga e colma di preoccupazioni su come soddisfare le utopistiche aspettative di quel narcisista. Ma dopotutto questo poteva portare un po' di cambiamento nel monotono lago di danza classica in cui nuotava abitualmente. Gettò un'ultima occhiata al pacchiano copione prima di rientrare nei camerini, dove Melissa le sorrise imbarazzata.

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